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Tutto avrei immaginato nella vita, tranne diventare Harry Angel, Marv, Johnny Walker, Francesco, Henry Chinaski, Stanley White e soprattutto John di Nove settimane e mezzo


01 Feb

rourke marv sin city

BARFLY, Mickey Rourke, 1987. (c)Cannon Films

BARFLY, Mickey Rourke, 1987. (c)Cannon Films

rourke anno dragone

Accadimenti miracolistici sempre più fatalmente si susseguono nella mia (r)esistenza (im)plausibile, forse solo da plauso, anche da applauso scrosciante o dai cinici reputata risibile.

Sino a due anni fa, mi davo per spacciato, per spaccato dentro e spappolato, sebbene non sia mai stato uno spacciatore, nemmeno un drogato. Quindi, non potevo addebitare le mie colossali sfighe a cause, diciamo, “stupefacenti” alla pari di sostanze dopanti come L’LSD. Neanche mi ammalai di AIDS.

Debbo però esservi sincero, sì, per molto tempo il mio cervello, la mia anima e soprattutto il mio corpo si sganciarono dalla realtà comunemente intesa e vissi il mondo solo… attraverso l’ADSL.

Tant’è che per un bel po’ la gente pensò di affidarmi all’AUSL. In verità vi dico che il mio isolamento fu soltanto, all’apparenza, virtuale. Ebbi sempre difatti profondamente coscienza di non essere un essere speciale, bensì un ragazzo uguale agli altri? No, opterei per essere meglio di me stesso, ah ah.

Di mio, protestai da sindacalista autonomo della mia CGIL, CSIL e UIL, confederando da me. Specialmente, fra me e me, confabulando in merito all’essere un uomo da partito comunista contro ogni demone interiore mio fascista che volle, inconsciamente, improntarmi a una visione della vita di matrice capitalistica.

Sì, scrissi come un ossesso un sacco di libri esistenzialistici ma mi sentii ugualmente inutile alla produttiva società in cui, invero, sembra che la gente lavori ma è solo fancazzista. Ci furono attimi, amici, in cui m’identificai non poco in Ed Wood di Tim Burton, malgrado la mia bellezza da Johnny Depp dionisiaco di C’era una volta in Messico. Ascoltando perciò a tarda notte, nel mio cuore auto-ferito auscultando, l’esoterica e metafisica Under the Bridge dei Red Hot Chili Peppers, cantata splendidamente da un Anthony Kiedis in stato debosciato, no, di grazia di/da dio quasi simile alla strepitosa disperazione esistenziale del protagonista di Angel Heart.

Sì, parecchi anni or sono, mi considerai precocemente vegliardo, senesco e canuto, citando Adso da Melk, vergato di prosa sopraffina ne Il nome della rosa di un mai così ispirato Umberto Eco compianto.

Autocommiserandomi in maniera non tanto poetica, bensì patetica, lamentosamente insopportabile, insostenibilmente penosa e quantomeno per me stesso pericolosa e troppo cervellotica. Arrovellandomi per il futile più stupido e controproducente, rinunziando scandalosamente al dilettevole più godibile e brillante.

Furono nottate insonni in cui fui preda del diavolo tentatore, forse Louis Cyphre/De Niro, forse furono serate allucinate e allucinanti, anche allucinatorie, bramanti un’isperata, insperata mia vita romanticamente, possibilmente piacente a una donna bellissima e straordinariamente avvenente da Orchidea selvaggia. Una f… a della madonna.

Sì, fui segreto fan di Carré Otis. Per questo mio peccato veniale, vorreste forse che prendessi l’ascensore per l’inferno? No, non ho né ebbi colpa se mi smarrii nella dissolutezza di me stesso preso in giro, no, rappreso e molto perdente, no, perso nella perdizione più ancestrale, contemplando solo il Creato alla pari del santo di Assisi, non ebbi colpa alcuna se la gente, di fronte alla mia rinascenza impressionante di natura psichiatricamente inspiegabile, non capì nulla e pensò che mi fossi inventato la storia secondo cui, oh me immemore, oh me misero da miserere, oh me miserrimo e tapino, vi fu un tempo della mia vita in cui vidi il mondo nella sua nuda venustà più lieta e dolcemente sinuosa come un seducente serpente della Genesi. Ah, che cherubino tradito e traditore io fui, cornuto e diabolico…

Al che, contro di me peccai e m’imbruttii come Mickey Rourke di Johnny il bello del primo tempo.

Affliggendo e flagellando la mia innata beltà misericordiosa, indiscutibile e, oso dire, perfino gloriosa.

Romanzai ogni tragedia occorsami, chiamarono il pronto soccorso e sublimai tutto, delirando a più non posso, a tutto spiano buttandomi via come un Charles Bukowski di felsinea periferia. Bologna la rossa! Vivendo di cianfrusaglie neuronali tendenti al poco sereno variabile umore della mia anima tumefattasi nella melanconia più ipocondriaca e dolorosa. Quasi lacrimosa, eh già, versai infinitamente amare lacrime angosciose, veramente sterminate e costernanti.

Girovagando, nottetempo, fra consiglieri fraudolenti e bar(i) fetenti, tra deficienti uomini di Bari trapiantatisi a Bologna e il mio incagnirmi, no, incarognirmi, no, incarnarmi in Barfly.

Furono frangenti di acuti, psicologici scompensi, come dettovi, d’inascoltabili e inascoltati lamenti quasi pietistici al limite del cristologico più indicibile.

Non so cosa in me sia accaduto. Nemmeno i più grandi luminari della scienza furono in grado di darsi una spiegazione, razionale e non.

So soltanto che, malgrado tutti noi fummo funestati dal tremendo e nefasto Covid-19, l’anno scorso vissi l’estate più bella della mia vita e amai una donna più bella di Debra Feuer dei tempi d’oro.

Dopo La Mer di Charles Trenet, dopo quella boiata di Tenet, dopo tante amarezze e rabbie parimenti rapportabili all’ira esplosiva del protagonista de L’anno del dragone, voglio ivi, testé e tostamente dichiarare che la favola con la mia lei non finirà come in 9½ Weeks.

Sì, mi guardo allo specchio e non posso mentire a me stesso.

Voi non vorreste un uomo così?

Ah no? Allora siete invidiosi come John Lone. Oppure non siete una donna. Siete degli amici? No, dei gelosi a morte.

Oppure davvero pensaste che fossi mezzo scemo come il protagonista di Homeboy?

In effetti, avete ragione, sono lui.

E, come il grande Robin Ramzinski di The Wrestler, sono ancora sceso sul ring.

Be’, i capelli non sono quelli di una volta, lo so.

L’importante è che qualcos’altro non abbisogni di Crescina…

Comunque, rimanga fra noi, a Mickey Rourke continuo a preferirgli Bobby De Niro.

Sono un camaleonte. Sì, il Chamaeleonidae, essere mutevole, falotico, stravagante, bizzarro, versatile, piacione, all’occorrenza piacevole e recensore di Cinema alquanto invincibile.

Se non vi sta bene, alla pari di Henry Chinaski, i cocktail li offro io.

Aspetteremo una croccante alba e gusteremo anche, tutti assieme appassionatamente, una colazione con passione.
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di Stefano Falotico

A DREAM TO GET IT ALL BACK: la morte di Alan Parker, forse ROCKY é più bello di TAXI DRIVER e Angel Heart di Shutter Island


03 Aug

nicolas cage birdy

cage dern cuore selvaggioLa scorsa settimana morì Alan Parker. Io gli dedicai un post molto particolare.

http://www.geniuspop.com/blog/index.php/2020/08/la-morte-di-alan-parker-mi-ha-rubato-lanima-e-vago-ora-fantasmatico-come-harry-angel-turlupinato-nel-cuore-da-louis-cyphre/

Che io mi ricordi, ho sempre sognato di essere Nic Cage di Cuore selvaggio, non quello di The Family Man.
Anzi, quello di Stress da vampiro e di Birdy. Sì, volevo e voglio essere questo Nicolas. E chi dice che Cage è/sia un pagliaccio, ah ah, è meglio che ascolti Alessandra Amoroso. Nic Cage non è un pagliaccio, è un clown da competizione, ah ah, sì, è un “pazzo” come me. Non ha regole non solo attoriali, bensì sociali. I suoi matrimoni dura(ro)no un nanosecondo poiché, per l’appunto, è sempre stato un uomo libero (ah, per forza, è il nipote di Coppola, sai quanti soldi a prescindere dai suoi cachet?, ah ah) e non desidera vincoli di nessun tipo, specialmente di nessuna “topa”. Adora farsi prendere in giro, s’imbroda e gongola nel recitare come un cane più bastonato di Balboa, va giù di testa nello sbraitare ed andare spesso e soprattutto volentieri sopra le righe. Sfoderando delle smorfie più oscene di Meg Ryan di City of Angels. Sì, Meg è sempre stata la quintessenza della smorfia, non quella napoletana. Bensì della cretina che poté beccarsi solo Dennis Quaid. Altro playboy dei poveri che non ha niente a che vedere con Il cielo sopra Berlino. Sopra qualche altra bionda però, forse di nome Angelica oppure Chantal, sì. Cage è un ribelle, un amante di Elvis Presley, fu amante anche di sua figlia Lisa Marie. E oggigiorno tutti lo deridono e umiliano poiché, ai film d’autore come quello di Parker, preferisce buttarsi via e non dare più retta a nessuno. Tanto la gente vuole solo che tu sia un premio Oscar, una bella statuina coperta da una corretta mascherina. Non certamente quella del Covid-19. Lui andò con Jenna Jameson, si prese la patente di “depravato”, di attore super sfigato, d’incapace e, a livello non solo recitativo, di handicappato. Poiché lo è. In Con Air, per esempio, non c’è una sola espressione sua giusta. Anzi, è espressivo come una stampante della Epson. Ride quando dovrebbe mantenere un tono serio e, di contraltare, piange quando dovrebbe essere allegro. Ha due labbroni da far invidia a quelli rifatti di Alba Parietti e non ci crede nemmeno Antonio Conte che Nic Cage (chi, sennò), dopo Cuore selvaggio, abbia perso molti capelli ma sia rimasto sempre così stempiato senza perderne altri da allora in poi.

