Il grande o piccolo Cinema smentisce uno dei più infimi luoghi comuni. Cioè quello secondo cui due uomini non possano essere soltanto grandi amici pur frequentandosi assiduamente. Perché qualche malalingua potrebbe pensare male, alludendo ad altro. Ah ah. Basta, davvero. Basterebbero, infatti, questi film e queste coppie storiche per distruggere tali oscene chiacchiere da bar e queste retrive, tristissime, abiette dicerie figlie delle peggiori menti malate più bigotte.
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In tempi di COVID-19 angosciante, vogliamo vedere CRY MACHO di Clint Eastwood e ascoltare, su Audible, BOLOGNA INSANGUINATA, poliziesco e thriller di grande suspense
Sì, ho una venerazione particolare per Clint Eastwood. Tant’è che, alle volte, dinanzi alla sua forza non solo cinematografica, temo di essere gay e di essermi compenetrato nella sua Settima Arte in modo così amoroso da venir… ammalato di malattia venerea.
C’è un film che, a prescindere dal disagio devastante indotto dalla situazione pandemica attuale, alquanto angosciante, aspetto con trepidazione immane, sì, con incommensurabile ansia. Ovvero Cry Macho, firmato da colui che, per antonomasia, incarna la mia moral guidance, ribadisco, par excellence. Vale a dire ovviamente l’immenso Eastwood, Clint Eastwood. Per dirla à la Michael J. Fox del terzo capitolo della saga, se preferite chiamarlo/a franchise, di Ritorno al futuro.
Be’, Back to the Future di Bobby Zemeckis è uno dei film della mia vita. No, non posseggo la macchina del tempo e, al massimo, al posto della DeLorean super-accessoriata con tanto di flusso canalizzatore inventato da Doc Christopher Lloyd, debbo ammettere che in passato assomigliai al Lloyd di Qualcuno volò sul nido del cuculo. Sì, non fui funestato dal Covid, detto altresì Coronavirus, bensì dal d.o.c. di purissima origine controllata e certificata. Sì, fui Jack Nicholson di Qualcosa è cambiato, essendo stato considerato anaffettivo, affettato e artefatto, no, affetto da un innocuo disturbo ossessivo-compulsivo di matrice ritualistica e relative manie igieniche da mentale igiene… assolutamente inutile da vostro asilo nido.
Ecco, oggi ne sono ammalati tutti. Se entri in un bar, per esempio, e prima di bere un caffè non ti pulisci le mani col gel igienizzante, è capace che il gestore del locale chiami la polizia. Dunque, vieni preso per il culo e poi per il collo, quindi picchiato e imbracato con la camicia di forza, spedito a un TSO atto a sedare, con misure restrittive di quarantene a mo’ di governo Conte e Draghi, ogni tuo ministro Speranza. No, scusate, volevo dire, atto a inibire ogni tua “aggressività” figlia dell’essere stato estenuato, castigato, murato vivo dai vari lockdown veramente ammorbanti e castranti. Tristissimi e deprimenti. Basta con le reprimende. Sì, sono tremendo.
Stiamo perdendo le speranze, ci stanno chiudendo forse metaforicamente all’Ottonello di Bologna, celeberrimo nosocomio ove chi, esasperato da una vita stressante e strozzante ogni impulso per l’appunto istintivamente, sanamente vitalistico dei più umanamente inneggianti alla libertà non coartata né maltrattata in modo arbitrariamente coatto, accusa scompensi psicologici acuti dei più gravi e allarmanti. E, in quanto urlante come i coatti alla fontana di Trevi della capitale italiana, viene multato in modo salato. Anzi, mi correggo. Viene reso muto solo perché rivendicò che, senza un sostegno non farmacologico, bensì prettamente economico, detto anche indennizzo, non soltanto non potrà pagarsi il mutuo ma sarà pure presto sepolto vivo e suicidato.
Sì, davvero. Non se ne può più. Ci mancava Walter Ricciardi. Non bastarono le Brigate Rosse a fare del terrorismo? Adesso, questo medico dei muti che stiamo diventando noi, no, della mutua, propone violentemente e propugna brutalmente gli arresti domiciliari a briglia sciolta, sì, le catene, cioè la totale quarantena.
