Posts Tagged ‘Hugo Cabret’

C’era una volta… il Cinema prima del COVID-19, c’è ancora, C’era una persona prima delle follie altrui, c’è ancora più bella e forte di prima, evviva Scorsese, Hugo Cabret & Marie-Georges-Jean Méliès


20 Jun

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Sì, non mi riconosco molto nella mia generazione. Una generazione ove impazzano le musiche di Fedez e dello “zio” J-Ax che leccano gli Amici della De Filippi. Ove la purezza e la selvatica, eterna adolescenza incontaminata non viene celebrata da Francois Truffaut, ove l’amore non viene magnificato da Jean-Luc Godard, ove si confonde Via Zanardi, vicino casa mia, con Alex Zanardi.

Ove io vengo scambiato spesso per Elio Germano, per l’appunto, di Via Zanardi 33.

33, gli anni di Cristo. Cos’è la tombola? 47, morto che parla.

E poi il mitico 8, mammata avott’ quanto una vott’. Detto calabro-lucano che, tradotto in italiano, significa tua madre ingrassa quanto una botte.

L’importante… che non sia comunque una puttana anche se tu potresti essere figlio di Troia, in quanto amante dell’Iliade. Ah, non invidio la tua vita. La mia è idilliaca e conosco L’arte di vincere da vero Brad Pitt/Achille di Troy.

Un mondo in cui poche persone hanno visto The Last Temptation of Christ ma, scandalizzandosi più degli ipocriti benpensanti che vollero censurare l’appena succitato film di Scorsese, oltre ad Ultimo tango a Parigi, si spacciano pateticamente per maudit Marlon Brando di turno ma tristemente accendono però soltanto la tv per sorbirsi l’ennesima esibizione canora di Alessandra Amoroso. Una che non assomiglia per niente a Maria Callas ma io, tra un Festival di Torino e uno di Roma, getterei giù da una veneziana calla. Affogandola più della sua voce strozzata da Carmen Consoli de no’ altri.

Un mondo ove tutti i cinefili più incalliti sostengono di conoscere il Cinema di Martin Scorsese ma non sanno chi sia Paul Schrader. Ah, per questi qua, dei quaquaraquà, ci vorrebbero Chris Walken ed Helen Mirren di Cortesie per gli ospiti. Film misconosciuto dello sceneggiatore di Taxi Driver.

Ah, guardate, conobbi molte coppie che, prima di farlo la prima volta, non lessero mai On Chesil Beach di Ian McEwan. E molte donne eterosessuali il cui sex symbol fu ed è Rupert Everett.

Sì, peccato che lui sia gay. Ah ah. Anna Falchi di Dellamorte Dellamore però non è lesbica. Ah ah.

Conobbi persone che si spacciarono per intenditori di Shakespeare ma non videro mai un solo spettacolo teatrale recitato da Ian McKellen. Neppure su YouTube! Ah, ma questi non capiscono un tubo! Sono più pazzi dell’Ian de L’allievo e soprattutto di Riccardo III.

Gente che guarda un film con Stanlio e Ollio e non ride poiché abituata oramai alla qualunquistica volgarità di Checco Zalone.

In particolar modo, non sopporto chi affermi/a (sì, è un infermo) che Hugo Cabret sia un film per bambini.

Invece, costoro si esaltano solamente quando Scorsese gira film “mafiosetti”.

Sono dei simpatici cretinetti e vanno subito educati, curati nella mente e istruiti duramente senza cuscinetti. Un mondo di stalker, di bulletti. Di fascisti e di stronzetti. In cui ti censurano un video poiché ritenuto “inappropriato”. Perché mai? È un video magnifico!

Insomma, un mondo di giovincelli assai cafoncelli e pavoncelli, un mondo che stette per perdere la poesia dei sogni per colpa di tutta questa tristezza…

Per fortuna, in mezzo a tanti precoci vecchietti annebbiati nel loro cervelletto, qualche volta nasce uno che ti fa il culetto, mie caprette.

Ed evviva anche Leo DiCaprio.

Perché è bello e dunque tutti vorrebbero fotterlo.

Ma non ce la fanno.

Ah ah.

Okboomer. Tutte le offese e le calunnie tornano indietro come un boomerang.

Come la mettiamo?

Per farla breve, qui i dementi vogliono dare lezioni di vita e di cultura a me.

Suvvia. Se sono più sexy di Bob De Niro di Mean Streets.

Ah, dimenticavo. Se sotto il mio nuovo video, sopra mostratovi, dedicato a Scorsese, voleste mettere cinquemila dislike, fate pure.

Nel frattempo, esco e vado a bere.

Fate con comodo.

Scusatemi, andavo di fretta, stavo per dimenticarmi questo. Il mio hater “preferito” è epilettico come la ragazza di Mean Streets.

Con la differenza che lei è una brava ragazza, lui non ha capito un cazzo nemmeno di Quei bravi ragazzi.

Mi spiace averlo devastato. Chiamate per piacere Nic Cage di Al di là della vita. Urge un’ambulanza per l’idiota…

 

di Stefano Falotico

 

È vero, domani uscirà The Irishman ma Terminator 2: Judgment Day è un capolavoro senza tempo, un’elegia malinconica, metafisica e super figa sul John Connor che sono io, ah ah


26 Nov

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Sì, sino a due anni fa, Linda Hamilton di Terminator 2, eh già, mi faceva un baffo.

Lei, considerata erroneamente pazza, ovvero sofferente di deliri paranoici, appare nell’incipit perfettamente palestrata, forse anche lì depilata, internata come Sam Neill de Il seme della follia poiché, in una società miope, lei già vide, anzi il futuro previde.

Sì, donna provvidente, sbattuta ingiustamente in quel posto di dementi a causa di una frettolosa, sociale previdenza, mannaggia alla Provvidenza, povera, sensibile donna dotata indubbiamente di un’iper-coscienza oltre la media e, peraltro, di un paio di gambe neanche tanto malvagie, capaci di bruciare ogni robot-androide freddo come il T-1000, ardendolo col carisma possente del suo sguardo lucente.

