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La top ten dei miei film preferiti dello scorso anno: siamo sicuri che sia così insuperabile il Cinema orientale? Mah, forse sì
Premettendo che ancora non vidi (sì, uso il passato remoto apposta) Parasite, domenica scorsa assistetti al colorato discorso di Federico Frusciante su Tetsuo di Tsukamoto. Che è giapponese come Takeshi Kitano. Fuori dal Mikasa Club, ove si tenne la sua presentazione cinematografica, gli accennai brevemente proprio in merito a Kitano. Chiedendogli espressamente se consideri Achille e la tartaruga un grande film. Lui mi rispose:
– Be’, è Arte pura.
Il che significa tutto e significa al contempo nulla. Vi fu un tempo in cui Kitano fu un regista indiscutibile.
Ci furono però annate, prima della sua sottovalutata trilogia di Outrage, in cui molti dubitarono della sua genialità. Poiché, sebbene largamente apprezzate, pellicole troppo personali come Takeshis’ e Zatôichi, più che Arte pura, apparvero sinceramente coma masturbazione mentale impura, nel senso non di atto impuro, bensì di opere imperfette e/o irrisolte.
Forse, concettualmente geniali ma talmente, per l’appunto, ermeticamente agganciate alla sua poetica soggettiva che, agli occhi anche dei suoi fan più sfegatati, sembrarono di primo acchito, più che figlie del genio, partorite semplicemente da un neuronale blob kitaniano di matrice ghezziana.
Infatti, al caro Enrico Ghezzi piacquero da morire e, più del dovuto, le magnificò ed eresse, forse erse, ah, i dubbi da Hermann Hesse, in auge.
Ora, chiariamoci. Non è vero, a differenza di come, in tal caso non semplicemente, bensì un po’ semplicisticamente, generalizzò Frusciante, ma lo capisco, fu costretto per brevità a eccedere di sbrigatività, che i film provenienti dall’Oriente siano superiori a quelli occidentali per il semplice fatto che, nelle terre del Sol Levante, non s’è avvezzi all’italiota manicheismo e al più becero qualunquismo. Spesso relativistico.
Dobbiamo dirci la verità senza farci prendere e assalire da esterofilie e orientali manie connotate di semplicismo e superficiale esaltazione anti-patriottica. Non facciamo i leninisti, sì, è vero, basta coi vetusti latinismi ma dovremmo smetterla anche col dire che, a proposito de L’insostenibile leggerezza dell’essere, l’ex stupenda modella tedesca Tatjana Patitz, solo perché diretta da Philip Kaufman in Rising Sun con Sean Connery e Wesley Snipes, sia meno affascinante di Céline Tran, in arte, qui eccome se impura, ribattezzata Katsuni.
Nel lontano 2006, per esempio, chiesi a un mio amico di Monselice, del quale già vi parlai innumerevoli volte, perché mai considerò Katsuni più sensuale delle super statunitensi attrici altrettanto non geografiche ma solo pornografiche.
– Perché mai – gli domandai, infatti – Katsuni ti piace di più delle sorelle Ashley e Angel Long?
La sua risposta fu questa:
– Perché sono un uomo da Tokyo Fist e da Tokyo Decadence. Sto anche scrivendo un libro intitolato Tokyo nera in cui parto da Paperino della Disney per arrivare a un delirio e trip visivo-letterario da Cinema di Takashi Miike.
Gli replicai così:
– Non è che invece, più che uomo da Sonatine, sei già molto suonato e, più che amante della bellezza non solo femminile, bensì artistica e in senso lato, non intendo quello b, inoltre più che essere tu un esistenzialista malinconico alla Hana-bi, sei invece in fin dei conti il miglior amico del Beat de L’estate di Kikujiro?
– Che vorresti dire, Stefano? Che sono un bambino?
– Voglio dire che la bellezza non ha confini erotici, no, esotici. È bona Katsuni ed è molto buono il romanticissimo Dolls, però sono buone anche le sorelle Long.
– Ah, Stefano, tu la sai lunga…
Ecco, detto ciò, dopo questa mia spiritosaggine, più che da Philip Kaufman, da Jim Carrey di Man on the Moon, cioè Andy Kaufman, a essere proprio sinceri, i film di Ki-duk Kim sono noiosi non perché noi siamo italiani e quindi fatichiamo a capirli. No, non è per questo. I film di Chan-wook Park sono decisamente più belli. Ed entrambi, guardate bene, sono cineasti sudcoreani.