La gente, distrutta e sempre più disoccupata, nelle zone erogene spappolata, angariata e martoriata, dopo aver passato le pseudo-vacanze natalizie in cui festeggiò, per modo di dire, la nascita del Cristo, colui che passò un osceno martirio, a rivedere I ponti di Madison County e Gli spietati su Netflix Italia, nell’utopia che il romanticismo di Eastwood alleviasse ogni ferita non solo del cuore, si sente ora irrimediabilmente sfregiata, più che altro fregata e fottuta come Anna Levine Thomson dello stesso Unforgiven.
Al che le persone, arrugginite come William Munny, si persero nella nebbia dei loro fantasmi. Ma vogliono ugualmente combattere ostinatamente, saviamente più che altro, ogni malasanità e falso diritto poco egualitario. E, anziché fare irruzione nel saloon ove spadroneggia e detta legge il vile e laido, corrotto sceriffo impunito e poco pulito, Gene Hackman, ubicato nella spettrale Big Whiskey, in tale era del Proibizionismo emesso da privilegiati pavidi, a mo’ di Kevin Costner del western metropolitano Gli intoccabili, anela solamente a poter bere del sano whisky in un normale pub. Che sarà mai un bicchierino? Basta con Lucia Azzolina. A cui canterei una bella canzoncina: rose, no, zone rosse per te, ho comprato stasera e il tuo cuore lo sa.
Ah ah.
Eppure i locali chiudono alle 18 e, solo per due ore, fanno da asporto. Asportando ogni chimera anche di chi non è un alcolista cronico o anonimo, bensì una semplice vecchietta non cocainomane ma umilmente amante solamente, più che altro solissima, del caffè da brava signora della notte… come Frances Fisher.
Ebbene, in un mondo e in un Belpaese ove la demenza impazza a Montecitorio, stanno esagerando, no, esigiamo tutti assieme appassionatamente, a suffragio universale imprescindibile e insindacabile, una ribellione popolare? No, vogliamo almeno andare, semmai anche in modo ameno altrimenti tutti vi meno, dal tabaccaio anche alle 23 se siamo sprovvisti d’un pacchetto di sigarette Chesterfield. Le sigarette del cowboy dei poveri, abitante anche nella Pianura Padana. Grande fruitore, peraltro, di piadine romagnole e dotato all’occorrenza non della 44 Magnum da Callaghan fra le gambe, bensì della celebre, sebbene non finissima, espressione sorbole!
Così anche i laureati alla Sorbona, pure le laureate più bone invero raccomandatissime dal professore universitario corruttore e “promoter” delle bonazzone di “bocca buona”, eh già, sono sul piede di guerra e decretano l’insurrezione. In questo mondo crocifisso, vi sarà una catartica resurrezione?
Ebbene, dopo questa mia lunga e “penosa” digressione, arriviamo al punto dell’ascensione. No, della questione. Sì, voglio l’eccitazione. Avverto, in giro, troppa preoccupazione.
In Parlamento si dibatte, in queste ore, in merito ai nuovi e orribili provvedimenti da perpetrare a danno dell’incolpevole e impotente popolazione ridotta a essere dissidente, no, vulnerabile e resiliente.
Mentre un uomo, un revenant, un tale Falotico che “non vale niente”, ecco che diventa John Cusack di Mezzanotte nel giardino del bene e del male, trasformandosi nel mitico Sam Rockwell di Richard Jewell.
Egli è Steve, Steve Everett di Fino a prova contraria. Vuole vedervi sempre chiaro. Poiché, a mo’ di monco di Per qualche dollaro in più, non gli torna(va)no i conti…
Sì, finita l’era Conte, Il Falò deve far di conto. Spera anche che, con la sua lei, la quale abita in un’altra regione, possa presto consumare nuovamente vari coiti. Vediamo… uhm, tale Ricciardi deve essere molto ricco per fare lo stronzo e il figlio di put… none. Draghi è proprio un drago, come no, nell’aver rivoluzionato così tanto il governo da aver conservato non l’ordine sociale, bensì aver espresso la sua fiducia ai soliti noti di queste retrive, indelebili, cattive e impresentabili tradizioni.
Ci fu un uomo, un uomo smarritosi nella sua lunga notte da Mystic River, capace di recitare per 4h e 56 min. un audiolibro ove, alla pari di Eli Wallach de Il buono, il brutto, il cattivo, le spara grosse.
In tale Bologna insanguinata, tale “poveretto” accennò anche a Marco Dimitri. Capo dei Bambini di Satana, morto lo scorso e assai recente 13 Febbraio. Finalmente. Aveva rotto i cog… ni.
