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Non c’è più religione, De Niro è peggio di me mentre Russell Crowe recita ne L’esorcista del papa
Giornate frenetiche come quelle di Henry Hill di Goodfellas – Chi vincerà gli Oscar? Intanto, il 9 Febbraio sarò al Mikasa a vedere Federico Frusciante, lunga vita al Falò!
Sì, avete presente, no, il pre-finale di Quei bravi ragazzi quando un magnifico, esasperato, insuperabile come il tonno Rio Mare, eh sì, Ray Liotta fu costretto a districarsi fra mille impegni. Fra polpette, donnette, cuginetti, amici fraudolenti e viscidi, grilletti di pistole che non funzionano, padelle e pentole, l’elicottero che lo spia e lo segue, manco fosse l’UFO di Uno sceriffo extraterrestre… poco extra e molto terrestre.
Vi ricordate, per l’appunto, pure questo cult dell’infanzia con un Bud Spencer d’annata?
Sì, state parlando col Quentin Tarantino italiano, figlioli belli.
E Chissà perché… capitano tutte a me. Ove c’è pure il compianto, leggendario Ferruccio Amendola, ex doppiatore storico di Bob De Niro.
Sì, ebbi momenti nella vita da alienato, da emarginato ove, seppellito vivo, con voce alla Ferruccio, mi divertii (mica tanto) a fare il Jack Lucas de La leggenda del re pescatore quando, invero, fui soltanto Robin Williams dello stesso film. Ah ah.
Io sono un alieno, non lo sapevate? Sono H7-25/Cary Guffey e adoro Essi vivono.
Dai quattordici anni ai venti, diciamo che non è che vissi tanto. M’inabissai nelle notti da Warriors. Cazzeggiando un po’, diciamocela.
Ma ora saranno di nuovo botte per tutti poiché, come Bud Spencer di Bomber ma soprattutto dello stupendo Lo chiamavano Bulldozer, il Falò tornò in pompa magna. Anche se, ultimamente, non tanto magno/i, infatti persi venti chili in due settimane. Roba da Joaquin Phoenix di Joker.
Scrivo recensioni a raffica, il cervello è quello di un uomo coltissimo ma è anche colto da spasmi onirici, un’altra modella mi contatta per essere la protagonista di una mia nuova copertina quando in verità vi dico che mi piacerebbe contattarla, di veri Incontri ravvicinati della terza topa, no, del terzo tipo, sotto una coperta.
Quello vuole l’articolo sugli Oscar, quell’altro fa la bella statuina.
Ah, che serata incasinata.
Alle 23, incontrai un simpaticissimo ragazzo, direttore artistico del Mikasa. Club ove, domenica 9 Febbraio, nella stessa notte in cui si svolgeranno gli Academy Awards, Federico Frusciante intratterrà chi comprò il biglietto, come me, con la sua monografia su Tetsuo.
Squilla sempre il cellulare, il mio uccello a fasi alterne.
Uno vuole che, con la mia voce, gli reciti il suo nuovo libro. Un mio detrattore invece vuole che finisca a guidare i trattori senza avere nemmeno un soldo per un piatto di pastasciutta in trattoria.
Ma il Falò, fratelli e sorelle, s’illuminò di colpo, ringiovanì esplosivamente come un orgasmo e ora, se mi siete nemici, sono cazzi vostri. Pigliatevi questo ed evviva il Joker.
A proposito dell’ultimo Tarantino, ne dissi peste e corna.
Ma, parafrasando Uma Thurman e David Carradine di Kill Bill.
– Come hai fatto a ritrovarti?
– Io sono io.
Ebbene, oramai ci siamo. La magica notte delle stelle è vicinissima.
Esattamente, l’imminente 9 Febbraio, al Dolby Theatre di Los Angeles, in California, si svolgerà la kermesse della novantaduesima edizione degli Academy Awards, denominati più comunemente Oscar.
Mentre Hollywood è in fibrillazione, mentre tutte le attrici e gli attori, fieri di sfilare sul red carpet, stanno già lottando, senza tregua, a colpi di sarti per indossare gli abiti firmati più prestigiosi, mentre l’alta moda sussulta, finemente cucendo ed elegantemente sfoderando smoking elegantissimi e paillettes delle più esuberanti e variopinte da esporre orgogliosamente e vanitosamente in bella vista, noi qui stileremo le nostre predictions. Ovvero le previsioni riguardo quelli che, a nostro avviso, saranno i vincitori.
Ora, dopo l’assegnazione dei Golden Globes, degli Screen Actors Guild Awards e dei premi BAFTA, abbiamo già un quadro piuttosto ben delineato dei nomi più papabili per le rispettive vittorie definitive.
Brevemente eppur dettagliatamente, ci soffermeremo su ogni singola massima categoria, sviscerandovi le nostre considerazioni, soppesandole e, dopo un’attenta, scrupolosa e soprattutto oculata meditazione estremamente obiettiva e ponderata, basandoci per l’appunto sui ricevuti riconoscimenti poc’anzi menzionativi, attenendoci quasi esclusivamente ai più attendibili pronostici dei cosiddetti allibratori esperti in materia, non trascurando però le nostre personalissime predilezioni, descriveremo ed elencheremo minuziosamente, nelle righe seguenti, ogni pellicola, attore e regista che reputiamo possa aggiudicarsi l’ambita statuetta dorata.
Potremmo ovviamente sbagliarci poiché, sebbene quest’anno i giochi sembrino già fatti e non ci pare, sinceramente, che possano esservi delle clamorose sorprese rispetto ai nomi oramai dati per assodati come sicuri vincitori, gli Oscar, soprattutto ultimamente, non mancarono di stupirci.
Pensiamo, per esempio, alla scorsa manifestazione quando vinse Green Book. Bellissimo film che però in pochi avrebbero immaginato che potesse meravigliosamente, in extremis, trionfare. Sbaragliando una concorrenza, forse, persino qualitativamente superiore.
In questa nostra analisi, partiremo ovviamente dalle categorie più importanti, vale a dire quelle del Miglior Film e del Miglior Regista.
Se dovessimo attenerci ai gusti del pubblico di più bocca buona e soprattutto affidandoci alle valutazioni della Critica più esigente, stando alle varie medie recensorie più alte, dovrebbe vincere Parasite. Reputato unanimemente il film capolavoro indiscutibile della stagione.
Noi tifiamo, segretamente, per Joker, la pellicola che, a livello di nomination guadagnate, cioè addirittura undici, parrebbe, in quanto a numeri da offrire, la favorita assoluta. E forse potrebbe finalmente vincere anche Quentin Tarantino col suo controverso eppur molto amato, soprattutto negli Stati Uniti, C’era una volta a… Hollywood.
Sarà l’anno dell’attesissima consacrazione di Quentin?
Purtroppo, no. Poiché quasi certamente vincerà Sam Mendes col suo 1917.
Il quale bisserebbe, aggiudicandosi un’altra statuetta dopo l’Oscar vinto, nel duemila, con American Beauty.
