Stamattina son andato a far la spesa e poi ho letto, repubblicano, la recensione Joy-osa della Aspesi.
Un film leggero e bello, che non (sop)pesa.
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Spendete bene il biglietto con Joy, ve lo consiglia Natalia Aspesi
Joy Recensione – InGenereCinema
Film come Joy sono la conferma che, come recita il proverbio, “squadra che vince non si cambia“… E, infatti, in questa pellicola ritroviamo insieme il terzetto d’attori formato da Robert De Niro, Jennifer Lawrence, Bradley Cooper diretti dall’ottimo David O. Russell, dopo i successi de Il lato positivo e American Hustle.
Joy è una storia tutta al femminile, dove gli uomini fanno decisamente una magra figura rispetto al gentil sesso che, per quanto sia stato nel tempo schiacciato e vessato, ha comunque trovato il modo di far valere le proprie ragioni con il tempo.
Joy Mangano [Jennifer Lawrence] è cresciuta all’interno di una famiglia dove l’animo maschile l’ha fatta sempre da padrone riuscendo a mettere in ombra le sue grandi qualità. La donna, infatti, fin da piccola possiede il dono di saper trovare soluzioni geniali a piccoli problemi domestici, ma viene sempre sottovalutata da ogni membro della sua famiglia che non si risparmia di mettere in ombra la sua vitalità, oscurandola con il proprio egocentrismo e i propri problemi mediocri.
Joy, fondamentalmente, è una persona buona che cerca di mettere sé stessa in secondo piano per non urtare l’animo altrui, anche se in cuor suo sa molto spesso di avere ragione. Per cui Joy accetta che nella sua stessa casa coabitino, insieme ai suoi figli, sua madre, suo padre separato dalla moglie e in perenne lite con quest’ultima, la propria nonna e il suo ex-marito che non riesce a sfondare come cantante. Neanche un santo riuscirebbe a convivere con tutta quella pressione addosso… Un giorno, infatti, la donna decide di riprendersi in mano la sua vita, realizzando, finalmente, una delle sue invenzioni: il “Miracle Mop”, un mocio in grado di strizzarsi senza aver bisogno dell’apposito secchio.
Non solo la donna da vita a questa geniale invenzione, su larga scala, indebitandosi fino al collo ma, grazie al pubblicitario Neil Walker [Bradley Cooper] – lungimirante e senza scrupoli – riesce a dar vita ad un nuovo modo di fare telepromozione. Un modo più colloquiale, più vicino alle reali esigenze non solo delle casalinghe ma di tutte quelle donne che sono al contempo madri e lavoratrici.
Joy è la dimostrazione di come si può costruire una storia fondamentalmente semplice, ma che possiede tutte le doverose sotto-trame utili a renderla di spessore. E sono proprio la semplicità e l’ironia tipiche della commedia a smorzare i toni altrimenti molto pesanti delle tematiche affrontate. Fino ad adesso O. Russell pare non aver sbagliato un colpo e con questo film si è dimostrato all’altezza delle sue pellicole precedenti e capace di maneggiare la materia spinosa della commedia con eleganza ed abilità.
Paolo Corridore
Stanze di Cinema – Joy, recensione in anteprima
E allora, sì, stanziamoci, eh eh, esaltiamoci. Correggo, però, qualche refusetto che è sfuggito al suo autore.
Joy ***
Terza collaborazione tra David O.Russell e Jennifer Lawrence, dopo i successi de Il lato positivo e American Hustle, Joy rappresenta la consacrazione definitiva della sua protagonista, alle prese con un racconto che ha nella vera storia dell’imprenditrice Joy Mangano le sue radici realistiche e nella magia delle fiabe, il suo costante controcampo drammatico.
David O.Russell ha scritto, come sempre, anche la sceneggiatura, a partire da una storia sua e di Annie Mumolo, che lascia sullo sfondo il cliché della storia vera e della parabola capitalistica del self made (wo)man, per seguire la sua protagonista nel lungo viaggio verso l’emancipazione da una famiglia disfunzionale e crudele, alla ricerca del proprio posto nel mondo.
Il nuovo film sembra chiudere una sorta di ideale trilogia, cominciata con The Fighter e proseguita con Il lato positivo, che il regista ha dedicato alla famiglia, alla forza malsana dei suoi legami ed alle sue costrizioni.
Ancor più che nei film precedenti, in Joy è evidente la natura castrante dei rapporti parentali, tra fallimenti, invidie, gelosie e infelicità. Ed è forse questo ritratto agrodolce di madri e padri disamorati e anaffettivi, a colpire di più, nel contesto di un racconto che deve molto anche al mito di Cenerentola.
