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Siate Lebowski, siate Bukowski, siate Paloschi, siate Falotici


18 Apr

 

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L’Italia è un Paese che spesso mi dà il voltastomaco, “nugolo” nazionale d’illusi tutti portavoce di verità e ignobili saggezza, dispensatori di “perle” a memoria dei porci. Sì, popolo di san(t)i, poeti e navigatori ma poi, stringi stringi, formato perlopiù da gente ignorante, in cui tutti si credono appunto persone che “volano alto”. “Mirabili” nell’esecrabile lor guerra psicologica incatenata a schemi mentali, figli di generazioni a parole innovatori/trici, in realtà castigatori più biechi e caudini e imprigionati in mentalità che vivandano di libertà in teoria e nella pratica invece sono schiavi/e di disvalori mendaci, tutti improntati all’ottica dell’arte di arrangiarsi, del guadagno futile, merceologico, consumatore di avidità.

L’Italia si dichiara moderna e in questo millennio oscurantista “offusca” le persone “pornografiche”, quelle che cioè vivono il sesso libera-mente, remoti/e da prefabbricati castratori delle piacevolezze. Allorché siamo invasi da omofobi, da razzisti, da xenofobi e di ogni cos(ci)a, come dico io, che non sono come loro, iddio, vivaddio, fobici. Puttana quella!

Vige una falsa cultura impiegatizia, ove tutti si cesellano dietro maschere sociali e la prima domanda che ci viene posta quando incontriamo qualcuno è se lavoriamo, come lavoriamo e perché lavoriamo.

Io lavoro afasico, quando mi va, se mi serve, insomma non sono un servo né un uomo severo. Mi piace l’uovo, strapazzato come la mia mente pazzerella che viaggia di qua e di lì e non sogna l’aldilà, poiché considero l’umanità un coacervo di evoluzioni figlie di Darwin, e dunque aspetto gli alieni perché ci liberino dall’alienazione in cui

Il giardino dell’illuminato


30 Aug

01717702Lunga la mia vi(s)ta da peccatore, poiché io peccai e anche fui “sbeccato” come tutti, oggi, acceso da vitalità insospettabili, dopo aver dedicato di delicatezza delle ore mattutine alla scrittura dei miei libri, che vi ricordo di acquistare poiché salvifici e orientati verso il verismo della realtà, mai artefatti né sbrodolanti ruffianeria, puri e “putridi”, rimestai nella mia cas(s)a dei pensieri, trovando alle incognite della mia (r)esistenza un valore (in)certo. Così qui vi vergo, ah la verga, quel che pen(s)ai e quel che nel momento stesso in cui vi do le mie parole penso. Pene… lungo… la strada del peccare spesso mi (sov)viene… vengono venial di vene… e viene quest’idea venale. Il mio stato mentale, a differenza dei comuni mor(t)ali, peggiorò quando il mio organo genitale in figa si sverginò. Molti an(n)i fa, eppur rammemoro quell’attimo indelebile e (s)porco nel quale la mia “quaglia” funambolica, pimpante e così “galla” per la mia “gaia” s’inoltrò nel bosco fiorito, da me in modo sublime leccato, timidamente “annacquato”, furentemente arroventato dall’impeto di quegl’istanti caldi e b(r)uc(i)anti in cui in cul il mio “cu(cu)lo”, che “crebbe” ed ebbi in dote di gioia e “levigatezza”, fu forato e d’istinto non forbito lì nel “lilla” infilato. Incantato, incatenato. Messo alle (s)t(r)ette. Ella si moveva con altrettanta animalesca furia, mi teneva in grembo mentre esagitato spingevo all’impazzata, cavalcando… sogni di gloria e futuri spruzzi d’incontinenza. Sì, me la feci nelle mutande, ma ne venne la mia pazzia. Da allora in poi, io, erede di Poe, divenni davvero poeta, sublimando appunto il sesso nell’ira “funesta” dei miei giorni malinconici. Come per le mantidi religiose, il sesso per me combaciò con la perdita dell’innocenza e, anziché allev(i)armi per fruirne ancora, coincise, di mia circoncisione, con la chiara e tonda (s)chiappa dell’uomo che, da quel momento demente, non deve chiedere mai. Non mi sbarbai più dopo la Barbie e inseguii la selvaticheria sorvolante del mio essere al(a)to, da quell’amplesso “imbucato” così (in)castrato nel cor(po) di un innamoramento non fi(si)co ma metafisica-mente lindo come un uccello liscio che, da gabbiano, si fece gabbare il vol(t)o d’angelo.

Altre donne “vennero” e con tutte fu la stessa troia, scusate, la stessa storia.

Ora che, con sguardo da “vecchio”, penso alla mia giovinezza boccaccesca, mi ricordo che ancora son giovane e ho ancora, ahimè, ah ah come g(r)o(n)do, molti an(n)i ancora da passare prima del definitivo c(r)ol(l)are.

Questa è illuminazione. Uomini, date a Cesara quel che “ara”, e di “oro” sappiate “elevarlo” in modo spirituale, più che altro da mar di stomaco.

Alle volte vomito per me stes(s)o, ma è una digestione che sa il “fallo” suo.

Donne, peccate… con me e non con un alt(r)o.

Io l’Altissimo, io di alito…

 

E, come Jesus, ficco sempre le palle in buca.