Il suo personaggio si chiama Poe. Ma dubito che Nic sposerà in futuro una tisica e minorata mentale così come fece Edgar Allan. Morendo a quarant’anni con cinquemila racconti capolavori all’attivo e una sola “figa” nel suo “curriculum vitae”.

Ma torniamo a Parker, lasciamo perdere, dunque vincere Cage… Certo, non è propriamente classico salutare, in modo satirico e goliardico, una persona e un regista che ci ha lasciato/i. Ma sapete, in questi anni, morirono persone a me care. Solo mia nonna paterna ancora campa. Ha anche la campagna. Persi mio zio tanti anni fa e tanti altri parenti che, in passato, perfino disdegnai e che dunque non incontrai più prima che se ne andassero. A fanculo, di nuovo, spero… sì, i miei parenti non sanno neppure chi sia Alan Parker. Persi anche degli amici. E non andai nemmeno al loro funerale. Tanto, già all’epoca, avevano una faccia come quella di Crisantemi ne L’allenatore nel pallone.

Sì, pensa te, pensate voi. I loro migliori anni della loro vita, per l’appunto oramai trapassata pure clinicamente, li trascorsero a giocare a Duke Nukem e a Doom. Che io mi ricordi, giocai in quel periodo col mio personale “joystick” con Erika Anderson di Zandalee.

Sì, qui voglio essere un comico nato come Paolo Rossi. Sì, furono mie nottate di “sparatutto” da far invidia a ogni Playstation del cazzo. In verità, persi anche me stesso. E pensai davvero di essere matto e irrecuperabile sia nel cervello che nel fisico. Quasi quanto Mickey Rourke di Homeboy. Pensai che un altro colpo letale alla mia fragilità, emotiva e non, mi avrebbe ucciso. Totalmente annichilito, estenuato, stremato.

Il film più bello in assoluto di Parker rimane Angel Heart. Con tutta la stima che possa nutrire, anzi, la mia adorazione sconfinata per Martin Scorsese, Angel Heart è un capolavoro e Shutter Island invece un filmetto. A dirla tutta, spesso mi conviene recitare la parte del cretino. Altrimenti, dovrei accettare qualcosa di non scientificamente spiegabile accaduto alla mia vita. Sapete, non è facile. Bisogna essere forti come Sylvester Stallone e io invece son autodistruttivo come Bob De Niro di Toro scatenato.

Ho intanto firmato un altro contratto editoriale e credo di non sapere nulla di Cinema. Basti vedere questo video per capirlo. Non so argomentare, capite? Ah ah.

Non so parlare, non so scrivere, sono cerebroleso, brutto come un debito e non so neanche amare.

Taxi Driver è un capolavoro, Angel Heart anche. Ma Rocky non va mai giù, non è “dotato”, anzi, datato per niente. E questo è quanto. Se voi avete bisogno di psicofarmaci perché non ce la fate, prendeteli. E altri pugni allo stomaco devastanti pure piglierete. Quello che voglio dire è che Rocky è più forte di Apollo Creed, di Ivan Drago, eccetera eccetera. Insomma, è il più forte di tutti. Quando caccia un mancino del genere, vanno infatti tutti al tappeto. Ho scritto tutti due volte in tre righe, si chiama ripetizione? Allora, ripetiamola, ripententi esistenziali. Tutti, tutti, tutti. Senza eccezione alcuna. Vi rispedirei alle elementari, maestrini dei miei stivali da cowboy. Se poi vorrete continuare a credervi invincibili, recitando la parte della moglie di Sylvester Stallone in Over the Top, cioè della donna “sana”, farete solo la figura dei coglioni come Robert Loggia, pure di Scarface. Come dice invece il grande Al Pacino di Carlito’s Waysono un altro, sono un altro e non ci sono voluti quei trent’anni che mi aveva dato lei, vostro onore, ma solo cinque anniEd eccomi qua… completamente riabilitato, rinvigorito, riassimilato e sarò fra poco anche rialloggiato.

Una delle scene più belle del mondo. Un uomo che ha coglionato tutti, compreso sé stesso.

Poiché, tornando al Cage, non mi vedo laureato, non mi vedo sposato, non mi vedo per niente in nulla e non vi vedo neanche. Quindi, mi pare giusto che, se siete dei tonti, io possa morire come Dio.

Dio infatti non ha una vita sociale poiché è superiore. Non ha bisogno di stare nel porcile, ha bisogno di punire e giudicare tutti, compreso sé stesso. Da cui suo figlio, Gesù Cristo. Colui che morì per noi e il terzo giorno è resuscitato. E io dovrei credere a una stronzata del genere? Io, io che sono il diavolo? Ah ah. Il diavolo provoca in quanto vuol far capire agli uomini che non c’è un’altra vita e questa la stanno sprecando su Instagram. No, non vincerò come Rocky nel suo secondo capitolo.

Non accetto nessuna sfida. Accetto di morire come le donne, i bambini e gli uomini che, passivamente, accettarono di essere stati uccisi. Così come sostenne e disse Rust Cohle di True Detective. Poiché il mondo è formato da mostri ed è cosa buona e giusta che Dio, ecco, li distrugga.

Qualche mese fa, un amico mi telefonò, preoccupato, chiedendomi:

– Stefano, ti sento giù, di solito non sei così. È successo qualcosa?

– No, sto benissimo. Anzi, mai stato meglio.

– Non mi sembra. Ieri ridevi ed eri contento.

– Perché sono un grande attore come Rourke, come De Niro, come Cage.

 
Quando sono triste sono grande, quando sono malinconico sono me stesso, quando fingo di stare bene, non sono credibile. Sì, mi pare sanissimo che i geni e i grandi artisti come Parker vengano ricordati anche dopo la morte. Ai comuni mortali, invece, lasciamo la loro anima da carne è debole.

 

di Stefano Falotico

Christopher Walken, il fascino di un maledetto, bello e dannato, che non si è mai attenuto ai precetti istruttivi e pedagogici del vivere mainstreaming


12 Jul

christopher walken addiction

Sì, Chris ha gli occhi glauchi.

Io, invece, tendenti al nero da bello e impossibile con picchi di cangiante languidezza da far impallidire persino di commozione, pure cerebrale, lo stesso Walken de Il cacciatore. Ah, uomo sensibile… quel Nick. De Niro invece, nella pellicola di Michael Cimino, non soltanto si riprese dalla guerra del Vietnam pur avendo interpretato un reduce della medesima in Taxi Driver (sì, infatti, è di due anni prima e, nei due anni intercorsi fra il capolavoro di Scorsese e quello di Cimino, forse rivide Jacknife a posteriori di tempo anteriore, ah ah), bensì fregò pure la donna a Nick. Un figlio di puttana peggiore di Max/James Woods di C’era una volta in America.

Per molto tempo, la gente mi trattò da freak come Mickey Rourke di Homeboy.

Al che le tentò tutte per fottermi. Dandomi la patente di cerebroleso necessitante di farmaci ricostituenti. Di mio, posseggo una sana e robusta costituzione fisica, cari deficienti. Infatti non fui riformato ai due giorni di leva. Informatevi.

Svolsi però servizio civile poiché io sono un ribelle nato e un eterno obiettore di coscienza, miei matti.

E, come si può notare, sono en pleine forme.

Avete preso una bella botta, non solo in testa. Quando si dice “volgarmente”… pensavate di fottermi e invece siete rimasti in… ti.

Sì, a essere sinceri, però caddi in coma. Diciamo psicofarmacologico. Insomma, Chris Walken de La zona morta ed Eluana Englaro mi fecero un baffo. Peraltro, solamente in pochissimi film, Walken porta i baffi.

A tredici anni, posso dirvi che volevo portare una ragazza di cognome Laffi a fare un tuffo dentro il mio lupo che perde il pelo ma non il vizio.

Andiamo avanti…

Non perdiamoci in stronzate e in ragazze perdute. Comunque, questa Laffi io persi ma lei non (si) perse. Pare che oggi sia ingegnere.

Di mio, ho sempre preferito architettare fantasie di natura costruttivista. Si dice che le critiche, se giuste, siano costruttive. Infatti, io ricevetti infinite e ingenerose provocazioni infami e, a causa delle mie reazioni rabbiose, rischiai di rimanere un morto di fame.

Mi diedero pure del lebbroso.

Sono un romantico romanziere, invece, inoltre autore di molti saggi monografici assai pregiati.

Come molti uomini, a letto indosso il pigiama. Tranne quando la mia lei non indossa niente.

Le professoresse sono le peggiori, son inchiappettate maestrine. Quelle che riscuotono lo stipendio dopo non aver mai visto un film con Walken e non essere mai precipitate all’inferno, emotivo e non, di The Addiction, sì, quelle che, dopo aver imparato a memoria le pappardelle, tranne quelle alla panna, in quanto anche come cuoche sono delle fallite, mi guardano e sinceramente vorrebbero portarmi a letto ma sono troppo brutte per guardarsi allo specchio e dirla tutta. Oh, anche se me la dessero tutta, le boccerei subito. Rimandandole non all’asilo, bensì dall’estetista.

Cosicché queste racchie mentono e mi urlano:

– Sei solo un esteta, la tua visione del mondo non è estasiante, sei depresso a morte, datti all’eleganza del Cinema estetizzante. Che povertà, che squallore!

 

Anni fa, invece, un tizio mi disse che assomigliai sia a Leo DiCaprio di Prova a prendermi che a Fox/Walken di New Rose Hotel.

Due personaggi bellissimi (Walken del film di Ferrara, però, solo come character, come uomo è uno storpio) ma non propriamente pulitissimi. Comunque, due migliori di lui.

Domani incontrerò la mia lei. Sono agitato e, come i vampiri, non ho sonno.

Sapete che farà il Falò?

Uscirà sul pianerottolo e ballerà a mo’ di Chris Walken.

Tanto, dormono tutti.

Soprattutto voi.

Non posso essere, per di più, accusato di nulla.