Passiamo ora alle categorie Miglior Attore e Miglior Attrice protagonisti.
A furor di popolo e meritatissimamente, il vincitore sarà Joaquin Phoenix. Che, per la sua interpretazione in Joker, già vinse, in maniera sacrosanta, tutti i premi possibili e immaginabili.
L’Oscar è già suo, Joaquin deve solo aspettare di sentire pronunciare il suo nome e di salire sul palco per recitare ancora una volta l’ennesimo discorso di ringraziamento.
Tutti i suoi avversari, infatti, cioè Antonio Banderas di Dolor y gloria, Jonathan Pryce de I due papi, Leonardo DiCaprio di C’era una volta a… Hollywood e soprattutto Adam Driver di Storia di un matrimonio (il rivale, tutto sommato, più temibile e agguerrito di Phoenix, l’unico che potrebbe contendergli lo scettro), sono onestamente spacciati, malgrado le loro prove, a eccezion fatta forse del sopravvalutato DiCaprio, siano state eccelse e notevoli.
Come miglior attrice vincerà Renée Zellweger di Judy. Però chissà…
Scarlett Johansson potrebbe darle filo da torcere sino alla fine.
Oppure, Charlize Theron, dopo l’Oscar da lei vinto per Monster, potrebbe con Bombshell soffiare all’ultimo secondo l’Oscar alla Zellweger?
Per la categoria miglior attore non protagonista, anche in questo caso la vittoria di Brad Pitt sembra soltanto una formalità da ufficializzare.
Ci piacerebbe che vincesse Joe Pesci. Che, col Russ Bufalino di The Irishman, ci donò un comeback memorabile da consegnare ai posteri.
Pesci però ottenne già la statuetta come miglior attore non protagonista per Quei bravi ragazzi.
Stesso discorso vale per Al Pacino. Già vincitore dell’Oscar per Scent of a Woman. E per Anthony Hopkins che impugnò e alzò al cielo l’Academy Award per Il silenzio degli innocenti.
Dunque, il non ancora oscarizzato Pitt, dopo le nomination come miglior attore per L’arte di vincere e per Il curioso caso di Benjamin Button, dopo aver perso come non protagonista per L’esercito delle 12 scimmie, stavolta è oramai a un passo dal farcela.
Laura Dern, invece, vincerà per la sua prova in Storia di un matrimonio.
Anche se, a dirla tutta, Kathy Bates di Richard Jewell le è una spanna decisamente sopra. Kathy Bates è la più grande attrice vivente, senza se e senza ma, in maniera inopinabile.
Il premio per la migliore sceneggiatura non originale se l’aggiudicherà Taika Waititi per Jojo Rabbit.
Potrebbero invece Todd Phillips e Scott Silver vincere per la sceneggiatura non originale (?) di Joker?
Ne dubitiamo. Poiché vincerà Bong Joon Ho per Parasite.
Lasciando a mani vuote Tarantino, comunque già vincitore due volte per Pulp Fiction e per Django Unchained.
A conti fatti, il grande sconfitto di questi Oscar sarà proprio The Irishman di Martin Scorsese.
A dispetto delle dieci candidature ottenute, siamo pressoché convinti che potrebbe addirittura non vincere neppure un Oscar.
Non perché non meriti di vincerne, bensì perché Scorsese è oramai una leggenda vivente e si preferirà premiare altri film.
E questo è quanto.
di Stefano Falotico
THE IRISHMAN, la Critica approva entusiasta ma io, da Principe Antonio de Curtis, in arte Totò, stronco gli uomini senza spirito… critico
E nel loro popò, ohibò, gliele suono, sentenzio e li stigmatizzo. Puntando loro il dito e assegnando alla loro esistenza un voto assolutamente insufficiente.
Posso permettermelo, in quanto so ironizzare su me stesso. Io sono un recensore che scrive anche romanzi erotici senza censura, io dinanzi ai loro pregiudizi non abiuro e li aborro.
Da loro già troppe fregature presi ma ora, con eloquio e mimica facciale degna d’un attore teatrale che recita monologhi ficcanti da David Mamet, corrosivi, taglienti, abrasivi e un po’ cattivi, da drammaturgo di me stesso, butto in commedia una mia vita che, indubbiamente, meritava l’Oscar ma comunque non finirà come quella di Ray Liotta di Quei bravi ragazzi.
Sì, vedo molta gente che delinque, poi si redime. Chiedendo perfino la protezione dei testimoni del loro matrimonio.
Sì, qual è il passato remoto della terza persona singolare del verbo delinquere di LEI che si fa dare del voi come esigono i Don?
Lei delinqué, delinquette, nel presente ancora delinque. Insomma è e sarà impunemente un delinquente eternamente. Inutile che provi a coniugare nel potrei, poveretto, lei è un criminale senza tempo. Senza tempie.
La finisca di darmi del deficiente.
Io invece le donne illanguidisco poiché so giocar di lingua. Da cui il gerundio illanguidendo. Di forma transitiva in lei attivo e lei con me passiva. Io illanguidisco, tu m’illanguidisci e, condividendo, compenetrando i nostri mali, assieme venendo la vita va guarendo, forse anche guaendo in quanto tu mula e io mugolo.
Eh sì, miei mongoli.
Dunque, do il voto in pagella e questi impostori che ebbero l’ardire di giudicare le scene della mia vita con troppa fretta poiché loro girano solo con le sceme.
Eh sì, ficco nel dizionario dei film delle pellicole trash da non vedere mai più.
No, non sono rivedibili. Li riformiamo subito. Anzi, questo dizionario formattiamo e li cancelliamo.
La seduta è tolta.
Adesso, andiamo a berci un altro caffè. Ovviamente macchiato caldo.
Perché ricordate…
Se date retta a chi si crede Marlon Brando ma in verità è Silvio Orlando, non avrete né Jolanda né un viso da Gioconda.
E su questa stronzata vi lascio, ammiccando.
di Stefano Falotico
I peggiori film del prossimo anno saranno certamente meglio dell’ultima pellicola di Tarantino
Eh già, tutti fanno previsioni sui possibili film migliori della prossima stagione.
Ma è troppo facile puntare sui registi di qualità, sui cosiddetti cavalli di razza vincenti.
Ora, chiariamoci, C’era una volta a Hollywood di Tarantino, secondo me, come già profetizzai, sarà una delle solite, ultime gigionate anemiche e poco emozionanti di Tarantino.
Tarantino è un bel tipino. Ha da sempre impostato la sua carriera, girando film pieni di citazionismi che a loro volta omaggiano film del passato da lui idolatrati e adorati, quindi shakerati secondo la sua visione spesso volgarmente pulp o pacchianamente grindhouse.
Ripeto, ciò aveva un senso per i suoi primi tre film, ovvero Le iene, Pulp Fiction e Jackie Brown, perle che non si toccano.
Le perle non vanno assolutamente toccate. Così come le gambe di Catherine Zeta-Jones, donna ora sposata a Michael Douglas, il quale le regala tuttora collanine d’oro neanche se fosse Bob De Niro di Casinò con la sua bagascia Ginger, dunque dovete tenere ben a mente il comandamento… non desiderare la donna d’altri.
