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Playlist definitiva su Martin Scorsese: parlo per me, voi (de)scrivete la vostra Shutter Island, ah ah


05 Jul

jodie foster warhol

gambardella la grande bellezzaIn questo pezzo, vediamo se siete colti, troverete una bella anafora.
Ripetizione dello stesso termine con una sottilissima sfumatura.

Ecco, a pochi giorni dalla diffusione pubblica della mia recensione (anche in video) su Shutter Island, da me reputato un film concettualmente sbagliato e approssimativo in molti punti, neanche a farlo apposta, Federico Frusciante, sul suo canale YouTube, ha inserito la sua review Patreon del medesimo, identico film.

Pura casualità. Le nostre opinioni, in merito, sono assai divergenti sebbene collimino in molti punti.

Io “postai” la mia rece… in tempi non sospetti. Quindi, non posso minimamente essere accusato d’insospettabilità, ah ah, no, di aver fatto come sovente, ahimè, mi accade, il bastian contrario per puro spirito provocatorio.

E a proposito di purezza, mie schifezze… ah, La grande bellezza.

Fatto sta che, tralasciando le opinioni diverse a riguardo del succitato film di Scorsese, direi di partire da quest’immagine iconica di Jodie Foster. Apparsami in un gruppo Facebook di Cinema soltanto qualche giorno fa. Stranamente, da me mai vista prima. Dico stranamente poiché è/fu firmata da Andy Warhol e, raramente, di lui m’è sfuggito mai, se preferite, mi sfuggì, un solo suo ritratto. Sì, qui Andy ritrasse Jodie in tutto il suo splendore da ninfa purissima, ambiguamente perversa con tale suo furbetto sguardo ammiccante e vagamente, impercettibilmente perverso. Propendente, oserei dire, verso un civettuolo, seduttivo fascino incommensurabilmente castissimo da innocente Lolita già forse contaminata nell’anima… che bella bimba.

La purezza incarnata, priva d’ogni Hardcore schraderiano, forse post Taxi Driver?

Quando è stata scattata questa foto leggerissimamente ritoccata?

Tanti anni fa, esattamente un anno prima che su di me incombesse un ricovero da “manicomio criminale”, prim’ancora che, superando ogni vetta inimmaginabile della forza psicofisica più umanamente concepibile, mi scagionassi da ogni infondata accusa immonda delle più discriminative e stigmatizzanti, maggiorando la mia mente ed elevandola Al di là della vita, innalzandomi in una sorta di Bringing Out the Dead fatalmente miracoloso per me stesso resuscitato come Cristo il salvatore, quattamente indisturbato, pur essendo già, da tempo immemorabile, imputato di essere una persona disturbata e disturbante, più che altro recalcitrante ad omologarmi al porcile di massa, spesso nauseante e inducente a una sartriana repulsione verso le frivole socialità carnalmente edonistiche e facete, mi recai alla multisala di Rastignano, situata in provincia della mia natia Bologna, per assistere a un sottovalutato film per la regia di Neil Jordan. Ovvero Il buio dell’anima.

Stando alla generalista Wikipedia, luogo ameno ove imperano le banalità più mal assortite, spesso redatte da studenti che, dietro piccoli loro contributi sbrigativi, allestiscono semplicistiche sciocchezze figlie del loro relativismo tipico delle loro esistenze misere, perlomeno circoscritte alla loro età, per l’appunto, ancora inevitabilmente confusionaria e a farsi, in quanto ancora scevre del dolore e anche del piacere più umanamente, empaticamente sentiti, la pellicola di Jordan è stata (psico)analizzata all’acqua di rose, come si suol dire, entro la brevità di un’idiozia immonda peggiore del più sciocco proverbio del mondo. Che è… rosso di sera, bel tempo si spera.

La stronzata di Wikipedia, invece, è la seguente:

col passare del tempo, le ferite del corpo guariscono, ma non quelle dell’anima che faticano a cicatrizzarsi: in Erica nascerà un forte desiderio di vendetta che la spingerà a farsi giustizia da sola, interessandosi anche alle ingiustizie capitate ad altri vicini a lei.

Deduttiva e scontata scempiaggine inserita, certamente, da un ragazzo o da una ragazza sprovvisti della cultura cinematografica appartenente alla New Hollywood più stratificata e perciò complessa. Giovani inconsapevoli di soffrire di varie complicazioni difficilmente curabili, cioè dei precoci… inculati, poco addentro, per l’appunto, la veridicità più viscerale e senziente della loro stessa esistenza troppo immatura, troppo acerbamente impura ed esaltata per poter, con cognizione di causa, dissertare in ambito non solo ermeneutico, bensì più sincero soprattutto nei riguardi di sé stessi. In quanto, falsificando la propria coscienza nello svenderla all’apparenza più saputella, si palesano soltanto tristemente come biechi menzogneri auto-bardatisi nella finta, saccente boria di presuntuosi universitari, oserei dire untori, con la bava alla bocca e le cazzute, ridicole ambizioni a mille più cretinamente fottute.

Questi ragazzi non ce la faranno. Prima o poi crolleranno dinanzi all’orrore kurtziano della loro già avvenuta Apocalypse Now.

Lo so per certo, per vissuto personale poiché, oggi come oggi, io deambulo come un ectoplasma. Che vaga, gironzolando da zuzzurellone. A volte sono un po’ cafone, a volte critico i bugiardoni e non credo agli psicofarmaci con tanto di relativi bugiardini.

Dovrebbero, per esempio, finirla di puttaneggiare su Instagram, esponendo smorfie e boccacce che hanno poco a che vedere sia con la sana goliardia del Boccaccio che con l’immacolatezza stupenda della Foster sopra citata. Indubbiamente, eccitante.

Incarnazione della gioventù a farsi, in fiore a divenire e ad accoppiarsi, a copularsi, no, ad accorparsi nella graziosa forma artistica di un’intellettuale d’indubbia naturalezza e potenza carismatica impari, dannatamente bella e sensualissima nella lucida nitidezza delle sue mille, ipnotiche espressività fortissime dalle sfumature più soavemente cangianti e, per l’appunto, limpidissime.

Il buio dell’anima non è un grande film. È giustizialista e ovviamente non regge il confronto minimamente con Taxi Driver.

Anche se potremmo giocare di simpatici parallelismi meta-cinematografici. Se Jodie Foster/Iris non fosse stata salvata da Travis Bickle, se non fosse stata liberata dalle grinfie di quegli avidi speculatori del suo corpo da minorenne schifosamente sfruttata, forsanche stuprata, prima o poi avrebbe afferrato una 44 Magnum. E, a mo’ d’Ispettore Callaghan, no, di Scorsese nel suo cammeo devastante, anziché rivolgersi alla moglie fedifraga che tradì Martin con un ne(g)ro, in piena notte si sarebbe diretta, forse con taglio da mohicana da Chiara Ferragni che scelse il barbiere di Fedez anziché la parrucchiera di tua sorella, verso il covo del magnaccia Harvey Keitel/Sport.

Sfondandogli la porta, puntandogli la pistola alle palle e urlandogli:

– Sai come riduce un uomo una 44 Magnum fra le cosce?! Dovresti vedere come riduce un uomo, fra le gambe, una 44 Magnum. Sì, io t’ammazzo. Che posso fare, oramai? T’ammazzo, eh sì, t’ammazzo.

 

Sì, Jodie Foster non simpatizza molto per gli uomini. Infatti, è lesbica. Ah ah.

L’unico per cui simpatizzò fu Hannibal Lecter de Il silenzio degli innocenti. Ovvero un genio fottuto che la liberò dalle falsità ipocrite di un mondo (s)porco.

E, in modo mellifluo, implicitamente le lanciò tale messaggio inequivocabile:

– Clarice, fottitene. Odi, senti ancora il lamento di quei poveri animali scannati? Piangono ancora prima di essere macellati? Secondo te, ce la faranno tutti? Oppure impazziranno come Dente di fata di Manhunter? Hanno ancora i denti da latte. Allattali, no, allettali.

– Dottor Lecter, ho ancora dei brutti incubi. Li sento ancora.

– E che cazzo, ‘sti cazzi, Jodie. L’Oscar per Sotto accusa e per il film succitato da noi girato assieme allora non sono serviti a farti venire le palle. In effetti, hai ragione. Sei una donna. Con la gonna!

Ti capisco. Porta avanti con fierezza la tua femminilità e anche la tua diversa sessualità. Basta che non ti affili al movimento MeToo. È un movimento della minchia. È peggio di un circolo di cucito.

Sì, è pieno di donnacce che l’hanno preso solo nel didietro. Anzi, mi correggo. Non l’hanno preso in questo posto neanche dalle amanti del loro stesso sesso.

Sì, chi se l’incula queste qui? Si fottano!

– Gli uomini sono pure peggio.

– Ah, Clarice. Lo so bene. Altrimenti, perché m’avrebbero sbattuto qui, secondo te? Ah, ma io me ne sbatto!

– E che/i sbatte, dottor Lecter? Al massimo, può tirarsele sul catalogo di Postalmarket che le regala, a mo’ di sfottò, il Dr. Frederick Chilton.

– Sì, il direttore di questo manicomio ove m’hanno (in)castrato e inchiappettato, eh già, è un puttaniere semi-pedofilo. Altro che Chilton. Quello pensa alle children.

Per esempio, una volta m’accorsi che stava ammirando, con sguardo malandrino, una tua foto, cara Jodie.

– Quale foto?

– Quella dello spot Coppertone?

– Davvero? Ma allora è peggio di Miggs.

– Direi assai peggio. Almeno, Miggs/Stuart Rudin è un povero disgraziato quasi quanto George Noyce/Jackie Earle Haley di Shutter Island.

– Colui che ha interpretato il reboot, molto brutt’, di Nightmare nella parte di Freddy Krueger che fu dell’imbattibile, mitico Robert Englund? Attore che, alla pari di Anthony Perkins di Psyco, fu rovinato da un ruolo così comico, no, iconico? Appena la gente vedeva Anthony, no, non lei, Hopkins, bensì Perkins… pensava:

sì, è molto bravo ne Il processo. Ma siamo sicuri che non si sia inventato tutto? Visti i suoi trascorsi?

– Sì, Clarice, una situazione kafkiana da Fuori orario.

Povero Perkins. E povero Englund. Povero anche me! Uomini totalmente bruciati.

Ci vorrebbe Charlton Heston de L’infernale Quinlan per ripristinare un po’ di giustizia in questo mondo di falsi e di figli di zoccola.

– Ha ragione, dottore. Anche quello de I dieci comandamenti.

– Sì, pure quello de Il seme della follia.

– E di Ben-Hur, no?

– Scusa, Jodie/Clarice. Ti piaceva, per caso, Heston?

– Era oggettivamente un bell’uomo.

– Jodie, mi viene un dubbio. Posso farti… una domanda? Permettimi l’indiscrezione, la mia piccolissima investigazione.

– Chieda pure, dottore.

– Non è che per caso tu e Mel Gibson avete trombato?

– No, perché? Siamo stati soltanto colleghi di lavoro. Non dubiti. Posso mettervi la mano sul fuoco.

– Sì, per l’appunto, la mano sul fuoco… Perdonami, Clarice. Ho diffidato della tua buona f… a. Scusami, volevo dire, Fedez. No, fede.

– Dottore! È impazzito?

– Che io sia pazzo mi pare ovvio. Che tu sia lesbica non è invece tanto chiaro a tutt’oggi, eh.