Sì, cari bambolotti, era onestamente una bella bambolina. Una che sapeva come stendere non solo i panni, sporchi e non, bensì anche un duro come Schwarzenegger. Uomo culturista ma senza molto cultura eppure ex governatore, un attore pasticcione, cioè capace di non saper recitare neppure la letterina per Babbo Natale ma riuscir a essere al contempo mitico, oserei dire mitologico grazie al fascino da dinosauro, per l’appunto da invincibile Mister Universo divenuto amico intimo di James Cameron e di Paul Verhoeven. Un uomo poco tenero che, però, a mio avviso accetterebbe il succoso pasticcino offertogli da Linda, donna che usò esplosivi e poteva donare, all’epoca, notti infuocate da giochi d’adulti pirotecnici, mettendo forse il “cornetto alla crema” al suo ex di allora. Ovvero, proprio James Cameron, esattamente.

Poi James la tradì con Kathryn Bigelow e furono Strange Days per Linda. La quale, non avendo più James e la sua quaglia, nel suo cervello un cazzo quagliò e forse, per elaborare il lutto di tale perdita sentimentale, soprattutto patrimoniale, considerato che James era già uno dei registi più ricchi del mondo, di lui non si disamorò ma da lui fu comunque disarmata.

Finì in mutande, psicologicamente, come nell’inizio di Terminator 2.

Bestemmiando a più non posso e probabilmente, dentro la cella del manicomio, cantando Ancora di Eduardo De Crescenzo… perché io da quella sera non ho fatto più l’amore senza te e non me ne frega niente senza te.

Sì, era una donna piuttosto piatta in quanto a tette ma, nostro indimenticabile, James, perché la facesti a fette? In quella clinica, davano da mangiare solo quelle biscottate.

Cosicché lei, per te impazzita e non più strapazzata, non seppe più se un giorno sarebbe riuscita a cucinare anche solamente una frittata.

Nella sua cella, però, c’era il televisore. A volte, a tarda notte, cioè quando non riusciva a dormire poiché troppo vogliosa di te, su Rai 1 ridavano le repliche dei vecchi soliloqui, col caffè amaro in mano, di un altro Eduardo, maestro del prenderla come viene… vale a dire con filosofia. Il De Filippo. Grande uomo, mica Uomini e donne da Maria De Filippi. Ah ah.

Sì, la Bigelow forse era più colta di Linda, si sarà laureata, mettiamo pure, con una tesi su Ercole a New York. Ma vuoi mettere la sua (ri)cotta?

James, James costringesti Linda ad obbligarsi a un deciso e decisivo Atto di forza. Mica pugnette. Lei dovette reagire con polso e non masturbarsi più di patetici, lamentosi monologhi della vagina…

Fu donna con le palle, cazzuta, cazzo!

Spaccò tutto!

Sì, James carissimo, so che delle sue vertiginose gonne con gli spacchi, andavi matto.

Ma l’abbandonasti per una che non ti diede mai il vero Point Break. Quel “punto di rottura”, anche fisico e carnale, di quando a poppa e a prua, con te dentro la sua prugna, tu e Linda eravate follemente innamorati l’uno dell’altro/a come DiCaprio e Kate Winslet di Titanic.

Sì, altro che Sharon Stone di Basic Instinct. Lei sapeva come tritarti il ghiaccio e leccarti il ghiacciolo, mio uomo cerebrale, senza neanche mostrartela, accavallando le gambe così stupendamente impudica e scevra di biancheria intima. Ti scioglievi come un iceberg appena delicatamente, al buio, lei dirimpetto a te si spogliava come Jamie Lee Curtis di True Lies. Rimanendo però in slip e ammiccandoti, pregustando il tuo Calippo.

Sì, anche se non era nuda integralmente, non dandoti a vedere la topa, tu eri già al top così come quando, sovreccitato, vincesti l’Oscar, urlando di piacere come un assatanato.

A parte gli scherzi, James, sei uno stronzo nato. Ma lei, eh sì, non era ieri nata, non rimase ammainata anche se, dobbiamo ammettere che, senza di te, la sua carriera andò molto a puttane.

Si era accartocciata, diciamo, inacidita, un po’ inaridita e non più lì bagnata…

Invece, passiamo ora al nostro Edward Furlong.

Sì, io fui come Ed, sempre sino a qualche tempo fa. Un uomo putrefatto, oserei dire sfatto, tumefatto.

Sebbene, a differenza di Edward, mai mi feci e manco tante me ne feci.

Sì, Edward e voi ve la/e faceste sotto. Io no. Me la dormii di brutto. Ah ah.

Linda, una delle più grandi eroine del Cinema di tutti i tempi con un Edward Furlong che, prima di tirare di cocaina, era un bel ragazzo, davvero.

Che peccato. Che tragedia incommensurabile.

Ma voglio spronare ogni Ed e ogni Linda a non mollare.

In questa società robotica, anaffettiva, asettica come le pareti di un manicomio, dobbiamo vivere di resilienze in modo falotico…

Poiché io, capo della Resistenza, riuscii ad ardere ogni villain figlio di troia come Robert Patrick.

Quindi, se ce la feci io, anche voi non dovete ridurvi come delle merde, cioè come delle feci, appunto.

Io ricordo tutto. Ricordo che la mia professoressa d’Inglese delle scuole medie si chiamava Fontana e non poche volte, prima di fare i compiti, zampillai su di lei con gioia…

Insomma, qui nessuno di me capì un cazzo. Soprattutto io…

Ah ah.

Sì, voglio lasciarvi con una battuta di Gigi Proietti.

– Signora, a me mi piace.

– Bell’uomo, non si dice a me mi piace.

Domani uscirà The Irishman. Questo è il Cinema, signore e signori. Saperci riportare indietro nel tempo.

D’altronde, James Cameron disse a Scorsese: – Hugo Cabret non è un film per bambini. È un capolavoro!

 

di Stefano Falotico

 

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Con l’impresentabile Dumbo, la carriera di Tim Burton può dichiararsi finita? E la magia del Cinema esiste ancora?


27 Mar

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Ecco, premetto questo. Il film non l’ho ancora visto e credo che in sala non lo vedrò.