Joy vive in una casa affollatissima: oltre ai suoi tre figli, ci sono la madre Terry che, dopo il divorzio, passa le sue lunghe giornate sdraiata sul letto a guardare una infinita soap opera, il padre Rudy, cacciato di casa dalla sua nuova compagna e costretto a riparare nel seminterrato, che condivide con il marito di Joy, Tony, che ha aspirazioni artistiche e che, nonostante la separazione, continua a rimanere per la protagonista un amico fedele e lungimirante.
Ci sono poi la sorellastra Peggy, livida e invidiosa del suo talento, e la nonna Mimi, l’unica capace di indirizzare la protagonista e di darle un supporto nei momenti più difficili.
Quando il film si apre, Joy lavora per una compagni aerea allo sportello reclami, ma la sua posizione lavorativa è piuttosto fragile. Dopo la separazione dei suoi genitori ha dovuto rinunciare all’Università, per prendersi cura della solitudine della madre e degli affari del padre, che gestisce, assieme all’altra figlia Peggy.
Joy ha sempre avuto la passione per gli oggetti e per le invenzioni e nonostante le continue vessazioni familiari, decide di chiedere alla nuova compagna del padre, l’italo-americana Trudy, un finanziamento per produrre la sua ultima creazione: un mocio che si strizza da solo e che ha la testa, fatta da un unico filo di 40 metri di cotone, staccabile e lavabile in lavatrice.
L’idea è buona, ma riuscire ad entrare in mercato così grande e competitivo senza alcuna esperienza è un’impresa che sembra sempre troppo grande per coloro che vivono con Joy.
Gli unici che la spronano e la sostengono davvero sono l’ex marito Tony, la nonna Mimi e Neil Walker, il direttore del canale QVC, una tv via cavo dedicata esclusivamente alle vendite telefoniche.
Il film di Russell è avvolto in un’aura magica, che lo trasporta in un tempo indefinito nel quale la vera storia di Joy Mangano e del suo miracle mop è solo un pretesto per raccontare la ricerca della propria identità, lontana dalla fallimentare eredità familiare.
Come sempre il regista pedina i suoi attori, grazie ad una macchina da presa mobilissima, in continuo movimento, capace di assecondare la bravura dei suoi interpreti, esaltandone il naturalismo interpretativo.
Il film segue l’altalena emotiva della sua protagonista, in costante equilibrio tra successo e fallimento, ma sempre sorretta da una determinazione, che trova sovente nella disperazione e nello sconforto le radici per il proprio riscatto.
Lo stile di Russell favorisce i racconti corali e riesce sempre a mettere in luce il talento dei suoi interpreti ma, questa volta, la presenza magnetica di Jennifer Lawrence catalizza ogni attenzione. L’ancora giovanissima attrice è davvero l’ultima grande diva della lunga tradizione hollywoodiana, capace di essere al contempo inarrivabile e democratica, regale e ordinaria, perfetta quasi per ogni ruolo.
Anche questa volta, pur essendo probabilmente troppo giovane, per la parte che Russell le ha affidato – una madre single piegata dalle durezze della vita – il suo talento cristallino è capace di revocare qualsiasi dubbio in pochissimi minuti: il ruolo di moderna Cenerentola le cade addosso come un vestito su misura e ne esalta il carattere e la feroce determinazione.
Come ha scritto Tony Scott sul New York Times, la Lawrence è quel tipo di attrice, capace di confinare gli altri co-protagonisti al ruolo di caratteristi, se non di comparse.
Ne Il lato positivo era l’unica a tenere testa ad un gigante come Robert De Niro, in American Hustle, pur in un ruolo minore, rubava la scena a tutti, qui Russell le cuce addosso un personaggio memorabile, che guida, con consapevolezza da attrice consumata, tutti gli altri bravissimi interpreti, dalla nonna Diane Ladd alla madre Virginia Madsen, dal padre Robert De Niro ai due uomini della sua vita, il marito Edgar Ramirez e il direttore Bradley Cooper: tutti straordinariamente in parte, tutti assolutamente perfetti, illuminati dal carisma e dalla generosità della Lawrence.
Pur talvolta un po’ squilibrato nelle sue scelte drammatiche, il film di David O.Russell è ammirevole per generosità e onestà nella messa in scena e appare come uno dei più riusciti della sua carriera, una sinfonia familiare, nella quale emerge prepotente la ricerca di sè e la volontà di non arrendersi mai.
Così come in The Fighter, il ring più difficile è sempre quello della vita.
di Marco Albanese