BRUCIO DI TE. CANTO D’AMORE E D’USTIONE
Brividi di freddo, mescolati a vampate improvvise di caldo, menopausa effimera all’interno della mia epidermide rossastra.
Schiena febbricitante, assenza, fortunatamente, della benché minima traccia di fitte. Mi tocco, dolorante, la superficie calda delle spalle, sfrego la mano all’interno della pelle resa secca dall’eritema, mi accaldo io stesso mentre tento di donare sollievo a ciò che non può ricevere sollievo alcuno.
Non mi piacciono le ustioni, a meno che non siano interne.
Preferisco le ustioni del cuore e dell’anima a quelle passeggere della pelle.
Ma piace comunque, ogni tanto, pensare che nella mia bollente schiena, nascosta chissà dove, all’interno del più interno strato di pelle, sia nascosta tu, e che il calore emesso sia in realtà il tuo calore.
Ecco, ora si può dire esattamente: brucio di te.
OH BELLA ADDIO
“Oh partigiano, portami via”.
Come chi diceva, o meglio scriveva di odiare gli indifferenti e poi, proprio lì, nell’indifferenza, è stato relegato dai suoi indegni colleghi. Una mattina mi son svegliato e sono andato a comprare il giornale, quale non ha importanza, tanto ci sono scritte le stesse cose con la stessa lingua. A volte anche male. Una mattina mi son svegliato ed ho trovato l’invasor, a casa mia. Non sono mai certo se star dalla parte di chi invade o di chi è invaso, mi è sempre stato inviso l’invadere, e anche l’essere invaso. Mi sono creduto invadente, si, ma invaso, mai. Invasore, men che meno. Invasore è chi entra con veemenza all’interno di qualcosa che non concerne la sua proprietà fisica o intellettuale.
Tutti siamo invasi e invasore di qualcuno o di qualcosa. Oh partigiano… no, fermati, cancella questa parte. Partigiano non è un termine da 2013, è squalificato, dalla sinistra in primis, useremo un altro termine…
che so… democratico, ecco. Oh democratico, portami via… ma no, non va… dove ti può portare un democratico se non nel suo basso? Proviamone un altro, dai, proviamo moderato. Oh moderato, portami via. No, non suona bene nemmeno questo, il moderato al massimo ti porta via i rimborsi elettorali. Vada per partigiano, ma si sappia che questa brutta parola è, in quanto brutta, inutilizzabile. Oh partigiano, portami via, perché mi sento di morir. Scendi dalle Alpi, tu, o unico partigiano rimasto, tu che ti schieri e non cerchi di pacificare, tu che non chiami l’inciucio dialogo. Vieni qui che c’è tanto bisogno, o partigiano! Portami via! Andiamo dove vuoi tu, ti prego, anche in Islanda, ma non qui, ovunque ma non qui. Partigiano? Mi senti? Ci sei ancora? Le mie parole se le porta via il vento, che peccato. E se io muoio da partigiano, tu mi devi seppellir. Ascoltami partigiano, tu che viaggi come un motorino, che però è rimasto senza gas, ti prego, ascolta la mia supplica, sono qui che ti aspetto da una vita. C’è tanto ancora da liberare, o partigiani, ma dove siete? E seppellire lassù in montagna, sotto l’ombra di un bel fior. Perché non rispondete? Cosa vi è successo? Toglietevi quelle magliette di Che Guevara, smettetela, andiamo. Siete stati corrotti anche voi da chi diceva che servono nuove parole, quando invece bisognava solo ascoltare quelle vecchie. Antonio Gramsci vi odierebbe. Antonio Gramsci vi ucciderebbe. Partigiani, reagite! Non cantate più Avanti Popolo, mandando avanti sempre e solo il popolo, rimanendo voi indietro, partigiani! Popolo di sinistra, voi, contadini non istruiti… oggi la sinistra è tutta cultura, ma inutile però. O meglio, solo erudizione. Ma non usiamo più nemmeno quel termine, è estinto. Sinistra, ormai, è solo un aggettivo che può essere usato per descrivere una vecchia casa di campagna che ha la porta che scricchiola. E questo è il fiore del partigiano. Vogliamo anche le rose, si. Uno che non la pensava come voi disse che non vogliamo essere subito così rassegnati e senza sogni. Vogliamo ridere, appassionarci, vogliamo urlare, vogliamo discutere, vogliamo essere sinistri, non considerandolo aggettivo. Vogliamo anche perdere, ma con onore. Vogliamo anche dialogare, ma rimanendo sui nostri punti. Partigiani, se ci siete ancora, rispondete all’appello, vi scongiuro. Bussate alla porta di altri come voi, e scendete a Roma, c’è tanto bisogno di voi, ma tanto tanto.