Io la desidero eccome ma Michael Douglas non lo sa perché è rincoglionito. Catherine invece sa tutto.
E non mi spingerei oltre.
Torniamo a Tarantino e non perdiamoci in freddure da Clint Eastwood di Per qualche dollaro in più.
Sì, diciamocela, Kill Bill 1 e 2 valgono solo per la scena finale del capitolo uno quando un ispirato Michael Madsen recita cimiteriale, con soffice farsela nelle sue mutande, la celeberrima… merita la sua vendetta.
Sì, una battuta di dieci secondi in un film che dura quasi due ore.
Il capitolo due invece dura quasi 140 min ma non ha neppure dieci secondi di gloria.
Quindi, secondo voi questo dittico sarebbe un capolavoro?
Se la pensate in questi termini, David Carradine deve prepararvi un panino con le sue mani lerce e servirvelo con tenerezza così come fa con sua figlia ancora innocente e incosciente.
The Hateful Eight è una spossante esibizione di attori che vogliono dimostrarci di saper recitare monologhi interminabili.
E perfino la scena finale che dovrebbe risultare rivelatrice e dunque emozionante, cazzo, non sta in piedi neanche ad attaccarla con la colla.
Scusate, uno riceve la lettera di Abramo Lincoln e, anziché conservarla come la reliquia di San Gennaro, la illiquidisce nel sangue più purulento e gore?
Il bifolco Samuel L. Jackson dovrebbe prendere lezioni d’igiene da Al Pacino di Danny Collins. Il quale, a differenza sua, coccola l’epistola recapitatagli da John Lennon neanche fosse Yoko Ono.
Sì, l’accarezza con estrema delicatezza, eccitandosi come Lino Banfi di Al bar dello sport quando, contando le banconote della vincita della sua schedina miliardaria, pare che stia massaggiando arrapatissimo le cosce di Milly Carlucci dei tempi di Pappa e ciccia.
Eh, Milly è invecchiata ma all’epoca attizzava ogni uomo pugliese di verace Calore! E anche froclen, come diceva Pasquale Zagaria, dinanzi alle gambone di Milly aveva attimi assai dubbiosi riguardo la sua senile omosessualità.
Detta come va detta, la Carlucci è sempre stata una bella donna moralmente discutibile. Sì, prostituitasi a filmacci pecorecci pur di arrivare un giorno a una vita da Ballando con le stelle.
Contenta lei, contenti quelli che son stati nel suo letto per farla ascendere ai primati dei massimi ascolti della Radiotelevisione Italiana. Scommettiamo che… andò proprio così?
Sì, so che Milly è sposata da anni.
Sì, da qualche anno, da un decennio. Da un ventennio? Da un trentello? Sì, se me lo passasse su PayPal, non avrei bisogno di partecipare ai telequiz di Mediaset. Un tempo patrocinati da Mike Bongiorno, da una vita sostenuti invece dal peso extralarge per eccellenza, soprattutto nel portafoglio, cioè Gerry Scotti.
Capisco, ora Milly è sposata. Perfetto, non ci proverò, Tanto adesso è pure rifatta.
E qui alla mia vita è stata (s)fatta una frittata! Ah ah.
Sì, sono l’unico uomo della storia che, anni addietro, finì nei centri di salute mentale. Dopo che tutti appurarono che non necessitavo di alcuna Cura da Franco Battiato, ho capito che non mi piaceva manco la filosofia sempliciotta di Lucio Battisti.
Ah, ma è tutto un battistero. Sì, prima mi chiesero di recarmi ed entrare in chiesa a confessare i miei peccati, poi vollero sconfessarmi. Qui viviamo di baci di Giuda come ne Il padrino – Parte II.
Non va bene, eh? V’è un’ipocrisia dilagante, figlia appunto della moralità piccolo-borghese di cui è, ahinoi, intrisa la falsa cultura radical–chic nostrana da farisei Pater Noster e fasulle Bibbie come se fossimo in Cape Fear di Scorsese.
L’Italia, l’unico Paese al mondo ove primeggia negli incassi Checco Zalone, ove andavano forte i film banfiani, una nazione di Cornetti alla crema, di Ciccio perdona… io no!, un posto malfamato di religiosissimi mafiosi ove tutti ammiccano e provocano con pessime, equivocabili battute scontatissime sul sesso manco se ci trovassimo, appunto, nello studio dentistico della pellicola Vieni avanti cretino col compianto Gigi Reder nella stravista, abusata parte d’una spalla fantozziana di Luciano Salce.
Tarantino è figlio della nostra peggiore italianità. Non è come il grande, succitato Scorsese, appunto. Uno che in Mean Streets ficcò in colonna sonora Renato Carosone non per fare, come Tarantino, il citazionista piacione molto cazzone, bensì perché in quei bar fetidi di Little Italy nei juke–box passava davvero il Carusone. Il suo vero cognome.
Statem’ buon’, a casa tutti bene? Come ti sei sciupato. Hai mangiato? Vuoi ancora un po’ di polpette?
Sì, le madri italiane amano i figli e i loro picciotti come se fossero bravi ragazzi…
E tu invece? Stai sul timiduzzo? Henry, perché non parli mai?
Sì, in Goodfellas passa, nella stupenda scena della presentazione dei vari personaggi, Il cielo in una stanza poiché i piccoli manovali della criminalità adoravano realmente Mina.
E può darsi che su un barcone di sballati sia andata on air veramente Gloria di Umberto Tozzi così come si vede in The Wolf of Wall Street quando Margot Robbie, scatenata e smutandata, qui sembra Sharon Tate e nel film di Tarantino no.
A proposito, secondo voi, Roman Polanski, prima che Sharon fosse oscenamente trucidata dalla banda di Charles Manson, cantò mai alla sua Tate Ti amo?
Mah, secondo me vi può fornire una risposta esaustiva in merito, eh già, Brudos di Mindhunter.
Ecco, a mio avviso i peggiori film del prossimo anno saranno dei capolavori in confronto alla super porcata mai vista di Tarantino.
Quentin, hai davvero rotto il cazzo col tuo Cinema autoreferenziale, leccaculo, auto-imbrodante.
Ha ragione l’attuale moglie di Polanski, Emmanuelle Seigner. O fai un film alla David Fincher incentrato esclusivamente sulla tragedia di Sharon Tate, oppure, se devi ficcare la storiella di contorno per altra carne al fuoco, vai a fare in culo.
Scorsese ha fatto solo una scelta sbagliata in vita sua.
Ha avuto ragione Nick Nolte a non applaudire Elia Kazan nella notte degli Oscar in cui, al regista di Fronte del porto, consegnarono l’Oscar alla carriera.
Certamente, immenso regista, Elia, ma non dovevi fare il maialino.
Sennò sei (stato) solamente un figlio di puta peggiore di Clint Eastwood de Il buono, il brutto, il cattivo.
Ve lo dice Wallach Eli.