Difatti, siete talmente spenti che non solo non disturbate la quiete pubblica, bensì siete oramai così morti dentro e inutili che non provocate neanche quella pubica.

E ho detto tutto.

Poi, in Italia, Paese di cattolici moralisti completamente ipocriti, non avremo mai un Chris Walken.

La gente, per esempio, dice: quello è un figo della Madonna.

Sì, talmente figo che è, per l’appunto, di proprietà della madre di Chris, no, di Cristo.

Ma lei deve rimanere vergine.

Da cui il detto alternativo… è un figo che ha un culo della madonna.

Se non capite questa battuta, infatti non la capite, vi meritate che vi dica: che dio vi benedica.

 

di Stefano Falotico

 

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Mickey Rourke, intrepide vene di un wrestler


10 Mar

Mickey Rourke,

intrepide vene di un wrestler

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Una monografia dedicata al grande Mickey, attore sopraffino eppur selvaggio, scalpitante in muscoli tonanti, rifatto, slanciato in funambolico frizzo dei suoi lampi abbarbaglianti e abbaglianti in zampillii   furibondi smaltati, piangenti nella lussu(ri)osa “machine” (imbatti)bile del coriaceo suo corpo mutevole, trasfuso in sinergia dinamica d’iridi luminescenti, miscelate, esplosive, (s)tirate in vulcaniche detonazioni repentine, un flusso ininterrotto d’un purpureo lottatore, tumefatto da tanti colpi spappolanti d’una sua (r)esistenza sempre sbraitante, emotivamente instabile, arcuata a suo ispirato, magnifico attore rotante la gioia del sé stesso (t)esser la fibra ipnotica dell’anima dirompente, eruttante sua illanguidita, romantica posa, diguazzante e smargiasso in un oceano nero del suo intimo cangiarsi potente, impressionante nudità d’uno spropositato ego maniacale a narcisistico perfezionismo attoriale erto a una recitazione carismatica che a lui vien così naturale, timidezza nascosta dietro un abito malsano da ubriacone, com’appare infatti tale, spesso sconcio, marcio, distrutto in molti film, svelante lentamente il suo sex appeal magnetico, un uomo che si martoria, macellante divora il toro che, nel cuor suo feroce, lo sbrana e, angosciandolo, strozzandolo, strepitante rabbia (in)esplosa, vivo lo mangia. Mickey s’incarna nei suoi occhi mangiati vivi dal sé già smembrato e chirurgicamente palestrato, le palpebre sbatte fra mille donne sbattute, scorato poi si lascia andare come dovesse esser presto deceduto, disarcionato della sua dignità, si crogiola nel far nulla vizioso, capriccio personificato della sua immediata venustà cataclismatica, frenesia d’ardori densi di vita roboante, titanica e splendente, pura, suadentissima, simbiotica ipnosi ammaliatrice che trasmette e infonde istintivamente agli affini spettatori che, applaudendolo in gloria del san(t)o elevarlo come il suo Francesco, lo riveriscono quando, sul tappeto rosso, innanzitutto delle sue tremende, sacrosante ire emozionali, irresistibili/e, picchia inesausto nel ring(hiar) con rabbia e inestimabile, vampiristica, sanguigna bravura..

Va giù, poi si “tira a lucido”, su.

 

Un man barfly sui marciapiedi del suo silente star (in)espressivo, bolsa trasparenza d’un corpus attoriale “mortificato” nel suo amar(si)… (in)finito


Forse, Mickey, cereo, (in)certo, scolpito nello sgretolato pianger il sangue zampillante d’un suo mutarsi sempre in dissipato(re) del suo talento (s)confinato, rannicchiato nell’angust(iat)o spacc(i)atore di sé rotto nell’anima illimitatamente (com)battuta, si sbraccia, tutti bacia, si brucia e si buca, s’arrabatta nello scriversi da solo la storia della sua “troia”. Cadendo, d’angelo v(i)olato, in tal putrido squal(l)o(re) del mondo ubriaco… salta di palo in frasca, s’ammorbidisce (forse il pelo) e quindi scappa, sé stes(s)so scopa, scoppiato.

Pugile suonato, libra, lib(e)ro aperto, troppo.

Chiuso poi dalle limitate mentalità borghesi, arroganti ché deturparlo vogliono affinché, tarpato, come tutti i tappi, si recida in ali bruciate e non più brucianti da fiero attore-toro… crolla o solo barcollante, bar-col(l)ante vivente, collante di chirurgia, sì, svenato, (s)venutissimo…, (dist)rutto sputato nel “normal” eloquio ove l’etica falsa, ahinoi imperante, col suo imperioso, inderogabile motto, è non dovere dar di matto mai e star b(u)oni, belli di plastica. E, non (r)esistendo a tal (in)visi finti, fa una brutta fine, facendosi “rozzo” di chirurgia al suo vol(t)o seg(n)ato, si plastifica da bella “figa”.

Nel ficcar il suo orgoglio arrostito, avvilito, gioendo dell’icona immor(t)ale di cangianti suoi sempre conturbanti e perturbanti lineamenti stanchi, lui, giammai allineato, come se “aggiustarsi” la faccia da “culo”, per (parad)osso (sm)unto, da pallido gonfiato “pallone” d’ingrassato faccione come se avesse assunto il cortisone, lo salvasse dal “coglione” andato a ma(ia)le, che fesso-sesso… n’è ossesso, lo (s)mascheri in (ca)muffa, lo (s)vesti e (s)copri da una furiosa… (insana)bile sua troppo malsana, ah, sano o non tanto santo, intanto ancora sul tappeto rosso salta con la saliva salata da lottatore non più zuccherato nei suoi tempi d’oro ma ora arrugginito nei suoi denti cariati e non più a mille carati. Malgrado sia una vecchia cariatide e cera troppo sincera sviscerata nel suo viso macerato, ancora vola come una mosca da bar(o).

Barcolla fumante, Mickey, fischiettando, dentro la sua anima corrugata da mille sfregi ed errori (in)volontari, un motivetto canterino da barbone appiedato col dono però ergente dell’erigersi vanaglorioso, per l’appunto grandioso, grazie al suo letterario talento grandissimo. Chinaski, suo alter ego, no, di Bukowski, da lui interpretato.

Ubriacone, non spegnerti ma accenditi d’animo maudit come un’altra sigaretta rubata alla tua angoscia inaudita. Sfogliala tra le dita, dai, bell’uomo sempiterno, che dio ti maledica.

Delira sinché puoi, insisti su questa sbandata, meravigliosa vi(t)a sregolata, non ammainarti e ammanettarti al destino borghese, vacuo, ricco solo fuori di finti fiori, di dolori immani interiori perforati. (S)colpito, un altro pugno da letterato sfoderi e sferri di classe alta mischiata al tuo (mal)essere… un frequentatore di una prostituta di basso bordo.

Un’altra sconcia storiella importante nel tuo fragile cuore innaffiato d’alcol, lordo, cari lord, un’anima da mille e una notte e cento, cento più botte come un’umana, disumana e immane lode andata a bottane.

Qui, nel brutto letamaio di questo baretto di periferia del borgo, sei rugoso più di una spugnetta da te mai davvero gettata nonostante via ti buttassi in tanti filmacci che sono delle orride pugnette.

Altri pugni e di tutto punto, con qualche ferita in più e suture di punti sempre aperti, non rimarginabili, da emarginato, scrivi la tua storia un po’ da fina troia, tu sto(r)ico, immor(t)ale.

Lasciati andare, lasciatelo stare, Hollywood merita i suoi scritti ma non fa per lui un’iscrizione agli Oscar.

Meglio tirarsela, Mickey. Anche se la tua vita è sbagliata e oramai stirata. Ti sei rifatto il volto ma non rifarti contro chi te lo spaccò, scoreggiando cagate ché son soltanto, cazzo, lucide cazzate di lusso per pochi maledetti eletti.

Un’altra bagascia entra nel tuo letto ed è sempre il solito autodistruttivo leitmotiv, cazzone!

Sempre a letto, sì, con la pancia gonfia e il fiatone da porcellone, sotto lo pseudonimo di Eddie Cook un’altra ne cucchi e lei te lo ciuccia ma rimani un ciuco malgrado tu scriva a perdifiato, oh no, stramazzi al suolo per averle prese in un’altra rissa, per colpa di un potentissimo schiaffo datoti da una sberla coi capelli rossi, hai il volto (ar)ross(at)o perché invero sei timido, biancastro nell’incarnato viso d’angelo ceruleo di pessima cera ma ci sei ancora, però, però che stile.

Bastardo impeccabile.

Quello di Mickey è il pianto disperato di un bambino imprigionato in un corpaccione d’adulto all’apparenza smargiasso, guascone, discolo e da troppe discoteche ove, impenitente, tutte le donne scopasti impunemente.

Sei un po’ demente, Mickey, ma fa niente.

Poi arriva la realtà ed è un incubo a occhi aperti recidente il tuo troppo far il deficiente, ti pialla nella sua dimensione claustrofobica di grandi praterie chiuse solo nell’infinitezza del tuo sognare sempre una realtà sconfinata bigger than life, in verità, scioccamente destinata a collassare in modo mortificante.

Fosti per un po’ disteso poi ancora steso, esser tensivo palpito esistenziale (s)fattosi in un destino poco terso ma sempre nevroticamente teso, sei un languido bacio rubato alla Luna, l’ipocondria e il dolore di esistere da nato bruciato.

Da qui, da questo coacervo di contraddizioni, nasce il combattuto Rourke. Che passeggia sbilenco, inciampa nel suo carattere magmatico o forse scivola nel suo cratere vulcanico, si fa tante facciali plastiche per sfuggire al suo “ritratto da Dorian Gray” come se una strega gli avesse perpetrato un maleficio per scipparlo della sua bellezza, soprattutto interiore, per depredarlo del suo vol(t)o angelico, per turlupinarlo con l’arte ingannevole della seduzione da Nove settimane e mezzo.

Ma, nonostante molte grinze, non perdi la tua grinta e non fai una grinza. Anzi ti fai una e glielo dai tutto tosto e ritto. Tu, Homeboy cavallerizzo, scopi come un riccio. E sei pure ricco.