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di Stefano Falotico

Le esigenze di libertà di un Uomo che ha bisogno solo della lama del rasoio al suo mento “spiccato”


21 Sep

 

Guidai la macchina nel tramonto, al che “montai” in sella

No, non credo che muterò, amo le danze in mezzo a chi si pavoneggia, e scuoto la “cresta”, “inchinandola” negli sciacquoni di chi si “scia(la)qua” e poi, esagitato, è un esaltato, in total mio ammiccar di “buffoneria” in segno di stima e “stigmate” in questa società “ingioiellata” di tanto “ghingheri” ma da sgridar’ anche gridandole dietro, perché il loro “fondoschiena” non è pulito, semmai “polluzione” moralista, “semantica” di scemenza senza vero “seme” che nasconde anche il “boxer“, temendo di “eruttare” senza castigarsi nelle patte e poi, di “patate”, brindar di branco fra “abbracci” e un altro “laccio”.

Chi è Batman non si sa.
In mezzo al piattume, Egli è “immondizia” per chi superficialmente lo “scartò” e dono prezioso per una Donna che lo scarta, mentre Lui “la” smarca con un “Me ne frega un cazzo”, di codice d'”onore” e non “donato”.

Filastrocca che vi strucca e un po’ “rutta”.

Telefono a un “roditore” che presta servizio “radioattivo”, e “lui”:
– Basta! Che vuoi? Noi qui non cazzeggiamo!
– Sì, però “puttaneggiate” e, fra un disco e un “liscio”, la “botta” è piena e poi con la moglie vi sposate con lo “spumante” da ubriachi.
Vedi di stare zitto o ti riduco come il “cestino”.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Il Cavaliere Oscuro – Il ritorno (2012)
  2. Il grande Lebowski (1998)
  3. Le ali della libertà (1994)
    All’aguzzino “sadico” grido “Pietà!”, in quanto genio di Michelangelo che può trattarlo da ingenuo come una statua.

Per anni “penai”, perché credetti d’esser drago, invece sono Drugo


01 Dec

 

Il grande Lebowski

 

Il bowling d'”asfalti” nitidi nel drugo “rugarla”

Los Angeles, issata nelle sue luci di svenevoli neon intrisi dell’effluvio maestoso dei narratori.
Nell’intimo tepore d’un Uomo, una pigrizia d’esuberanza vivace nel grigiore di vite appassite nel loro passo “felpato” da “benestanti”.

Parassitario cerbiatto addolcito nell’anima, che vaga in un picaresco viaggio nottambulo, tra la sua identità “sovraimpressa” e immersioni nella nichilista dormienza di spettrali surrealismi, madidezza d’un white russian, candor nelle vene che la danzan assopiti in ciglia senz’accidia, su una pista ove si “balla” innalzati nel grembo del “fanciullismo”.
Forse, le memorie incastonate nel terso liquore… ché gorgoglierà sempre armonica per le tue eteree “amniosi”.

Personaggio di creatural levigatezza, immerso in sé, nel sognarla di librate fughe, forse dalla noia o dal Tempo che non “arrochirà” le illusioni, intinto in Lune di luci morbide “abbarbicate” a “scarpette rosse“, per musical “valchiri” ove le ballerine sventolan nella festa d’ormonali occhi allibiti dal loro, floreale, vivido, monroeiano profumo di purissimo cristallo erotico che s’innaffia di “birichina” estasi mai ammansita, senza prigionie di chi la svezzerà dal Sogno, per avvizzirlo nell’esser “adatti” all’avvezzo o ai vezzi che lo corroborino d’una patina amarognola.

Dude, fluttuerà, incantato dalla svagatezza di cui, fugace, s’imprime in un gioco “strabiliante” che pulsi di labbra “ammattite” nella feroce commedia umana, e poi s’arrampicherà ad altre dormienze, nel Cuore intiepidito da una sbornia o da un’altra mossa guardinga da “can tartufo”, dall’olfatto che non abbaia, ma è “abbagliato” dall’essenza della sua fioca, commovente impalpabilità.

A “trasandarla”, curato nello “scucirla” e non oscurarla, anima che balugina senza fremerla, senza spasmi nervici, la carezza a dondolarla fra nostalgie da cullare e melodie intonate al suo inattaccabile, “sfigato” gaudio.

Menestrello dei colori e dell’arcobalenico “balenarla” di bofonchii, d’un altro pallore triste che non lo stingerà, e d’una “infinitezza” a ronzargli il suo ritmo.
Fra lenti stiracchiarla, un tappeto d’una “indagine” senza detection, e una Venere “vaginale”, libera quanto “pruriginosa” come tutte, a concupirlo perché sia seme, anche della sua “scemenza”.

Dell’adorabile, dorata unicità che tanto lo rallegra, e a cui s’affilia con la sua vita defilata, d’effervescente “bollicinarla” di fantasie.

Jeff Bridges, fra sussulti e una barbetta incolta da chi non si scotta né si scote, e un titanico John Goodman, pagliacco come Lui, della serena rabbia “scolpita” nella “pasciuta” mortalità in cui, noi, siamo. E, mai, sfuggiamo. Nel captarla o capitanarla, pacati, e poi non placarci. Irosi o irascibili, con la bile un po’ nel “caffettierarlo”, questo strano, variopinto, “putrido” Mondo.

Serata speciale, quella odierna.
Nel 1998, qui in Italia, uscì in contemporanea assieme a Jackie Brown. Il film di Tarantino, sempre su Iris, passa subito dopo.
Sono entrambi dei capolavori.

Le coincidenze della “programmazione” dei ricordi…

(Stefano Falotico)

Genius-Pop

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