Italoamericano doc con la sua compianta madre che gigioneggiava sempre di cammei strepitosi, preparando le polpette come il piombo che fanno bum bum in Quei bravi ragazzi e arrabbiandosi dinanzi alle bestemmie di suo marito in Casinò. Donna che sapeva far di conto non solo alla cassa bensì nella sua famiglia. Non quella dei Corleone, però, istruendo Martin alla giustezza. Poiché Martin, come Harvey Keitel di Mean Streets, era combattuto se associarsi alla piccola manovalanza del crimine di Little Italy oppure se farsi fariseo prete. Seguendo la tradizione ipocrita di molti figli d’emigrati che, non trovando una buona sistemazione, finirono col pontificare da quale pulpito…
Donna che educò zio Marty a sacri, inscindibili valori veri e veraci. Martin comprese, come in The Departed, che non possedeva, nel bene e nel male, il fisico e la cattiveria per superare i test attitudinali d’una polizia fascista, ma non aveva neppure i requisiti genealogici e caratteriali per diventare un gangster cinico e cattivissimo. Traviato e debosciato, soltanto in riga irreggimentato.
Un uomo, il Martino, sempre dubbioso. Anche se bere un Martini o un’Oransoda. Un uomo sodo che forse voleva assurgere a moderno Gesù precipitato nell’inferno di Hell’s Kitchen come il suo paramedico di Al di là della vita. Ma comunque amava troppo le donne per santificarsi e si concesse il lusso dell’Ultima tentazione di Cristo con Rossellini Isabella. Una che all’epoca era bellissima. Più figa di Barbara Hershey.
E divenne appunto un cineasta di risma, non un teppistello da squallide risse né un predicatore dei poveri…
È per questo che adoro, venero, idolatro più di una comare palermitana nei confronti del sacro rosario, il suo Cinema violento, cazzuto, religiosamente arrabbiato e viscerale, corporeo e al contempo intriso di pura metafisica incendiaria come Toro scatenato, il suo romanticismo sfrenato come quello di Sam Ace Rothstein per la sua Ginger/Sharon Stone. Un uomo talmente innamorato, il Sam, da regalare la chiave non solo del suo cuore, bensì quella patrimoniale, alla protagonista di Basic Instinct. Una a cui io darei solo quello… e basta. Capace che poi, come in Casinò, lega nostra figlia a letto mentre lei se la spassa col tuo amico d’infanzia, un povero cazzone, e con un pappone di bieca ordinanza, un James Woods di nome Lester Diamond. Un uomo poco adamantino, un puttaniere incallito, un viscido truffaldino.
Che capolavoro Casinò. Un film peraltro doppiato da Dio, con un Manlio De Angelis al suo massimo storico, un Gigi Proietti migliore di tutti gli Stefano De Sando e i Ferruccio Amendola possibili, e quella figa pazzesca…
Ah, Sharon, già il nome m’accende e volo/a alto. Profuma di stronza di classe, di provocatrice d’alto bordo. Mica come queste popolane attricette che stanno in Italia. Paese che, come giustamente asserì Pier Paolo Pasolini, finge di essere progressista e culturalmente avanzato, invece rimane puntualmente, ciclicamente, ciecamente fermo ai suoi bassi rituali, al suo raccapricciante, scandaloso classismo sociale, alle sue varicose vene e alle sue vane, effimere lotte operaie dinanzi a gente come Berlusconi e suo figlio. No, non Pier Paolo, Pier Silvio. Uno che sa come accontentare il popolino, riempiendo le tasche di quell’ipocrita di J-Ax. Il quale a sua volta, con gli anelloni al dito e i miliardi che gli escono pure dalle orecchie, continua ad ammorbarci coi suoi tormentoni, adesso con Tormento.
Canzone furbissima ascoltata da una generazione disperata di ragazzi, ahinoi sprovveduti e troppo ingenui, che non sanno come scaricare le loro benedette ire se non scaricando la musica di uno che, dietro la facciata dell’underground da centri sociali, invero solamente /vili prende per il culo. Assolutamente.
Così come fa il Cinema italiano. Nanni Moretti lo definiva e definisce tuttora Cinema ricattatorio e ruffiano.
Cioè quel Cinema che pare ammantarsi di un’aura impegnata e pedagogicamente inappuntabile, in realtà compiace soltanto i malumori della gente frustrata, consolandola con quello che la gente vuole sentirsi dire. Suonandosela e cantandosela, appunto.
Uguale alle canzoni di Vasco Rossi. Uno che ancora riempie gli stadi perché l’uomo medio, rappresentante della maggioranza, s’identifica in questo asino che raglia e che parla, declama la libertà con più soldi di Bono Vox degli U2. E fu lanciato perfino dagli Stadio…
Sono stanco perfino di Marco Bellocchio e Gianni Amelio. Un tempo erano forti, Così ridevano, schierati davvero contro un sistema corrotto. M’hanno anche loro rotto.
Col loro Cinema a metà strada tra una fiction con Giorgio Tirabassi di Pietro Valsecchi e un programma elettorale, un Cinema falsamente politico che va perennemente, noiosamente a parare sui capi dei capi, su Cosa Nostra, sulla malavita organizzata, su Tangentopoli e gli intrallazzi perfino dell’ex papa Ratzinger, dei paparazzi e gli strafalcioni lessicali di Antonio Razzi.
Anche The Irishman sarà un film di mafia, come si suol dire.
Ma qui viaggeremo su alti livelli, a grandi velocità come in Ford v Ferrari del grande James Mangold.
Ecco, siamo stanchi di questo vecchiume italico, di questi bellocci e di questi sterili, deprimenti balletti.
Di questi vecchietti a vent’anni e di questi tromboni in verità solo emeriti coglioni.
È arrivato Rambo.
Anche se il trailer del quinto è una bella porcata…