Poiché tale Falò adora La nona porta di Polanski.
Insomma, se credete al compianto (da chi?) Charles Manson, sareste capaci di massacri ignobili e di un esecrabile, immondo eccidio da Cielo Drive solo perché Rosemary’s Baby vi urtò non poco. Figli d’un demone Giuda!
Personalmente, adoro Walt Kowalski di Gran Torino, uno con le palle in mezzo a una società omertosa e collusa ai bullismi porci.
Ricordiamo inoltre a vossignoria vanagloriosa e lercia fino al midollo che, da qualche giorno, su Netflix essa può commuoversi, perlomeno una volta nella sua esistenza misera e sporca, dinanzi a Million Dollar Baby. Capolavoro assoluto! Non si discute. Chi lo discusse o lo discuterà, con me se la vedrà. Gli consiglio di vederlo oppure rivederlo, altrimenti sarà rivedibile.
Frankie non è mai più tornato. Non ha lasciato neanche un messaggio. Nessuno ha mai saputo che fine abbia fatto. Ho sperato che fosse venuto a cercare te. A chiederti per l’ennesima volta di perdonarlo… ma forse non c’era rimasto più niente nel suo cuore. Spero solo che abbia trovato un posto ove vivere in pace. Un posto in mezzo ai cedri e alle querce. Sperduto tra il nulla e l’addio. Ma forse è soltanto un’illusione. Ovunque si trovi adesso, ho pensato che fosse giusto farti sapere chi era veramente tuo padre.
Detto questo, spero di poter vedere Cry Macho al cinema come dio comanda e quanto prima.
Spero anche che Martin Scorsese si dia una mossa a girare Killers of the Flower Moon con Leo DiCaprio e Bob De Niro.
Sennò, mi gireranno.
Ricordate: un Falò incazzato è uno spettacolo che vale il prezzo del biglietto.
Comunque, non spargete la voce. La figlia di Eastwood, Alison, è gnocca.
Devo, infine ma non sfinito, dirvi la verità.
Pensai di essere debole e indifeso come uno dei McFly.
Purtroppo, sapete da dove viene il detto: non fare l’indiano? Da Qualcuno volò sul nido del cuculo.
In periodi da manicomio, ci vuole un tizio davvero forte. Capace di sollevare un macigno.
Ogni infermiera alla Louise Fletcher comincia a piangere. Non è colpa mia se io sono io e voi no.
Parola del Signore e non delle sceme signorine, signorotti e signorone di questo stivalone di porcelloni chiacchieroni.
Vado adesso a fumare un sigarone, poi mangerò un piatto di spaghetti western alla Sergio Leone, no, un po’ di maccheroni, miei bambagioni.
Salutatemi vostra madre. Lei gestisce il bordello. Lei è la matrona.
Chi è il padrone di questo cesso?
Un Falò nella notte, un ghost che ha, come dicono a Bologna, la cartola.
di Stefano Falotico
In tempi di Draghi, ci vuole il Drugo per ripristinare il mondo a Cinema, fumetti e anime purissimi/e da Ken il guerriero pulitissimo
Sì, a Bologna, quando una persona è prodigiosa, gli si dice: uè, ma lui lì è un drago.
