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Poesie by Gianluca Viola


29 Jul

BRUCIO DI TE. CANTO D’AMORE E D’USTIONE

Brividi di freddo, mescolati a vampate improvvise di caldo, menopausa effimera all’interno della mia epidermide rossastra.

Schiena febbricitante, assenza, fortunatamente, della benché minima traccia di fitte. Mi tocco, dolorante, la superficie calda delle spalle, sfrego la mano all’interno della pelle resa secca dall’eritema, mi accaldo io stesso mentre tento di donare sollievo a ciò che non può ricevere sollievo alcuno.

Non mi piacciono le ustioni, a meno che non siano interne.
Preferisco le ustioni del cuore e dell’anima a quelle passeggere della pelle.

Ma piace comunque, ogni tanto, pensare che nella mia bollente schiena, nascosta chissà dove, all’interno del più interno strato di pelle, sia nascosta tu, e che il calore emesso sia in realtà il tuo calore.

Ecco, ora si può dire esattamente: brucio di te.

OH BELLA ADDIO

“Oh partigiano, portami via”.

Come chi diceva, o meglio scriveva di odiare gli indifferenti e poi, proprio lì, nell’indifferenza, è stato relegato dai suoi indegni colleghi. Una mattina mi son svegliato e sono andato a comprare il giornale, quale non ha importanza, tanto ci sono scritte le stesse cose con la stessa lingua. A volte anche male. Una mattina mi son svegliato ed ho trovato l’invasor, a casa mia. Non sono mai certo se star dalla parte di chi invade o di chi è invaso, mi è sempre stato inviso l’invadere, e anche l’essere invaso. Mi sono creduto invadente, si, ma invaso, mai. Invasore, men che meno. Invasore è chi entra con veemenza all’interno di qualcosa che non concerne la sua proprietà fisica o intellettuale.

Tutti siamo invasi e invasore di qualcuno o di qualcosa. Oh partigiano… no, fermati, cancella questa parte. Partigiano non è un termine da 2013, è squalificato, dalla sinistra in primis, useremo un altro termine…

che so… democratico, ecco. Oh democratico, portami via… ma no, non va… dove ti può portare un democratico se non nel suo basso? Proviamone un altro, dai, proviamo moderato. Oh moderato, portami via. No, non suona bene nemmeno questo, il moderato al massimo ti porta via i rimborsi elettorali. Vada per partigiano, ma si sappia che questa brutta parola è, in quanto brutta, inutilizzabile. Oh partigiano, portami via, perché mi sento di morir. Scendi dalle Alpi, tu, o unico partigiano rimasto, tu che ti schieri e non cerchi di pacificare, tu che non chiami l’inciucio dialogo. Vieni qui che c’è tanto bisogno, o partigiano! Portami via! Andiamo dove vuoi tu, ti prego, anche in Islanda, ma non qui, ovunque ma non qui. Partigiano? Mi senti? Ci sei ancora? Le mie parole se le porta via il vento, che peccato. E se io muoio da partigiano, tu mi devi seppellir. Ascoltami partigiano, tu che viaggi come un motorino, che però è rimasto senza gas, ti prego, ascolta la mia supplica, sono qui che ti aspetto da una vita. C’è tanto ancora da liberare, o partigiani, ma dove siete? E seppellire lassù in montagna, sotto l’ombra di un bel fior. Perché non rispondete? Cosa vi è successo? Toglietevi quelle magliette di Che Guevara, smettetela, andiamo. Siete stati corrotti anche voi da chi diceva che servono nuove parole, quando invece bisognava solo ascoltare quelle vecchie. Antonio Gramsci vi odierebbe. Antonio Gramsci vi ucciderebbe. Partigiani, reagite! Non cantate più Avanti Popolo, mandando avanti sempre e solo il popolo, rimanendo voi indietro, partigiani! Popolo di sinistra, voi, contadini non istruiti… oggi la sinistra è tutta cultura, ma inutile però. O meglio, solo erudizione. Ma non usiamo più nemmeno quel termine, è estinto. Sinistra, ormai, è solo un aggettivo che può essere usato per descrivere una vecchia casa di campagna che ha la porta che scricchiola. E questo è il fiore del partigiano. Vogliamo anche le rose, si. Uno che non la pensava come voi disse che non vogliamo essere subito così rassegnati e senza sogni. Vogliamo ridere, appassionarci, vogliamo urlare, vogliamo discutere, vogliamo essere sinistri, non considerandolo aggettivo. Vogliamo anche perdere, ma con onore. Vogliamo anche dialogare, ma rimanendo sui nostri punti. Partigiani, se ci siete ancora, rispondete all’appello, vi scongiuro. Bussate alla porta di altri come voi, e scendete a Roma, c’è tanto bisogno di voi, ma tanto tanto.