– Perché mai?

– Secondo me, Jodie bella, fra te e Bob De Niro, a distanza di vent’anni da Taxi Driver, ci fu, diciamocela, una segreta scopatella. O no?

– Ma no?! Ma che va pensando?

– Scusa, non dovevi essere tu a dirigerlo in The Kingdom of Big Sugar? Detto anche Sugarland.

– Sì, più di una decade fa.

– E come mai non l’hai più diretto?

– Lui era sposato e non s’è fatto un cazzo.

Uhm, capisco. Però, vedi… Bob ha ora la sua età, certo, ma ha divorziato dalla moglie. Spinge ancora, malgrado tutto. Quindi…

– Quindi… che?

– Jodie, sei un’anima pia. Ha interpretato infatti The Dangerous Lives of Altar Boys. Fai una cosa. Vai a trovare Joker in manicomio. Tiralo un po’ su, ok?

– Sarà fatto.

 

Che c’entra tutto ciò con Scorsese? Ora, non so c’entrò fra Hopkins e la Foster, sicuramente Martin Scorsese è un genius. Secondo me, superiore ad Hannibal Lecter.

E questi sono i suoi sette massimi capolavori. Se non li avete mai visti almeno una volta in vita vostra, farete la fine di Ray Liotta in Hannibal. Appunto!

Avete oramai il cervello fritto e impanato. E, a mio avviso, anche qualcos’altro è tutto impantanato e sempre solamente dentro i pantaloni.

Insomma, ve la tirate e basta. Invece, dovreste amare la grande Jodie Foster a livello di purissima ammirazione e scopare una come Julianne Moore. Offrendole, dopo la notte “sanguinaria”, una dolcissima colazione.

Se non ce la fate, basta che non rompiate più il cazzo. Chiaro, coglioni?

Comunque, prima di sfilare la lista come una gran passerona in passerella, secondo voi perché mai chiesi a Frusciante di recensirmi Smoke e Lo spaventapasseri?

Potrei forse essere io il Keitel del film di Wayne Wang e l’Al Pacino del capolavoro di Jerry Schatzberg?

Oramai non più. Sono cazzi vostri, adesso, eh. Ah ah.

Infine, Keitel fu nel cast di Buffalo Bill e gli indiani mentre De Niro, oltre ad aver fatto il culo a Sport in Taxi Driver, in Heat fotté sia Amy Brenneman che il viscido…

Sì, che capolavoro, Heat. Un film che non è soltanto un western metropolitano ove tutti, chi più chi meno, metaforicamente e non, s’inchiappettano. Per dirla come Il Mago/Peter Boyle… tutti fregati.

Sparandosi a vicenda e tradendosi a ripetizione.

Un film ove, peraltro, l’attrice de Il cigno nero, depressa a morte, non riuscì neanche a farsi… Cioè bucarsi. A tagliarsi i polsi, però, sì. Ah ah.

Cavolo, se Al/Vincent Hanna non l’avesse salvata in extremis, Natalie sarebbe morta.

A causa dei suoi compagni di scuola che la bullizzavano.

Chiamate(mi) Léon.

Questi sono i sette film. A Bologna, invece, c’è Santo Stefano con le Sette Chiese. Vero?

Taxi Driver, Toro scatenato, Fuori orario, Quei bravi ragazzi, Casinò, Al di là della vita, The Irishman.

Ecco, se non v’è piaciuto o piacque oppure mai piacerà quest’ultimo, fatemi il piacere.

Siete retorici e siete froci.

Dunque, non può piacervi Jodie Foster.

Su questa freddura, vi lascio e sgattaiolo nella notte.

Come dice Joe Pesci, in Goodfellas, fanculo a mammata.

Da cui il film Mamma, ho perso l’aereo.

Mentre De Niro, in The Irishman, perse l’unico amico vero della sua vita del cazzo.

 

di Stefano Falotico

 

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Che bello, nonostante tutto, l’involontario franchise su Hannibal Lecter


25 Feb

red dragon norton

Sì, Red Dragon non è un grande film anche se in alcuni momenti lo è. Ma sono momenti sparuti in mezzo a circa due ore ove, più che spaventati, ci sentiamo spauriti da tanta sciatteria e facile commerciabilità.

Detto ciò, Red Dragon di Brett Ratner, come da me già sottolineato, non rappresenta il coronamento e il completamento di una trilogia incentrata sull’assai inquietante eppur irresistibilmente affascinante figura antropofaga dello psichiatra killer Hannibal Lecter. È una sorta di reboot sui generis e allo stesso tempo un mediocre remake dilatato e molto più cinematograficamente ed emotivamente piatto di Manhunter.

È un prequel dunque, altresì, de Il silenzio degli innocenti ove però, malgrado alcuni trucchi per ringiovanire Anthony Hopkins, Hopkins appare svogliato e stanco. In cui l’altro Anthony, cioè Heald, nella sua parte storica dello stronzissimo Dr. Frederick Chilton, prima ovviamente di essere cannibalizzato e assassinato, trucidato fuori scena da Lecter del sequel, per l’appunto, The Silence of the Lambis, appare sformato e anche lui bolso. Anzi, pare pure ritardato e tutta la sua smagliante, bastarda forma del precedente, dunque succedente (se preferite successivo, era per fare la rima baciata, eh eh) personaggio combaciante al suo stesso, da lui dapprima incarnato e poi scarnificato, ah ah, character, si perde in espressioni da semi-handicappato. Forse solo da attore quasi mai dal Cinema di serie A cagato e dunque ritornato nella Hollywood importante poiché solamente di cachet ben pagato.

Harvey Keitel rimpiazzò Scott Glenn nella parte di Jack Crawford. Ed è poco credibile poiché, se in Cop Land fu assolutamente pertinente la sua recitazione con accento newyorchese di Brooklyn, in quanto natio e quindi originario esattamente di quei luoghi, risulta invece stonato nei panni del super agente speciale dell’FBI.

La colpa fu di Dino De Laurentiis, detentore dei romanzi di Thomas Harris alla base di questa anomala trilogia semi-quadrilogia. A quei tempi, cioè pochi anni prima di morire, il grande Dino s’affezionò a Keitel, ficcandolo dappertutto. Lo inserì anche, di altro mostruoso miscasting, in U-571, sempre da lui prodotto.

Edward Norton, per quanto sia un attore potenzialmente molto più talentuoso ed espressivo di William Petersen, non regge il confronto col Will Graham, per l’appunto, di William.

In molte scene è magnetico. In tante altre sembra solo un viziato studentello di Yale col ciuffo platinato per piacere a qualche bombastica di Playboy.

Ralph Fiennes, di cui poi vi parlerò meglio, più che Lupo Mannaro/Dente di fata, sembra Johnny Depp/William Blake di Dead Man.

Cioè una Songs of Innocence senza Experience (capita la citazione?), ovvero Spider di Cronenberg con degli occhi da pesce lesso che ha appena assunto trecento gocce di Valium che però vorrebbe fare il macho da Grande Fratello con tanto di tatuaggio da burino, ex buon’anima di Pietro Taricone.

Philip Seymour Hoffman si vede pochissimo e devono avergli dato milioni di dollari per farsi crescere la panza più di quella che ebbe, facendo qui peraltro un cazzo. Anzi, denudandosi a torso nudo.

Ebbe ragione allora il cieco Al Pacino di Scent of a Woman a smutandarlo, no, a sbugiardarlo.

Bisogna essere proprio ciechi per fingere di terrorizzarsi così come invece fa lui, recitando malissimo, dinanzi a un Ralph Fiennes ignudo che non farebbe paura manco a mia nonna paterna coi mutandoni.

Sì, dirimpetto a questo Ralph, ci voleva la Sora Lella di Bianco, rosso e verdone. A dirgli ma che gnoccolone che sei. Ma che te credi che so’ così decrepita che me la faccio sotto?

E, a proposito di cecità, Emily Watson interpreta la parte di una cieca.

Lo è anche nella vita reale? No. Ma dovrebbe esserlo. È un’ottima attrice ma non deve guardarsi molto allo specchio. È veramente brutta forte.

Solo nella finzione, Daniel Day-Lewis si tolse/rese The Boxer per lei.

Ah ah.

Tutti i personaggi di Ralph Fiennes che, purtroppo, un adolescente medio è costretto a interpretare poiché glieli appioppano

Ma partiamo con Richard Gere. Per molto tempo le donne desiderarono appiopparselo ma lui non le vide proprio.

Di mio, posso affermare di aver vissuto una vita appagante. Poiché credo di non essere mai nato. Quindi, non me la sono mai davvero goduta. Meglio così. Avrei avuto troppe responsabilità se fossi stato identificato come un figo.

Già così come sono messo, faccio fatica a entrare in un locale affollato di grandi fighe. Sento i loro sguardi addosso. A volte sono di derisione, altre volte per niente.

Se fossi Richard Gere, andrei sempre in bagno. Per farmele? No, per farmela sotto. Cazzo, come fa un uomo solo a soddisfare l’intero genere femminile?

Non gliela popò, no, po’ fa’, infatti.

Sì, la vita di Richard Gere dev’essere stata una merda.

Io, al massimo, ebbi degli attimi durati a loro volta istanti infinitesimali nei quali m’angosciai, godendo. E viceversa.

Sì, ricevetti a mio danno molte diagnosi sbagliate. La patologia di cui evidentemente soffro è depressione bipolare con trascorsi, tutt’ora non sempre superati, di atimia e anedonia.

Ora, per essere un po’ goliardici, posso dire che l’atimia, erroneamente confusa con timidezza, è quell’atteggiamento che ti porta a non esternare le tue emozioni.

E che di conseguenza scatena l’anedonia appaiabile all’apatia. Anche all’abulia.

Cioè, puoi essere Richard Gere di Pretty Woman e incroci Julia Roberts che esibisce delle bellissime gambe inguainate da topa al top da spot Calzedonia, di cui fu, non so se sia ancora testimonial.

Di primo acchito, istintivamente, vorresti corteggiarla in maniera signorile eppure virile ma comunque da marpione come Gere di American Gigolo. Non importa se non hai il suo stile.

Ma sei affetto pure da disistima nei confronti di te stesso e non le sei affettuoso come vorresti. Sinceramente, come la vuoi in maniera impeccabile e al contempo peccaminosa.

Insomma, sogni sempre una vita in prima linea, da premier in pectore e da premiere in pompa magna ma rimani un ghiro alla Gere da L’incredibile vita di Norman.

Cioè, sostanzialmente uno che s’arrangia come può, alla bell’è meglio. Fra imbranataggini, effimeri sogni di gloria, un amico che ti fa la morale come Steve Buscemi e, semmai, pure una figlia che ti rivolge la parola solo trenta secondi prima dei titoli di coda del film Gli invisibili.

Ah, bella roba. Se a ciò aggiungiamo il fatto che non vuoi neppure avere figli ma, a differenza di Mr. Jones, neanche una sexy psichiatra come Lena Olin può salvarti e in bocca salivarti poiché non rinunci al tuo lato oscuro da The Jackal, conservando un fascino bestiale pur stando rinchiuso nella tua prigione, spesso non solo emotiva, mi dareste un motivo valido perché mai non dovrei sentirmi un invalido?

Sì, sono troppo intelligente per soccombere e darmi al suicidio. D’altronde, conosco molte persone che vanno matte per un film dolciastro e mielosamente strappalacrime, dunque insopportabile, come… Come un uragano.

