La grande bellezza… del glande e Tua mamma è lotta(trice) a letto col fringuello del brutto a burrone, film “fini” finanziati dal Mi(ni)stero degli Inter(n)i, insomma Interiors di Allen, “identico”.
Se mi vuoi dar una mano, ti meno. In quanto a(r)mante.
Sì, ogni vacca sicula alle terme se la sciacqua “frizzante”, dopo il logorio d’una vita domestica masticata… Io diffamo tal affamata e, di scolo, non glielo (s)crollerò. Evviva gli scogli e le linguine alla panna. Se a codesta farò pena, sempre meglio che darle il pene. Da me, non riceverà neanche il pane. Va solo sfiancata. Perché di botte piene è la mammona ubriaca.
E io non sono una mummia avvinazzata, detesto i mammoni, meglio i papà sudati sul dargliene a tutta birra nel popò. Altro che le sue tristi sborrate. Sbrodolassero per questa i questori del far comune(lla). Vanno solo a zitoni e zitelle.
Attento alla bretella, io sono un bretone. Non una besciamella d’amplessi per le volgari abbuffate, come questa zoccola di tua madre, bensì un romantico che la prende, bel culo, a duri zoccoli. Immarcescibile, marcerò contro tal marcia. Eh sì, il mio non la marchia, il mio è di marca.
Antonio? No, non ti do. Din don dan, pugno! Allo stomaco? Sì, basta che non sia un suo festino di fisting un po’ più s(c)otto…
A Canicattini Bagni, lei da piccola se la bagnava, di pinzimonio, tutta già tumefatta e “in umido”, al bagnomaria andò a nozze. Con tanto di parruccona da domenicali parroci per l’ost(r)i(c)a benedetta delle domeniche “festive”. Presto detta, svestito il marito (an)dato. Ma lei è una svelt(in)a e molto di più.
Sì, mentre lei assaggiava, volente, entrante, nolente e semi-paraplegico, il “lento” del marito, con squisitissimi baci e “tenerezze”, da leccarsela… ella stessa… i baffetti, ah tal di malaffare donna da far… ribrezzo di cotanta… schifezza, il figlio invece scimunito ammirava L’armata delle tenebre. Che feci. E chi ne fa la foca? La voce? Urla sempre. Sempre lì lo piglia.
Lei, “amatissima”, il figlio preso dal grande Raimi, ma non si salvò dalla scimmia.
Finirà peggio dei cretini che giocano a ramino. A questo punto, meglio se avesse venduto sé stesso, di cocomero spompato, senza zucca in testa, a Rimini. Da me, tal zuccone, solo in testa beccherà i miei testicoli. Altro che bel riccioluto. Neppure affogato a Riccione. Ah, e si spacc(i)an per ricchi. So per certo che ama gli uomini ginnasti di “spaccate”.
Poi, lo scaraventerò a mare col testacoda.
Ani di anno, infatti, sempre in sguaiato suo fallo, fallito in stagioni sterili, lo scemo del villaggio non avrebbe, di lì a pochezza del suo cervello, viaggiato mica tanto. Ingombrato dalla madre castratrice, soprattutto dei suoi somari scolari, a cui li scrollava, bocciandoli anche di palle e la pala d’un ventilatore della sua a(i)u(o)la (con)ficcato a figa ammuffita nel ventilare che la promozione sarebbe stata (man)tenuta se nel bagnetto, appunto, avrebbero incessantemente “incensato” lei, il cesso con lode e tanto di water.
Va lo sciacquone, il marito è un “trombone”, il figlio, fra “botte” e inculate mai viste, non sente un cazzo oramai.
Mamma santa!
“Tiratela!”.
Doppio sen(s)o, cioè se la tira… che pellaccia.