Sei proprio un dritto.

L’arte insita in Rourke, la sua danza spettrale nel suo mor(t)o vivente tendente al platinato artificiale da dio greco scialbo e putrescente con accenni di forte, indubitabile biondezza lacrimante i sussulti del suo cuore inferocito, poi armonico, l’impeto dell’ardore che scalpita, lo tramortisce, non gli lascia tregua, l’attanaglia, lo corrode, scalfisce il suo stomaco bollente, rigurgiti di endovena in esibirsi di panza oscena, oh, onesto, troppo vivo per l’insincerità d’un mondo ammaestrato a (in)dotte regoluzze stantie.

Prendine le distanze, avanti. Mickey, ordina un’altra stanza del motel e scopatela tutta bell’.

Lui, che si camuffa dietro tanti vol(t)i, pseudonimo di Sir Eddie Cook, scrittore di sceneggiature raffazzonate a cui manca una pezza, lui, sì, pezzo di merda, rabbioso, inesausto, (in)frangibile pazzo. Che cazzo!

Schietta divinità cinematografica ch’è frutto di mille traumi, patimento dell’essenza, esistenza e/o resistenza, oh, sarebbe un delitto incommensurabile, un sacrilegio blasfemo se accantonasse la sua grinta di (non) de-mordere, (non) si lascia andare, viaggia nei suoi crepuscoli, insegue bramoso la preda della sua escoriata, striata anima turbolenta e si ricicla, faccia da schiaffi ch’è incarnazione dello sberleffo contro la borghesia pasciuta di massa, un ammasso di pelle e ossa in muscoli (s)tirati a (non) lucido che è, oh, sempre vagabondo come si confà al suo esser cuore angelico, tenere tenebre sanguigne dell’Angel Heart in lui ardente.

Così, ad ogni alba della sua mistica arte recitativa così masticata, rinasce agli albori della sua ticchettante fatiscenza (dis)organica poco armonica, viso incandescente, purpureo di ferite da vanitoso fetente!

Bile… “palle” in buca d’un biliardo tutto suo, d’un perso binario, dei suoi diari, del suo esser “a bordo” perennemente delle degradate periferie color bullet.

E dopo essersi scopato un’altra biondona, Mickey si fa il bidet.

Poi esce dal motel e fa l’occhiolino a un bambino senz’ambizioni che, da grande, vuol essere un bidello.

Quindi, Mickey lo stomaco ancora si sbudella, roso dentro dall’essere consapevole che ne passò di tempo e oramai non è più tanto bello.

Sì, un attore col don’, col Condom (im)perfetto del roditore… di chi si mangia dentro per (non) soffrire sterminatamente, soffoca, si dilania, persegue obiettivi (mal)sani, si dimena e da solo se le dà, se lo mena, sì, abbrustolisce la sua pelle satanica in sfide accorate, forse mal accordate, al suono e gioco magico del profanarsi sempre, eternamente stronzo.

Risplende, poi si rabbuia con impertinenza, sba(di)glia(to), cartoccio ch’è mosca da bar, del tempo buttato via per noia o perché la vita è troppo piccola, oppure grandissima e dolorosa per chi ha un cuor di ca(r)ne. Come il suo… protraiti, Rourke, inimitabile cazzone.

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Esordirà, dopo lo Sbielberg di 1941…, in una particina con Michael Cimino, suo mentore, “prossimamente”, ne I cancelli del cielo, per poi rifulgere in ver’auge, da protagonista assoluto, nello stupendo L’anno del dragone, firmato al solito da Michael. Nella parte del “furbo”, scafato, iper-decorato capo della polizia Stanley White dalle origini polacche che sta con una brava donna che non è affatto una mentecatta polacca, o forse sì, messosi a rivaleggiare contro un leader del narcotraffico, un magnifico cattivo, John Lone.

Una battaglia senza esclusione di colpi ove non si salverà nessuno, neppure l’anima bruciata proprio d’un Rourke oltre la sfera del tuono nel finale “invincibile” e da duellanti western, simil Ore disperate.

Capostipite, in tal modus, in questo mondo, d’uno stile attoriale unico e immediatamente riconoscibile, con una recitazione tutta “introflessa”, interiore, a captare gli stati d’animo variegati della sua anima in mo(vi)mento dinamico, “ripida”, forte, combattiva, variopinta, stravagante, eccentrica e dalle scelte professionali intinte nella più disarmante stranezza, da villain del videoclip con Enrique Iglesias, “Hero”.

Let me be your hero

Would you dance if I asked you to dance?

Would you run and never look back?

Would you cry if you saw me crying?

Would you save my soul tonight?

 

 88982449_10215897681417791_5143216439242522624_oAllora si punisce ancora, si protrae la sua sofferenza, “intarsiata” in rivoli sudati delle pulsioni meno mansuete. Si “sradica” dal suo corpaccione, “basculante” dondola nel mondo, si dà con furia, fagocita il proprio cuore e se lo divora, lo inghiottisce, deglutisce, sputa, s’infervora e si “sbrana”, sbraita la pelle della sua atroce inviolabilità senza pari.

Seppur attorniato da mille donne, corteggiatore indefesso, (non) ne sceglie una, principe delle punizioni che s’infligge, tormentato, combattente e anche combattuto.

Harley Davidson and the Marlboro Man del suo “ubicato” trash corporale collegato all’anima(le).

Titanico, imperfetto, scultoreo, bronzeo d’una faccia che (non) chiede perdono, un nostro… o mostro fattosi purezza di rozzezza, di famelica (non) voglia di vincere, instancabile wrestler.

Lottatore del suo istinto primordiale, “faceto”, scorbutico, “bassotto” in una società di nani, di Giovani Marmotte, bellissimo, angelo sceso da un “dirupo” di meraviglia.

(In)etto di sudore, perversità primigenia, furore appeso a un corpo che oscilla fra un peso medio e un homeboy.

Sconfitto, “tracima” nelle sue interiora un sacco di fitte, di tagli e cicatrici, di pestilenziale puzza da Bukowski. E suo alter ego Henry Chinaski.

Si mura, muta, fa il “muto”, non parla, biascica dolore, singhiozza, starnutisce la sua alterità, (non) adatto a un mondo che non risparmia colpi nel/al fe(ga)to…

Scorriamo, “curiosamente”, la sua filmografia e “annotiamola” a memoria, un “carnet notturno”, un sogno vivido di birbante, euforica “pazzia”…

1941 – Allarme a Hollywood (1941), di Steven Spielberg (1979)

Dissolvenza in nero, di Vernon Zimmermann (1980)

I cancelli del cielo (Heaven’s Gate), di Michael Cimino (1980)

Brivido caldo (Body Heat), di Lawrence Kasdan (1981)

A cena con gli amici (Diner), di Barry Levinson (1982)

Rusty il selvaggio (Rumble Fish), di Francis Ford Coppola (1983)

Il Papa del Greenwich Village (The Pope of Greenwich Village), di Stuart Rosenberg (1984)

Eureka, di Nicolas Roeg (1983)

L’anno del dragone (Year of the Dragon), di Michael Cimino (1985)

9 settimane e ½ (9½ Weeks), di Adrian Lyne (1986)

Angel Heart – Ascensore per l’inferno (Angel Heart), di Alan Parker (1987)

Una preghiera per morire (A Prayer for the Dying), di Mike Hodges (1987)

Barfly – Moscone da bar (Barfly), di Barbet Schroeder (1987)

Homeboy, di Michael Seresin (1988)

Johnny il bello (Johnny Handsome), di Walter Hill (1989)

Francesco, di Liliana Cavani (1989)

Orchidea selvaggia (Wild Orchid), di Zalman King (1989)

Ore disperate (Desperate Hours), di Michael Cimino (1990)

Harley Davidson & Marlboro Man (Harley Davidson and the Marlboro Man), di Simon Wincer (1991)

White Sands – Tracce nella sabbia (White Sands), di Roger Donaldson (1992)

F.T.W. – Fuck The World (F.T.W.), di Michael Karbelnikoff (1994)

Fall Time, di Paul Warner (1995)

Uscita di sicurezza (Exit in Red), di Yurek Bogayevicz (1996)

Bullet, di Julien Temple (1996)

Double Team – Gioco di squadra (Double Team), di Hark Tsui (1997)

9 settimane e ½ – La conclusione (Love in Paris), di Anne Goursaud (1997)

L’uomo della pioggia (The Rainmaker), di Francis Ford Coppola (1997)

A costo della vita (Point Blank), di Matt Earl Beesley (1998)

Buffalo ‘66, di Vincent Gallo (1998)

Thursday – Giovedì (Thursday), di Skip Woods (1998)

Shergar, di Dennis C. Lewiston (1999)

Out in Fifty, di Bojesse Christopher (1999)

Cousin Joey, di Sante D’Orazio (1999)

Shades, di Erik Van Looy (1999)

Animal Factory, di Steve Buscemi (2000)

La vendetta di Carter (Get Carter), di Stephen Kay (2000)

Invasion (They Crawl), di John Allardice (2001)

La promessa (The Pledge), di Sean Penn (2001)

Sola nella trappola (Picture Claire), di Bruce McDonald (2001)

Spun, di Jonas Åkerlund (2002)

Masked and Anonymous, di Larry Charles (2003)

C’era una volta in Messico (Once Upon a Time in Mexico), di Robert Rodríguez (2003)

Man on Fire – Il fuoco della vendetta (Man on Fire), di Tony Scott (2004)

Domino, di Tony Scott (2005)

Sin City, di Frank Miller e Robert Rodríguez (2005)

Alex Rider: Stormbreaker (Stormbreaker), di Geoffrey Sax (2006)

The Wrestler, di Darren Aronofsky (2008)

Killshot, di John Madden (2009)

The Informers – Vite oltre il limite (The Informers), di Gregor Jordan (2009)

13 – Se perdi… muori (13), di Géla Babluani (2010)

Iron Man 2, di Jon Favreau (2010)

Passion Play, di Mitch Glazer (2010)

I mercenari – The Expendables, di Sylvester Stallone (2010)

Inferno: The Making of ‘The Expendables’, regia di John Herzfeld (2010) – Documentario

Immortals, regia di Tarsem Singh (2011)

Black Gold, regia di Jeta Amanta (2011)

Dead in Tombstone, regia di Roel Reine (2012)

Generation Iron, regia di Vlad Yudin (2013) – Documentario – Voce narrante

Sin City – Una donna per cui uccidere (Sin City: A Dame to Kill For), regia di Robert Rodríguez e Frank Miller (2014)

 

E qui mi fermo… Poi va avanti, non so se io andrò ancora indietro.