Sì, esistono. Parlo degli uomini. Sognarono per anni la Diane Lane di Unfaithful, cioè una milf da pellicole softcore di Adrian Lyne ma non soltanto non incontrarono una Lolita ma adesso si sono ridotti a cantare, al plenilunio, con Joe Cocker di 9 settimane e ½. Denudando i loro pudori fottuti.

Ma sono uomini da pediluvio, dai. Nelle loro anime è un diluvio!

Sì, sono diventati come Mickey Rourke… di oggi. Semi-barboni che, per sanare i loro istinti lupeschi da volponi animaleschi e porcelleschi, si danno al Cinema più cazzuto di Joe Dante, eccitandosi da cinofili, no, da cinefili esaltati dinanzi alle scene da zoofilia, quasi da incazzosi e permalosi pensionati alla bocciofila più sporca, de L’ululato.

Lo dico da una vita. Molti uomini, da giovanissimi, furono puri come il Mowgai. Quando alcune donne li inzupparono nei loro bagnetti dopo la mezzanotte, la loro purezza andò a farsi friggere. E divennero dei Gremlins. Ma almeno vennero…?

Mah, degli Small Soldiers, diciamocela. Sanno tirare fuori le palle solo quando vivono nelle loto miniature da Benvenuti a Marwen. Degli uomini, più che danteschi e romantici come il sommo poeta Alighieri, sognatori d’un utopistico Ritorno al futuro dei loro conigli da Chi ha incastrato Roger Rabbit.

Insomma, dei castrati.

Ecco allora che, nostalgici e passatisti, rammemorano tutte le volte che da adolescenti furono davvero innamorati. Sebbene, vada detto, fossero stati anche integralmente, (in)consciamente deficienti.

Perlomeno furono, sono e forse sempre saranno dei dementi. Beati lori che non capiscono un cazzo e pensano, ahinoi, di essere invece degli dei scesi in terra.

Sì, sono talmente limitati che sanno commentare le foto delle modelle su Instagram con commenti veramente fantasiosi. Cioè… sei una dea.

Non è che vadano molto oltre.

Ma che Zeus vi fulmini! Ah ah. Anzi, come disse Christopher Lloyd di Ritorno al futuro, grande Giove!

Cioè, si credono fighi come Richard Gere ma in verità sono schizofrenici come i tre coprotagonisti di Three Christs. Cristo santo! Lo/i chiamavano Trinità

Che c’entra Ralph Fiennes?

C’entra eccome. Per anni costoro videro e bramarono Juliette Lewis di Cape Fear ma, anziché diventare dei lupi cattivi come Max Cady/De Niro, si diedero a fantasie virtuali come in Strange Days.

Poco erotiche e, a dircela tutta, poco eroiche. Autoerotiche, sì, però.

Pensano ancora di non avere nemmeno un tallone d’Achille di Troy ma se la tirano da Brad Pitt quando invece manco vanno a troie e continuano a tirarsela e basta, cazzo.

Almeno, Lenny Nero/Ralph trascorse veramente dei momenti piuttosto spinti con Juliette. Questi qua invece, anche se li spingi, non si sparano nemmeno. Se ne sparano e basta. Ah ah. Se li spingete però giù dal balcone, potrebbero anche non morire. Ed essere stati offesi e basta. Ah ah.

Sì, sono dei Francis Dolarhyde di Red Dragon. Si considerano diversi ma superiori e perfino ammazzano gli ebrei, metaforicamente i diversi veri e i diversamente abili, poiché pensano di volare alto/i come le aquile reali.

Loro, capisci, si sono evoluti. Sì, con la panza da Fiennes di Schindler’s List.

Un giorno si redimeranno come Magwitch di Grandi speranze?

O peggioreranno ancora di più? Oltre a essere dei mostri nell’anima, saranno demoni, no, deformi anche in viso e maggiormente terrificanti come Lord Voldemort degli ultimi Harry Potter?

Sì, loro sono cresciuti. Sono così cresciuti che praticano bullismo dietro una maschera.

Non è che siano invero le donne a cui Dolarhyde cavò gli occhi? Si mettessero gli occhiali.

Sono mentitori peggio di Pinocchio. Il quale, perlomeno, fu un burattino di legno creato da Collodi.

Sperano di fare all’amore con le belle donne laureatesi con lode ma, in tutta onestà, li vedrei bene in manicomio psichiatrico.

Sì, disprezzano i finocchi, ce l’hanno con tutti. Si accaniscono contro la società.

Se posso dare loro un altro coniglio, no, consiglio… basta che telefonino al centro di salute mentale loro più vicino e troveranno certamente una scema psicologa apprendista che, per fare esperienza, saprà imboccarli con un po’ di zucchero.

Sì, la maggior parte delle psicologhe sono delle frustrate sessuali. Oppure delle paracule. Coglionano i pazienti per prendere più… soldi. Che cazzo avevate capito? Ah, abboccate facilmente, eh?

Qualche volta, però, dal cielo scende uno più bravo a scrivere di Tarantino. Cioè Martin McDonagh di In Bruges – La coscienza dell’assassino. Al che avete ora di fronte un sensitivo come Will Graham unito al genio di Hannibal Lecter.

Non vi vedo benissimo. Voi che dite? Oh, se vi sentite troppo male, per radio passa ancora Eros Ramazzotti con La nostra vita. Sì, la canzone di un altro stronzo. Da quando vinse Sanremo con Terra promessa, pigliò tutti per fessi. Pure quella gran fessa che fu di Michelle Hunziker. Adesso Michelle non è più un’oca, prese tante oche. Avrà capito come cazzo vanno le cosce, no, le cose. No? Oh, tenerezze, vi si vuole bene, eh? Non solo non capirete mai un film di Bergman perché dentro certe cosce, no, cose non vi passaste, secondo me non capite manco che vivete felici perché siete da neuro.

Ci siete arrivati ora, finalmente?

Il più grande film di Cronenberg non è La mosca né A History of Violence, è Scanners. La storia di un diverso. Ma non diverso nel senso di matto o malato di mente o meno(a)mato. Un diverso superiore reso “cieco”. Perché neanche uno strizzacervelli… più cattivo di Michael Ironside riesce più a tenergli testa.

Ora, amici e (a)nemici, devo lasciarvi fuori. Mi sa che sono troppo grande per voi.

Buonanotte, idioti.

Andate tutti a letto e salutatemi le vostre madri. Le conobbi a fondo.

di Stefano Falotico

Le morbide notti di un uomo che ama l’Arte, il Cinema, la poesia, la musica e tutte le persone tranne sé stesso, ah ah


27 Jan

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silenzio degli innocenti jodie foster

Col tempo, sono divenuto in intrattenitore. Sì, la vita di molte persone è obiettivamente triste.

Dunque, io la allieto con stronzate che danno gusto alla moscezza. Diciamocelo pure, la vita di molti è inesistente. Loro pensano di vivere, in realtà non vivono la realtà, bensì il delirio che amano di più per sopportare la loro oscena realtà. Chiariamoci su questo punto perché è fondamentale.

Sì, molte persone, quasi tutte a dire il vero, sono idiote. A loro mancano i fondamentali.

Fondamentalmente, non capiscono un cazzo. E da questo spesso innato errore di partenza, eh già, si origina la schifezza.

Per cui, se come me soffrite di bellezza, vi diranno che siete brutti, malati e basta.

Ne conobbi molti di questi psicopatici. Sarebbero da internare, anzi sotterrare nel seminterrato manicomiale ove stazionò Hannibal Lecter. E sbattere… insieme a Stuart Rudin/Miggs de Il silenzio degli innocenti, appunto.

Ora, vedeste mai questo film? Come no? Un po’ sopravvalutato lo è. Rivisto col senno di poi, dobbiamo dire che Jodie Foster, in quanto a seno, sempre scarseggiò. Ma fu dalla nascita donna asessuata, no, assennata e, grazie ai preziosi consigli di Hannibal, riuscì a fottere Buffalo Bill.

Miggs disse, appena vide Clarice Starling/Jodie mettere piede vicino alla sua sella da cavallo impazzito, no, cella da uomo frustrato:

– Sento l’odore della tua fica.

 

Mah, lo misero dentro perché fu un maniaco sessuale? Ah, allora dovrebbero mettere dentro tutti.

Leggo dei commenti, sotto le foto delle modelle su Instagram, che sono (im)pure scortesie, come saggiamente, elegantemente asserì Hannibal, da punire e mangiare le loro lingue con del Chianti.

Sì, è un impazzare di volgarità, di profili falsi da identificare subito e, se non basterà Lecter per rintracciarli, chiameremo i due profiler di Mindhunter. Da non confondere con Manhunter. Poi, chiameremo Anna Torv e farà l’amore con Jodie Foster. Che è lesbica. Ah ah. Non sbellicatevi, non date di matto, non schizzate come Miggs.

Sì, è una società allo sbando. Molti, a differenza di Hannibal Lecter, pensano che a Firenze ci sia la Cappella Sistina. Ecco, gente così ignorante andrebbe presa per le cappelle e infilata nel pozzo nero ove Buffalo Bill nascose le sue vittime.

Sì, abbiamo donne coi barboncini, dunque figlie di senatrici come la povera Catherine Martin/Brooke Smith, che sono talmente piene di gioielli di famiglia, dunque annoiatissime, che pur di provare qualcosa di nuovo, se la fanno anche coi barboni.

Abbiamo persino uomini con la barbetta che non sanno chi sia Barbie.

Allora, abbiamo quello che si crede una rock star ma io non vedrei bene neanche come barman al Roxy Bar.

Abbiamo pure Vasco Rossi che cantò… voglio una vita spericolata ma di suo è abbastanza sfigato. Infatti, piace a molte persone, cioè la maggioranza.

E, come detto, la maggioranza riflette nelle canzonette la propria vita da mezze calzette.

Sì, sono giornate movimentate. Da venerdì sera a oggi, dimagrii quindici chili.

Venerdì scorso fui a Imola. Una full immersion in una mezza discoteca piena di ragazze bellissime che filmai di piano sequenza vertiginoso alla Brian De Palma di Snake Eyes. Saltellando come un Nic Cage al massimo storico, ovvero Richard Santoro su mio giubbotto alla Drive di Ryan Gosling.

Cioè, follia totale istrionicamente ben temperata dal mio carisma da uomo che, a prima vista, pare che non abbia una Mastercard Visa e valga zero, invece è solo zen(zero).

Sì, sono un essere camaleontico che mutò dopo tanti anni di mutismo. Ah ah. Questa è bella, anche quella lì, sembra Rebecca di Femme Fatale.

Sì, ma quale L’uomo che guarda. Ho poco da spartire con Tinto Brass.

Anzi, col passare del tempo, son passato dall’essere un voyeurista come Michelangelo Antonioni di Blow Up al divenire un semi John Travolta stravolto. Non di Blow Out e neppure de La febbre del sabato sera.

Con incredibili, fantasmagoriche serpentine e allucinanti mosse mie repentine apportate alla mia vita messa sottosopra tutta in una volta, cambiai il mio viso in una Face/Off che ora fa impallidire pure Antonio Banderas del capolavoro depalmiano sopraccitato.

Le donne s’eccitano, mi guardano e credono di essere Melanie Griffith di Omicidio a luci rosse.

Infatti, Melanie è sposata ad Antonio. Io non sono sposato a nessuna perché ora Melanie è vecchia e non lo farebbe Mai con uno sconosciuto.