Vogliamo ancora credere in qualcosa, essere rappresentati, essere, non sembrare di essere. Vogliamo poter dire “io sono di sinistra” senza vergognarci di essere considerati sostenitori degli inciuciari, delinquenti, senza idee e senza intelligenza. Vogliamo avere un sogno. Vogliamo vivere. E questo è il fiore del partigiano, morto per… morto per… morto per?
TU, MIA
Una intera nottata buttato accanto… al tuo profumo, dolce, fresco, come marea, condito dall’arcadia lontana del tuo essere improvvisamente, supremamente ed eternamente viva, di una vita eburnea, solare, di una bellezza pudica, di casto erotismo, orientale, orientaleggiante, orientata, orientativa.
Dedicami le tue notti e regalami i tuoi giorni, dedicami i tuoi giorni e regalami le tue notti, con mille baci mangiami, di saliva dissetami, di calore bruciami, brucio di te come se fossi fuoco, e io plastica.
Tu, isola che non c’è, cristallo ineffabile, materiale non malleabile, mandorla dolcenera.
Tu, inconsapevole arte moderna, scultura michelangiolina, perfezione dell’imperfezione, maschera della pigrizia, celebrazione dell’errore.
Tu, vorace presenza, sirena onirica, vampiro vegetariano, meravigliosa creatura.
Tu, mia.
NOTTETEMPO
“E un’altra volta è notte e scrivo/ non so nemmeno io per che motivo/ forse perché son vivo/ e voglio in questo modo dire ‘sono’”. Che cosa diventa a lungo andare tutto il piacere che abbiamo provato da ragazzi? In cosa si trasforma? In dei buffi e allucinanti e allucinatori amarcord coloniali, in degli alberi di marzapane, in dei giardini pensili calabresi, in una goccia di rugiada il ventuno di marzo sull’autostrada del sole? Che poi, che significa essere ragazzi? Nell’antica Grecia si era ragazzi fino allo spuntare dei primi peli, qui si è ragazzi fino alla caduta dei primi peli. D’altronde i tempi cambiano, e coi tempi cambiano i modi di fare. Prendete esempio dalle stelle: le vedete in cielo come sono fisse, bellissime, lucenti. Forse è lì che si nasconde la riserva di tutto il piacere che abbiamo provato in passato. Tutti gli amori che abbiamo creduto di avere, o che per paura non abbiamo avuto. Siamo fatti di ripensamenti, rimpianti e frasi ad effetto che avremmo voluto dire durante le litigate, e che invece sono venute in mente dopo. Il rimpianto è il più melò dei sentimenti, più dell’amore. Il rimpianto è un francesismo obbligato, un qualcosa da festa mobile, da Parigi anni 20, o al massimo da Belle Époque.
Ci si scompone, cubisticamente. Si diventa opere di Braque e di Pablo Picasso. Ci si scinde in più cose, in più persone, in più sezioni. Ci si scinde perché è inutile che qualcosa rimanga solida, completamente inutile. L’unità del tutto esiste solo grazie alla scomposizione di questo. Niente scomposizione, niente unione. E dunque, dove si trova tutto questo piacere?
Nelle bottiglie di Jack Daniel’s svuotate, fumando Pall Mall e ascoltando gli Stones.