Perché dovrei recarmi in una multisala e verrei attorniato da una massa tanto festosa quanto insopportabile di bambini pestiferi e chiassosi. I bambini sono la nostra salvezza ma non è propriamente bellissimo, eh eh, assistere al film di un maestro, quale Tim Burton comunque insindacabilmente è, e venir distratti da incontenibili entusiasmi molto, anzi troppo, fanciulleschi.

Detto ciò, mi attengo, almeno per il momento, a quelle che son state le reazioni della stampa italiana nei confronti, appunto, di Dumbo. Che in maniera quasi del tutto unanime e impietosa ha dovuto ammettere che, malgrado la forte simpatia che noi tutti abbiamo sempre riserbato nei riguardi di Tim, cantore favolistico dei diversi, delle vite difficili ed emarginate, sublimatore fantastico di ogni durezza della vita attraverso le sue nere fiabe poetiche, stavolta ha decisamente toppato. E forse la sua carriera s’è stoppata.

Perlomeno, davvero inceppata.

Invero, la Critica americana gli è stata più benevolente ma, si sa, noi italiani siam retorici a parole, demagoghi in trincea ma anche realisticamente, inevitabilmente più cinici. Sì, paradossalmente, questo già bistrattato Dumbo aveva tutti i crismi di un possibile capolavoro burtoniano. La storia dell’elefantino volante, vessato da tutti, che si dimostra prodigiosamente straordinario, lasciando anche i più stronzi e dal cuore di pietra, come si suol dire, con un palmo di naso, ovvero di proboscide, eh eh.

Ma a quanto pare, almeno leggendo le critiche, qualcosa non ha funzionato. Anzi, non ha funzionato nulla. I personaggi sono stereotipati, Colin Farrell che c’entra? E Michael Keaton, per quanto possa sforzarsi, a pelle non è credibile nei panni del cattivone. E soprattutto questo live action è stato accusato di mancare di poesia. Dobbiamo essere crudelmente schietti. Tim Burton non azzecca un film da una quindicina d’anni e passa. Ma è proprio così? In realtà, il Cinema di Tim Burton è sempre stato questo. Poetico, sì, ma anche molto stilizzato. In un certo senso, persino freddo. E sempre più mi stupisco che in Singles lo si abbia paragonato a Scorsese. In verità, Scorsese è quanto di più agli antipodi rispetto a Burton. Anche se Hugo Cabret, sì, qui lo dico, già lo dissi, è il miglior Scorsese degli ultimi vent’anni. Pensate che bestemmi? No.

Non fatemi più vedere, ad esempio, quella boiata stupida di The Wolf of Wall Street. Oltre a essere un film indubbiamente poco poetico, qui manca propria la poetica, signor Martin. Non v’è morale, non v’è nulla a parte le zinne di Margot Robbie e qualche scena finto-scabrosa che potrà aver entusiasmato e scioccato qualche sempliciotto in vena di scandali ma a me non ha fatto né caldo né freddo. Un film orribile! Diciamocela. Mentre Shutter Island è un film mediocre. A essere proprio sinceri, nei contemporanei tempi del cinismo a buon mercato di Black Mirror, la magia del Cinema, forse un po’ di tutto, s’è persa.

E noi non siamo più quei bambini attorno al falò di John Houseman dello splendido Fog di John Carpenter. Le storie fantastiche, le storie sui fantasmi, le storie tenebrose non ci spaventano né emozionano più. Quindi, non è vero che Tim Burton è finito e che il Cinema stesso sia agli sgoccioli. È la nostra umanità che è deperita, incancrenita, abbruttita. Siamo una società senz’anima ed è tutto un altro discorso. Se dite che questo è moralismo spicciolo, non è così, se volete dire invece che è purtroppo la verità, ahinoi, è così. La gente non crede più ai sogni perché tanto si è accorta che si era fatta soltanto un film inutile e pretenzioso. E la smettesse quindi Ligabue con le sue Luci d’America.

 

Le stelle sull’Africa 

Si accende lo spettacolo 

Le luci che ti scappano dall’anima

 

Ecco, a parte che Africa e anima è una rima baciata, no, assonanza dissonante da filastrocca per neonati, la dovrebbe finire Luciano di conciarsi come il gatto con gli stivali.

E smanacciare al vento nelle lande americane. Luciano, mi dia retta, torni nella sua Romagna e si pappi una piadina o un panino con la mortadella.

Lei, molti anni fa, era anche bravo. Va ammesso. Metteva pepe. Adesso è più sciupato in viso di Tim Burton e potrebbe fare concorrenza a Tim Roth de Il pianeta delle scimmie.

Sì, non me ne voglia, si scherza, lei ha perso da parecchio la testa come Chris Walken de Il mistero di Sleepy Hollow.

E, se continuerà su questa strada, farà la fine di Ed Wood versione “rock”. Sì, prenderemo i suoi ultimi album e li faremo a fettine come Edward mani di forbice. Una bella “tosatura”. Potatura!

Sì, la sua musica si è involuta paurosamente. È passato dai romanticismi schietti e ruvidi da Beetlejuice – Spiritello porcello, con tutti i doppi sensi che infilava da marpione qua e là, a romanticherie più buoniste de La fabbrica di cioccolato.

Insomma, lei si sta trasformando in un fenomeno da baraccone, mio briccone. E, ora che è diventato un riccone, fa proprio il ca… e.

Tanto non ci credi manco tu, Luciano, col tuo lifting da Alfonso Signorini.

Tu eri uno del popolo, un po’ sconcio e sbracato, onesto e simpaticamente sguaiato, perché mai ti sei dato al patinato più scontato?

Questo è grave, molto preoccupante. Sì, ci vuole un chirurgo plastico per rifar daccapo questa società di plastica. Questa società di svastiche e vacche. Ci vuole la poesia di un elephant man.

Un Falotico lynchiano che linci, trinci, no, tranci con occhi da lince come Travis Bickle questo mondo andato oramai… e sapete dove. Sì, un mondo che va stroncato subito. Prima che possa arrivare al primo posto del box office di ogni altra puttanata.

