di Stefano Falotico
Come siamo diversi, tutti a lor modo eterogenei, variegati, ano(r)mali, strambi, colorati, animali, alcuni grigi e non sfumati, altri neri ma il cupo fa colpo, siamo delle maschere colanti mascara…
Sì, siamo tutti (s)fatti a mo(n)do nostro, alcuni ti amano per quel che sei, altre ti voglion cambiare perché non hai i soldi per “soddisfar” i loro “appetiti”, alcuni invece ti elevano in gloria. Molti desideran che dalle palle mi levi e, di buona lena, lavori ogni dì appena il gallo fa chicchirichì. Eppur di notte sto sveglio in tante donne senza vesti e non è tanto ron ron ma brum brum, alla faccia vostra che m’invidiate di bromuro.
Tempo fa, scrissi un libro sulla solitudine. Una donna lo lesse e mi diede dell’uomo triste, una mi disse che scrivevo da Dio, un’altra, dopo la lettura sconvolgente, cambiò nei connotati, divenendo un’extra-terreste. Secondo me, venne e basta e, non essendo mai prima “venuta”, si sentì così tanto al settimo cielo da assumere delle orecchie da Star Trek. Vedi alle volte? Da strega frigida, bastò un po’ di “strudel” per (di)struggerla. È rimasta depressa e oggi se la tira di borsetta alla Mary Poppins. Non si dolga. Con un poco di zucchero, la pillola va giù e il mio in lei non va lì. Mangio più gustosi tiramisù. Sì, alcune san coglierti in “fragrante”, altre ti rendon più sol(id)o e pensan solo a un pene senza c… i per la testa da lor chiappe chiattissime al mare nel mostrar i seni cadenti. Questa è tristezza, volere i soldi per spassarsela di ghiaccioli da imbarcate, non il mio libro sulla solitudine. C’è del fascino in questo mio, incentrato sull’eremita che vive da Re Mida. C’è dell’intoccabile desiderato, assiderato, senza molto sedere ma comunque tutti gli domanderanno: “Ma come fai a vivere così? Beato te, che culo”. Sì, sai che roba. Di mio, faccio la spesa, di umorali afasie soppeso il mio malessere, molto stress che “cucino” con del purè. Via però queste fritte patate da me. Meglio il tè. Fa’ tu. E dammi del lei. E come sta Leo? Leo chi? DiCaprio? No, Leo, tuo nonno. L’avevo lasciato che stava con una zia, non è che finito in ospizio?
– Che fai? Nelle vite altrui spii?
– Scusa, non posso far pio pio? Ah sì, Pino. Era l’amante di Leo, no? Come la mettiamo… la zia?
Sì, meglio farsi i propri. E dir che avevo chiesto permesso di toc toc. Forse senza tatto. Ma alcune donne son dei brutti tocchi anche se veston alti tacchi. Oh, chiedi come stanno gli altri e fanno poi star male te. Sospettosi a dir poco, a dirla tutta ho il “bernoccolo” dopo averle prese… al borotalco.
Me le han date… batoste? No, alcune donne guardano al valor della testa, non alle palle degli uomini. Coi testicoli si va poco avanti, fidatevi, “duri”. Farete testacoda a pigliarlo nel didietro. Di mio, ho l’assicurazione in caso di sinistri. Non voto però la Destra.
Sempre a riflettere. Sì, fa parte della mia indole. Non la considero da ribelle ma da bello che… c’è a chi piaccio e a chi proprio non vado giù. Ma d’altronde piacere a tutti è la virtù dei fessi. Ho sempre infatti reputato enormemente strafottenti, per non dire scemi, coloro che spudoratamente si professan geni. Mah, nella mia vita ne ho viste tante… più dei lo(r)dati geriatri, ma la ginecologia si sposa con un po’ di mia stempiatura senz’impianto tricologico. Perché uomo, che perde qualche pelo, altri ne guadagnerà. Indagando nelle “parti intime” con giocosa chirurgia dell’erotismo più addent(r)ante. Son uomo che penetra, a tinte fosche, quelle rosse e di bionde anche s’ubriaca a più non posso, altrimenti mi fanno nero. Sì, son amante ma non così dotato come quelli di colore. E non datemi del vizioso, finitela coi vostri pettegolezzi da circoli. Ah, mi fan olezzo. Ma, si sa, alcuni hanno per me dei ribrezzi, altre con me bacian la brezza. Ci sbronziamo di panorami in cui le stendo e le donne, avvinghiate a mio monumentale comandamento, obbediscono urlando… in queste vostre valli di lacrime, la l(i)ana è pecora che tien desto il “bastone” della pastorizia. Tra fontane ribalde, d’orgasmi abbaiamo, alla faccia dei preti che ammiran gelosi i balconcini dal parapetto dei loro abbaini. Mi gridan che son svergognato e non devo abbassarmeli ma io lo alzo e si sente duramente. Cosa? Il peto!