Ora, se non ero a Cannes, se C’era una volta a Hollywood non è neppure uscito ancora negli Stati Uniti, chi sono io per dire questo?
Be’, sono il padrone di un mulo a cui non piace la gente che ride…
E soprattutto i puntini di sospensione nel titolo, cazzo, Sergio Leone non li avrebbe mai usati.
Fanno proprio schifo.
di Stefano Falotico
Il cattivo nullatenente – Nicolas Cage è mille volte peggio di De Niro ma io amo entrambi
Comprate il mio saggio monografico Nicolas Cage, l’attore vampiro
In vendita su Amazon e altrove. Cercatelo e accattatelo!
Così, coi soldi a me elargiti e da me intascati, potrò ancora avere tempo per dedicarmi agli attori e ai registi.
Sono sfegatato di Nic. Nel senso che Nic recita adesso in filmacci impresentabili e a me viene sempre più il fegato amaro.
Vi ripropongo questa foto oserei dire storica ed emblematica di un periodo mio stoico da voyeur cinefilo assai incallito e non incagnito come la recitazione oramai cagnesca di Nic.
A chi indovinerà di rapidissima, anzi, immediata occhiata, senza battere ciglio, chi io sia tra questa foll(i)a per Nic impazzita durante la première di Bad Lieutenant: Port of Call New Orleans, regalerò il dvd di Snake Eyes di Brian De Palma.
Se non vi piace questo regalo, allora mi trasformerò in Harvey Keitel de Il cattivo tenente di Ferrara Abel. Fatemi vedere…
Eh sì, miei papponi da Taxi Driver, non giriamoci attorno.
Gli anni passano, i fanatismi vengono soppiantati da una vita meno sognante ma io non ho rimpianti, miei poppanti.
Son sempre più uguale a Travis Bickle. E combatto nelle mie notturne insonnie ogni lestofante ma soprattutto la povertà morale di un mondo più ricco di me in quanto bugiardo e più furbescamente arrogante.
Parafrasando Ray Liotta di Goodfellas, ho sempre voluto fare il culo ai gangster.
Per svelare il marcio di questa società corrotta che, sin dai primi battiti adolescenziali, m’ha rotto.
Una bella ripulita e visto che uomo?
Ho più fascino di Bob De Niro ma la sua ex moglie Grace Hightower ha chiesto, appunto, a Bob cinquecento milioni di dollari di risarcimento poiché Bob, a suo avviso, le avrebbe rovinato la reputazione.
Reputazione di che? Solo perché Bob, durante questi anni in cui è stata con lei, ha recitato in film indegni della sua nomea? Ma che vuole questa qui?
Di mio, chiedo a una donna se vuole fare un giro in macchina con me sebbene non possa poi donarle una causa, no, casa. Né a Beverly Hills né nell’estrema periferia bolognese.
Detto ciò, vado a bere un caffè.
di Stefano Falotico
Il trailer del nuovo film di Woody Allen mi ha emozionato, mi pento da romantico Henry Hill? No, da uomo semplicemente d’onore
Giornata davvero intensa quella di ieri, sì, è già ieri, già oggi, dopo verrà il domani.
È scoccata la mezzanotte e questo A Rainy Day in New York mi pare molto bello.
Solitamente, non lo dico per Allen. Sono anni che i suoi film mi deludono profondamente.
Non sono stato neppure un grande estimatore de La ruota delle meraviglie. Film ampiamente sopravvalutato dalla Critica nostrana. Ma quei giochi spericolati, esagerati di luce di Vittorio Storaro, oh sì, magicamente si frastagliavano al luna park di Coney Island, nella mesmerica rifrangenza del rubicondo Jim Belushi, addolcendo le grazie d’una Kate Winslet indubbiamente troppo paffuta.
Ecco, dicevo, ieri è uscita sul canale YouTube di Bruce Springsteen la sua bellissima There Goes My Miracle.
Qualcuno nello spazio commenti ha scritto che è una canzone magica, eterea. Delicata. Che, in tempi bui, eretici, tempi moralmente abbruttiti dall’imperante squallore disumano, suona come una carezza angelica dal cielo.
Una canzone che incita alla speranza. Western Stars sarà un album incentrato sulla solitudine, sulla malinconia, sulla luce del sole che risorge nei nostri animi pietrificatisi nell’aridità. O solo nell’avidità. Nello scontento, nello scoramento, nel lamento, nell’apatia, nelle granitiche, banali certezze. Oppure nell’immobilismo della demenza.
Un album che rischiarerà i nostri cuori, illuminandoli di soave levità.
Aspetto con trepidazione il 14 Giugno. Anche perché, pur essendone fan, il Boss da molto tempo non usciva con qualcosa di veramente toccante.
Quindi, tramite mail, mi è stato comunicato che sono risultato fra i vincitori di un piccolo grande concorso letterario.
Ancora una volta, come accaduto già qualche mese fa, il mio racconto è stato selezionato assieme a quelli di altri diciannove “colleghi” ed entrerà assai presto a far parte di una pregiata antologia.
Non sono vincolato a comperare nessuna copia né devo adempiere a obblighi contrattuali di natura onerosa. Non devo pagare nessun contributo.
Ho semplicemente vinto. Non m’interessa se siano stati tanti o pochi i partecipanti. Potevano essere pure trenta. Ma dieci sono stati esclusi. E fra questi dieci non ci sono io.
Dunque, sempre in tema di pubblicazioni letterarie, ho terminato col mio fidato, puntualissimo correttore di bozze il mio nuovo libro.
Anche stavolta, per la cover, mi sono avvalso dell’immagine stupenda di una ragazza magnifica.
E già nelle prossime ore questo mio libro sarà disponibile in Kindle-Amazon.
Prossimamente anche in cartaceo e normale eBook.
Quindi, è uscito il trailer del nuovo film di Woody Allen. Un film disdegnato da Amazon. Ah, questi americani oscenamente puritani. E quest’eccessive femministe che, oltre a fare la crociata diffamatoria nei riguardi di Allen, ce l’hanno adesso pure col grande Alain Delon.
Sì, forse qualche magagna sia Woody Allen che Delon Alain, ah ah, l’hanno commessa. Ma che vogliono queste commesse?
Non è da qualche veniale peccato sessuale che si giudica un artista e un uomo.
Mi ha emozionato questo trailer. È come un petalo di rosa che sfiora le guance di una donna e l’avvolge nel suo manto profumato.
Allen, nonostante gli ottant’anni suonati, la sua senilità cavalcante, ama ancora la vita. E ha girato un film con protagonisti dei ragazzini. Ragazzi che hanno davanti ancora tanto da vivere. Pieni di dubbi, di paure con questo Timothée Chalamet che sembra la versione efebica di Bob De Niro dei primi film di Scorsese.
Immerso in questa piovviginosa New York poco alleniana ma quasi, appunto, scorsesiana. Plumbea, notturna come Fuori orario.
Poi, stasera ho rivisto Quei bravi ragazzi. Recentemente l’avevo recensito ma, più che altro, mi ero affidato ai miei ricordi adolescenziali.