Ma comunque vaffanculo!

di Stefano Falotico

 

La Critica cinematografica oggi in Italia esiste e resisterà ancora? Coronavirus permettendo? E il mito di Asbury Park


09 Mar

homeboy luna park

Ora, io non m’imbrodo mai. Anzi, se una donna mi dice che sono Mickey Rourke di 9 settimane e ½, penso invece di essere quello del seguito… la conclusione. Cioè il Rourke al minimo storico.

Sebbene, a essere sinceri, io abbia sempre preferito Angie Everhart a Kim Basinger.

Comprai pure, tantissimi anni fa, il dvd di Sexual Predator ove Angie, senza sprezzo del pericolo, sì esibì in una scena di sesso al limite della censura.

Quindi, acquistai pure l’edizione di lei in bikini su Sports Illustrated.

Di lei m’invaghii quando, durante le vacanze estive, rinvenni in bagno il Max italiano con Angie, per l’appunto, in copertina.

Credo che l’avesse dimenticato mio zio. Da anni morto. Il quale disse a mia zia, ancora fortunatamente in vita, che mio cugino, cioè loro figlio, era una sega. E che gli faceva cagare, tanto che fu costretto a dirgli:

– Guarda, non so come educarti. Le sto tentando tutte. Ora, devo andare in bagno a lavarmi…

 

Ecco, Angie è ancora bella, fu un’ex di Sylvester Stallone (nomen omen) e, da quando frequentò pure Joe Pesci, Joe si ritirò per molto tempo dal Cinema.

Ah, per forza. Una così ti rende (s)tirato come Rourke cinematograficamente (s)teso.

Ma non perdiamoci e non facciamola fuori… ché i panni sporchi si lavano con Angie e non col Dash.

Poi, ci rideremo su in maniera goliardica come in M.A.S.H.

La Critica cinematografica esiste ancora?

Mah, ne dubito. Oramai, qualsiasi cazzone vuole dire la sua. Senza sudarsela…

In questo video, assistiamo a un confronto oserei dire storico, quasi mitico e mistico di natura “teologica” tra Federico Alò, critico de Il Messaggero e video-recensore per Bad Taste, e l’epocale oramai leggendario Federico Frusciante.

Da me incontrato dal vivo qualche settimana fa a Bologna al Mikasa.

Azzardai a ribadirgli che, secondo me, Joker è un capolavoro e lui:

– Stefano, giusto perché sei tu. Altrimenti, per questa tua affermazione, avrei chiamato subito la neuro.

 

Con estremo aplomb, gli risposi:

– Ah, nessun problema. Tanto, tantissimi anni fa, impazzii più di Arthur Fleck.

 

Fede rispose:

– Sì, lo sanno tutti.

– Sanno anche altro?

– Certo. Che sei l’unica persona al mondo che si salvò.

– Come mai, secondo te?

– Leggi questa recensione:

Secondo te, fu scritta da un matto? http://darumaview.it/2019/joker-recensione-film

A proposito, Stefano, com’è che a te danno gli accrediti stampa per i festival e a me, che sono molto più famoso di te, no?

– Non lo so.

 

A parte gli scherzi e il mio romanzare gli incontri, sono un romantico e adoro l’ingenuità della sceneggiatura poco da letterato, bensì anacronistica e ante litteram di Mickey Rourle per Homeboy. Firmata sotto lo pseudonimo di Eddie Cook.

Una storia semplice da Cinema verità, miscelata alle atmosfere springsteeniane di Asbury Park su musica, però, della nemesi del Boss, cioè Eric Clapton.

Che ebbe una relazione con Lory Del Santo. Da cui nacque Conor, tragicamente morto alla sola età di 4 anni.

Asbury Park, presente anche nel film City by the Sea con De Niro e James Franco e ne Il coraggioso con Johnny Depp e Marlon Brando, si dice che sia la meta paradisiaca dei poeti e non tanto degli emarginati, bensì delle anime malate di metafisica.

Che sognano amori poetici e quasi puerili, disgustati dal chiasso nauseante delle solite gelosie e giostre quotidiane.

Cantori dell’eccelso e dei plumbei cieli illuminati da un radioso miracolo imprevisto.

Mi pare, sinceramente, che abbia perduto troppo tempo a fare l’assistente sociale dei fuori di testa e dei toccati, dei rintronati. Consolando in modo buonista persone che, detta francamente, non gliela possono fare.

Gente vinta che celebra pateticamente i figli dei fiori e la libertà selvaggia. Dove? Fra le pareti domestiche della disperazione più alienata?

Sarò molto cinico e molto veritiero. A prescindere da fenomeni come Frusciante, indubbiamente bravo e carismatico, la società non la potete fregare con le furbizie e le scorciatoie.

Poiché o siete come Fede, piuttosto radicale ma comunque estremamente coerente, oppure dovete essere istituzionalizzati come Alò.

Esiste anche la terza possibilità, ovvero essere Falò, il sottoscritto.

Ma non potete esserlo poiché ne esiste solo uno nella storia.

Non è auto-magnificazione, purtroppo, per voi, è la triste ma magica verità.

Al che, qualche settimana fa, chiesi a un bravissimo signore per il quale scrivo su Ciao Cinema:

– Mi abbonerebbero degli esami al DAMS? Sa, anzi sai (ci diamo del tu), ho scritto molti saggi monografici su registi e attori.

– Hai scritto anche dei noir erotici, se è per questo.

So che te ne fanno una croce i bigotti e i moralisti. Ti vorrebbero sposato con la cosiddetta brava ragazza rompiballe e non vorrebbero che tu fossi autentico, sofferente nel tuo denudarti spudoratamente, insomma, desiderano che tu sia un critico della vita, del Cinema e di te stesso, soprattutto, come molti coglioni che si celano dietro i titoli accademici per trattare il prossimo, senza titolo, come freak.

– Quindi, secondo te, perderei del tempo a laurearmi?

– Certo, anche dei soldi.

– Dunque, sono più bello e più bravo di quelli che si fanno il culo?

– E che non si vede? Altrimenti, non scriveresti per me.

Stefano, lascia stare i nani, i dementi che si nascondono dietro una cattedra per essere fighi. Non ne hai bisogno.

– Ma tu sei un insegnante del DAMS.

– Sì, ma io sono io. Tu sei tu. E vai bene così.

Non ti vedo con la cravatta a romperti le palle per insegnare a ragazzi qualcosa che imparerebbero soltanto a memoria.

Non conosco né conobbi, nemmanco conoscerò nessuno dei miei allievi che sia diventato un grande regista o un grande attore.

Sono solo squali e squallidi stipendiati da giornali che li obbligano a scrivere che il film è bello per far felici tutti.

– Secondo te, Homeboy è un grande film?

– No ma, secondo te, sì. E so anche perché.

– Quindi?

– Quindi, ripeto, io sono io e a me non piace assolutamente. Ma tu sei tu e quindi, se ti piace, lasciatelo piacere.

– Ma dunque la Critica oggettiva e scolastica e/o universitaria non ha diritto più di (r)esistere.

– No, deve esistere. Per gli altri, non per te.

– E chi sono io?

– Lo sai chi sei.

– Non sono nessuno.

– Certo. Mi faresti riascoltare l’estratto da te recitato del tuo audiolibro?

– Volentieri.

– Sì, quindi tu non sei nessuno, vero?

 

Sì, lo so. Molti stronzi festeggiarono la mia morte con largo anticipo. Divertendosi come dei folli.
Mi spiace averli delusi.
E per quanto potranno accanirsi a darmi la patente di decerebrato, per quanto mi si scaglieranno contro con le loro assurde reprimende, prima di Pasqua pubblicherò un altro libro con una donna nuda in copertina.
Se a loro questo non piace, andassero a messa a pregare il dio dei poveretti.

 

https://www.amazon.it/La-prigionia-della-tua-levit%C3%A0/dp/B084QJNCHY/

Intanto, a causa del maledetto Coronavirus, stanno congelando tutte le uscite in sala. Nonno, questa volta è guerra pare non trovare proprio la luce, a differenza di me. Ritrovatomi nel giorno. Dopo essere stato ibernato per colpa del caso Weinstein, doveva essere distribuito a fine Aprile dalla Notorious Pictures.
Ma anche questa volta è slittato tutto.

 

Comunque, ora vi saluto. Lasciandovi con un video oramai virale:


 

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I migliori film sul pugilato, cioè nessuno, visto che non esistono. Come no? Provate a scorrere questa lista


07 Mar

homeboy

Ebbene, il pugilato. Definita/o arte nobile. Da chi?

Da un nobile, forse, picchiato… sì, nel cervello. Poiché darsi botte è quanto di meno altero possa esistere fra le persone umane. Se poi, invece, vogliamo regredire a un livello barbarico di lotte fratricide puramente sanguigne e sanguinarie, diciamo pure che i nobili, un tempo, sin dalle arene gladiatore in poi, assistettero a uomini, donne e animali massacrarsi per il loro sadico, bel diletto.

Ah, bella roba. Più che gente altera, ripeto, alterata di lesioni cerebrali. Con qualche distorsione mentale nient’affatto trascurabile, anzi, spesso incurabile. Parliamo, infatti, di persone toccate dalla nascita.

Più che dinastie di figli d’arte, privilegiate caste di persone molto abbienti ma che, secondo me, non è che stessero proprio benissimo, nonostante le case faraoniche di cui furono dotati.

Ricchi imperatori annoiati che, impotenti e dunque non potendo dare botte alle loro mogli, così come molte mummie di Tutankhamon, dopo aver mangiato un piatto di faraona, gustarono i poveri cristi che si scannarono come maiali.