Di mio, so che il vicino di casa di mia nonna, nella sua casa oramai abbandonata a sé stessa, ubicata in una zona brulla e remota dell’entroterra d’un paesino in provincia di Matera, di cognome faceva Dragonetti. Uomo forse non angioletto eppur carismatico dal fascino meridionale come un Al Pacino nostrano della Lucania con tanto di Amaro Averna, il gusto pieno della vita della moglie che si divertiva con gli amanti più calorosi di una vodka ad altissima temperatura, zuccherandoli dall’essere cassaintegrati mentre il Dragonetti, incassando altre botte al fegato, amaramente cantava con Domenico Modugno, forse oggi coi Negramaro. Ecco, in questi tempi bui ove nemmeno Rust Cohle/Matthew McConaughey riesce a sperare nella luce contro le tenebre, necessitiamo di una nuova stella di Hollywood? No, di una star dell’Orsa Maggiore a mo’ di Ken il guerriero. Epicamente “siglato” da Claudio Maioli. Uomo che, alla pari di Cristina D’Avena in versione virile su voce da Kickboxer à la Vandamme canoro, energizzò le nostre infanzie pronte a slanciarsi, dopo una torbida pubertà, in un’adolescenza che sognammo foriera di vitalità e godimenti lontani da vetusti schemi della “didattica a distanza” figlia d’adulti tromboneschi e oramai, da tempo immemorabile, spenti e depressi. Gente, invero, trombata e secondo me anche poco trombante, insomma, arrogante e impotente. Gente che, evidentemente delusa anzitempo, s’arrogò il diritto di volerci intenerire e incenerire al fine che, di rughe precoci e di panze piene veramente atroci, passassimo il tempo a giudicare come Mara Maionchi. Assoggettandoci al loro X–Factor atto a far sì che ci accor(p)assimo ai loro deperiti corpi, cuori e cori marci e putridi. Sì, esigo la giusta recensione, no, la regressione alla Ferdydurke. Opera letteraria davvero capolavoro di Witold Marian Gombrowicz. Sì, in un mondo imbarbarito ove la gente invidia, a mo’ di Iago, Mario Balotelli perché non è Otello ma stette con una di grosse t… te, ovvero Barbara Francesca Ovieni, la quale gli diceva… Mario non essere amletico, o vieni oppure andrò con Riccardo III che è storpio ma ha voglia e infatti urla… un cavallo, il mio regno per un cavallo e per una donna come Barbara, una cavalla che sa le gambe accavallare, ecco, io scazzai tutto e, nelle rughe, no, righe venute prima di Mario, non poco cazzeggiai. Ci vorrebbe Renato Pozzetto di Da grande per rivedere la vita con purezza totale, senza nemmeno scoglionarci con atti impuri. Ora, secondo Federico Frusciante, famoso critico YouTuber, David Bowie fu una put… na di bassissimo bordo mentre i Queen lo furono come Theresa Russell di Whore.
Secondo le grida popolari da arrotini e da personaggi circensi, da cretini, da venditori di castronerie da pere cotte, sì, da peracottari e, un tanto al chilo, qualunquisti imbonitori da mercato ortofrutticolo, emesse con sfacciataggine da Oscar da tali tuttologi fantomatici del web, Brian May non fu un chitarrista mentre i sedicenni del Conservatorio avrebbero un’estensione vocale maggiore rispetto a quella di Freddie Mercury. Queste idiozie fanno più paura di Freddy Krueger. Secondo me, questa gente è come Gene Hackman de Gli spietati. Quello sceriffo, nel suo rione, dettò legge. Propinando maieutica e “cultura” cinematografico-musicale ma non entrando però mai realmente in azione a mo’ di Amleto che perennemente delira imperterrito, non sempre a torto comunque, teorizza complotti su Netflix e scambia Clive Owen per Owen Wilson. Ah, sono comunisti così come Mario Brega di Un sacco bello, si capisce, incorruttibili mentre chiedono ed elemosinano soldi per recensioni da capitalisti deplorevoli. Ecco allora che qualcuno s’identifica in Gian Maria Volonté. Io credo di essere Marco van Basten. Cioè il centravanti più forte di sempre a cui spezzarono le gambe semplicemente perché quando scendeva in campo distruggeva chiunque. Ah no? Ecco, io non sono un uomo normale. È risaputo. Infatti, colpi come quelli di Mario, no, Marco, peraltro immarcabile, li possono eseguire tre persone, vale a dire Uma Thurman di Kill Bill vol. 2, Ken il guerriero e una persona su cui sarebbe stato meglio non comportarsi come i David Carradine di turno. Sì, i miei sono sfrontati affronti da William Munny, il revenant per eccellenza. Silenzio adesso, parla il Maestro. Se non vi sta bene, chiedetemi chi sia e come sarà Cry Macho e ve lo dirò dopo averlo visto. Ah ah.
di Stefano Falotico
La morte di Sean Connery e Gigi Proietti ci costerna ed atterrisce ma non dobbiamo svilirci, ci sono io a rallegrarvi, basta con gli sgarbi quotidiani…
Sì, quasi all’unisono, sono scomparsi due attori molto importanti.
Sebbene qui, in tale sede a sua volta rilevante per la cinematografia tutta, considerevole per ogni cinefilo o improvvisatosi critico nostrano, voglia subito, nettamente compiere un opportuno distinguo e affermare, con estrema fermezza e imperturbabile fierezza, oserei dire con lucidissima chiarezza, che dissento da chi definì Gigi Proietti un grande attore.