È ancora un capolavoro. Scolpito nella faccia di Ray Liotta, l’attore che Riccardo Scamarcio vorrebbe imitare per via del taglio e del colore degli occhi praticamente identico.
Ma Riccardo pensasse a fare Lo spietato per Renato De Maria. E il camorrista in John Wick 2.
Secondo me, non vale un cazzo.
Invece Ray in Goodfellas è stato meraviglioso.
E mi spiace che Hollywood l’abbia ostracizzato. Nemmeno in The Irishman gli hanno trovato un ruolo.
Quei bravi ragazzi è un film molto triste. Con un mitico Paul Sorvino che, dopo Cruising, aveva trovato un ruolo decisamente corposo… ah ah. Un uomo corpulento, sanguigno. Però pacato. Che sbuccia col taglierino cipolle e patate ed elargisce prestiti da strozzino con la panza piena di quelli che fanno i nemici a polpette.
La mafia è come il peggior comunismo. Sì, guardate che gli intenti mafiosi non sono in verità malvagi.
In teoria, la mafia ha ragione. La gente che se ne affilia, eh sì, capisce che la società è sbagliata, che gli impiegati comunali avranno una vita tranquilla ma noiosa, capisce che i potenti sono più corrotti di loro.
È nella sua pratica, diciamo, che pecca parecchio.
Fra loro, come i comunisti, i suoi membri si appoggiano, si reggono il gioco. Ma tu prova a tradire un patto e vedrai che ti succede.
La mafia ha le sue regole, i suoi patti di sangue.
E non transige.
Se decidi un giorno di tradire e sputtanare gli “amici”, vieni protetto dall’FBI ma è una vita di merda.
I mafiosi non hanno una vita normale, hanno più soldi delle stelle di Hollywood ma devono sempre guardarsi le spalle. Non hanno amici veri.
La mafia vive di leggi tribali comunque non molto dissimili a quelle classiste de L’età dell’innocenza.
In una sola cosa i mafiosi sono normali. Come la gente comune. Sia gli uomini che le loro donne nell’amore sono come noi.
Tutti gli uomini, eh già, s’innamorano alla stessa maniera. Il primo appuntamento, come quello fra Henry Hill/Liotta e la sua futura moglie, Karen/Bracco, è fallimentare.
Lei pare non essere interessata. Lui nemmeno. Tanto che la seconda volta le dà buca.
Però si piacciono.
E succede esattamente questo.
Ciò, a meno che non si vada a puttane, succede a tutti. Mettetevi l’anima in pace.
E da Cannes mi dicono che Dolor y gloria sia un capolavoro. C’est la vie.
La vita è come un lungo piano sequenza. Con degli scossoni e qualche trombata. Di mio, non mi pento di nessuna scelta e non la pagherò…
– Tu che cosa fai?
– Sono un ingegnere astrofisico.
.- Ah, ottimo, wow. Allora mi porterai sulla luna?
– Non sono mica un astronauta. Speriamo di andare al settimo cielo.
Comunque, no, scrivo libri molto realistici, coi piedi per terra, diciamo. Tanto, anche se andassimo tutti a vivere su Marte, guarderemmo lo stesso i film.
– Cazzo, riesci a campare? Comunque, noi non guardiamo solo film.
– Sì, però non facciamoci un film. Non recensirmi troppo presto. Un grande uomo si vede nel finale. Fidati, più lungo e appassionante è un film, più spinge, tenendo alto il ritmo.
– Dunque, non sei ricco. E la prossima volta come farai a invitarmi al ristorante?
– Non lo so. Intanto, tu che ordini?
– Tu che mi consigli?
– La salsiccia. La salsiccia è buona.
– Cosa vorresti dire?
– Quello che ho detto.
– Toglimi una curiosità. A me sta venendo il dubbio che tu sia pazzo.
– Sì, hai indovinato. Questo ti scoccia?
– No, affatto.
– Bene. Allora arriva questo cazzo di cameriere o no?
– Perché tanta fretta?
– Prima serve, prima posso servirti.
– Direi di andarci piano.
– Sì, non sono un uomo molto forte.
– Però mi fai ridere.
– Solo questo?
– Il resto si vedrà.
– Il resto, ricorda, si dà al cameriere. Dunque, ora gustiamo il primo. Vuoi arrivare subito al dolce?
di Stefano Falotico
Con le donne funziona così, sì, come quel bravo ragazzo di Ray Liotta con Lorraine
Eh già, funziona sempre così. Henry Hill/Liotta, a inizio di Goodfellas, subito dopo i titoli di testa, dice: che io mi ricordi, ho sempre voluto fare il gangster.
Un incipit fenomenale che da solo varrebbe già il prezzo del biglietto. Per non parlare di tutto il resto. Ma che te lo dico a fare? Sì, Donnie Brasco ha copiato da Quei bravi ragazzi. Film, quest’ultimo, epocale.
Le scene cult qui si sprecano.
E a circa mezz’ora dall’inizio, il signor Scorsese in pochi minuti ci fa capire che l’amore non è bello se non è litigarello. Ah, Ray è un bullo ma è certamente un bell’uomo.
E Lorraine Bracco, sì, inizialmente appunto non lo sopporta. Lui fa il bambinone perché è un timidone ma entrambi, a dirla tutta, sono dei bei marpioni.
Ray è un volpone e Lorraine uno sticchione. Come dicono i “mafiosi”.
Un bel pezzo di passerona, niente da dire. E anche lui però non scherza. Col ciuffo da bananone, un po’ bambagione ma non certo un ricchione.
Ecco, va proprio come vedete in questo film. Non date retta alla De Filippi, i ragazzi e le ragazze di Uomini e donne vengono pagati per far finta di essere innamorati. E fra loro non vengono per niente.
Una vera e propria sceneggiata napoletana.
Mica come a Little Italy. Ove la gente si faceva le corna, gli amici si scornavano e i bastardi, cioè i pentiti, tradivano e di te si scordavano.
Gente di “buon” cuore gli italoamericani. Sempre a mangiare spaghetti e a preparare polpette.
E Ray aveva fascino, cazzo. Altro che Corona Fabrizio. Lei va su tutte le furie, scende a gran velocità nel suo quartiere basso e l’insulta, strillandogli in faccia che non se la merita.
Infatti, poi se lo marita. Ah ah. Sì, io sono esperto di queste crisi di gelosia.
Una volta, arrivai con un’ora di ritardo al ristorante cinese ove io e lei avevamo prenotato. Al mio arrivo, trovai solo il cameriere che mi disse:
– Mi spiace. Era stufa di aspettare.
– E ora dov’è andata?
– Non lo so. So solo che l’ho vista uscire con un altro.
– Che cosa? E con chi?
– Non lo so. È la prima volta che l’ho visto nel mio locale.
– Porca puttana! Senti, dammi qualche indicazione, forniscimi qualche generalità. È alto, come porta i capelli?
– Guarda che sono soltanto un cameriere, mica un profiler.
– Senti, garçon, non fare il coglion’. Quanto vuoi?