 

Vogliamo ancora credere in qualcosa, essere rappresentati, essere, non sembrare di essere. Vogliamo poter dire “io sono di sinistra” senza vergognarci di essere considerati sostenitori degli inciuciari, delinquenti, senza idee e senza intelligenza. Vogliamo avere un sogno. Vogliamo vivere. E questo è il fiore del partigiano, morto per… morto per… morto per?

 

TU, MIA

Una intera nottata buttato accanto… al tuo profumo, dolce, fresco, come marea, condito dall’arcadia lontana del tuo essere improvvisamente, supremamente ed eternamente viva, di una vita eburnea, solare, di una bellezza pudica, di casto erotismo, orientale, orientaleggiante, orientata, orientativa.
Dedicami le tue notti e regalami i tuoi giorni, dedicami i tuoi giorni e regalami le tue notti, con mille baci mangiami, di saliva dissetami, di calore bruciami, brucio di te come se fossi fuoco, e io plastica.

Tu, isola che non c’è, cristallo ineffabile, materiale non malleabile, mandorla dolcenera.

Tu, inconsapevole arte moderna,  scultura michelangiolina, perfezione dell’imperfezione, maschera della pigrizia, celebrazione dell’errore.

Tu, vorace presenza, sirena onirica,  vampiro vegetariano, meravigliosa creatura.
Tu, mia.

 

NOTTETEMPO

“E un’altra volta è notte e scrivo/ non so nemmeno io per che motivo/ forse perché son vivo/ e voglio in questo modo dire ‘sono’”. Che cosa diventa a lungo andare tutto il piacere che abbiamo provato da ragazzi? In cosa si trasforma? In dei buffi e allucinanti e allucinatori amarcord coloniali, in degli alberi di marzapane, in dei giardini pensili calabresi, in una goccia di rugiada il ventuno di marzo sull’autostrada del sole? Che poi, che significa essere ragazzi? Nell’antica Grecia si era ragazzi fino allo spuntare dei primi peli, qui si è ragazzi fino alla caduta dei primi peli. D’altronde i tempi cambiano, e coi tempi cambiano i modi di fare. Prendete esempio dalle stelle: le vedete in cielo come sono fisse, bellissime, lucenti. Forse è lì che si nasconde la riserva di tutto il piacere che abbiamo provato in passato. Tutti gli amori che abbiamo creduto di avere, o che per paura non abbiamo avuto. Siamo fatti di ripensamenti, rimpianti e frasi ad effetto che avremmo voluto dire durante le litigate, e che invece sono venute in mente dopo. Il rimpianto è il più melò dei sentimenti, più dell’amore. Il rimpianto è un francesismo obbligato, un qualcosa da festa mobile, da Parigi anni 20, o al massimo da Belle Époque.

Ci si scompone, cubisticamente. Si diventa opere di Braque e di Pablo Picasso. Ci si scinde in più cose, in più persone, in più sezioni. Ci si scinde perché è inutile che qualcosa rimanga solida, completamente inutile. L’unità del tutto esiste solo grazie alla scomposizione di questo. Niente scomposizione, niente unione. E dunque, dove si trova tutto questo piacere?
Nelle bottiglie di Jack Daniel’s svuotate, fumando Pall Mall e ascoltando gli Stones.

“Il nostro Tempo” di Stefano Falotico e Gianluca Viola


25 Jul

Aggredite sia le persone invise perché apparvero “invisibili” e sia i film che non avete ancora visto ma “decretate” falli(men)t(ar)i ancor prima d’assaggiarli, di leccarne la dolce e grintosa forza pugnace, il loro afflato su cui alitate in verdetti finali che dapprincipio peccan appunto di erronea distorsione, causa la diottria d’un vostro fraintendimento a ribaltare la vita in schizofreniche visioni vecchie e poco fresche.