Che gigione che sono, ah ah, un po’ Topo Gigio, qualche volta uomo grigio, spesso uno che non transige in quanto della morale ligio. E volteggio nell’aria, ballando di naso lungo alla Pinocchio anche se le sventole mi tirano le orecchie. Solo quelle…

Insomma, mi sa che Luciano ce lo siamo giocati.

Tim Burton è quasi del tutto andato.

Rimane solo un uomo favolista.

Ed è anche favoloso.

Un uomo che va sempre più su, anche se spesso, va detto, questa società di pachidermi lo vuole mettere in gabbia.

 

 

di Stefano Falotico

Soffro di poteri paranormali


01 Apr

Issati a gemito e poderose membra nella dilaniata brace, a solfeggio di vigorie abissali ove l’alba, promiscua, piove ai docili profumi e odori neri

Indefinita è proprio la vaghezza, polmonare striscia aromatica e di romantiche guglie, assapora vette inarcate di ciglia mie tinte, e se n’estingue con disinvolti ghirigori ad aereo matto, flemma che luccica e, ammantata nell’armonioso drappeggio, grappolo d’uva a labbra mia color dissolvenza, con futile squittio s’affligge sinergica alle chiese morenti dal “cipiglio” oscurato in grotte ove s’attenta a incolumi innocenze, filastrocca ripugnante di rughe già assassinate di questa tenebra “mansueta”, omertà che scricchiola, bacia lembi sol lambiti e poi guasconi di risa e irto odore, nell’orrore che spegne le iridi e, ipnotico, così come si nutre d’essenza vanesia, n’opprime l’alcolico nostro gioire non più e già ocra di giallo svanire.

Udii singhiozzi e brama, straziato mio svenire e baci che tingono il pallore da sublimare, da soggiogare in pitture astrali o astratto Cuore.

Feroci assalti e scoppiati nitori, a bordo d’un roseo non esserci. Non più crepuscolo.

Potenza di fuoco, rispetto all’essere sé. In un Mondo mendace e bugiardo di vanaglorie e sospetti a uccidere.

Assedio. Porte cigolanti, scardinate, divelte da una furia che sposa la vendetta più raffinata, coltelli affilati, un occhio di vetro a febbre vorace, irreprimibile da tacere il mostro, soffocarlo in ogni mossa e tentazioni sue a “scolpire” altro nervo che s’infiammerà.
Un’arsa e magniloquente virtù ch’è mitragliatrice e cenacolo delle ingiustizie, “vinto” sangue al volteggiare come “ossidrica” morte, ché diluirà gli abomini per accenderli nei vagiti della lussuria, dell’incompresa anima ora eretta a santificarsi e mordere di famelico “feretro” reciso.

Scagliata dalla tomba a resurrezione e avido asfissiarli, casa nel bosco a stritolarli nella paura, nell’orlo luciferino del rapimento e del ri-morso.

Una vendetta paurosa, nel brivido tesissimo del grido agghiacciante, sparato in gola a ghigliottina del terrore e dell’arma non genuflessa al “pittarli” con baldoria goliardica nel rosso ammazzarli.

Tutti, tutti moriranno, nel taglio inferto, distruttore!

E la punizione sarà diletto e pari atrocità!

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Red Lights (2012)
  2. Il lato positivo (2012)
  3. Hugo Cabret (2011)

I migliori film di un anno “maledetto”, oserei dire “magro”


19 Aug

Quando l’Estate ammoscia, l’Uomo che non teme il suo calore, medita sulla stagione “uva passa”, mescolando la nostalgia ai “sudori”

Sì, i miei genitori sono “in “agitazione”. Dopo un “ingrassamento a pera”, causa “calmanti” per moderare gli stati di “alterazione perversa” della mia mente, dopo che mi furon “sottratti” per appurata “purezza” delle mie fantasie “bene-fiche”, il mio corpo non è più umano. Assomiglia tanto allo Skeleton di “He-Man”, tanto che lo specchio di 2 cm invidia i miei addominali, quasi di “carta vetrata” con sbalzi “bassi” d’un punteruolo per sette “lustri” di sfighissima.

“Trastullandomi” già in pigiama, abito poco “conveniente” e “contenitivo” quando le masturbazioni bussano alla “porta” (sì, sono tutte al mare, io amo il rozzo montagnoso), fra una che contatto per stimolar le eccitazioni e una che mi telefona per “attardarlo”, penso a quali film questo 2012 ci ha offerto.
E una lagrimuccia scioglie l’irruenza maschia d’una commozione femminile.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Carnage (2011)
    Polanski alle origini del kammerspiel “in famiglia”.
    Due coppie s'”accoppano”. Jodie Foster è intellettuale alla John Lennon, Christoph Waltz uno che dà le medicine ma rimane in mutande, con tanto di Kate Winslet ad “asciugarglielo”.
    L’unico che se ne frega è John C. Reilly, beatamente ubriaco nel “puttanaio” generale.
  2. A Dangerous Method (2011)
    La famosa malattia melanconica affascina tutti gli artisti, essendone Io il Maestro che ne soffrì con “idiozie” allaVon Trier.Detta come va detta, si chiama “suggestione”. Il resto è una Keira Knightley da mettere a novanta come il “buon” Jung sapeva bene.
  3. The Avengers (2012)
    Quando l’indole del supereroe decide che è giunto il momento per fottersi Gwyneth Paltrow a mo’ di Hulk, non c’è Capitan America che tenga. Se poi aggiungiamo l'”occhio di falco” sulle vedove nere, fate un po’ voi.
    Sì, ci son molte frecce a quell’arco, e il da(r)do è tratto.
  4. Hugo Cabret (2011)
    Mai perdere i sogni. Lo sa Ben Kingsley che prima curò DiCaprio nell’isola Shutter, e poi diede spettacolo, come me.Dite a quella screanzata di lasciarmi “accecare” la Luna.
  5. This Must Be the Place (2011)
    Sì, come questo Sean Penn, sono un pagliaccio vero.A te che frega nazista? Ti “spoglio” vivo.
  6. Killer Elite (2011)
    Mai dare del “vecchietto” a De Niro.Uno che, come il sottoscritto senza “nocche” sulla tua “linguaccia”, spunta da dietro l’angolo e ti riempie di pugni al motto “Ora, stai zitto panzone!”.
  7. The Double (2011)
    Cassio sono io, e ora ti fai i cazzi tuoi, scemo!