Se fossi stato in loro, dinanzi a quegli spettacoli osceni, mi sarei bendato gli occhi prima di finire nella tomba/sarcofago di una piramide.

Sì, la società è piramidale. Si diverte chi sta al vertice. Chi sta nel mondo reale, poco regale, viene spesso sbattuto all’angolo.

Dunque, abbattiamo subito quest’idiozia secondo cui il pugilato sia un’arte nobile.

Diciamo anche, per dovere di cronaca, non so se commentata dal mitico Rino Tommasi, che il pugilato rappresentò per molta gente, perlopiù economicamente indigente, un modo assai manesco, ecco, per emanciparsi socialmente.

Infatti, non esistono film sul pugilato inteso come sport. Sempre che, stando a quello appena da me sopra scritto, di sport si possa parlare. Qui siamo lontani dalle sane competizioni agonistiche adorate perfino da Pier Paolo Pasolini. Come il sottoscritto, nato a Bologna, natio della città felsinea e mezz’ala fluidificante dotata di un destro fortissimo e di doti calcistiche abbinate a una prosa poetica di natura prettamente ficcante più di un fendente di Bonimba infilato in maniera deliziosamente balistica.

A volte, sì, sono un ballista ma anch’io, come Mark Wahlberg di The Fighter, adoro Amy Adams, la barista.

Sì, ha dei quadricipiti per cui mi spaccherei un menisco e, di colpo di reni da portiere che para tutte le palle, tranne le sue, giocherei con lei di palombelle di foglia morta dopo averlo infilato in saccoccia, gonfiando tutta la rete, sfilandomi i guanti e accarezzandole le gambe muscolosamente sensuali come quelle di Carolina Morace.

Ora, mi sto perdendo un’altra volta. Non datemi un Calcio, vi prego. Datemi un pugno e fate bene ad ammonirmi se ancora, per colpa di troppe pugnette, mi auto-(e)spellerò da ogni spogliatoio. Patendo docce fredde senza bagnoschiuma femminili.

Torniamo al pugilato. Ribadisco, non esistono film sulla boxe. Perfino il film Boxe con Gene Hackman non lo è del tutto. Il pugilato, infatti, nel Cinema fu (mal)trattato mille volte. Ma, a parte le pellicole documentaristiche, non c’è nessun film che non sia, più che un film su questa disciplina di combattimento fisico, nient’affatto figa, una metafora della vita. La vita intesa come prenderle e riceverle.

Resistendo a mazzate incredibili. Pigliamone ancora. No, prendiamo per esempio proprio Rocky. Anzi, l’intera sega, no, saga.

È più che un altro un franchise su un uomo, per l’appunto, bastonato come un cane che vive solo assieme a un cagnaccio. Ed è incazzato col mondo intero più di un bulldog.

Nel primo Rocky, a Rocky stesso non importa di averlo preso…, no, di aver perso ai punti. A lui importò non andare giù come uomo. Stessa cosa dicasi per uno dei miei must assoluti, lo stupendo Homeboy con Mickey Rourke. Il quale, dopo averne prese tante dalla gelosissima Carré Otis e dalla stessa sua ex, co-protagonista del film appena citatovi, Debra Feuer, arrivato alla sua età, oggi come oggi, la dovrebbe finire di pagare i suoi avversari, sul ring, per vincere incontri pateticamente truccati più del make up inguardabile della sua chirurgia facciale.

Sì, credo che Mickey Rourke sia matto. Per questo lo adoro. Nei nineties, anziché continuare a mettere a novanta la Otis, preferì darsi al pugilato. Facendosi mettere sotto da tutti. Vinse però anche parecchi incontri. Per forza, ripeto, fu già miliardario e allungò, più che pugni, il suo braccino a molti suoi rivali da lui pagati profumatamente affinché andassero giù.

Alla fine degli incontri, Mickey urlò Lassù qualcuno mi ama! Sì, tranne Carré che intanto lo tradì con uno più bello sia di lui che di Paul Newman.

Sì, uomini, quando penserete che la vita non più vi fotterà e vostra lei non vi metterà mai la corna, rimanendovi fedele come Adriana/Talia Shire, scoprirete la vostra Fat City. E, distrutti nel fegato amaro, vi lascerete andare. Non gettando la spugnetta, bensì bevendo come spugne. Diventando forse Rourke di Barfly oppure Toro scatenato. Capolavoro scorsesiano sull’autodistruzione.

Anche Alì di Michael Mann non è in realtà un biopic sul più grande pugile di tutti i tempi. Molti sostengono che sia Mike Tyson. Ovviamente, invece, è Muhammad. Anche se Sylvester Stallone, per questa mia affermazione indiscutibile, oserei dire apodittica e devastante più del knockout di George Foreman, mi prenderà a sberle. Ah, mio caro Sly. Hai anche tu una certa età e sinceramente sono più forte di Bob De Niro di Grudge Match. Ah ah.

Sarebbero da citare tante altre pellicole sul pugilato. Ma, se guarderete bene, non ne troverete nessuna.

Parlando invece di film sportivamente affini, personalmente adoro due cultKickboxing ma soprattutto Lionheart. Van Damme, un mito.

Di mio, non sono Jean-Claude. Quante botte che presi, cazzo. Roba che avrebbero sedato un cavallo. Malgrado ciò, il mio fisico ancora c’è tutto. Anche qualcos’altro, tranne quando faccio la spaccata. Sì, la vedo dura in questa posizione. Sì, puoi essere Muscles from Bruxelles ma lei, quel muscolo, messo così, non lo vede molto duro.

Diciamocela, uomini, quando sono in forma, non vi vedo proprio.

– Stefano, neanche le donne ti vedono.

– Sì, non importa. Sono Kevin Bacon di Hollow Man. Che/i cazzo mi frega?
Cosicché, cazzeggiando ancora, volteggio nella notte mentre mi adocchiate e, lo so, vi toccate.

Poiché quando ritorna Mickey, eh sì, sono cazzi.

No, non sono omosessuale, anzi. Ma dovete ammettere la verità. Forza, non siate gelosi.

Se voi donne, invece, voleste essere golose, picchiatemi pure.

Vi piace il ciuffo col gel?

Mickey-Rourke-da-giovane

di Stefano Falotico

Coronavirus, un virus letale di pandemia mondiale – I migliori film sull’argomento


05 Mar
CILLIAN MURPHY in 28 Days Later Filmstill - Editorial Use Only Ref:FB sales@capitalpictures.com www.capitalpictures.com Supplied by Capital Pictures

CILLIAN MURPHY
in 28 Days Later
Filmstill – Editorial Use Only
Ref:FB
sales@capitalpictures.com
www.capitalpictures.com
Supplied by Capital Pictures

stefano falotico homeboyRiferendomi a FilmTv.it.

Ebbene, promisi che avrei scritto solamente un post a settimana. Ma, vista la gravità in cui incombe la sanità mondiale, per qualche giorno, non inserirò recensioni, promettendomi d’inserirle prossimamente.

Ora, dico che questo scritto potrebbe essere frainteso. Come dirò, nelle righe seguenti, ora dobbiamo sorbirci soltanto notizie, ahinoi, incresciose e purtroppo gravi.

Citerò qui tre pellicole che, in qualche modo, sebbene assai dissimili nelle tematiche, negli assunti e negli sviluppi narrativi, sono associabili al coronavirus.

Innanzitutto, Virus letale. Il coronavirus, a quanto pare, è molto simile al virus “ignoto” in cui si parla nel film di Petersen. Simile all’ebola ma non diagnosticabile del tutto. Poi… E venne il giorno. Nel film di Shyamalan, non si tratta di un virus vero e proprio, bensì di qualcosa ancora una volta simile però, per certi versi, al coronavirus. Cioè, qualcosa arrivato praticamente dal nulla che contagia le persone a velocità pazzesca e infermabile.  Una sorta di Seme della follia alla Carpenter.

Se avete visto il film di Shyamalan, sapete bene che quello fu un morbo virale, forse di origine sovrannaturale e non scientificamente del tutto spiegabile, che portò la gente alla pazzia. Il coronavirus sta invece portando anche a stati di impazzimento sociale e di panico. Quindi, 28 giorni dopo di Danny Boyle. Un film apocalittico.

Poi, non per sembrare pateticamente autoreferenziale per l’ennesima volta, personalmente vi fu il mio cosiddetto male oscuro. Cioè l’apparentemente insanabile mia depressione annale. Che stette per distruggere ogni mia difesa immunitaria dell’anima. Ma non mi abbattei e combattei per vincerla.

Debbo ammettere che sottovalutai la situazione sin all’altro giorno. Mi parve infatti che, fra le persone, incitate dai soliti eccessivi mass media sensazionalistici, si fosse diffuso un allarmismo esagerato.

Invece, d’estremo malincuore, debbo constatare che purtroppo ciò che all’inizio mi sembrò qualcosa di trascurabile, ahinoi, si sta espandendo a macchia d’olio.

In questi giorni luttuosi e tristi in cui tetramente si stanno avvicendando, a velocità pazzesca, morti su morti inarrestabilmente, non rividi neanche le repliche del programma pomeridiano di attualità dal nome Tagadà.

Poiché quest’anno la faziosa, assai antipatica eppur inoppugnabilmente sexy Panella Tiziana mostrò le sue magnifiche, inarrivabili gambe scosciate soltanto un paio di volte. Rimanendo castigata in abiti talari e repressasi sensualmente in una capigliatura e in un look da sessantenne monaca di clausura.

Per cui, perdendo facilmente interesse per questo programma, peraltro apertamente schierato discutibilmente su una linea politica dichiaratamente di parte e a radicale favore di un opinabile partito non appartenente a quello del compianto Marco Pannella, non potendo unire l’utile al dilettevole, cioè rifarmi gli occhi sull’insuperabile milf Tiziana Panella, ammirandone estasiato i morbidi, suadenti, meravigliosi e selvaggi accavallamenti “gambali”, nel frattempo gustando gli stuzzicanti, stimolanti discussioni fra ospiti spesso culturalmente provoca(n)ti, eh eh, pensai fosse doveroso non informarmi in merito a tale “malattia venerea” che si sta propagando, mefitica, nei nostri corpi più delle sane e consapevoli libidini del maschio eterosessuale sessualmente di robusta e sana costituzione.