– No, io non voglio nessuna mancia. Non siamo ne Le iene. E comunque garcon significa ragazzo, non fare il Tim Roth di Pulp Fiction.
– Senti, tu sai benissimo dove sono andati.
– Certo che lo so.
– E dove sono andati?
– Sono andati a scopare, ecco dove sono andati.
– A scopare? Senti, scopa a terra prima che te le suoni. Non mi prendere per il culo. Lei non è la tipa d’andare col primo che capita.
– Invece lo è eccome. È venuta pure con me.
– Che cosa?
– Sì, me la son fottuta. Adesso, vedi di fotterti.
Scattò la rissa.
A parte gli scherzi, se non volete andare a puttane, l’amore è gioia ma anche dolore.
Un continuo tira e molla.
Ad esempio, lei mi chiese che facevo nella vita:
– Scrivo libri.
– E riesci a camparci?
– No, ma se vuoi ti recito una mia poesia d’amore. Dopo mi passi 30 Euro su PayPal?
– Ma che modi sono? Comunque, ok. Grazie. Ne sono lusingata. Poi ti mando i soldini. Forza, sparala.
– Ecco, la poesia è questa. Aspetta solo un secondo. Non mi sovviene. Lasciamici pensare.
– Dai su, mi sto squagliando.
– Ecco, la poesia è: sei bella e buona come una ciambella, sei arrapante come l’uomo più ficcante, fra poco faremo l’amore in maniera tonante.
Ti piace? È una bella poesia, non credi?
Partì lo schiaffo in faccia e un calcio nelle palle abbastanza spappolante.
Dopo essere stato tre settimane al traumatologico, lei venne a trovarmi con far incazzoso ma dolcemente ammaliante.
Di solito sono gli uomini che regalano le rose alle donne.
Lei infatti mi regalò un crisantemo.
Dicendomi:
– Ti chiedo scusa. Quando ti dimetteranno, comunque questo è il mio numero di cellulare. Chiamami.
– Perfetto. Appena mi tolgono le fasciature, posso mettertelo, quindi?
– Allora sei proprio una merda. Beccati questa!
Le tre settimane preventivate dal medico, ecco, divennero tre mesi.
Lei, nel frattempo, andò pure con l’infermiere.
Presto io e lei ci sposeremo.
Non so se però ancora se scoperemo.
Una volta sposati, infatti, sono altri cazzi…
di Stefano Falotico
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Chi dorme non piglia Joe Pesci, aspettando The Irishman, navigo sott’acqua da vero squalo
Talvolta squallido e anche pallido, io sono comunque impavido.
Sì, abbiamo visto l’annuncio con le voci off di De Niro e Pacino ma siamo oramai a metà maggio e ancora non abbiamo avuto un filmato vero e proprio, appunto, di The Irishman, con gli attori in carne e ossa e flashback inclusi in CGI.
Che sta succedendo? Ah, non lo so, da molto tempo le nostre strade non c’incrociano più e io ho cambiato decisamente rotta. Perché della maggior parte di voi mi sono rotto.
Prima, ogni rabbia repressa eruttai come un vulcano esploso dopo tanti soffocamenti ingiusti al mio craterico detonare maestoso da voi reputato così odioso e troppo focoso tanto da volerlo sedare con tranquillanti che vi farei detonare, a mo’ di candelotto di dinamite, nel vostro vigliacco sfintere, capace solo di emettere puzzolenti sozzerie nello scoraggiare il prossimo. Siete delle scoregge. Sputiamola!
Ah, ringrazio iddio per avermi sanificato in un ribollente fiume di lava illuminante a sommergere tanta insulsa balordaggine, tanti luoghi comuni appioppatimi per puro, sfregiante dileggio da screanzati assai poco magnanimi.
Ah, meschinità degne d’un plotone di esecuzione. Sì, dopo tanti sfregi, mi fregio. E di voi giustamente me ne frego. Provate a fregarmi di nuovo e vi rifaccio nuovi. Sono esperto di carrozzerie, mie ultime ruote del carro.
Gente infida, estremamente malvagia. Persone ch’è meglio non incrocino neppure il mio sguardo perché altrimenti incenerirei, soltanto con un’alzata sopraccigliare torvamente minacciosa, ogni altro vile, pusillanime lor affronto bastardo. Squadrandoli dalla testa in giù perché a me i Frank Vincent di turno di Quei bravi ragazzi son sempre stati molto antipatici.
Sì, Joe Pesci è un grande, un apparente nanerottolo, un lustrascarpe che non gli daresti una lira, capace invece di sfoderare una grinta, un savoir–faire carismatico da Mio cugino Vincenzo tale, mica da tal dei tali, d’annichilire col suo ruspante sex appeal da testa di cazzo ogni Marisa Tomei di The Wrestler, cioè una che sa come stimolare Mickey Rourke, mica roba da ridere, soltanto con l’arringa della sua parlantina confusionaria, sconnessa eppur più eccitante di Gemma Arterton. Da mettere i brividi e schienare chiunque con la sua terrona capacità istrionica talmente poderosa d’arrossarle tutto solamente col giubbotto di pelle e una palandrana comprata al mercato rionale.
Sì, parliamone di questi Billy Batts alla Vincent. Dei vincenti, per modo di dire, dei deficienti ultra-raccomandati che si sono comprati la carriera e pure slacciati la cerniera pur di promuovere qualche loro amichetta megera. La classica spintarella…
Dei cafoni ingrati, degli irriconoscenti boriosi che meritano un pestaggio smodato con tanto di scarpe insanguinate, un furioso Bob De Niro mattante, un Ray Liotta ammattitosi e appunto un Pesci mattoide di origine controllata che, dinanzi all’ennesima, gratuita offesa, non transige e severissimo punisce come suo fratello scalmanato, ovvero un Toro scatenato davvero imbufalito.
Mostruoso nella sua ira devastante, infermabile. Una testa calda, un Nicky Santoro esagitato, esagerato, da applauso a scena aperta e una matrona che lo serve, caldamente acconsente rovente ogni suo capriccio da folle demente. Scaldando ancor di più le sue escandescenze con baci di lingua delicati e ardenti. Piluccanti e sacrosanti. Ah, che magnifico fetente.
Un genio il Pesci. Infatti, Scorsese ha dichiarato che, se Pesci non avesse accettato di recitare, dopo il suo semi-ritiro pensionistico, in The Irishman, sinceramente non avrebbe trovato mai un rimpiazzo adatto, un “pazzo” così simpatico per la parte di Russell Bufalino.
Pesci, uno che pare buffo e invece è stato con Angie Everhart. Mica un coglioncino, miei bimbini da canzoni degli Oasis e qualche vostra donna amante di John Lennon. A quei due fratelli, Liam e Noel Gallagher, ho sempre preferito Callaghan.
Basta con Gabriele Muccino e quel ritardato di Silvio, con Berlusconi e tutta questa gente apparentemente sana e bella che non può amare Martin Scorsese perché, appunto, non sente scorrere nelle vene la furia di Joe. Anche di Nicolas Cage omonimo del film di David Gordon Green.