Lezione di Cinema del Maestro: cos’è la “steadicam?”


09 Jun

 

Molta gente “parla”, parla, parla, e anche (questo, dà fastidio) di Cinema, senza neppur conoscere i “fondamentali”.

Martin Scorsese sarebbe “superato?”.

Be’, prima, sfogliassero qualche libro, e poi “architettassero” una scena così.

Ne riparliamo, poi.

 



Un capolavoro nel capolavoro.

(Stefano Falotico)

 

Sacha Baron Cohen è ufficialmente Freddie Mercury


11 May

 

Sì, da anni circola questo progetto, ma pareva esser destinato a “perdersi nel nulla”, come spesso accade a molti. Prima annunciati con tanto di “fiato alle trombe” e poi mai realizzati, per svariati motivi. Budget troppo cospicuo, “tema” che, nel frattempo, la produzione s’accorge non esser più in linea coi gusti del momento e decide, quindi, di non investirvi più, o semplicemente perché perfino gli attori che avevan firmato per la parte si ritirano?

Solo alcuni esempi “famosi”. Dunque, “Chi li ha visti?”.

Così, anche il biopic sul compianto leader dei Queen, la leggendaria icona Freddie Mercury, pareva un altro “buco nell’acqua”.

Chi, infatti, più ne ha parlato?

Ma, invece, ieri sera siam stati “velocemente” smentiti.

Tutto confermato da “Variety“, per l’esattezza.

Per il ruolo principale, il già “designato” Sacha Baron Cohen. Invece, pare proprio, stando a quest'”indiscrezione”, che sarà Stephen Frears a dirigerlo.

La sceneggiatura è affidata a Peter Morgan, col quale Frears aveva già illustremente collaborato con The Queen.

The Queen…, semplice omonimia? Ah, vedi il caso alle volte. Il nome della famosa rock band era infatti proprio “coniato a pelle” e “ispirato”, “a mo’ di sberleffo”, alla regina d’Inghilterra…

Baron Cohen to star, Graham King to produce untitled pic

The “Hugo” team of producer Graham King and star Sacha Baron Cohen are moving forward on their next project, as “The Queen” helmer Stephen Frears has emerged as an early frontrunner to direct GK Films’ untitled pic about Queen frontman Freddie Mercury, sources tell Variety.

Insiders close to the project insist that several other filmmakers remain in the mix for the coveted gig, but Brit helmer Frears appears to have the inside track for the job, though negotiations have not yet begun.

The latest draft of the script comes from the writing team of Stephen J. Rivele and Christopher Wilkinson, who together penned “Ali” and “Nixon.”

Baron Cohen’s deal to play Mercury is expected to close in the coming weeks, which will see the release of the Brit thesp’s next film, “The Dictator.”

King and Tim Headington are producing the Freddie Mercury pic in partnership with Robert De Niro and Jane Rosenthal’s Tribeca Prods. and Queen Films.

Story focuses on Queen’s formative years, leading up to the band’s heralded appearance at Live Aid in 1985. Mercury died of complications from AIDS in 1991, though the film won’t focus on the singer’s last days.

Producers have already landed a music-rights package that includes Queen’s biggest hits, including “Bohemian Rhapsody,” “We Will Rock You” and “We Are the Champions.” It’s the first time the surviving members of Queen have licensed songs and music publishing rights for a movie about the band. Brian May, Roger Taylor and John Deacon formed Queen Films to be involved with the production, though it remains unclear whether Baron Cohen will perform the musical numbers himself.

Frears, whose gambling comedy “Lay the Favorite” was acquired by the Weinstein Co. out of Sundance, is currently directing the legal drama “Muhammad Ali’s Greatest Fight” for HBO. His schedule appears to be clear after wrapping that telepic, though he is attached to direct remake “The Bengali Detective” for Fox Searchlight. Helmer has earned two Oscar nominations for directing “The Queen” and “The Grifters.”

Frears is repped by ICM.

 

Come possiamo leggere, il film, come peraltro già si sapeva, sarà prodotto dalla Tribeca di De Niro, in collaborazione con la GK Films, “compagnia” che aveva già finanziato Hugo Cabret, che sappiamo annoverava un Cohen in gran “ispettor-spolvero”.

 

 

(Stefano Falotico)

I film della Mezzanotte


08 Feb

 

Con questo post, inauguriamo una nuova “sezione”, i film della Mezzanotte, forse.. & dintorni o in essa “in-torniti”.

 

Lancette incardinate in una Mezzanotte lievissima ma incatenata a fantasmatiche, fugaci carrozze d’insipida evanescenza

 

Si stampiglian e “stappan” turisticamente cartoline parigine per uno spettatore inebetito del fascino senz’età d’una città eiffeleggiante delle nostre proiezioni elefantiache.

Scatti inturgiditi di cristallina porpora addolcite da un “dolce” glamour che c’“invereconda” d’irritazione, per com’è inedia d’iridi smaltate nella leccata furbizia ammiccante a chi n’è già in suo tepore, “seralmente” moribondo del vaneggiar fra divanetti di poltroncine ove aleggiare sull’aria, col darsi “arie”, condizionata e una che ti scodinzola di labbra turgidine-umide, arrossite-commosse di rossetto negli slavati primi rintocchi del suo rimmel inebriato, dal sussurrio melodicamente smielato per romanticherie in svenevoli sbaciucchi, un fotogramma “immobile” e un’altra sbirciatina alle monumentali grazie di zuccheroso “occhiolineggiarci”.

Quasi m’addormo ma la candida levigatezza del mio peperin diavoletto, di zolfi sempre desti, si (s)grida per l’immanenza folgore del platino ormonale erettissimo a una smaliziata cerbiatta dalle gambe in ogni mansuetudine che si spelli di sano orgoglio virile, Rachel McAdams, Donna svettante sugli zenith di coloro anche poco spiccati, bocciolo che sboccia floridissima in abiti che non son succinti ma la cingon aderentissima alle “atrocità” del mio desiderio.

