Sì, dopo l’insuccesso di pubblico di Maps to the Stars, e dopo la morte della moglie, che l’ha segnato in maniera “chirurgica” come il suo Cinema “ginecologico”, Cronenberg ha deciso di non fare più film. E preferisce adagiarsi nella sua vecchiaia, ammirando i panorami sconfinati dei suoi capolavori, in una eXistenZ in cui è il demiurgo del suo ombelicale contemplarsi, sdoppiandosi in maniera metamorfica come Nanni Moretti di Caro diario, annotando il suo excursus filmografico senza pari in memoria autobiografica delle sue ossessioni metafisico-carnali.
Ora, del suo ultimo film ne parlai in termini amorevoli e ammirevoli, dedicandogli una recensione speciale nel mio libro a lui innalzato, ma forse non è onestamente all’altezza dei suoi lavori precedenti. Si nota una certa sciatteria, una stanchezza che da lui non ci aspettavamo. Ed è strozzato, paralizzato in un’asfittica dimensione del poteva essere altro. Lui che del Cinema “altro” è maestro alto.
Fatto sta che anche Carpenter, ch’eppure ha festeggiato le settanta primavere in tempi recentissimi, pare che ci abbia abbandonato, e forse nelle sue solitudini da Distretto 13 è preda del seme della follia del suo essere sempre in controtendenza rispetto a una società alla Essi vivono.
Noi soffriamo queste loro “dipartite”, piangiamo amaramente inconsolabili, perché i loro addii fanno mortalmente male ai nostri cuori di cinefili, desiderosi di abbeverarci alle loro genialità.
Intanto, Paolo Mereghetti, nel suo consueto inserto di Io Donna, con far supponente, saccente e stronzeggiante, stronca Joe Wright, ridimensionando la prova da Oscar di Oldman e definendola quasi una caricatura. Dà solo una misera stelletta e mezza a Darkest Hour, liquidandolo come agiografia patriottica con molte scene risibili.
Mentre osanna il Virzì americano, forse come Sutherland troppo innamorato di Hemingway nella sua vita da critico da Vecchio e il mare…
Come precedentemente annunciato, a giorni uscirà il cartaceo del mio nuovo libro, opera raffinata, meditativa ma al contempo avventurosa. Chi l’ha letto in anteprima sostiene che per 80 pagine non succede “niente” ma, si sa, i migliori libri e i migliori film sono quelli in cui, in effetti, non è che succeda granché, sino alla fine pirotecnica. Prendete Taxi Driver, è la storia un uomo che sta male, si affligge, è pervaso da tanti dubbi, è tormentato, come si suol dire, e alla fine fa il botto. Ma rimane un capolavoro, un colpo indimenticabile.
Sono andato a fare colazione, non ho mangiato la brioche perché ho lo stomaco a pezzi, miei pezzenti, ma ho gustato un cappuccino ben “calibrato” di giusta miscela fra caldo e freddo, come le “escursioni termiche” dei miei umori da uomo oggi di freddezza imparagonabile e quasi mostruosa, domani da generoso filantropo che bacia tutti.
Ma avrei una domanda da porvi. Solo a me capita questo? Quando sono al pc, non mi caga nessuno, appena vado in bagno a cagare, vengo bombardato da notifiche e messaggi su Facebook, e tutti vogliono parlare con me.
Appurerò… ah ah.
In verità, vi dico, sono un uomo brillante, imbrillantinato quando voglio fare il Fonzie di turno.
di Stefano Falotico