Ora, in Italia abbiamo quella merda del Festival di Sanremo, le polemiche su Morgan, i cachet esagerati a Benigni da Zio Paperone, l’esagerata e plastificata, esaltata Diletta Leotta (comunque una carina Minnie con grosse minne per ogni Mickey Mouse che si crede un latin lover come il Mickey Rourke che fu), abbiamo gli improponibili Gabriele Muccino, troppi cappuccini e quella Nonna Papera, che si crede pure figa, di Paola Cortellesi.
Dobbiamo però anche dire che l’Italia e il nostro Cinema possono vantare film, sebbene pochissimi, che riuscirebbero benissimo, già peraltro alla grande riuscirono, a rivaleggiare nelle maggiori competizioni perfino coi migliori film cinesi, thailandesi, nipponici e via dicendo.
Per esempio, Lo chiamavano Jeeg Robot, solo perché fu scritto da un guaglione dal cognome Guaglianone, non potrebbe battere, secondo voi, in un solo colpo da Ken il guerriero, maestro della sacra scuola e disciplina di Okuto, Ronin di John Frankenheimer? In effetti, no. Ah ah.
Ecco, ciò per dire che esistono i grandi capolavori della Settima Arte orientale ma non è vero che il Cinema migliore sia soltanto quello oltre i nostrani confini e quelli statunitensi.
Non facciamo di tutta erba un fascio, amico Frusciante.
Ecco comunque la mia top ten in ordine sparso:
Joker di Todd Phillips: quando Arthur Fleck, poco prima di ammazzare sua madre, cammina con l’impermeabile in stile Unbreakable sotto la pioggia notturna, la fotografia acquosa e molto piovigginosa, su luci al neon fluorescenti e melanconiche, batte ogni frame di tutte le pellicole di Kar-Wai Wong.
Dunque Richard Jewell di Clint Eastwood. Con tutto il bene che voglio a Scorsese e a Tarantino, il film di Eastwood è più struggente, in una parola, più bello di The Irishman e più tragico di C’era una volta a… Hollywood.
Ecco, finita la top ten.
– Che cosa? E gli altri otto film dove li hai messi?
– Ecco, ragazzo, conosci il dialogo finale di Per qualche dollaro in più?
Colonnello Mortimer: Che succede ragazzo? Il Monco: Niente vecchio, non mi tornavano i conti. Ne mancava uno.
– Qui ne mancano otto, però. Stai scherzando, vero Biondo… tu… mi vuoi fare uno scherzo, eh?
– Non è uno scherzo, è una corda. Su, avanti, mettici dentro il collo, Tuco.
Insomma, Il buono, il brutto, il cattivo è onestamente più bello de La tigre e il dragone.
– Ma che risposta è, amico? Che pensi di essere il più bello?
– No, figurati. Non lo penso affatto. Ci mancherebbe. Lo sono.
Toglimi però una curiosità. Davvero tu pensi che ogni film orientale, anche il più trash, sia sempre inappellabilmente meglio di ogni altro film di un altro continente?
– Sì, credo proprio di sì. Perché sono più intelligente degli altri e questa è la verità.
– Perfetto, apposto. Dunque, sei più scemo di quello che pensavo.
Spesso, amico, assomigli a Kitano. Non come regista ché non si discute. Per quanto invece riguarda la sua recitazione come attore, eh sì, è più espressiva la facciata di una stampante degli anni novanta.
– Ma che ne vuoi sapere tu di Cinema orientale?!
– Mi ricordo che vidi Exiled del grande Johnnie To al Festival di Venezia del lontano 2006. Magnifica storia d’amicizia girata con riprese alla Michael Mann e un finale tarantiniano alla Sergio Leone.
Amico, invece che ne pensi di Windtalkers di John Woo? A me ha sempre commosso la scena nella quale Joe Enders/Nicolas Cage osserva, stupito e incredulo, Ben Yahzee/Adam Beach che prega il suo dio. Insomma, due culture agli antipodi che d’empatia si compenetrano. Poiché forse l’amicizia e l’umanità, l’amore e il dolore della condizione umana sono un libro di Yoshimoto Banana.
– E noi due invece chi siamo? Jean Rochefort e Johnny Halliday de L’uomo del treno (L’homme du train) di Patrice Leconte?
– Mah, amico, a me dicono che sia un bimbo favolista da Fantaghirò. Detta come va detta, Alessandra Martines, la donna del Leconte, m’ha sempre eccitato oltre ogni Racconto dei racconti da Garrone.