Sì, è una tragedia in atto. Pare infermabile questo morbo pandemico sul quale neppure gli scienziati e i medici più in gamba delle superbe gambe di Tiziana non capiscono un cazzo.

Al che, affidandomi alla mia imbattibile, resuscitata memoria, rimembro… il tempo in cui, piccolo quasi quanto Christina Bale de L’impero del Sole, eh già (Christian è classe ‘74, io del 1979), forse una delle migliori pellicole di Steven Spielberg in assoluto, datata 1987, nel 1986 anche qui in Italia furono tutti spaventati a morte dall’esplosione della centrale nucleare di Chernobyl.

Mi ricordo che, a quei tempi, fui in seconda elementare. E, al mattino, sbraitai come un matto peggiore di Christian Bale di American Psycho poiché, deprivato della mia colazione dei campioni, in quanto i miei genitori, terrorizzati che il latte fosse stato, più che parzialmente scremato, totalmente dalle radiazioni infettato, bevvi solamente acqua al mattino. Prima di recarmi alla scuola D. Sassoli ove, con tanto di grembiulino, da bravo bambino fui obbligato a studiare le tabelline poiché, pur essendo io già più enfant prodige di Christian, la Seconda guerra mondiale e il liceo scientifico Enrico Fermi avrebbero potuto aspettare ancora parecchio. Peraltro, m’iscrissi al Sabin. Mollando quasi subito poiché preferii, alle pedanti lezioni di Chimica, le mirabolanti regressioni infantili da Hook.

A proposito di Robin Williams di Jack e del piccolo grande uomo Dustin Hoffman, potremmo accostare il coronavirus al Virus letale di Wolfgang Petersen?

Petersen, regista de La storia infinita.

Le madri sono giustissimamente preoccupate che abbiano chiuso le scuole. I bambini, meno. Potranno volare sulle ali della fantasia in casa, accarezzando le morbide orecchie dei loro animali domestici.

Sì, bambini, finché potrete, non crescete mai.

La vita adulta, infatti, presenta molte problematiche. Se sarete omosessuali, semmai vi licenzieranno come Tom Hanks di Philadelphia, trovandovi una scusa bella e buona. In quanto omofobi.

Se invece siete eterosessuali che amano i Queen e Freddie Mercury, vi diranno che ascoltate musica da checche.

Se amate Bruce Springsteen, invece, vi diranno che siete troppo machi.

Per esempio, non capisco perché andiate matti per Glass e invece disprezzate il film più bello e maturo di M. Night Shyamalan. Ovvero E venne il giorno.

Sì, concordo con Enrico Ghezzi che lo definì un capolavoro. Sebbene molti di voi non l’abbiano capito.

Difatti, su metacritic.com ha una scandalosa media recensoria bassissima.

Sì, che grande film che è 28 giorni dopo.

Anche se, a mio avviso, sebbene buonista, la miglior pellicola di Danny Boyle è The Millionaire. Praticamente, la storia della mia vita.

Ora, la questione è questa. Come Stallone di Over the Top, nessuno credette che avessi una sola possibilità di vincere.

Poiché sbrigativamente, a proposito di pugilato, tutti pensarono che fossi tocco nel cervello come Mickey Rourke di Homeboy.

Peccato che sia un poeta. Carezzevole e melodico come Eric Clapton.

Sì, sono leggermente freak come Mickey Rourke. Meglio, no?

Noi tutti potremmo morire da un momento all’altro.

Lo seppe bene Adriana del secondo Rocky.

Sognate, amici, fratelli della notte. Non ammorbatevi. Vinceremo anche questa.

di Stefano Falotico

tiziana panella coronavirus

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An inexplicable and unstoppable event threatens not only humankind . . . but the most basic human instinct of them all: survival.

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I migliori film sulla boxe: scritto dedicato a ogni uomo BOMBER


16 Apr

wrestler rourke

Sì, l’altro giorno ho visto Hands of Stone. Film da me anche recensito. Nell’ultima mezz’ora il film emoziona ma oramai è troppo tardi. Comunque non del tutto disprezzabile.

E, sulla base delle emozioni suscitatemi, ispirato, come spesso accade, dal fascino muscolare di tale storia grintosa, ho deciso di scrivere tale pezzo.

Sì, io di film sulla boxe ne ho visti tanti. Compreso proprio Boxe. Uno dei peggiori film con Gene Hackman. Che c’azzecca in questa pellicola pessima uno dei più grandi attori di tutti i tempi?

Va be’.

Sì, facendo un po’ di promemoria, credo di aver visto tutti i massimi film sull’arte nobile.

Ma nobile di che?

La boxe è quanto di meno nobile possa esserci. Gli uomini sfogano rabbiosamente tutti gli istinti più bassi e animaleschi per primeggiare sull’avversario. Massacrandolo.

Chiariamoci, infatti. Oggi, questo genere di sport con tutte le sue varianti, kickboxing e jujutsu, è praticato da gente esibizionista che vuol mostrare i suoi fisici bestiali. Uomini che fanno sfoggio edonistico delle loro virtù atletico-combattive per aver presa su donne culturiste, spesso di scarsa cultura, che vanno matte per questi uomini palestrati che, anziché mangiarsi un bel piatto di maccheroni, curano la loro asciuttezza, soprattutto del cervello amorfo, in diete a base di proteine e Gatorade.

Insomma, uomini che potrei smontare soltanto col montante di un mio neurone ambidestro.

Un tempo, invece, la boxe era perlopiù praticata da gente povera. Gente morta di fame proprio come il mitico Roberto Durán.

Ecco, ora vi racconto questa. Il mio leggendario, ah ah, zio Nicola, prima di fare il muratore, fece per qualche mese il pugilatore. Eh sì.

Perché onestamente Nicola non era particolarmente acculturato. E, prima di rimediare il lavoro appunto di muratore (e già gli andò grassa perché nel Mezzogiorno il lavoro ha sempre scarseggiato), per sbarcare il lunario, pigliava la gente a pugni.

Un uomo pugnace, come si suol dire, Nicola.

Con un fisico della madonna. Senza paura di niente.

Andò anche a lavorare in Germania. Prima di rincasare nuovamente nel suo paese.

Fra quei crucchi, si ubriacò e scoppiò una rissa. Nicola, testa calda, prese a sberle chiunque. Poi, i suoi sfidanti, ripresisi dalle batoste devastanti, in massa lo inseguirono per i viottoli tedeschi. In segno di accesa vendetta.

Nicola allora se la vide brutta. Era tarda notte. L’appartamento, in cui alloggiava, distava miglia dal bar ove era avvenuto il tafferuglio.

Al che, Nicola si dileguò in un cimitero. Scavalcò il muro di cinta, non quello di Berlino, ah ah, e si nascose fra le lapidi.

Era però, come detto, sbronzo. E si addormentò. Di lui, i suoi inseguitori persero ogni traccia.

E Nicola passò tutta la notte, cullato da Morfeo, in compagnia dei morti. Roba da film di Romero.

Dico questo per farvi capire che la boxe era all’epoca un modo per riscattarsi socialmente.

Certo, avevi solo la quinta elementare e non ti assumevano neppure al banco dei salumi come Mickey Rourke di The Wrestler.

Mitico Mickey. Uno degli attori più belli del mondo, secondo me anche uno dei più bravi e carismatici.

Ma Mickey non poté più accontentarsi delle sue grandi interpretazioni nei film di Coppola e di Michael Cimino, allora divenne un homeboy.

Uh uh ah ah.

Divenendo, per un po’, anche pugile nella vita vera. Eh sì, dopo gli schiaffi di gelosia sferrati a Carré Otis, Mickey capì che, a differenza di Mike Tyson, non doveva maltrattare il gentil sesso ma sfogare le sue corna con stronzi più bastardi di lui.

Vinse perfino qualche incontro, peraltro più truccato della sua attuale chirurgia plastica e del suo odierno makeup.

Uh uh ah ah.

Ora, bando alle ciance. I più bei film sul pugilato sono questi:

Lassù qualcuno mi ama con uno forse più figo di Mickey, Paul Newman, Città amara – Fat City di John Huston (film che però vidi cinquemila anni fa e dovrei rivedere), ovviamente Rocky, Toro scatenato, The Boxer di Jim Sheridan con uno strepitoso Daniel Day-Lewis e Ali di Michael Mann.

Ce ne sono altri? Sì? Scusate, se non mi sovvengono. Suggeritemeli voi perché non ho voglia, adesso, di rammemorare tutto. Uh uh ah ah.

Sì, c’è anche The Fighter.

Film però come Rocky, Toro scatenato e The Boxer non sono propriamente film sulla boxe. Bensì film su personali storie difficili di uomini che, rispettivamente incasinati, trovarono la loro salvezza, il loro fuoco vitale nella gloria del ring.

Be’, Jake LaMotta non è che fece però una bella fine come il Balboa. Ma questo è un discorso sul quale potrebbe illuminarvi un altro campione assoluto. Però di Calcio. Diego Armando Maradona, forse più autodistruttivo di Jake.

Uh uh ah ah.

Comunque, amici, il più bel film sulla boxe è naturalmente, non ci sono dubbi, Bomber di Michele Lupo con Bud Spencer, Jerry Calà, Mike Miller detto Giorgione e Valeria Cavalli, una delle mie donne preferite della storia. Quando non era ancora una milfona.

Sì, epico!

Cinematograficamente davvero bassino. Ma altro che Stallone che le suona a Dolph Lundgren.

Qui parliamo di emozioni mille volte superiori.

Quando Bud guarda il suo ragazzo, lo rimprovera e poi capisce tutto.

E allora Bud diventa una furia scatenata, distruggendo Rosco con Gegia che incita la folla!

Apoteosi!

Libidine, doppia libidine, libidine coi fiocchi!

 

Infine, qual è il vero nome di Mike Miller? Potrebbe essere uguale al mio?