Intanto, lasciando stare Ed Sheeran, no, Frank Sheeran, i vostri Justin Bieber e le notizie tristi, son sempre più futurista.
Dio vi benedica e io volteggio fra le lune vive del mio avido livore. In quanto uomo dai freddi sudori ma anche luminescente di notte in ogni suo amabile candore. Sebbene non ci metterei la mano sul fuoco… son uomo imprevedibile e appunto di calore.
Mentre voi seminate coi vostri oltraggi soltanto terrore, io mangio carne e pochi ortaggi e non mi sta simpatica Virginia Raggi.
Sì, son tutti da abolire. Quelli del PD sono dei paraculi, Salvini è un burino, Di Maio un trimone, Sgarbi un uomo a cui far lo sgarbo.
E io la barba non mi taglio.
In quanto posso permettermi questo e altro.
Sono un gigione come il Pesciolone, miei pesciolini.
Ah, anch’io abboccai come un Pesci, no scusate, come un pesce quando mi diedero dello schizofrenico alla Spider, sì, di Cronenberg, e sparai all’impazzata. Mi ero stancato di essere trattato da “bravo ragazzo” che si fa mettere però i piedi in testa perfino dai camerieri.
Ma sì, facciamo del cameratismo! Goliardia!
E ricordate: sono l’unico uomo che racchiude nei suoi lineamenti il fascino di Bob De Niro, la forza di Al Pacino e la simpatia appunto di Joe.
Se non mi credete, amen.
Sempre a indagare su di me state? Indagate sul vostro cervello, piuttosto. Sì, ci vuole un Joe Pesci da Oscar in questi casi, come in Goodfellas:
Mi portano dentro, mi fanno le solite domande, sennò quello mi comincia a dire allora che ci dici di bello?
E io il solito, zero, niente. Che cazzo vi devo dire? E lui dice no, me la devi dire qualche cosa signor bulletto. E io d’accordo te la dico qualche cosa, vaffanculo a mamm’t’.
di Stefano Falotico
Scrivere un libro, che sia anche una monografia su Carpenter, è un’impresa allucinante, la mia recensione di Quei bravi ragazzi docet
Sì, da quando oramai anni fa mi son imbarcato e avventurato nelle mie creazioni letterarie, ho fuso…
Scrivere un libro, secondo me, non è poi così tanto difficile. Qualsiasi persona dotata di una media istruzione ne sarebbe capace. È che i più sono pigri e assorbiti da altri interessi. Così, svogliati, trascurano la parte loro artistica. Chiunque di noi è un artista. O, perlomeno, se anche a ottant’anni estrai dal cilindro della tua anima una creazione, significa che sostanzialmente artista lo sei sempre stato. Ma probabilmente le esigenze della vita te l’avevano impedito, ti eri arenato nel più piatto adattamento, e ti eri castigato, rinunciando ai tuoi innati sogni. Sì, comunque sia, se anche a ottant’anni scrivi un libro o ti dai alla fotografia, significa che prima o poi questa passione, questa tua inclinazione doveva saltar fuori. Era stata semplicemente taciuta dalla tua falsa coscienza che l’aveva tristemente rinnegata per svariate ragioni. O per paure, per il timore di apparire ridicolo agli occhi degli altri, oppure perché non avevi ancora avuto la forza e il coraggio di rivelare il tuo talento. Bello, apprezzato, brutto che sia o fosse. O che venga affossato. È già un atto, secondo me, altamente stimabile fare Arte o cercare di farla. Un’esternazione dell’espressione della tua anima, che può perfino non piacere, disgustare, essere derisa o respinta, ma è nonostante tutto una volontà di potenza tutt’atro che trascurabile, sprigionata delle viscere del nostro personale sentire.
L’Arte, infatti, è sentire e tentare di esprimere il nostro io. Articolandolo a sua volta, appunto, in varie forme espressive. Che possono essere la Letteratura, il Cinema, la Musica, la pittura e la scultura. Addirittura un selfie, se ben ponderato e ottimamente pensato e congegnato, può essere Arte.
Ecco, da tempo ho trovato un fidatissimo correttore di bozze infallibile. Un uomo disumano. Che possiede una velocità di lettura impressionante e al quale non sfugge, come si suol dire, neppure una virgola.
Un mese fa, circa, gli ho consegnato la bozza del mio libro su Carpenter, che trovate già in Kindle ed eBook, e presto sarà in pregiato cartaceo, e lui ha dimostrato una sveltezza da lasciarmi ancora una volta basito.
Ecco, va ammesso, parte del merito di questa sua repentina efficienza, va anche al sottoscritto. Che gli ha dato in mano un testo di quasi 140 pagine con soltanto una ventina di refusi abbastanza microscopici e irrilevanti.
Carente soltanto di qualche termine che, per via della fretta cattiva consigliera, era stato scritto imprecisamente. Un testo avente solo qualche anacoluto cacofonico e qualche inesattezza presto correggibile.
Ma il mio correttore di bozze, ripeto, ha un occhio clinico che fa invidia a una lince. E posso assicurarvi, permettetemi in questo di vantarmi di tal sofisticato pregio importantissimo, che nessun mio libro, anche il più astruso e fantasiosamente bizzarro, ridondante, barocco e dalla prosa complicatissima, non presenta nessun refuso. Se me ne trovate qualcuno, vi faccio santi e mi recherò ogni fine settimana a pregare la Madonna Incoronata di Foggia. Ah ah.
Ciò per dire che quando si fanno le cose bisogna farle bene. E non peccare mai di superficialità ed essere sciatti. Un libro non dev’essere, dunque, tirato via. Ogni singola parola va scrupolosamente passata al setaccio, bisogna rileggere la frase più e più volte, ostinatamente, e non lasciarsi travolgere dalla voglia di pubblicarlo subito. Sì, ciò può spazientire e portare vicino alla follia ma, una volta che tutto sarà meticolosamente a posto, ne andrete fieri, gioirete e probabilmente acquisterete maggiore autostima.
Ora, poche ore fa è stata pubblicata, su un sito di Cinema per cui collaboro, la mia recensione di Quei bravi ragazzi. Che peraltro potete trovare anche su FilmTv.it.
Una recensione che era stata pianificata. No! Io ero stato assai accorto nello scriverla ma andava ancora editata. Per ripulirla da alcune imprecisioni. Invece, il mio caporedattore è andato in vacanza e ha deciso di chiuderla immediatamente. Bisognava aspettare. Andava riletta con più attenzione.
Perché, ahimè, non era certamente impeccabile.
A un certo punto, essendo io uno che usa spesso i superlativi, ho scritto malfattissimo. Ma non volevo dire quartiere malfattissimo, bensì molto malfamato. E inoltre, se proprio avessi voluto usare questo superlativo un po’ campato per aria, avrei dovuto scrivere malfamatissimo.
Anche se, invero, il quartiere ove crebbe Henry Hill non è che fosse fatto benissimo. Ah ah. Un quartiere un po’ alla buona, diciamo, va’. Malavitoso, degradato, con gente che strillava da mattina a sera.