Le donne? Sono sull’orlo di una crisi di nervi. Io le capisco ma poche volte le concupisco. A una offro un whisky, a un’altra offro un fanculo perché vomita stronzate che mi fanno venire… l’ernia al disco. Appunto, non è una disco?

Gironzolo con aria da Humphrey Bogart che non deve chiedere mai. Infatti, a forza di pagare il caffè alla cameriera, lei è ora ricca, molto sfondata, e può chiedere la mano dell’uomo più aziendalista.

No, lui non abbisogna di chiedergliela. È lui che, essendo per l’appunto miliardario, non deve pagarle nemmeno un aperitivo poiché tanto lei vuole bersi subito uno a cui dargliela di ogni liquido per poi prosciugargli il conto senza cannuccia in maniera viscida. Lei è caruccia, ben a lui lo ciuccia ma, nonostante la dia a tutti, è rimasta ciuca e legge ancora solo i libri di Moccia.

Il mondo è pieno di bambocci, di persone sboccate e bocciate e di donne che, pur non sapendo cosa sia una bocciofila, posseggono indubbiamente delle belle bocce.

Un’altra ragazza in fiore sboccia dopo aver frequentato solamente tamarri che fecero bisboccia e a cui, ingenuamente, offrì la sua vergine gnocca.

Io mangio un’altra albicocca, sgranchendomi le nocche e nessuno mi metterà in ginocchio tranne una che, forse, vorrà mettersi il mio pure in bocca. Al che è necessario cercare una posizione genuflessa, mie fesse… ah ah.

Di mio, a parte il cazzeggio, firmo un altro contratto di pubblicazione. Sebbene non firmi molti contatti di pubi nella fornicazione. Non sempre vivo un’esistenza fastosa e festosa, anzi, quasi mai.

Inoltre, giammai farò la fine di Leali Fausto e del Faust.

Evviva il Falò! Lui ne sa una più del diavolo.

E sapete perché? Perché è un uomo diabolico che mangia ogni Belzebù con tanto di angelico tiramisù. Ah ah.

Finale col botto, anche di botte a tutti. Sì, ubriacatevi.

Ecco il mio video su Woody Allen del mio pazzo, no, pezzo di ieri qui riproposto su faccia da culo che tutti e tutte fa impazzire. Tranne me stesso perché la mia autostima è andata a puttane e dunque, se da me cercherete un bacio, al massimo posso darvi un bacino, tirandomela pure come Scarface/Al Pacino.

E su quest’ultima cagata nemmeno di striscio vi lascio e mi ammazzo. Prima però piscio.

Tanto, domani sarò sempre qui a rompervi il cazzo.

Voi mi spaccherete il culo, lo so, ma con un’altra genialata riuscirò a fottervi e sarà di nuovo una frittata!

Questa vita fu una minchiata e sono stanco delle donne che, per non ingrassare, mangiano solamente l’insalata.

Conobbi una di cognome Ricotti che di me fu cotta ma sarebbe stato meglio se quella sera mi fossi dato al lotto poiché, dobbiamo dircela tutta, si rivelò soltanto una mignotta.

Mi baciò e io non ricambiai il bacio. Lei mi urlò che non ero cresciuto ma poi m’invitò, nella sua camera d’albergo, a vedere l’edizione degli Oscar in cui Clint Eastwood vinse per Million Dollar Baby.

Insomma, parimenti a Clint, non volli farla penare più di tanto.

Le praticai immediatamente un’eutanasia naturale:

– Cosa devo fare io? Coccolarti mentre ti commuovi per la vittoria di Clint?

Guarda, ho da fare stasera. Comunque, sul canale a luci rosse danno l’ultimo film di Gabriele Muccino.

– Stefano, Muccino non ha mai girato un film porno.

– Ah no? Ah, perdonami, hai ragione. Sai che io non capisco un cazzo. Ho confuso il titolo del suo primo film, Ecco fatto, per Ecco fatta.

 

Fu in quel preciso istante che lei capì che io sono un coglione inculabile e lei una zoccola difficilmente curabile. O viceversa, non lo so. Sì, mi spiace per molti di voi. Passerete tutta la vita a lagnarvi. Emozionandovi per film come Sette anime o La ricerca della felicità.

Ecco, domenica accadde una tragedia. Morì Kobe Bryant assieme a sua figlia. Federico Buffa non vede, invero, l’ora che qualche idolo sportivo muoia. Alla Pari di Bruno Vespa. Così, entrambi i volponi possono filmare altre agiografie su uomini di cui a loro non fregò una minchia per intascare ancora più soldoni. Tanto la gente ama la celebrazione della morte dei grandi o la magnificazione delle tragedie per sentirsi grande. E con questa la chiudo qui. Veramente devastante. Insomma, quando arriva il Falò, mi sa che potete già prepararvi per la sciolta… Sì, non faccio paura, al massimo qualche volta faccio schifo perché, come tutti, cago la diarrea. Ribalto ogni certezza data per assodata e non me la sono manco sudata. Sì, me la tiro in maniera svergognata. Voi invece, essendo dementi, dovete studiarvela. E mi sa, dunque, che da me riceverete soltanto un pugno in faccia. Mica pugnette.

Tu, vai a magnare la focaccia e leccati tutta la pummarola! Con tanto di pizzaiola e felice campagnola.

E ricordate: come disse Sophia Loren… accattatevelo!mai con uno sconosciuto banderas

di Stefano Falotico

Tutti gli attori a cui, negli adolescenziali deliri altrui fui paragonato, fra cui ovviamente De Niro e invece scoprii di essere la nemesi di Sean Penn e uguale a the greatest actor alive, cioè me stesso, ah ah


08 Jan

Sì, gli adolescenti sono come i Gremlins. Ovvero, dei burloni un po’ cattivelli, dei goliardici esseri mefistofelici che ti combinano scherzetti non dolcetti, spesso di pessimo gusto, sono cioè Michael Myers di Halloween.

Ah ah. Sì, attentano, poco attenti, insensibili e indelicati, cafoni e volgarissimi, indiscriminatamente, anzi criminosamente, alla sanità del tuo, anche inconsapevole, fare la bella figa come Jamie Lee Curtis.

Si acquattano dietro le siepi del tuo segret garden e ti tempestano di provocazioni a raffica. Accoltellano il tuo amor proprio, pugnalandoti spesso alle spalle con viltà immonda attraverso pettegolezzi degni della Santa Inquisizione. Per farla breve, essendo schizofrenici e né carne né pesce come Michael, invidiano la tua già sopraggiunta maturità e godono sadicamente nell’appiopparti e addosso appiccicarti una maschera da Scream.

Sì, dal profondo della notte della tua emotiva omeostasi, ecco che spuntano questi raccapriccianti babau semi-maniaci sessuali come Freddy Kruger di Nightmare.

Che io mi ricordi, me ne stetti bello spaparanzato a letto come Johnny Depp, ascoltando musica dalle cuffie, immaginando di essere cavalcato da una buona donzella come Winona Ryder ma, all’improvviso, qualche misterioso essere infingardo e fetente volle (in)castrarmi, affibbiandomi la patente del freak alla Tim Burton. Nel giro di pochi mesi, divenni la simbiosi del sembiante di Eward mani di forbice e pure Venom il simbionte. Mi fu data l’etichetta di orco, di orso, di porco e pure di sporco. Dico, robe da matti.

Di mio, volli solo un po’ tirarmela. Sì, che c’è di male mettersi in un cantuccio, appartarsi al buio e spararsene più di una sullo spogliarello della Lee Curtis in True Lies?

Sì, lo ammetto, fui un bugiardo mai visto. Soprattutto mai visto. Ma posso altresì affermare, con enorme orgoglio, che non mi sparai affatto, un po’ sparii, sì, ma volevo bombare, bombardare anche la Lee Curtis di Una poltrona per due. Insomma, in parole povere, non fui un poveraccio finto disgraziato come Eddie Murphy del film suddetto né un cocchino viziato e miliardario come Dan Aykroyd.

Di mio, diciamo che cazzeggiai, in ogni senso e in ogni seno. Avrei da narrarvene anche delle mie avventure notturne su tutti i b movies della regina dei softcore che furono, Shannon Tweed.

Oggi, sono comunque cresciuto. Shannon è invecchiata, non le darei nemmeno un Kiss come Gene Simmons. Mi sono dato a fantasie più corpose come Nicole Aniston e Alanah Rae.

Adorai non solo le bionde, cioè la Peroni e Alexis Texas, una con un culone e un ottimo paio di tettone, ma anche le more e le rosse come Penny Flame e Chanel Preston.

Sì, io la vidi precocemente… questa vita. Fui talmente oltre e dotato che gli altri pensarono che fossi cieco come Pacino di Scent of a Woman. Vale a dire uno che se ne fotte bellamente. Meglio, questa mia sana lontananza dai miei coetanei deficienti e miopi, eh già, mi permise oggi di realizzare un audiolibro per non vedenti. Lo vedrete, no, ah ah, lo sentirete nei prossimi giorni.

Le donne, ascoltando la mia voce, calda e profonda, non avranno bisogno di toccarmi dal vivo né, appunto, di vedermi realmente. Al solo risuonare delle mie corde vocali, grideranno di piacere mai immaginato, fantastico.

Si chiama potenza creativa che, soltanto col potere mellifluo, delle tonalità sonore più piacevoli, eccita il gentil sesso e fa urlare ogni donna più di Katia Ricciarelli.

Sì, m’elevai, figurativamente e non. Perciò, fui sfigurato e additato come sfigato.

Fui facilmente coglionato in quanto gradii non mischiarmi ai cazzoni di massa.

Sono ancora ben tenuto e, come detto, so essere pure un tenore.

So essere tenero e molto duro se voglio. Se lei vuole, posso spingere ancora di più.

Per via del fascino mio grezzo da lupo solitario alla Sean Penn, in questi anni fui contattato su Facebook e altrove da donne molto più belle di Robin Wright e Charlize Theron. Ma posso dirvi che non volli mai incontrarle. Mi parvero solamente delle zoccole come Scarlett Johansson.

Sì, delle Black Dahlia, delle Black Widow.

Fidatevi, non ammogliatevi con Scarlett. Un giorno farete la fine di Adam Driver di Storia di un matrimonio.

Ora, uno dei più grossi misteri cinematografici della storia è questo:

cosa disse all’orecchio, nel finale di Lost in Translation, Bill Murray a Scarlett?

Disse:

– Sei carina, sei simpatica e io ti piaccio. Ma non voglio disilluderti con la mia amarezza. Durerà poco fra me e te. Ora, può darsi pure che durerà tutta la notte, indubbiamente sei molto sexy.

Ma, già il mattino dopo, non ne verrà un cazzo.

 

Sì, per molto tempo, persi inevitabilmente il contatto con la realtà. Allora, suggestionato da adulti imbecilli e da coetanei indifferenti, pensai di essere un diverso.

I bambini furono e sono ancora gli altri. Io sempre sospettai che fossero ritardati. Le offese che ancora mi mandano, sotto profili fake, denotano che non si sono evoluti neanche negli insulti.

Di mio, non assomiglio, per esempio, a Bob De Niro. Io ho il neo sulla guancia opposta e mi pare ancora troppo presto per dire che sono andato a letto presto come Noodles di C’era una volta in America.

Non m’interessa se mi scoreggiate, mi scoraggiate o se mi correggiate un congiuntivo anche perché voi non sapete coniugare il condizionale dell’esistenza.