 

 

di Stefano Faloticohomeboy bomber spencer

La bellezza può essere un body horror croneberghiano di un uomo, così com’è successo al grande Mickey Rourke, un man on fire, totalmente bruciato


11 Apr

rourke

Sì, tre anni fa iniziai un libro su Mickey Rourke.

In stile Chuck Palahniuk. Poi lo interruppi perché, dopo essermi soffermato sulle sue migliori interpretazioni, non sapevo più che scrivere. Poiché Rourke, devastato da chirurgie plastiche, da donnette slave che gli son gravitate attorno, di ucraine e polacche, ha perso completamente il cervello e anche…

Ecco, io sono un fan mai visto di Mickey Rourke.

Mickey Rourke è un uomo cronenberghiano, un body horror vivente, un camaleonte della sua ex bellezza incommensurabile travolto da questo mondo odiosamente incentrato sul sesso.

A cui lui, abdicandone ingenuamente, offrendo il suo visino angelicamente diabolico, Angel Heart docet, Francesco della Cavani pure, si è donato in totale, magnanima offerta della sua potenza sensuale a pelle, diciamo.

Nel 2005, circa, un mio amico di Este, dopo avermi conosciuto, mi disse che assomigliavo sia appunto sia a Mickey Rourke che a Sam Rockwell.

E io:

– Io? Mickey Rourke? Cos’avrei di Mickey? Di mio, sono piuttosto sfigato.

– Questo è quello che credi tu. Perché vivi da semi-eremita, sei un mezzo monaco di clausura. Mi spiace confutare la percezione che hai di te stesso. Tu non appari affatto così. Ti sarò sincero. Fai veramente schifo. Sì, metti soggezione, è difficile fissarti per più di cinque secondi di fila. Hai pure gli occhi neri come Matt Dillon. Ma tu di questo non ne sei cosciente? Sei come cieco… non ti accorgi degli sguardi di quel tipo… vero?

Per questo, sei anche come Sam Rockwell. O meglio come alcuni suoi personaggi stralunati ed eccentrici.

– Ah sì? Quindi, ah ah, mi hai dato del pazzoide belloccio.

– Abbastanza, sì. Totalmente inconsapevole di sé stesso. Per questo gli altri di te che non capiscono niente. E neppure tu.

 

Sì, il povero Mickey è stato distrutto, divorato vivo dalla sua grandezza magnetica.

Mickey, figli cari, è un grandissimo attore. Pensate che bestemmi? Non credo proprio.

In Rusty il selvaggio, L’anno del dragone, Angel Heart appunto, anche Homeboy è impressionante la naturalezza carismatica con cui ha girato le scene. Puro istinto da Actor’s Studio a cazzo suo. Un genio.

Soltanto in pochi secondi di Rusty il selvaggio, nella scena in cui lui e Matt Dillon passeggiano, conversando fra loro, per le strade festose, illuminate dalle fluorescenze delle insegne e degli addobbi, oserei dire briosi e accesamente luccicanti come i loro rispettivi sex appeal malinconicamente gioiosi, il signor Mickey Rourke ha “steccato”, ha avuto un piccolo, impercettibile attimo di esitazione spaventosa.

Ma, essendo un piano sequenza molto lungo, Francis Ford Coppola ha lasciato correre. Pensando, fra sé e sé: Mickey, no! Va be’, non possiamo rifarla.

Sì, avete notato? Mickey non sa che fare con le braccia, poi le riporta attorno al petto, come uno ieratico saggio semi-ascetico e un po’ scemo, forse soltanto come un Marlon Brando ancor più bello.

Sì, io ho sempre schivato il sesso. Sempre, puntualmente.

Se fosse stato per me, sarei stato l’uomo con più ragazze della storia.

E dire che ero stato molto attento a non cascarci. Mi ero cautelato, mi ero volontariamente ammalato di metafisica e trascendenza per non frizionarmi negli erotismi, soprattutto di massa, di questa società laida e carnale.

Ma, ahimè, fu tutta colpa dell’ignoranza.

La gente non poteva più accettare un ragazzo di sana e robusta costituzione, vaccinato eppur scalognato che non voleva giocare di limonate e scaloppine.

E m’invogliò oscenamente a quello che avrete inteso.

Da allora, è stato veramente un incubo.

Telefonate in piena notte da parte di donne di ogni età, pedinamenti sotto casa da Glenn Close di Attrazione fatale, foto proibite inviatemi privatamente, denudazioni meschine e sfrontate, impavide e letali, una sciroccata che mi circuì e tentò d’adescarmi. Perché, se avessi accettato di andare a letto con lei, mi avrebbe raccomandato alla casa editrice Guanda.

Da me ebbe solo una portiera della macchina sbattuta in faccia.

Sì, nonostante tutto questo casino, di mio sto con la gamba accavallata sul divano e mi sparo un altro filmino.

Questo potrà farvi incazzare, ma io sono un diverso. Lo sono sempre stato.

E quello che voi avete fatto è stata una vergogna da poveretti maniaci.

Da dementi.

Come il mentecatto bavoso che, dietro il ridicolo nick di Brando, anni fa mi scrisse:

sei un coglione con una madre grassa e brutta e un padre idiota. E non sai che, mentre ti prendo il culo, sono con una bella guagliona a spassarmela. Fottiti!

 

Invero, scrisse ben di peggio.

Questa è stata comunque la frase di un ritardato che se l’andata a cercare.

E quello che gli è successo gli è stato solo giusto.

Un criminale ignobile, un mostro a cui ha buttato malissimo.

Perché a volte si può credere che dall’altra parte ci sia Tim Robbins di Mystic River e invece hai a che fare con uno dei più grandi amici di Rourke, Sean Penn.

Uno che si sdraia su una panca degli addominali alle 6 di mattina e, dopo cinque milioni di flessioni, si alza da essa a mezzogiorno.

E ti distrugge, piece by piece come Denzel Washington di Man on Fire.

 

di Stefano Falotico

TOP TEN Mickey Rourke


16 Nov

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Oggi vi parlo di Mickey Rourke, uno dei più grandi attori di tutti i tempi e senza dubbio una faccia da cazzo, infatti piaceva moltissimo alle donne, come pochi.

Un uomo sperperatosi, stupratosi da solo, uno che nella vita ha preso tantissimi pugni, infatti è stato anche un boxer. Nonostante gl’incontri truccati e le mille chirurgie facciali che l’han reso truccatissimo.

Qualche anno fa, con The Wrestler ottenne la sua prima nomination all’Oscar e ancor mi ricordo quando, Michael Douglas, sul palco, annunciò il vincitore, ovvero Sean Penn di Milk, e Mickey pensò fra sé e sé: ecco, il Golden Globe posso ficcarmelo nel culo. Ha vinto Sean, uno dei miei amici migliori che, ne La promessa, mi ha regalato un cammeo da Academy Award. Ora mi metto a piangere distrutto!

Sì, nonostante il Leone d’oro a The Wrestler e i plausi della Critica alla sua strepitosa interpretazione, Mickey pareva esser rinato. Ma Mickey è una capra, uno che ama troppo far le pecorine con le sue donnine, e va in giro per Beverly Hills vestito come un clochard.

E Hollywood dunque lo manda a cagare.

L’abbiamo visto da Paolo Bonolis ove, con coraggiosa sfacciataggine, ha ammesso che negli ultimi anni, oltre a sottoporsi a tremila operazioni di chirurgia estetica, appunto, è andato in cura da vari psichiatri. I quali non capiscono perché un uomo miliardario come lui abbia bisogno di usare il parrucchino argentato.

Mickey Rourke, che vi piaccia o meno e nonostante continui a sputtanarsi in film che non guarda neppure il suo cagnolino, è un grande.

Lo attestano le sue interpretazioni.

Ecco la mia classifica.

Al primo posto, Chinaski di Barfly. Un uomo ch’è una scoreggia ambulante, che beve come una spugna, trascurato, debosciato ma di gran cuore. Un uomo da Canzone dei folli.

Dunque Rusty il selvaggio. Qui, Mickey non ha niente da invidiare a Marlon Brando. Eh no.

Dopo di che, Stanley White de L’anno del dragone. Un film grandioso, d’altronde è del Cimino. Il film ha solo un evidente difetto. Mickey Rourke, in una scena ha i capelli brizzolati, poi neri, quindi bianchissimi. Ecco cosa succede quando il barbiere di un film è come Franco di Via Zanardi, ove vado io a tagliarmi il bulbo.

Angel Heart.

Ci metterei poi Homeboy. Sì, in questo film c’è la sua ex figa Debra Feuer. Una che ha recitato anche ne Il burbero con Celentano nei panni di Mary Cimino Machiavelli.

Sì, molti sostengono che Mickey sia andato a letto con molte cretine. Non si può dare torto a questa verità assoluta.

Vediamo un po’… The Wrestler. Inizialmente, il ruolo doveva andare a Nicolas Cage ma Nic rifiutò perché preferì girare Segnali dal futuro.

Ho detto tutto…

Francesco della Cavani! Sì, Mickey riesce a essere totalmente credibile nei panni del santo di Assisi nonostante il suo fisico da palestrato e la sua faccia da culo.

Non è da tutti. Ad esempio, molta gente, soprattutto in Italia, Paese di millantatori, si professa santa. E invece ogni notte va a zoccole. La mattina dopo accompagna i figli a scuola e alla domenica ascolta la Santa Messa.

Mickey invece è un uomo intoccabile. Lo si vede lontano un miglio ch’è un troione. Quindi, è perfetto nei panni di San Francesco, uno che parlava con gli uccelli e soprattutto con le passere.

Abbiamo dunque La vendetta di Carter. Mickey compare assai poco e interpreta come sempre la parte del porco.

Vestendo pellicce della Rinascente e attorniandosi, mi pare ovvio, di altre mignotte.

Un ruolo cucitogli su misura, come si suol dire.

Bene, abbiamo finito.

Ma come? Per arrivare a dieci ne mancano due.

Sì, ma Mickey è un attore da 8, dieci non se lo merita.

Ah ah.

 

di Stefano Falotico

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