Largo alla giovinezza, senti come arde e s’infiamma dalle agonie che, invece, voi patite. Che morsa attanaglia il vostro patetico lamento. Molta panna, molta pena. E il pene? Il pene va aggiunto.
Cos’è? Siete bisognosi d’affetto? Allora, eccovi serviti: un affettato a quest’opalescente tintura d’abbuffate buffissime e loffie, su, struccatevi, noi indossiam sol la maschera quando ci bruciamo troppo per cagione, e impiccagioni frettolose, di troppo adocchiarci nello schivar chi a voi non si confà e non s’adatta a tal poco davvero vostra lattea galassia. Noi d’acutezza siam grissini e ingrossiamo i nostri sogni. Ampliandoli in allevamenti fra voi, i dementi. V’acciuffiamo e pettiniamo di “ceffoni” chi ci stuferà coi suoi ciuffi! Stufati. Vi stantuffiamo!
Che della vita avete equivocato anche vostra moglie, innamorandovi di tette già da ammuffito latticino e non da peperoncini a carezzar i di Lei capezzoli con sobrio scioglierla in lingua che pretendo sia biforcuta, fornicante, ché dall’angusta sua malinconia svesta il vero gusto, la lecchi con ardore privo di pavidità. Questa vita qua non è un viso pallido, bensì ancora da “montare” calda, bolle! Cavalchiamo in sella, miei prodi. Ecco le pentolate! Il pentecostale alle tue costolette! E tu porco levale le “mance” di dosso. Non è serva che serve secondo “volere è potere”, è sol che servile ai vili come voi, ipocriti sempre nei porcili.

Io e Gian… ce ne altamente e bellamente freghiam’… sgraffigniamo e non invochiamo qualcuna che c’invogli coi suoi capricci di “tovaglia”. Siam metafisici senza doglie e con giustezza siam noi a giudicare questo vostro travaglio e a cucir le bocche coi bavagli.
Se tu ragli, perché io dovrei avallarti? No, mio villano sei sol possidente di tante ville ma io sono il possessore del valore anche se non ho oro da offrire alle tue belle che “belano”.
Io guido da gran pastore e sbeffeggio di sana piantissima, non la pianto mai e, se mi va, coltivo anche delle “piantine”, fumandomela alla grande di “girasole”. Che coito. Che cottura!
Ti gireran le palle ma che puoi farmi? Farmelo? Sì, al massimo ti regalerò un “pacco” regalo con un sano “Vaffanculo” infil(z)ato seduta stante.
E composto devi star(ci). Altrimenti, ne beccherai nel didietro tante. A sangue! Non sculacciate lì nel popò ma si squaglierà il salsicciott’, miei “squali” pienotti, come liofilizzante, già, una pappina.
Tu non hai fatto la gavetta. E allora il gavettone!
Io non credo ai papi e dunque son la bolla papale e anche scrittore con tanto di papalina e Cappella michelangiolesca.
Io dipingo il Creato di nudo e crudo, schizzo pennellate come il Pinturicchio e ti “tiro” le orecchie. Usa i parastinchi, maiale, mafioso siculo e “sicurissimo” di falsi segni della “Croce”. Poi, esci dalla chiesetta e, appena scorgi un buon culetto, dopo tanta acqua “benedettissima”; urli “Minchia, che pezzo di sticchio!”. Fai schifo!
Ti conosco, sei  eppur un Uomo, quindi qualcosa abita di “purè” e “aleggia” fra le tue cos(c)e. Non puoi celare la verità, non far il “surgelato”, non sigillarlo quando nessun ti vede poiché a me non sfugge proprio Nu(te)lla. Ti pulisco col bidet. E ti riduco bidello!
Ecco il bignè. A te e a quella venduta di Daria Bignardi. Insipida anche se sta sul “podio”. Sì, per quattro polli. Mah, secondo me è bipolare. Un po’ frigida e non la dà perché “ce l’ha”.
Ah, la Notte viene e va… Guarda com’è finito Francesco Nuti, ammutolito e dir che se “l’è meritata”.
Da me, solo un “maritozzo” per addolcire la sua depressione da fig(li)o di puttane. Tante ne volle senza talento, ed ecco come l’accontenteremo.
Porgetegli dei fazzoletti e un babà pregno di liquor amar’. Ah ah.