Siete ammalati di resipiscenza e pensate che io soffra di un male che neppure la scienza di dottori affetti da senescenza e demenza potrebbe sanarmi.

Quindi, siete insani. Sì, solo quando sono Joker, un pagliaccio ipocondriaco, un malinconico con attimi folli di euforia contagiosa come John Belushi di The Blues Brothers, sto bene e sono me stesso.

No, non mi vedo a insegnare ai ragazzi in un liceo. Non mi vedo a fare l’impiegato comunale.

Mi vedo a essere come Anthony Hopkins de Il silenzio degli innocenti. Purtroppo, che vi piaccia o no, posseggo lo sguardo e il carisma per esserlo. Sì, non sono un cannibale né uno psichiatra. Anzi, furono gli altri a volermi mangiare vivo e a psicanalizzarmi. Spesso, sono talmente depresso che faccio lo stronzo come Hannibal Lecter. Così come Hannibal dinanzi al senatore donna.

Cosicché, mi piglio degli insulti agghiaccianti. Ma sì, tanto oramai non mi fa né caldo né freddo.

A un certo punto, caccio una risposta che lascia tutti spiazzati. Anche spezzati.

È quello che nel grande Cinema si chiama colpo di scena. Nel silenzio degli innocenti, invece, si chiama colpo di cena. Avrei da dirvene anche su John Cena. E poi citerò una pornostar con cui John fu wrestler, soprattutto le mostrò il suo muscolo più wurstel.

Nella realtà, si chiama figura di merda/e. Quella che fecero, eh sì, che feci, gli stronzi.

Ora, scusate, non ho nessun amico per cena. Anche perché è tardi, sono però insonne.

Vediamo se posso tirarmela ancora su Kendra Lust. Sì, mi spiace avervi deluso. Non sono Woody Allen, detesto il Cinema nostalgico di Fellini, odio il passatismo di Pupi Avati, adoro Michael Mann e Nicolas Winding Refn. Fra l’altro, il signor Mann sono anni che non gira nulla. Che fa? Sta in casa e guarda i porno?

Sono una testa di cazzo. E non ho alcuna intenzione di fare UTurn. Se invece, in questo mio caso, continuate a non capirci una minchia, riguardate JFK e fottetevi con le teorie complottiste di Oliver Stone. Un altro che, Ogni maledetta domenica, non dovrebbe andare a messa da ipocrita qual è.

Sì, sono un Cicciobello, non lo sapevate? Che potete farmi?

Sono il lupus in fabula.

Sì, non ci so fare con le ragazze.

Per finire, vi racconto questa.

Scrivo a una:

– Possiamo incontrarci?

– Va bene, solo però per amicizia.

– Certo. Non avevo dubbi. Io di solito non piaccio per altre cose…

– Perfetto.

– Posso dirti una cosa?

– Certamente.

– Assomigli a Kristen Stewart.

– Sì, me lo dicono in tanti.

– Bene, quindi c’incontriamo per amicizia. Ecco, diciamo che non è consigliabile per gli equilibri emotivi di un ragazzo avere di fronte una come Kristen Stewart.

– Ah ah, perché?

– Perché sono un trasformista e, se voglio, posso assomigliare a Robert Pattinson.

Questa dicasi freddura alla Hannibal Lecter che offre due possibilità: o lei ti manda a fare in culo subito oppure ti manda a fare in culo dopo tre secondi. Sì, non esistono alternative. Se a dire ciò foste stati voi. Insomma, mi tengo la mia faccia da sberlone. Voi prendetevi C’era una volta a… Hollywood e rincoglionitevi, segandovi su Tarantino. Non è colpa vostra, siete dei cessi come Tarantino. Avete una sola chance, spacciarvi per geniali. Ma mi sa che da tempo non usate i genitali.

 

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di Stefano Falotico

IL SILENZIO DEGLI INNOCENTI: Video-recensione dal libro di Jürgen Müller e tutto ciò che aveste sempre immaginato impossibile su di me e invece vi ho mangiato vivi


30 Jul
SILENCE OF THE LAMBS, Jodie Foster, 1991

SILENCE OF THE LAMBS, Jodie Foster, 1991

Nel video dico che Ted Levine è morto. Come no?

Più morto di così, si muore.

Muore pure in Heat. Ah ah.

Ecco, recentemente, ho vinto un concorso letterario.

Contenente un mio racconto, intitolato Un angelico miracolo. Facente parte di una raccolta antologica edita dalla Historica Edizioni.

Ecco, voi conoscete le regole dell’editoria, giusto? Ebbene, il racconto da me contenuto in questo libro non è la versione originale da me inizialmente proposta.

Io ho uno stile barocco, dantesco, arcaico e forse aulico. Uno stile che poco si addice ai canoni commerciali di quest’odierna cultura impostata sul mercantilismo.

Dunque, quelli d’Historica, rimanendo comunque ottimamente impressionati dal mio testo, mi chiesero di approntare al testo stesso molte correzioni al fine di rendere più fruibile a tutti il mio racconto. Mi domandarono cioè una versione, diciamo, più giornalistica e intelligibile da chiunque.

Dopo circa due ore, mandai loro una versione più semplice. Quella da loro pubblicata.

Ma voglio qui farvi leggere la versione, appunto, oserei dire primordiale, pura. Da me partorita nella reminiscenza dei miei cangevoli stati emotivi che sorsero, o meglio, rinacquero allora. Nel tempo e nell’istante (de)fratturante nel quale risorsi. Nella fonte battesimale d’una sorgente luminosa, riarsa in me, m’abbeverai.

Sì, questo è il mio racconto. Ed è per questo che, pur riconoscendo che Gangs of New York non sia un capolavoro, ne sono indissolubilmente, affettivamente, visceralmente legato.

La mia vita è stata contrassegnata dalla stranezza più imponderabile.

Segnali della mia rinascenza s’intravidero dopo il servizio civile. Perché in quel luogo, a contatto nuovamente con la realtà giornaliera, già i ricordi, in me assopitisi e offuscatisi in cupi, malinconici, quasi manicomiali anni di letargo psicologico e pseudo-adulta incomprensione altrui, cominciarono a far scricchiolare la parete stagna delle mie emozioni per immemorabile tempo raffreddatesi e seppellitesi vive.

È quella che in psicanalisi viene chiamata rimozione. Qualcosa deve avermi turbato, qualcosa d’ancestrale, cosicché la mia adolescenza giammai esistette appieno. Vagò ermetica di notte in notte nel crepuscolo delle mie ansie divoranti e lunatiche. Bruciacchiando in estemporanee euforie che sparivano però in fretta.

Da cui la sublimazione. La sublimazione avviene quando, per allontanare appunto qualcosa che inconsciamente c’angoscia, si sposta il campo percettivo-emotivo spesso all’interno dell’introversione solitaria.

I meccanismi difensivi della mente per difendersi da qualcosa che la perturba possono essere di vario tipo. Ci si può ammalare di manie igieniche, di rituali compulsivi al fine di sigillare il tormento esistenziale in tutta una serie di strategie comportamentali atte a proteggere il proprio secret garden.

Ogni stato alterato di coscienza non è qualcosa che si studi a tavolino.

Cioè, non è che uno se ne sta bello seduto e pensa… oh, adesso impazzisco.

Si diviene folli o ci s’avvicina alla follia per tutta una serie incalcolabile di reazioni e fattori.

Il novanta per cento delle persone affette da qualche patologia, una volta contagiate dalla cosiddetta malattia mentale da loro stesse indirettamente eretta e sviluppata, eh già, non ne escono più.

Si dice anche che siamo tutti matti. Soltanto i matti più ingenui vengono però diagnosticati matti. Gli altri, i falsi sani, rimarranno matti sin in punto di morte, forse avranno perfino ottenuto gloria, fortuna e successo ma non avranno mai capito, così come d’altronde neanche coloro di cui si sono circondati lo capiscono e capirono, di essere solamente, totalmente fuori di testa.

Pensiamo a Hitler, uno dei più grandi psicopatici della storia.

Lui nemmeno in punto di morte comprese di essere un mostro. A tutt’oggi, i filonazisti non hanno capito, appunto, così come non lo compresero i suoi fedeli, i quali gli leccarono pure il culo smodatamente, di essere personaggi da internare.

Anzi, al contrario pensa(ro)no che siano le persone normali quelle da bruciare…

Ecco il racconto…

Un angelico miracolo durante la premiere di un film con DiCaprio

Salve,
mi presento.

Sono un uomo di trentotto anni e amo definirmi un menestrello pindarico, un funambolico poeta dell’immaginazione perché in me la fantasia più alata regna sovrana e incontrastata. Sebbene il mondo, con le sue trappole ricattatorie e le sue regole mendaci, abrasivamente spesso ci costringa a barricarci nella pigra, grigia alterigia e nell’osservanza dei superficiali valori sol improntati all’apparenza più edonistica.

No, io ostinatamente, coraggiosamente ancor inseguo, ghermisco e fortissimamente, irresistibilmente bramo quegli spazi materialmente intangibili ma vividi d’armonico splendore del cuore mio più incandescente, predatore dei più sentiti, personali e squillanti amori. Ove il magma candido dei miei sognanti nitori possa spandersi al di là dei tetri orizzonti miserabilmente angoscianti della vita che è sovente tanto abietta nella sua tetraggine più meschina e scevra d’ogni infuocante, marmoreo, vitalissimo ardore.

E ancor non mi rassegno a dar le dimissioni dalla mia sfrenata passione per la venustà leggiadra del mio innato romanticismo puro, invero, ahimè, da tanti cinici osteggiato.

Ora vi racconto un’incredibile storia accadutami anni fa. Non pretendo che crediate sia vera, appare a me stesso tanto fantomaticamente assurda che i miei stessi sensi ancor increduli e perplessi di oggi vorrebbero respingerla, ma poi puntualmente abdico all’inevitabile verità eccezionale che a me, in tutta la sua magniloquente potenza, fulgida e roboante come un bacio d’angelo bianchissimo sceso dal cielo a illuminarmi, mi si para dinanzi tutt’ora con ipnotico, inesorabile, magico furore.

Rimembro la mia adolescenza spesso così tanto funestata da patetici lamenti, da un perenne, esistenziale tormento che, nella sua agonizzante, schiacciante, opprimente tristizia, mi soggiogava in stati d’animo d’insopprimibile malinconia come se fossi un fantasma vagante in un animo che, un po’ masochista, scacciava ogni spontanea gioia e ogni più lieta, naturale letizia.

Sì, ero immensamente depresso, tanto da chiudermi nel più assoluto mutismo. E avevo soppresso ogni slancio fieramente vitalistico, imprigionandomi in un ectoplasmatico cuore mio emozionalmente asmatico.

Ma comunque vivevo, altresì, di poderose passioni, come quella fortunatamente ancor in me furente per il grande Cinema più splendente.

Così, di buona lena, abbandonando momentaneamente le mie melanconiche, addoloranti inerzie, mi diressi a Roma, per assistere alla prima del film Gangs of New York con protagonista Leonardo DiCaprio.

Era l’11 Gennaio del 2003, sì, una quindicina di anni fa. Ah, come scorre celermente il tempo quando, adesso che superate le tristezze di quel mio paralizzante, emotivo spazio-tempo tanto a me affliggente, qui felicemente ricordo con nostalgia commovente quell’attimo miracoloso tanto infinitamente suadente. Dopo tante ipocondrie strazianti, il vigoroso attimo indimenticabile più lucente.