Ché, d’innaffiar il mio Sguardo, della sua cremosa meraviglia, non m’asterrei neppur se davvero apparisse il vero Woody Allen, qui “sostituito” da un basta che funzioni ringiovanito, Owen Wilson. Di stessa movenza balbettante e timida palpabilità di puntual piglio nevrotico.

Un po’ di noia si spalma nei nostri neuroni, la cui tempra è solo irrobustita dall’intemperanza che “soffia” per la velata Rachel, di chioma già intrecciata al nostro “cioccolatinar” con Lei nella rosa icara delle fantasie proibite d’illecito Cairo, ché c’auguriam s’“incar-i-ni” ancora durante il film per “biondezze” recettive.

Ma presto se la squaglia, e Owen s’inabissa in un esoterismo del suo tutto ciò che ho sempre sognato ma non ho mai osato “credere”.

Come per incanto scompare, e dunque si sveglia nella… e dintorni, d’onirismo adornata, degli anni 20, prima con Fitzgerald ed Hemingway e poi, nelle altre notti, a smacchiar la sua “insoddisfazione” esistenziale in “combriccole” che ne “bracconeggian” l’umor calante. La Luna… tramontante. A “tramortirlo” in Morfeo.

Il Dalì d’Adrien Brody, cameo declamatorio del suo “rinocerontarla” per surrealismi “animaleschi” a sberla di “burle” con  Luis Buñuel, e una delicata storia d’amore con un’altra “smarrita”, amante del Tempo che non c’è, belle époque di libertine svagatezze ove si sarebbe “dissipata” con meno indagatorie “oculatezze” per la sua perlacea anima e di chi se ne infatua.

A cristallizzar il destino d’eterei, fiammeggianti moulin rouge.

Di sulfurea sua trasparenza, il film s’“enigma” poco, tra battute di programmatico suo bofonchiarle e un Wilson che passeggia ai bordi della Senna, nel sorseggiare aromi malinconici d’un impensierito “esserla” sfuggita.

Addii frettolosi e qualche brillantezza forse senza effervescenze, mentre Manhattan s’issa di suo rammemorarla quando fu davvero, sebben più plumbea, migliore.

E un altro incontro delizioso, appena sfiorato, s’“inoltra” sotto la pioggia.

La delizia non è sempre un complimento.

A volte s’“allenizza” troppo, allenata dal déjà vu francese.

E ora, lo so, mi getterete addosso ortaggi maleodoranti, ma non recedo da quest’ “assurda” convinzione, Capodanno a New York è un film meraviglioso.

In tempi ove, appunto, il cinismo impazza, come abbiamo avuto modo di constatare (leggere sopra il nostro “Polanskiello”), questa “ventata” freschissima di “miele” è un toccasana.

No, non c’è proprio nulla da ridere. La pellicola dell’ottantenne Marshall è stata distrutta pressoché dalla “critica” mondiale e non è neanche andata così bene al botteghino, per un pubblico “natalizio” che pare stanco di “commediole dolcine” e ha disertato quasi in massa, proprio la “massa”. Dunque, qualcosa non torna. Non è un “cinepanettone” e neppure un film “sofisticato”. E allora cos’è? Un UFO che io, e il nostro Simone Emiliani (grande estimatore di quest’opera), abbiamo avvistato nella cecità superficiale e proprio “platinata”.

 

No, non scherzerò affatto su questa strabiliante favola sentimentale di Garry Marshall e, sebben, arcigni, m’ammutinerete con dosi ciniche, fetide di “realtà”  affinché, castrato, io non mi glassi di “pestilenziali zuccherosità”, ma soffra in film “pentecostali”, sarò qui, “impenitente”, a soffiar come tramonti ambrati d’ariosa sensibilità, “malia” del mio charming come un Principe Azzurro in una magica Notte di battiti lievitati nell’amore, nella sua perseveranza e nella sua “illusoria”, febbril attesa spasmodica

 

Poesie nel vento di quella fatalità fatata di nome serendipity

 

Sognante vividezza della floridità

Svelato, d’ogni timidezza a cui fui avvinto, o affumicato dentro asfittiche pareti dalle lagrime quasi bavose, a rapirmi dentro incenerite palpebre che miagolavan pallide al crespo baluginar d’ogni Giorno.

Acrimonie, fratricidi scambi di “cortesia”, bacetti tanto gentili da bruciar di secchezza, d’un claustrofobico, tetro pragmatismo retorico avvezzo alle burle, per schernirci quando si è ilari, o solo nauseabondo, pastoso burro, e ferali se poi infierirai di troppe “amorosità indagatorie”.

È all’indaco, alla tenerezza romantica a cui ci tingiamo per non eclissare, fantasmi, tra le grida di chi, luciferinamente, le ovatterà solo per inteporirle d’una dolciastra patina d’ipocrisia brutale.

 

 

E, come De Niro, lo “stronzo” dal Cuore di marzapane, con la “papalina” dei miei ricordi, sogno d’ansimar per gli ansiti luccicosi d’una sferica palla a Times Square, cristallo delle nostre illusioni-meteora.

Ombra funerea, già appannata, che vien come “folgorata” in viso quando essa s’ “infuoca”, e acceca una dolce morte illanguorita nella frenesia di carnevaleschi festeggiamenti dal rosato, incantato profumo.

Veneri bionde, accoccolate a fidanzatini stizzosi, e intellettuali che si disarman in gioie che dimentican il “patetismo” nel leggiadro corteo che colora ogni dubbio d’un inestinguibile attimo da incorniciar nella viva trasparenza d’iridi-brillantina.

La vita, su dai, è rotear stellari nel mar delle effimere speranze, e nuovi baluardi a cui ancorar, fra dolori e gaudi, la giostra che gira.

È “enigmarci” nel dubbio o esser, ingannatoriamente, divorati da incandescenze che lacerano ogni nostra, sin troppo pacata, flemma. O come, per qualche timore in più, ci “placammo”.