Quindi, vedi di non farmi girare i coglioni perché, altrimenti, potrei diventare Johnny Halliday di Vendicami.
– Ah, certo che tu ne sai di Cinema. Comunque, è meglio Ryan Gosling di Solo dio perdona.
– Può essere, non lo so. Adesso, ficca nel lettore dvd il film Brother.
– Ah, te la tiri da Alain Delon di Frank Costello faccia d’angelo, invero sei solo un coglioncello.
– Invero, Alain annunciò il suo ritiro ma dovrebbe invece presto girare il nuovo film del Leconte con Juliette Binoche.
– Che vuoi dire?
– Che Juliette è bella.
di Stefano Falotico
Fidatevi, è meglio essere un latinista che un latin lover, meglio essere un Kitano che una cagna
Sì, nella mia vita, fratelli e sorelle della congrega, ne ho viste poche ma ne ho ascoltate parecchie.
Il novanta per cento delle donne vogliono solo i soldi, tutti gli uomini vogliono quella. E su questo non ci piove.
Nella mia vita, ho visto e sentito uomini dire che Tony Scott era meglio di suo fratello Ridley e che Benedetta Parodi è più sexy della sorella Cristina.
Davvero un’umana parodia. Come si può soltanto paragonare un filmaccio come Revenge col peggior film vendicativo di Ridley, ovvero Il gladiatore?
Revenge col Costner valeva il prezzo del biglietto solo per le gambe fenomenali di Madeleine Stowe. Una per cui, anche se saprai di essere l’ultimo dei Mohicani, accetteresti pure lo scalpo e il fallo, no, fatto di rimanere scapolo pur di passare con lei l’ultima notte ficcante della tua vita.
Sì, Cristina Parodi ora è un po’ invecchiata ma, al pari di Madeleine, possedeva un paio di cosce tali da corrompere anche il bravo Giorgio Gori. Uno che forse non ha lo stesso sex appeal di Richard Gere ma che con Cristina non è mai stato certamente un ghiro. Sì, di notte, fra le loro lenzuola pullulavano orgasmici ghirigori. Fidatevi.
Stesso discorso dicasi per l’antipatica ma indubbiamente notevole Ilaria D’Amico. Una che ha reso Buffon proprio un buffone e che l’ha data persino a Bruce Willis ma non a Fabio Caressa. Che sta appunto con la sorella di Cristina, Benedetta.
Sì, Fabio, così come proverbialmente dice alla fine del primo tempo delle partite di Calcio ai telespettatori, ovvero, le squadre vanno al riposo e i giocatori si bevono un tè caldo, dopo aver fatto l’amore con la sua compagna, dice lei che, dopo essersi riposato, gli deve preparare una colazione secondo le sue storiche ricette. Solo dopo aver mangiato come un ludro, può concedere a Benedetta i supplementari.
Sì, noi uomini siamo dei coglioni, abbocchiamo alla prima che mostra un bel paio di quadricipiti e tifiamo per gente pallosa che prende a calci le palle, spezzando i menischi dei disoccupati che li riempiono pure di soldi.
Le donne sono perlopiù delle stronze. Vanno dal loro maschio dopo che sono andate con altri cinquemila individui elaboranti i gameti col testosterone e anche i gemiti per gli estrogeni, e sono gelosissime se il loro uomo guarda le altre donne. Però, nel frattempo, amano farsi guardare pure dalle lesbiche in un gioco di provocazioni interminabili.
Insomma, delle pazze isteriche al servizio di leccaculo.
Sì, io commisi un solo errore nella vita. Quello di aver scopato.
Ah ah. Sì. Da allora, persi ogni passione per il Cinema di Miyazaki e divenni un Porco Rosso.
Tutte le mie malinconie da Takeshi Kitano e il mio adulto infantile come ne L’estate di Kikujiro, cazzo, andarono a farsi fottere.
Lei, in preda a paranoie incredibili, mi telefonava in piena notte, chiedendomi se mi stavo scopando un’altra. Per tranquillizzarla, le dicevo che stavo riguardando Hana-bi quando invero stavo rispolverando sia Anna che Julianne Moore di Boogie Nights. Una che mica si accontenta di un cazzone qualsiasi, pretende il massimo.
E qui ci sta tutto il mio umorismo nero da vero Beat.
Lei sapeva benissimo che stavo mentendo. Sì, sinceramente non stavo né guardando il capolavoro di Takeshi né scopando nessuna. Stavo solamente sognando.
Ah ah.
E lei mi aveva appena rotto i coglioni.