Sì, perché me ne stavo lì tra la folla osannante il suo beniamino e all’improvviso avvertii un lancinante intorbidimento dei miei sensi, cosicché fui prossimo allo svenimento più stordente.

Sì, l’ultima volta che in vita mia davvero ero stato spensierato e felice, avvenne molti anni or sono, molto prima di quella premiere.

Sempre a Roma quando, a pochi mesi dalla mia tribolata adolescenza, mi trovai nella bellissima capitale in gita scolastica. Ah, che periodo stupendamente ridente.

Si giocava, si scherzava, nell’animo si danzava squillanti.

Mai più, da allora, mi ero sentito tanto euforico e baldanzoso, robustamente, sì, orgogliosamente, vividamente adolescente e placidamente festante e pimpante.

Mai da allora più sentii in me scorrere la forza della vita più magnificamente sfavillante.

Non so cosa esattamente a Roma, lì, in quell’istante mi accadde.

Per molto tempo fui sentimentalmente arido e cieco ma finalmente udii rimbombare nella mia anima, com’irradiata dall’alto da un’illuminazione soavemente ardente, un brivido piacevolissimamente terremotante.

E tremai, dapprima impaurito da quel devastante fulmine emotivo piovutomi dentro l’anima turbata e di colpo rinvigoritasi in modo tanto bruciante che il mio spento cuore trafisse a ciel sereno in maniera meravigliosamente a me luminescente e tonante, quindi rividi il mondo con enorme chiarezza stupefacente.

Ero di nuovo vivo e innamorato del mondo.

Sì, così come se durante quella gita scolastica qualcosa di nefasto e misteriosamente inquietante mi successe e inconsciamente m’indusse poi a esiliarmi e a vivere sempre strozzato nella cupa nerezza della depressione più lancinante ma quindi, nuovamente ritrovatomi a Roma, per strano, non pronosticabile e imperscrutabile, fatale e sbalorditivo scherzo del destino, proprio lì, riscoccò in me la memoria del tempo perduto, il fulgore dopo tanto patito e perfino compatito, auto-ingannevole dolore. E risi fra lo sgomento, il terrore e il mio riagguantato, per troppo tempo smarritosi, sconvolgente amore.

Secondo me questo è stato un miracolo. Chiamatelo tenero, dolce, inaspettato e inaudito calore!

Io credo davvero che lo sia stato.

Tutto qui.

Ecco, vedete, credo che a leggere di quest’esperienza senza averla vissuta, si può rimanere indifferenti. E questa breve storia può indubbiamente apparire perfino banale e sciocca. E, ripeto, mai e poi mai pretenderò che possiate prenderla seriamente.

Io so che stentiate a credermi. E, per certi versi, come potrei darvi certamente torto?

Vorrei farvi credere che un semplice viaggio a Roma abbia in un nanosecondo cancellato tanta mia vita affaticata e affranta?

E che davvero dal cielo io sia stato prodigiosamente illuminato da una radente, angelica grazia a infondermi la scintilla vitale per immemorabile tempo in me offuscatasi?

Non so. Io ripenso oggi a quest’episodio con lucidità e puntiglio estremamente raziocinante e non addivengo a nessuna scientifica, chiarificatrice spiegazione logica.

Come mai però, in quell’interminabile, martellante intervallo di tempo, nella mestizia più sconsolante mi ottenebrai e, oserei persino dire, un po’ ingenuamente vagai fra umori così rabbuianti e una coscienza mia mai davvero di vita scalpitante, soffocato da continue, imperterrite, emozionali intermittenze? E poi, in un istante incantato, rinacqui?

Sì perché da allora, dopo quella mia visita a Roma, il mio cuore si rinvigorì di ritrovata e forse dall’alto a me ancor concordata, armonia e interiore, florida bellezza?

Questa è la mia verità e di verità, assurde, grottesche, surreali e allucinanti è fatto il nostro mondo, pervaso com’è innatamente e dannatissimamente da profondissimi e arcani, irrisolti misteri divini insondabili e addirittura perturbanti, davvero inquietanti.

Si racconta anche che Roma non sia stata costruita in un giorno ma poi si trasformò in un prosperoso, immane impero, che poi soccombette dinanzi alla sua tragica caduta e che, dalle ceneri del suo tristissimo disfacimento, in gloria e folgorata da nuova luce risorse come il mio stesso umore rivitalizzato di riafferrata temerarietà del cuore.

Ci avete mai pensato? Si nasce, si muore e si rinasce ancora, inseguendo altre abbaglianti, calorose aurore, con riscaturito, sfrecciante ardore. Fra altri sofferti dolori ancora bloccati dai nostri stupidi o vigliacchi pudori.

E a questo miracolo non credo ci sia né mai potrà esserci una veritiera, innegabile, realistica spiegazione.

Perché questa è la vita nel suo incedere tanto esoterico e strambo e noi siamo stelle viaggianti in quest’altalenante, incerto ma affascinante spegnersi e riesplodere dei nostri rinnegati e ritrovati amori, persi magnificamente in tale insistente, battente, eterno essere, fin alla morte, senzienti e presenti.

Figli del nostro inesplorabile destino.

Ma ora… Un antico proverbio dice che non c’è mai due senza tre. Quindi, vi chiederete se da allora io sia ritornato a Roma.

Sì, son stato altre volte a Roma. Ma non è successo niente.

No, posso dirlo in tutta sfacciata franchezza, non è il tipo di città in cui vivrei, è storicamente importantissima, architettonicamente un capolavoro vivente, ma è troppo frenetica, cinetica, caotica e frastornante per un tipo come me.

Che or riama la vita ma allo stesso tempo ama anche la paciosa rilassatezza sanamente inquieta di un’esistenza che vive nel suo appartato, tranquillo, più discreto cogliermi in ogni silenzioso e poi sonante, interiore rumore.

 

Ora, il mio cambiamento di personalità non è avvenuto a quel tempo, era invero avvenuto prima.

Sì, era prima che non ero io. Perché mi negai per sopperire all’ansia della vita.

Io non sono mai stato escluso da nessuno. Anzi, fin dalla primissima infanzia, hanno fatto tutti a gara per stare in mia compagnia.

La mia consapevolezza creò una spaccatura vertiginosa fra il prima e il dopo.

Ora, vi è tutto chiaro o devo farvi un disegnino?

Detto ciò, Il silenzio degli innocenti è un grande film ma il materiale che affronta in due ore è troppo vasto e complesso affinché io possa definirlo un capolavoro.

Ad esempio, di Hannibal Lecter ci viene accennato solo il suo passato nel gioco speculare dei dialoghi fra lui e Clarice Starling ma tutto rimane molto in superficie.

Così come la figura di Buffalo Bill. È caratterizzata con troppa banalità. Tagliata, è il caso di dirlo, con l’accetta.

Cioè, secondo Demme e lo sceneggiatore Ted Dally, Buffalo ammazza le donne solo perché le desidera ma non può averle perché in cuor suo sogna proprio di essere una donna?

No, è una conclusione troppo sbrigativa e, appunto, commerciale. Così com’è commerciale il libro di Thomas Harris che ne è all’origine.

Pur riconoscendo l’immenso valore de Il silenzio degli innocenti, è stato involontariamente il progenitore di tutta una serie di pellicole dozzinali e orribili sui serial killer.

Concludo così…

Da svariati mesi, un mio hater su YouTube continua ad accennare robustamente al mio passato per andare sempre a sollecitare il mio trauma superato. Nel tentativo di cristallizzarmi nella malinconia meno reattiva.

Poiché è troppo vigliacco per ammettere che, contro di me, ha perso.

Dunque, provoca in maniera anonima per indurmi a reazioni scriteriate tali che lui possa ancora una volta dimostrare l’assunto del suo insanabile, terrificante disegno criminoso.

Adesso, finalmente ci siete arrivati?

Il mostro è lui.

Vedete, quasi sempre la criminologia e la psichiatra sono scienze esatte, checché se ne dica.

Dai film, abbiamo imparato che l’assassino torna sempre sul luogo del delitto per sincerarsi che il suo delitto sia stato perfetto.

È proprio questo suo vizio a smascherarlo. Dunque, traslando questa sua procedura mentale, era ovvio che prima o poi sarebbe tornato dal sottoscritto, sebbene in forma “invisibile”, per provocare ancora. Io e lui vedemmo Il silenzio degli innocenti per la prima volta assieme quando eravamo molto piccoli.

Io sono cresciuto, lui no.

Manhunter è un film superiore al Silenzio degli innocenti. È un film struggente e straziante.

Alla fine di questo film sentiamo la frase: ce l’hanno fatta quasi tutti.

Ora, che significa?

È materia pasoliniana, questa.

Dente di fata è un diverso, cioè la sua atimia gli ha impedito di vivere una vita cosiddetta normale.

Al che incontra il personaggio interpretato da Joan Allen. Anche lei è diversa. È cieca.

Sono due solitudini che s’incontrano, che si amano con dolcezza infinita.

Però, dobbiamo considerare ciò. Ecco, Dente di fata nel frattempo era diventato “matto”, al che scorge un attimo, un bagliore di luce attraverso l’amore disinteressato di una donna per certi versi simile a lui. Se n’infatua.

Ma è soltanto un fuggevole istante, un battito cardiaco subito infartuato dal ritorno potente dei suoi demoni dostoevskijani.

Un’illusione.

Stamattina, ad esempio, ero in macchina e ho ascoltato la speaker tessere le lodi della cantante Elodie, dicendo… ma avete visto quanto è diventata figa?

Ora, a me Elodie non piace né come cantante né come donna. Ma devo ammettere che ha subito una metamorfosi piuttosto sconvolgente. Agli esordi, era timidissima, impacciata, molto chiusa.

Al che, i produttori discografici devono averle detto:

– Elodie, guarda, la tua voce per la musica italiana e per i gusti medi va molto bene. Però, dobbiamo vendere. Tu devi diventare più figa e più sicura di te. La gente nota subito, a prima vista, se una persona è debole.

Devi cioè saperti vendere.

 

Torniamo dunque a Pasolini. Al solito, aveva ragione.

I genitori di oggi, di conseguenza la società attuale, non è vero che si preoccupino della vera educazione dei propri figli. Sono interessati soltanto che appaiano belli e forti. Cioè che siano delle merci.

Da questo plateale inganno nasce tutto il disagio a cui stiamo assistendo.

L’uomo, così come la donna, non sono nati per essere degli animali imborghesiti.

È la nostra anima che ci distingue dalle scimmie, il cui istinto predominante è il senso dell’animalità.

Ciò che la nostra società pare che stia trascurando. Saranno sempre di più, quindi, quelli che non ce la faranno. E si ammaleranno.

Tornando invece a me. L’ignoranza è cattiva consigliera. Dunque, se uno si “ammala”, gli altri pensano che stia facendo il furbo per non andare in guerra e lo definiscono pure coglione. Debbo ammettere che molti anni fa sbagliai. Non dovevo reagire alle provocazioni, facendomi del male. Dovevo fare come Al Pacino di Scent of a Woman quando il cognato scherza oltre il dovuto. Al, all’improvviso, pur essendo cieco, lo afferra per la carotide e lo sbatte contro il muro.

Chi sono oggi? Conan il barbaro mi fa un baffo.

Sì, oramai mi son indurito anche troppo. Potete scaricarmi addosso le peggiori offese, le più cruente reprimende e, anziché indebolirmi, diverrò sempre più forte, più veloce, più devastante.