Son i fluorescenti bagliori di torpori che si dissolvon mansueti, l’amicizia, anche nelle sue grigie nervature, la fulva sua femminilità purissima anche se è puttana.

I luccichii glamour di vite che schioccano, spumeggianti di virtù o in un altro rapimento alla propria anima.

È il Tempo, imprigionato in una Mezzanotte dei desideri, che zampilla di champagne “smaglianti”, è come Hollywood nel suo variopinto circo di saggi veterani, “dimenticabili” apparizioni, “maghi in smoking di fresco sex appeal” e nascenti astri per nuove, magnifiche, meravigliose astrattezze.

Sì, bistrattato da una noiosissima “mole critica” per chi imbastirà la battuta più acida a demolirlo.

La più “genial” intuizione della parola “stampata” che mai si stappa nell’evasione, forse “futile” e “dissipatoria” ma di “profumosità” aromaticissima, “romanticheria” d’ingredienti “miscellaneati” con garbo maturo e spruzzi piccanti, come la peperina Sofia Vergara o il “sandwich” Josh Duhamel.

Il discorso, d’autentica commozione di Hilary Swank, e il re dell’elettricità Hector Elizondo, il riparatore d’ogni guasto, Egli stesso interruttore per riaccender speranze affievolite, “lampadine spente”, macchinista o Dio che viene dalla macchina?

Questo Marshall, non son l’unico a pensarla così né è una posa provocatoria, lo stesso nostro Simone Emiliani, l’ha definito “straordinario, forse la sua opera migliore da Paura d’amare”, è “confezione” in apparenza inconsistente, invece d’una esperienza registica che sa “formular” ogni storia da “cremoso”, insuperabile veterano, sa allestirla anche dietro un sorriso o una ruga “smaltita” o unghie laccate, orchestra questa ensemble comedy con la finezza di chi sa che, la frettolosa, superficiale, inappropriata definizione di “cinepanettone”, è un’usanza di chi abusa del “lessico” cinematografico per “telegiornalarlo” in una sbrigativa recensioncina.

Perché, negli sguardi cerbiatti fra Ashton Kutcher e Lea Michele, nei giochetti a distanza fra il grande Bon Jovi e la “tremolante platinatura” disillusa di Katherine Heigl, nel “pattinarla” fra il “Cupido” Zac Efron e la sempre più sbalordita Michelle Pfeiffer, c’è la chimica d’un grande regista che sa come suonar la melodiosa tastiera del Sogno, nelle levigatezze “gelatinose” di storie, in apparenza frivole e “banali”.

Il classico, classicissimo, sì, Marshall lo è, gran bel film.

 

(Stefano Falotico)

 

 

 

 

 

Lunare lucentezza, magica fulgidità o fluidità sognante, d’argentato metacinema d’una perlacea “pariginità

Fragranze. S’odon nei gemiti crepuscolari di notti intrise di svagatezze già morbose.
Nei respiri incantatori delle fluorescenze, ch’echeggian a evocar cardiaci liquori d’adamantini ardori.
Nell’assopita nostra “tenebra”, nostre flessuose librazioni d’evanescenza sempre sulfurea ch’orbita “craterica” d’emozioni dalla vaghezza ondivaga, nostro Sguardo di carezzevol liturgia, lisergica, d’inquietudini dalle oscillazioni nerviche.

Melanconia

Un tuffo indietro…

Travis Bickle, vampiro di sonnolente ferocia dall’agguerrita astrazione nella soffusa sua sanguinolenza che urlerà catartica.
Invisibilità, della sua stessa smembrata ombra nella sua mente di “meteoroastronomica”, ma straniera, costellazione metafisica di nervica, agonica perdizione d’una fioca m’abrasiva dissolvenza, enigmatico fantasma che corruga le raggrinzite sue anime nei demoni di riflettenze o d’una cupa messianità di torve (ri)flessioni. Tiepidezze nelle fugacità d’insonne nottambulismo, d’ectoplasmatici asfalti di nostri, tortuosi destini d’abissal plenilunio “nero”.

Cristalli liquidi di pura levità, “acquatica”, nella tonica morbidezza di magnifici fasti sfarzosi, nell’aurea ipnosi di diafana, immacolata ascendenza eterica.
E in essa, ancor, immersa di magma.

I sogni… impalpabilità di voli nel vento, amniotico delirio di sfolgorii dalle fiammeggianti scintille.

Questo è il Cinema, “ispezione” della nostra stessa indagine di meandrica luminescenza nelle reminiscenze.
Di quando, il primo screpolio “addolcì” di furenza proprio altre luminosità, per “svezzarci” moribondi dall’idillica, infantile dormienza, a innocenze già foderate nel Mondo, in questa prigionia, però dorata, di fascinosa licantropia.

Guaine di pelli già martiri, nostre salvazioni senza desideri di redentoria “quiete”.

Martin attinge a se stesso, il suo Canto è vaporosa sinergia di tante sue memorie (auto)biografiche. Del suo Cuore, per com’è favolosa Luce, o nitidi barlumi di sue stesse “oscurità serali” della sua stessa inventiva in questa (re)invenzione della vita. Di sue mnemoniche, libere “allucinazioni”.
Incandescenza dei nostri occhi, nelle diaframmatiche, “esangui” palpebre che s’accecan, sfavillanti, di pindarica Bellezza. Quasi acrobazie, dal nostro primo, silenzioso respiro al torbido poi “svanirci” d’eclissi tenui, poi dentro, vorticose, inafferrabili “repentinità”-serpentine d’ematica limpidezza di nostra quasi ventricolar veggenza dai docili turgori delle vene.

Zoom “innevato” d’un “pallido” Inverno, d’ambrate già meraviglie nelle incatenate telepatie struggenti d’“acustica” cinefilia

Pressapoco, verso la fine della scorsa decade, svenevolmente abbacinata di nuove modernità “millenaristiche”, in un pomeriggio orfano, o forse “orafo”, della mia anonimia di già plumbee vaghezze “omonime”, mi rasserenerai nella lettura d’un futuristico onirismo di là a venire, già di sgorganti, melodici deliqui.