Sparatevi questo e zitti state. Se no, altra razione e freddure, miei freddi “capistazione” da decapitazione, nazisti caporali e mie teste dure da testicoli tosti senza “taste”, son io che ve lo tasto e se voglio, appunto, anche “taglio”.
Ficcandovi nel compartimento… stagno.
Ove potrà “svolazzare” a (in)castrato di vostri mostri. Ho perso il treno ma calcolo l’equazione binaria. Io ti sbrino e ti sbrano, in “due”.
Stendendoti in “stazione”. Chiaro, “stallone?”.
Io “sbuffo”, io sono “a vapore”…, ecco la malinconia che ti non ti sconfinfera. Ecco la “bestia” da fiera de “L’Unità!”. Ah ah.

Con stasera è tutto.
A domani, per altri pugni.

  1. Killing Season (2013)
    Un esempio lampante di Cinema reputato “inguardabile” ancor prima che esca dal “guscio”.
    A me è piaciuto. Come l’ho “veduto” se non è ancor da noi uscito?
    Basta recarsi sul “Tubo” anziché tubare con le troie “conturbanti”.
    Grazie. Un film avventuroso con s-cene graziose.
    Vale più un De Niro che spacca la mascella del Travolta con una freccia in mezzo alle sue labbra di voi lebbrosi.
  2. Out of the Furnace (2013)
    A parte il fatto che Crazy Heart è un grande film e retorica sarà tua sorella, la qual mi sembra una da “quaglie”.
    C’è poi Christian Bale, che dà sale e, se rompi, di botte… t’assalirà.
    Uomo che non si profuma col Pino Silvestre ma ascoltò Daniele Silvestri e la sua “Salirò” per distruggere la musichetta italiana. Egli voleva l’ano di metallo pesante.
    Infatti, rises Catwoman scopò. Come lo so?
    Prendete il Dvd dell’ultimo Batman di Nolan e guardate gli occhi di Anne Hathaway ogni volta che “condivide” la “grossa presenza scenica” con Christian.
    La sua recitazione si “prosciuga” e par che gli sussurri, sottovoce: “Finito il Ciak, ci diamo di là? Sono una gattina bagnata e va lucidat’. Dai, bel Bale, te la voglio dar’ e di pipistrello esigo che tu risorganello sgorgar’”.Tale dicesi porcata ma ci sta. Ah ah.
  3. Il pesce innamorato (1999)
    Finiscila Pieraccioni di frignare. Nei tuoi cazzo di filmacci, ci son soltanto delle fregne che, dietro raccomandazioni, tu (s)freghi.Da me, neanche un soldo. Chiamate i soldati. Tu ami “solidarizzare” col pubblico alla “bona”, io invece mi solidifico nella mia atavica convinzione.
    Per far un buon film, non basta schiaffare una figa.Fra l’altro, una cretina del genere non l’hai neppure schiaffeggiata.

    Sì, si dice che le donne non van sfiorate neppure con una rosa. Ah sì, la rosa ha le spine. Vero! “Verissimo”.
    Quindi, attento a scegliere dal fiorista quelle “sbucciate” a patata della tua patonza, mio stronzo. Ai rotocalchi ho sempre preferito non “calcificarlo” ma da calciatore a punizione “piazzante”.
    Meglio scaccolarsi, di seghe mentali e non, che bazzicar con delle merdose. Ma quali mimose. Ecco il moro(so).
    A me sembra una buzzicona, una da “Maremma bucaiola”.
    Almeno, se devi buttarla in vacca, scegli Sabrina Ferilli. Donna romana che non cucina i tuoi “fusilli” ma bucatini e “amatriciane”.
    Già, Sabrina non si vede più molto al “Cinema”. Ha da lavar il “bucato” di quanto ha macchiato pure i pann(olin)i sporchi dei bambini dei “produttori”.
    Lo sa… il figlio di Cecchi Gori, che col padre se la spupazzò nel “foro” roman(tic)o. Scudettandola con Pupo “viola” a cantar “La porti un bacione a Firenze”.
    Una “donna” al prosciuttino. Da braciole, poche coccole ma al detersivo “Coccolino Concentrato”.
    Già, quest’affamata necessità d’uno scarface Al “Ferruccio Amendola” (prima di Giannini della Roma e Giancarlo…) Pacino con tanto di “sputo” al pube “spot” della famosa pubblicità.
    Una presa in quel posto se te lo sfondan di fust(in)o.

    Da me, solo che calci. Altro che “orsacchiotti” e “peluche”.

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