Allora, il demente impunito persevera: ah ah, ti vedrei bene come Fantozzi e impiegato del catasto. Ah ah.

 

No, mi spiace deluderlo. Io sono un poeta. Gli farò pure schifo ma Fantozzi è suo padre che lo ha educato male.

Sono molto cattivo quando voglio.

Suvvia, andate a preparare il pranzo.

Ah ah.

Sì, ho attualmente un solo punto debole, la Kryptonite. Per forza sono o non criptico?

Ma che volete decriptare?

Ah ah.

Lo so, sono insopportabile. Mi pare ovvio. O no?

Ora, Superman è un personaggio della fantasia. Il Genius-Pop è reale.

Sì, sono anche assai solidale. Ogni sera vado a cenare assieme al Joker.

 

di Stefano Falotico

Omaggio al grande Rutger Hauer, la mia vita da replicante ricorda la Total Recall delle mie origini da Paul Verhoeven


24 Jul

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Sono specializzato, d’altronde, nelle freddure.

Ebbene, lo sappiamo. Se n’è andato anche un altro maledetto per antonomasia.

Ovvero, il grande Rutger Hauer, protagonista di tante pellicole memorabili, altresì onnivoro, cinematograficamente parlando, d’innumerevoli schifezze.

Born:

January 23, 1944 in Breukelen, Utrecht, Netherlands

Died:

July 19, 2019 (age 75) in Netherlands

Ora, nato a Breukelen, vale a dire in Olanda, cioè i Paesi Bassi ove purtroppo abitano a tutt’oggi molti italiani che, semmai, stazionano fisicamente a Milano ma nel cervello sono poco statuari, diciamo.

Breukelen, da non confondere dunque con Brooklyn, chiamata a sua volta da quelli di Little Italy as Broccolino.

Voi siete sempre brocchi e poi, umiliati da voi stes(s)i, sbroccate. Dando voce al peggio delle vostre bocche sboccate.

Abbisognate di più bocciature.

Di mio, sono bassino, solo uno e 68, portabile al metro e settanta se indosso scarpe da ginnastica coi tacchetti e potabile a uno e sessanta dopo una giornata di merda per cui ho la schiena a pezzi.

Sì, m’ingobbisco, mi rannicchio e soffro tutte le osteoporosi possibili.

A me furono fatte peraltro varie diagnosi totalmente erronee e ora erro, anti-eroe, in una zona di prognosi riservata, in uno spazio-tempo melanconico simile al celeberrimo monologo finale di Blade Runner.

Per cui s’utilizzarono molte scene di Shining. E ho detto tutto…

Sì, vago da Lupo solitario come il primo film da regista di Sean Penn, ricordando che fui young e ora sono un Indiana Jones solo delle mie tempie maledette, distrutte da emicranie che mi donano, si fa per dire, una semi-paresi facciale da Ryan Gosling di Blade Runner 2049.

Questo Ryan, cazzo, non muove un muscolo facciale ma riesce a essere più carismatico di Takeshi Kitano.

Kitano soffre, per caso, della paralisi di Bell? E allora come mai non è bello come Gosling?

Sì, l’ho già detto ma lo ripeto. In Drive, Gosling ha recitato invero il remake di Hana-bi – Fiori di fuoco.

In realtà, la storia è molto diversa. Ma le atmosfere di Nicolas Winding Refn ricordano molto quelle malinconiche del capolavoro kitaniano par excellence.

Insomma, se proprio vogliamo sintetizzare, alla buona, la trama di Drive:

un uomo che, a prima vista, potrebbe sembrare Kurt Russell di A prova di morte, si dimostrerà esattamente il contrario. Laddove Kurt fu misogino e testa di cazzo sfasciacarrozze, Gosling sogna invece con Carey Mulligan solo un amore pirotecnico da fuochi passionali assai poco artificiali, dei fiori di figa per farla breve, ma fanno fuori il suo unico amico, quello sposato con la sua prediletta con cui non finì mai a letto e scoppiò un bordello.

Sì, su per giù, questa è la trama.

Abbiamo anche quel brutto uomo di Hellboy, Ron Perlman. Ancora una volta nella parte dell’uomo a cui nessuna donna assennata, di sesso assetata, direbbe… ehi, sei un playboy, di nome Nino.

Mentre ne Il nome della rosa fu Salvatore di nome ma non di fatto per sé stesso. Tant’è che lo bruciarono vivo.

Ah ah.

Di mio, per anni m’hanno ridicolizzato, trattandomi da bambino quando invero avevo già un ottimo cosino, mi sfottevano, urlandomi:

– Ehi, Stefanino, anche oggi l’hai pigliato nel c… ino?

 

Sì, guardate, uno schifo. Una vita piena di botte…, mie mezzeseghe.

Ma andiamo con calma. Sempre meglio comunque che finire come quei minchioni esaltati che vanno soltanto, da mattina a sera, a mignotte.

Vado dallo psicanalista e mi sdraio sul lettino. Lo psicanalista è un uomo, non è dunque Lorraine Bracco dei Soprano…

– Allora, qual è la diagnosi del cazzo, dottorino?

– Falotico, lei non soffre di nulla.

– Ah no?

– No, ma se continuerà per la sua strada, farà la fine di Ray Liotta di Quei bravi ragazzi.

– Non è un grosso problema. Sempre meglio che finire come Joe Pesci.

Guardi, le sarò franco. Se io fossi davvero un gangster come James Gandolfini, lei sarebbe la mia Lorraine. Potrei pure innamorarmi di lei. Ha delle gambe stupende. Ma Lorraine è una gatta da pelare. Ottima figa, per carità, ma l’ha mai visto Tracce di rosso? In quel film, Lorraine tocca l’apice della gnocca, ma che zoccola…

– Dunque, che vuole fare nella vita?

– Non lo so. Canterò Luna di Gianni Togni e Il cielo è sempre più blu di Rino Gaetano. Anche Gianna!

– Un po’ pochino, Stefanino.

– Sì, ma vale la pena elevarsi? Ci si brucia presto. Pensi a Roy Batty…

Io ne ho viste cose…

– Ah sì? Mi racconti. Sono interessato. Mi tolga anche una curiosità. Ha visto anche molte cosce?

– Sì, gliel’ho detto, Lorraine Bracco ha un paio di cosce, almeno le aveva, da guinness dei primati. Sì, vai da Lorraine, lei è mora sebbene spesso si tinga di biondo, le offri una bionda, lei ci sta e diventi un primate.

Forse, sei talmente eccitato, da battere pure ogni primato.

– Cioè? Questa non l’ho capita.

– Ah, lei non ha di questi problemi. Con quella faccia… sembra Billy Crystal di Terapia e pallottole, lo sa?

– Ecco, a parte gli scherzi, mi dica. Lei mi ricorda la ragazzina di Ecce Bombo…

– Sì, faccio cos(c)evedo gente…

– Sostanzialmente, non fa niente.

– Diciamo che mi arrangio. Non sono un Soldato d’Orange.

Che poi, caro mio, uno crede all’amore e a dio ma è capace che un vescovo gli lanciai una maledizione da Ladyhawke.

Sì, ad Aguillon, preferisco gli aquiloni.

Comunque, è un casino essere un uomo, sa? Ci sono dappertutto degli attentatori dei nostri volatili…

Per dirla alla Lino Banfi, sono volatili per diabetici, cioè cazzi amari.

In Ladyhawke, Hauer è un falco, in Nighthawks è uno psicopatico che ammazza quelle più bone come Michelle Pfeiffer.

Al che interviene lo Stallone en travesti.

Cioè, per ammazzare questo porco che uccide come ne Il silenzio degli innocenti, indossa i panni di Buffalo Bill.

Il silenzio degli innocenti è un film reazionario, peggiore di Cobra.

Scusi, lei è uno psicanalista, giusto?

Mi spieghi il finale.

Allora, questa Clarice Starling va in manicomio… da Hannibal Lecter. L’unico che può aiutarla a capire la mente di Buffalo.

Che cazzo se n’è fatta di tutte quelle splendide delucidazioni, se poi, anziché aiutare Buffalo e curarlo, lo ammazza come una Furia cieca neanche avesse di fronte il protagonista di The Hitcher?

Buffalo non era un matto incurabile come John Ryder, era un uomo con dei problemi. Lei doveva salvarlo.

Peraltro, Jodie Foster è pure lesbica… sa com’è? Poteva addirittura sposarsi Buffalo. Avrebbero vissuto felici e contenti.

– Secondo me, Falotico, di lei nessuno ha capito chi sia davvero.

Lei è forse Andreas Kartack de La leggenda del santo bevitore.

Ma non voglio santificarla. Lei è un peccatore come tutti.

Sa che Anthony Hopkins, prima di vincere l’Oscar per il menzionato film di Jonathan Demme, era come lei, in questo momento?

Sì, pensava sempre al suicidio. Era perfino alcolizzato. Lei non è alcolizzato ma tabagista, questo sì.

Ora, il nostro colloquio è finito. Alla prossima.

Ma, prima di salutarla, mi dica… le piace ancora Cristina Quaranta?

– Certo. Come fa a saperlo?

– Ho appena visto il suo video su YouTube. Quali sono le sue bionde preferite?

Anche Katarina Vasilissa de L’uomo che guarda è stata un mio must per an(n)i.

Gliela faccio io, ora, una domanda.

Che ha da guardarmi?

– Lei mi piace, sa?

– Ah, ora capisco il significato del termine psic-ANAL-ista.

Non mi rilascia neanche la ricevuta fiscale.

Morale della favola:

mai pensare di avere a che fare con un agnellino quando invece hai dinanzi uno con una mente che ti sbrana.

 

di Stefano Falotico

Non siete Lynch né Scorsese, non siete Stephen King né Thomas Harris, abbassate le creste


29 May

deniro irishman

 

Ancora consigli per giovani scrittori di belle speranze e per inesperti cineasti alle prime armi, abbassate il tiro, pure Scorsese ha ora dei ripensamenti sugli effetti speciali del ringiovanimento in CGI di The Irishman.

Sì, avete letto l’intervista di Scorsese al Guardian?

Scorsese, visto il protrarsi inimmaginabile della post-produzione di The Irishman, ritardo imprevisto e assai spropositato dovuto al massiccio, sesquipedale, faraonico impiego sconsiderato degli effetti speciali deaging di De Niro, Pacino, Pesci e compagnia bella, ha detto che non avrebbe mai, appunto, pensato che il tutto sarebbe risultato così difficile.

Avrebbe potuto semplicemente realizzare un’epopea gangsteristica da C’era una volta in America, forse scegliendo il sottoscritto come “sosia” di De Niro da giovane, eh eh. Anziché affidarsi alla Industrial Light & Magic.

Sì, The Irishman sarà un film epocale e storico sia nel senso di sviluppo narrativo e filologico di un’era oramai appartenente al passato, sia nell’accezione di storico in senso propriamente figurato del termine. Cioè, un film che con tutta probabilità entrerà di diritto, da instant classic fenomenale, nella storia.

Perlomeno, considerando le credenziali di uno come Scorsese, un regista pazzesco, noi tutti amanti della Settima Arte più alta ed eccelsa, vivamente ci auguriamo che questo possa gloriosamente avvenire e che The Irishman, di conseguenza, nel suo avveniristico alternarsi di flashback proustiani, rappresenti immediatamente il futuro a venire del Cinema stesso.