Poi, ho scritto… rinverrà e tre parole dopo verrà. Eh no.
Oppure incastrato sempre nella stessa frase. Fa schifo al cazzo.
E un altro paio, forse di più, di cazzatelle.
Sì, sono un uomo raffinato. Anche se talvolta eccedo e mi lascio andare.
Ad esempio, l’altra sera, dopo una lunga conversazione con una donna, una conversazione molto delicata, sensibilissima e introspettiva, all’apoteosi del mio crescente fremito erotico devastante, le ho scritto:
– Ok, è stata una chiacchierata magnifica. Adesso mi dici che devi andare a letto. Spero che nei prossimi giorni potrò venire… a letto con te, figona immensa.
Bannato.
In realtà non venni… bannato per questo motivo. Qualsiasi donna non ipocrita, se un uomo le dice che è una gran figa, sul momento può anche incazzarsi per l’apprezzamento un po’ rude e irruento, ma dentro di lei le fa molto piacere. Una donna vuole essere ammirata. Fidatevi, se una donna vi dice che se l’è presa perché lei hai detto che è una gran figa, è perché non è interessata a voi. Se invece le piacete, ridacchierà, inizialmente farà la sostenuta ma poi ve la darà. Ah ah.
Fui bannato perché, contemporaneamente, lo scrissi ad altre sue amiche più fighe di lei.
E lei se n’accorse.
Al che, come Lorraine Bracco di Goodfellas, m’ingiuriò pesantemente:
– Sei un depravato, un maiale, uno come te non lo voglio vedere neppure in cartolina.
– Ma scusa. Tu sei molto figa ma anche le tue amiche non scherzano. Io amo la sincerità.
E giù di altre offese immonde.
Sì, l’Arte mi fa impazzire, il Cinema anche te ma le donne mi piacciono ancora di più. Quasi tutte, senz’eccezione alcuna, come si suol dire.
Che poi praticamente finisca sempre in bianco e lo prenda in culo è un altro discorso. Un capitolo a parte.
Questa è la vita. Spesso non ha niente a che vedere con l’Arte, ch’è sublimazione poetica ed elevazione metafisica. Se le due cose si sposano, ne viene… un figlio? No, una figata.
È così. Adesso vado a mangiare un hamburger.
Amici, non spargete la voce in giro. State bazzicando la mafia, ultimamente.
Vedete di fottervi.
di Stefano Falotico
Il corniciaio che son io, pittore delle emozioni e amante fuori dalle convenzioni non inquadrabile
Oggi pomeriggio, ero seduto in macchina fra gli “ospiti”, cioè sul sedile dei passeggeri, e mi stavo recando a un bar “raffinato” per bere un caffè pomeridiano senza dare nell’occhio. Eppur il mio occhio indiscreto, memore di quello di Pesci, fotografò una vetrina su cui passo “di striscio” ogni giorno. Come potete vedere dalla foto scattata di semaforo rosso che mi permise d’inquadrare il marciapiede “ruvido”, frastagliato, oserei dire, insudiciato, in un’inquadratura asciutta ma sghemba che catturò il bidoncino dell’immondizia “ben” intonato a un quadro bellamente esposto di panorama forse caprese, quasi campestre, forse di costiera amalfitana, rustico come lo sono le trattorie marinaresche nel tramonto dei nostri sogni perduti, quando lì gozzovigliamo come goodfellas, sentendoci come fossimo da mammà.
Sì, un attimo inequivocabile di poesia in immagini, dunque immaginativa, ah ah, pittoresca. Quindi, a pochi metri da là, ecco il bar, gestito da una famiglia cinese da Anno del dragone. Quasi nessun cliente, d’altronde l’ora era moscia, ma d’improvviso ecco entrare una coppia che non ti aspetti. Un giovinastro ben pasciuto, di stazza, dimensioni simili a quelle di Meat Loaf in Fight Club, che s’accompagnava con la madre, decrepita e molto più bassa di lui di statura. In maniera ancora furtiva, mentre delicatamente mi scolai tutto l’aroma zuccherato mescolato all’umore marrone del mio essere uomo deliziosamente cremoso e umorale, ch’eppur screma ciò che non piace alle sue pa(pi)lle gustative, li osservai. E ne rimasi incantato, sì, mi mossero alla commozione in un istante d’inusitata tenerezza, perché questo ragazzone mi stupì per la maniera estremamente gentile, sinceramente affettuosa, quasi infantilmente creaturale, con cui porse alla madre, vecchia e forse malata, la bevanda che per lei aveva ordinato. Pagai, e uscii con far felpato, con gli occhi inumiditi da tanta morbidezza, da tanta purezza, da tanta cauta dolcezza.
Sì, la poesia nasce da piccolissimi gesti. Quindi, riappropriatomi del mio “abitacolo”, osservai il cielo nuvoloso che, scivolosamente precoce nell’imbrunire, si stava squagliando in poetica celestialità d’un Sole scioltamente sbiadito. E, nel viaggiare vellutato, il mio animo fu pervaso da una restaurata lietezza, una ritrovata armonia di gioia e letizia, di pace col mondo. Al che, ecco balzarmi alla mente il volto di Willem Dafoe, un viso scolpito nel marmo, amato da tutti i più grandi registi del mondo. Sì, vi basterà scorrere la sua filmografia per accorgervi che pochissimi possono tenergli testa in merito a collaborazioni autoriali di rilievo assoluto. Dalla Bigelow a Scorsese, da Walter Hill a William Friedkin, da David Lynch a David Cronenberg, da Wes Anderson a Wim Wenders, da Spike Lee ad Abel Ferrara, e tantissimi altri. E sarà presto van Gogh per l’impressionista Schnabel, e ciò apre la porta dell’eternità… del mio cuore molte volte inariditosi, spentosi, così adesso vividamente colorato in schizzi meravigliosi d’un florido risveglio.
Sì, Dafoe è un attore che artisticamente mi assomiglia. Spigoloso a e nei tratti, camaleontico, spaventosamente sé stesso anche quando fa la parte del gonzo per un film di Paul Schrader, ghignante, metafisico, oggi villain e domani villano, buono e tenero, duro e merdoso, quindi dentro la Colagrande nel suo “villeggiare” di orgasmi strani e di rizzo, enfiato glande. Qui non sono poeta ma indubbiamente un po’ “piccante”. Ah ah.
Così, tornai indietro e mi recai in quel negozio di cornici. Il quadro da me fotografato costava troppo ma io capisco l’Arte. Come Joe Pesci. Lo sai che mi piace? Un cane va da una parte e l’altro da quell’altra… e quello sta dicendo… ma che volete da me?
Giunsi finalmente di nuovo a casa. E aprii le notifiche di Facebook. Una donna mi aveva scritto che voleva che la fotografassi ignuda in maniera gratuita, senza darmi una lira e senza darmela. Una bella fregatura. Così, la mandai a fanculo e andai a leggere un libro di Charles Dickens.
di Stefano Falotico