Sì, per me è stata una tragedia andare a letto con una. Da allora, tutte le donne vogliono venire a letto con me. Peraltro, pure gli uomini, questi omosessuali maniaci e bisex.
Sono cazzi davvero amari, fratelli e sorelle.
Devo diventare come Gesù Cristo, donarmi all’intera umanità e moltiplicare il mio pesce.
Faccio quel che posso, non chiedetemi un miracolo che non sta né in cielo né in terra.
Ha fatto bene Bob De Niro a rifiutare la parte dei due ginecologi gemelli omozigoti nel film Inseparabili.
Di Bob De Niro ce n’è uno solo, unico e inimitabile.
Di uomini come me non c’è nessuno.
Già, è stato un errore essere nato in questo mondo di uomini e donne, di animali e alberi, di gente inalberata e a vicenda inculata.
È solo un porcile.
Sì, sono un uomo antico, di un’altra epoca, un uomo latino.
Che vive nel suo temp(i)o.
A me di questi fottuti tempi moderni non piace niente.
di Stefano Falotico
Takeshi Kitano vi fotte, miei piccolo borghesi del cazzetto, lui cazzeggia spar(l)ante
di Stefano Falotico
Amo il Cinema di Kitano quando arriva la “poesia” dell’estate estenuante, perché sto morendo come in Hana-bi, f(u)ori di “pes(c)o” e (s)fiori di “fuoco”
Sì, con l’inoltrarsi della stagione estiva, io divento meno estatico. Molti, in spiaggia, succhian dalla cannuccia d’Estathé per rinfrescarsi dai caldi ormoni. Poi, dietro le frasche del pineto, vengon allattati dai sen(s)i delle donne, dando loro del “tu” d’un amore dondolante in mezzo al “boschetto” di tette. Eh sì, cari senzatetto, i lor letti d’estate son insaporiti al “salmone”, miei salami, fra pompelmi “bagnati” nell’olio di olive… “abbronzanti” le vagine che prima arrossiscono e poi la salsiccia allo spiedo arrostiscono. Eppur “venne” dapprincipio, non tanto da prìncipi, il corteggiamento di piedini e bikini su prova costumino ché dev’esser tonico, “tirar”… da tonno la pancia in dentro e solo allora, una volta che la donna ha (ap)preso che il suo predatore è un toro che (si) dà un (in)certo t(u)ono, posson “incor(o)narlo” in lui “piovigginando sale sugli irti colli”, cornificando il marito all’asciutto che sta affogando al largo mentre l’amante le “alla(r)ga”. Sì, a mar aperto il marito affogò e, nel frattempo, l’amante esplose di frappè in mezzo al “frutt(et)o” dell’amor proibito. Finito che ebbero di trombar(lo), con tanto di “risucchio” degli abissi voraginosi che di trombe ondanti travolsero il marito già nel (pro)fondo, andarono a mangiar un altro “gelato”, condendo il “lutto” con del Liuk, ghiacciolo di stecchino come l’amante magro e crudo, limonante in quell’Algida donna non più frigida. Quindi, ancora un “affogato” servito amaro. Alla faccia del cameriere che dà da bere a questi “perbene”.
Questo è il mare, invece amare può voler dire, se va in culo alla “balen(otter)a”, un gusto all’amarena quando ti (s)contenti, se va giù, non sempre c’è il tiramisù. Ed è perciò che, in quei chioschi, miei “duri” come il cocomero e miei mer(l)i, servono bibite congelate ma soprattutto “bile” con tanto di biliardino a “metterle” in “buca”. Perché quel barista sa che la tiepidezza delle “leccate” alla moglie presto traditrice, porta spesso a un altro sesso e devi (t)remar di “cont(r)ocorrente” non al verde se non vuoi rimaner senza moglie, dall’amante derubata con tanto di deflorata, glaciale di sasso nell’oceano (non) Pacifico che “cola” a picco su “volanti” altrui gabbiani da gioco delle palle nella “rete”. Non piagnucolate, questa è la Piña Colada. Siete stati pescati, “pesciolini” su mia noce da cocco bello! Che rompe tutte le g(i)nocch(i)e.
Sono lo squalo che tutti e tutte squaglia.
Evviva D’Annunzio, amante solo del “Fatemi il piacere”.
Che c’entra Kitano? Mai dire Banzai.
Visto che mi ammazzerò prima del tramonto, non mi raffreno più.
Evviva il raffreddore. Permette di starnutire senza bisogno di chiedere scusa.