Alla libreria Feltrinelli, acquistai infatti, quasi “in camuffa”, “La straordinaria invenzione di Hugo Cabret”, libro scritto e illustrato di Brian Selznick, Medaglia Caldecott 2008.
Incuriosito che, questa “lettura per bambini”, fosse stata opzionata con tanta “autorialità” come fonte ispirativa della prossima, annunciata opera di Scorsese.
Nello stupor d’un commesso “sospettoso” che mi “malocchieggiò” con civetteria “affettuosa”.
Forse Sacha Baron Cohen…

La Luna, le luci di una città, una stazione affollata, due occhi spaventati. Le immagini a carboncino scorrono come in un cinema di carta fino a inquadrare il volto di Hugo Cabret, l’orfano che vive nella stazione di Parigi. Nel suo nascondiglio segreto, Hugo coltiva il sogno di diventare un grande illusionista e di portare a termine una missione: riparare l’automa prodigioso che il padre gli ha lasciato prima di morire. Ma, sorpreso a rubare nella bottega di un giocattolaio, Hugo si imbatterà in Isabelle, una ragazza che lo aiuterà a risolvere un affascinante mistero in cui identità segrete verranno svelate e un grande, dimenticato maestro del cinema tornerà in vita. Tra romanzo, cinema e graphic novel, un libro in cui le parole illustrano le immagini.

Queste le testuali parole della quarta di copertina della versione “tradotta” in italiano, per la Mondadori.

Oggi, questo “piccolo” gioiello è un capolavoro, ancor più abbellito d’una “esornazione” di ben 11 nomination agli Oscar.
Nella “stilografica” della trasposizione sceneggiata da John Logan, e nella maestria stilistica di uno dei più grandi registi viventi, qui nella sua magniloquenza più elegantemente “simbiotica” e “appariscente” di dichiarata, “epistolare”, visionaria tatuazione alla Settima Arte.

Cos’è il Mondo, o come c’appare? Nitore che, saltuario, rifulgerà di nostra ludica euforia disciolta.
Nerezza già incupita, che ci mormora di lagrime che, poche volte, danzeran azzurre, raggelate da “grigiezze” nebbiose scremate in turbinii dai foschi veli.

In questo caos, altezzoso e cinico, macchinosità forse solo d’ingranaggi arrugginiti o rotti, c’arricchiamo, e c’arricciamo “intimistici” dentro illusori rifugi, per non “incanutirci”, ma ardendoci per scolpir sempre l’anima, ché si libri briosa.
Per “nevosità” che si scaldino d’una cadenza che s’accalori al gaudio armonioso del sangue.
Per viverla nei sogni, fuoco sacro dell’anima.

“Faro” su Parigi, “orologeria” dei nostri giocattoli, e occhi ammiccanti d’un sorriso prima di  canagliesca impasse e poi da impacciato sorriso “pagliaccio”.

Film che innalza l’estasi della vita e, per non renderci smemorati, ricorda anche la morte e i suoi dolori, come quella, quasi fuori scena, “sfiammata” di Jude Law, il padre di Hugo, Cinema che, poderoso, s’imprime anche per turgidezze sfocate, come nella rochezza alcolizzata di Ray Winstone, l’“ubriacone” zio Claude, per il profumo “polveroso” dello scibile, fulgore  mai a incenerirla, dai contorni suadenti incorniciati nella vivacità eterna di colui che incarna in sé, quasi “fantasmatico”, gli scrigni dell’aromatico sapor antico per la conoscenza, immortalato poeticamente nell’arcana sapienza d’una biblioteca vivente che ha, proprio appunto, le sembianze mistiche d’uno ieratico, ammaliante “spettro”, Christopher Lee, Monsieur Labisse.

Negli occhi neri ma trasparenti, “addolorati” ma “screpolati” di sublime cangevolezza immaginifica di Ben Kingsley, Georges Méliès, e nell’espressività iridescente d’un “folletto” celeste, Asa Butterfield, il “signor” Hugo… Hugo Cabret.

Esco dalla sala, ancor frastornato d’intattezza ammaliata in questo maliardo rapimento, però “impalpabile”, leggera come l’ebbrezza, di tale memorabile, superba avvenenza.
Avvenenza ch’è incanto soave.

Uomini, nel vento.
Osservo un bambino con occhi pieni di gioia, che già si commuove perché, anche lui, vuol vivere una straordinaria, fantastica avventura in 3D.
E, quel gusto dei suoi occhi, so che non s’è, e non l’ho, perduto.

Come Hugo.
Come Martin Scorsese.

(Stefano Falotico)

 

 

Le nomination agli Oscar, ottantaquattresima edizione


24 Jan

 

Lasciamo per un momento da parte i Golden Globe.
Vi torneremo, presto.

Dedichiamoci a questa “digressione”.
L’occasione mi par quantomeno degna di una e più menzioni.
Anche se lo zio Oscar  ha “mentito” anche quest’anno sui più meritevoli alle candidature.

Eastwood, come sempre fuori dai giochi, il suo film è stato fortemente avversato dalla solita puritana America.
E, un po’ a sorpresa, ma neanche troppo, l’avevamo già intuito dalla sua sconfitta, proprio ai Globes, il titanico DiCaprio di J. Edgar, appunto.

Il resto, è già Storia del Cinema.
Clooney, favoritissimo, per la categoria “Miglior Attore”, ma attenti all’incognita Oldman, qui alla sua prima (già, è proprio così, non stupitevi) nomination per La talpa.

Sorprende anche Rooney Mara fra le pretendenti a “Miglior Attrice”.

 

Ecco la splendida Jennifer Lawrence assieme al “rinco” Presidente Tom Sherak, che più volte s’è inceppato, a “tirar fuori” i nomi…

 

 

Be’, aspettiamo il 26 Febbraio a questo punto.

 

(Stefano Falotico)

 

 

L’incanto dell’incantatoria


27 Nov

 

Martin Scorsese, il suo Hugo Cabret, pronto a sbarcare anche da noi, col suo carico fantasioso.

E io che lo omaggio, così:

 

 

Firmato il Genius

 

 

Genius-Pop

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