Sino ad ora, il ringiovanimento attoriale è stato limitato a pochissime scene di scarsissimo minutaggio ove l’Anthony Hopkins di turno di Westworld o Michael Douglas di Ant-Man sono apparsi ritoccati e rinverditi dai fasti computeristici delle super moderne tecnologie più futuristiche e avanguardistiche.

A quanto pare, per metà della durata di The Irishman, invece vedremo De Niro e Pacino giovanissimi come ai tempi de Il padrino e del suo sequel.

De Niro che è l’unico interprete nella storia del Cinema, appunto, ad aver vinto l’Oscar, come miglior attore non protagonista, per lo stesso personaggio oscarizzato di Don Vito Corleone interpretato dal suo putativo padre dell’Actor’s Studio, ovvero Marlon Brando.

E Pacino, come sappiamo, di entrambi è stato il loro figlio ereditario Michael.

The Irishman, strepitoso meta-cinema alla massima potenza. Il primo film in assoluto ove De Niro non viene interpretato da giovane, che ne so, da un clone che vagamente gli possa somigliare, come avvenuto per esempio in Red Lights, bensì da lui stesso in carne e ossa digitalizzate.

Scorsese, in questa suddetta intervista, ha ammesso che pensava sarebbe stato più semplice ringiovanire gli attori.

E i primi risultati non l’avevano convinto affatto. Un conto è, appunto, ringiovanire un attore per una scena di pochissimi secondi, come lo stesso De Niro di Joy, ove l’attore semmai non ha nemmeno delle battute e fissa per impercettibili istanti il vuoto con un’espressione catatonica, tutta un’altra storia… invece riuscire a ricreare l’espressività mobile e polimorfica di un attore che prima è incazzato e poi, alla Marlon Brando, improvvisamente parla unicamente, malinconicamente con lo sguardo, stando muto e senza proferire nulla.

Brando l’ha sempre detto. Un grande attore non si vede solo quando recita lunghi monologhi, bensì anche e soprattutto quando, pur stando zitto, riesce a parlare alle anime degli spettatori solamente con un’occhiata.

Brando, Pacino e De Niro sono campioni in questo.

Vale a dire nel saper comunicare enormi emozioni soltanto tintinnando il capo come lo stesso De Niro/Noodles del capolavoro succitato di Sergio Leone.

Una bella gatta da pelare, Martin. Siamo sicuri che riusciremo a vedere The Irishman prima che tu, De Niro, eccetera eccetera, sarete già nella tomba e vi ringiovaniranno solo i cinefili passatistici e nostalgici del Cinema delle memorie perdute?

Invece, cambiando discorso ma rimanendo in tema di storia però attuale…

Voi, belli miei, che continuate a idolatrare le Strade perdute di Lynch e vi sdoppiate come in Mulholland Drive, vivendo segregati in casa come Elephant Man e sognando di accarezzare à la Velluto blu la vostra Isabella Rossellini, ex compagna di Lynch e Scorsese, peraltro, non è che mi diverrete, oltre che frustrati, anche asmatici e pervertiti come Dennis Hopper?

Sì, la dovreste veramente finire di credervi psichiatri indagatori della mente umana come Hannibal Lecter, a proposito di Hopkins, cannibalizzando voi stessi in vampirismi degni di un becero horror di Stephen King.

Sognate di essere i nuovi anfitrioni e i rivoluzionari padri della letteratura più profetica e millenaristica, invece non avete capito né Snowpiercer né perché, con due lauree all’attivo, avete meno soldi del vostro vicino di casa.

Il quale non sa neppure chi siano Scorsese e Lynch ma è più ricco e porco di Ed Harris del film appena menzionato di Bong Joon-ho.

Sapete perché è avvenuto questo? Perché siete i classici tipi che, anziché aiutarsi a vicenda, emarginate il prossimo solo perché, d’ingenuissimo refuso trascurabilissimo, scrive Basilicata al posto di Basilica e avete passato la vostra giovinezza a pontificare sul mondo manco se aveste ottant’anni suonati come il Bergoglio.

Che è un grand’uomo, a prescindere che voi siate cristiani o no, mentre voi siete solo dei moscerini moralistici e più rincoglioniti di un rintronato in stato avanzato di demenza senile.

Sapete come ho fatto io a ringiovanire nel viso ma soprattutto nell’animo?

Ho capito che avevo sbagliato tutto. E che soprattutto voi state continuando a fraintendere la vita coi vostri sogni di gloria con le pezze al culo.

Vi credete dei geni e forse lo siete realmente. Non voglio metterlo in dubbio. Ma non allontanate Viggo Mortensen di Green Book. E non fate neppure come Mortensen di Carlito’s Way. Insomma, non fate i traditori e le merde.

Magnificate C’era una volta in America. Va benissimo. Un film indiscutibilmente magistrale ed emozionante. Però, se a vent’anni avete già dentro i vostri cuori l’amarezza di Leone, a novanta sarete messi a pecora, miei uomini Buffalo Bill da Silence of the Lambs.

Continuate pure a ballare davanti allo specchio come Buffalo, denudandovi per avere due Mi piace in più sui vostri selfie da figoni e fighette. Credendovi sapientoni, bellissimi e intelligentoni.

Sì, ha ragione il grande Joe Pesci di Casinò quando il tizio al bar gli parla di progetti forse non nobilissimi ma che comunque richiedono la necessità impellente ed evidente di farselo tostamente.

E lui, senza badare a sottigliezze e a sofismi da quattro lire, gli risponde: – Sì, ma dove cazzo stanno i soldi?

Un mio amico mi chiede di leggergli un libro e di recensirglielo, un altro vuole che gli realizzi un video d’immagini sue in slideshow, un altro povero cazzone, per dirla sempre alla Pesci, mi costringe quasi con la forza a condividergli tutti i suoi filmati e filmini in cui scoreggia per avere più visualizzazioni.

Ecco, ora basta fare San Francesco e Santo Stefano, il primo martire storico.

In questi anni, ho aiutato gente semi-analfabeta a ritrovare la sua fiducia persa, regalando loro dizionari di sinonimi e contrari. Reggendo il loro gioco, sostenendoli nei loro sogni.

Ma ancora una volta anche questi qua mi hanno voltato le spalle, dicendomi che sono un senza palle.

È davvero uno scandalo che io debba essere continuamente inculato a raffica in questa maniera ruffiana e ipocrita.

Per tutta l’adolescenza ho scarrozzato la gente come Travis Bickle di Taxi Driver, regalando perle ai porci. E mi son pure preso la patente di coglione schizofrenico. Mi pare giunto il momento di smetterla con le assurdità.

Mi hanno pure detto che vivo di riflesso… non credo e comunque sarebbe sempre meglio che vivere come voi, idioti molto fessi.

Urge sterzare bruscamente, cambiare marcia come Sly Stallone di Over the Top.

di Stefano Falotico

Attori rinati: Anthony Hopkins, il fascino immarcescibile di un genio camaleontico


08 Sep

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 Come, vi chiederete voi. Anthony Hopkins non è “rinato”, è sempre stato un attore di altissimo livello. Ma io lo piazzo in questa categoria perché, negli ultimi anni, è stato molto discontinuo, sebbene come suo solito assai prolifico, alternando prove egregie ad altre decisamente alimentari od opache, persino trombonesche e insopportabilmente manieristiche.

Sir Anthony Hopkins è nato a Margam, nel Regno Unito, comunità gallese sulla costa meridionale, il 31 Dicembre del 1937. Sì, Anthony Hopkins, nonostante continui a imperversare sui nostri schermi, ha ottantuno primavere. Al di là delle evidenti rughe, non si direbbe che abbia quest’età, vero, vista l’energia e la forza che continua a profondere in ogni sua interpretazione. Dandosi indomitamente a ogni genere di film.

Dei suoi trascorsi giovanili, prima di approdare al Cinema, e in merito ai suoi prestigiosissimi studi, c’è Wikipedia che vi darà una mano nell’informarvi dettagliatamente sulle sue già innate e spiccate propensioni artistiche. Mi limito col dire che, dopo aver frequentato con successo la Royal Academy of Dramatic Art, una delle massime scuole di Teatro al mondo, arriva subito a rimpiazzare l’indisponibile, e forse indisposto, Laurence Olivier in Danza di morte di Strindberg. E quindi, immediatamente dopo, esordisce al Cinema, affiancando Peter O’Toole e Katharine Hepburn in Leone d’inverno, e interpretando Riccardo Cuor di Leone. Niente male come primissimo esordio. Voi che dite? Insomma, il purosangue attoriale, il cavallo di razza, come si suol dire, che è sempre stato, era già sotto gli occhi di tutti.

E Hopkins era già pronto a scalpitare di gran furore recitativo, cavalcando ardimentosamente il successo.

Interpreta, fra gli altri, Magic di Richard Attenborough, l’immenso e commoventissimo The Elephant Man di David Lynch, nei panni del “vero” dottor Frederick Treves, affianca Mel Gibson ne Il Bounty, proprio con Anne Bancroft, la signora Kendal del capolavoro di Lynch, duetta meravigliosamente in 84 Charing Cross Road di David Hugh Jones (Jacknife), e affianca Mickey Rourke in Ore disperate di Michael Cimino.

Ma è soltanto nel 1991, con la sua magistrale interpretazione del mitico cannibale-psichiatra Hannibal Lecter del Silenzio degli innocenti di Jonathan Demme, che raggiunge la gloria mondiale. E pur comparendo, alla fin fine, soltanto una ventina di minuti scarsi nel film, la sua prova è talmente potente e memorabile, che vince a man bassa l’Oscar come Miglior Attore, battendo niente meno che Robert De Niro di Cape Fear, Nick Nolte de Il principe delle maree, Robin Williams de La leggenda del re pescatore e Warren Beatty di Bugsy. Una prodigiosa cinquina di candidati che non capita tutti i giorni, mica roba da ridere. Ma è appunto lui a trionfare, alzando la statuetta al cielo.

Da allora, Hollywood non lo abbandona un solo istante e Hopkins viene sommerso di proposte a non finire. Girando di tutto e di più, dal Dracula di Bram Stoker alle pregiate collaborazioni con James Ivory, Quel che resta del giorno e Casa Howard su tutte, da Nixon di Oliver Stone ad Amistad di Spielberg, da L’urlo dell’odio di Lee Tamahori alla Maschera di Zorro di Martin Campbell, da Titus di Julie Taymor a Cuori in Atlantide, e s’impossessa ancora del suo Lecter in Hannibal di Ridley Scott e in Red Dragon. Ma non tutte le ciambelle, come si dice, escono col buco. E gira infatti anche film tremendamente sbagliati come Tutti gli uomini del re.

E si perde dunque, come detto, negli ultimi anni in pasticciacci come Conspiracy, film da ricordare soltanto ed esclusivamente perché gli ha permesso di recitare per la prima volta in assoluto con l’altro mostro sacro Al Pacino, oppure il roboante, tremendo Transformers – L’ultimo cavaliere di Michael Bay!

Ma se dovessimo elencare tutti i film, belli o brutti, a cui ha preso parte, non finiremmo mai.

Ecco allora che si riprende e viene molto lodato per la sua performance del Dr. Ford nella serie HBO Westworld.

Prossimamente è molto atteso in King Lear di Richard Eyre con Emma Thompson e in particolar modo in The Pope di Fernando Meirelles ove interpreterà Papa Benedetto/Ratzinger.

Che grinta!

 

di Stefano Falotico

 

Genius-Pop

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