Pezzo alla David Foster Wallace italiano…
Riconosco a Vittorio Sgarbi la sua inoppugnabile, imbattibile capacità esegetica di valutare l’Arte, soprattutto ipotetica, pittorica e scultorea, dettagliatamente e con profonda garbatezza. Peraltro, termine che poco gli si addice quando, assalito da pusillanimità figlia della sua innata, inestirpabile arroganza un po’ mendace, elargisce parsimoniosamente, eufemisticamente e contraddittoriamente, con scarsa generosità umana nei riguardi del prossimo, spesso da lui considerato, superficialmente e anti-democraticamente, una capra totalmente, cioè un impresentabile ignorante che di molte più conoscenze, desiderio di affamarsi di scibile ma carente culturalmente, abbisognerebbe al fine di affinarsi e non sfigurare con lui, magnificatosi nel divinizzare sé stesso, non solo Michelangelo, perfino la sua famosa ex storica, la Casalegno, da non confondere con Gianroberto Casaleggio e con Rocco Casalino, neanche con Casalecchio, frazioncina di Bologna ove spesso “alloggio” per bere un buon caffè con tanto di gambe accavallate da uomo intellettuale o forse da Joaquin Phoenix di Irrational Man, ah ah.
Dunque, riconosciuto il valore critico, in termini prettamente inerenti l’esegesi artistica, allo Sgarbi nazionale, debbo però dirgli, in buona fede, che di Cinema non capisce niente.
E sarebbe meglio che si astenga a strumentalizzare la morte di Gigi Proietti per scopi esclusivamente suoi dediti a fare opposizione contro il governo Conte e i 5 Stelle.
Inoltre, tanti anni fa, Sgarbi mise lingua, sì, la sua, erudita, colta, raffinata, forbita, soprattutto furbetta, su Eyes Wide Shut.
Uscendosene con delle esternazioni poco attinenti a Kubrick. Che ne può sapere uno come lui, infatti, di Barry Lindon?
Lui, abituato al tè London, lui che non visse mai un’adolescenza da Alex di Arancia meccanica, cioè Malcolm McDowell?
Lui che non ha figli e, malgrado ci “doni” video scolpiti a suo Jack Torrance dei poveri con lo sfondo di un quadro che vale ventimila Euro o cinquemila dollari, non patì mai nessuna crisi d’ispirazione e blocco dello scrittore da Jack Nicholson, per l’appunto, di Shining.
In quanto giammai necessitò di starsene isolato davvero, soffrendo il gelo della paura orrifica di non poter pagare una bolletta poiché, anche se non avesse scritto molti libri su Giotto, ha così tanti soldi, molti dei quali dalla nascita fra l’altro ereditati, da potersi permettere ogni sera una buona cioccolata calda, un latte macchiato e una gustosa pagnotta?
Ora, io non voglio sapere se con Berlusconi, Vittorio e la d’Urso si diedero anche a “messe nere” viste da Tom Cruise, cioè se Vittorio, fra una sberla data alla defunta Marina Ripa di Meana, il suo glorificare la “povera” Moana e le sue sofistiche moine, si sia adoperato ad aiutare una mondina, liberandola dalla schiavitù a mo’ d’Innominato con Lucia Mondella. Ah, la panza è pienotta, Vittorio.
Cosa ne puoi sapere, tu, della vita sfruttata di una mig… ta?
Quello che so è che elevi in gloria Proietti ma non credo che che tu abbia mai amato davvero Rocky, Mean Streets e Casinò. Film per i quali Proietti donò la sua rocciosa voce rispettivamente a Stallone e a De Niro.
Ora, Vittorio, concordo con te però su una cosa. Non reputo Gigi un grande attore. Quindi, paradossalmente, così come affermi tu, lo è.
Poiché uomo comune profusosi nel Cinema e nel Teatro con immane naturalezza. Rimanendo uguale a sé stesso, un uomo della strada. Che attinse dalla sua “comunità”, in ogni senso, per farne della satira.
Gigi fu un satiro. Vittorio, le sembro satirico?
Gigi non cazzeggiò da Marzullo, né di stramberie mattatrici da distinti tromboni come Vittorio Gassman, nemmeno s’autodefinì antipaticamente un genio, a differenza di come fece Carmelo Bene.
Gigi Proietti fu come Sean Connery, come Sylvester Stallone ma non come De Niro.
Avete mai visto un film in cui Sean, per esempio, ingrassi per la parte? E impari l’accento statunitense, prendendo le distanze dalla sua cadenza scozzese?
Uno vede Caccia a Ottobre Rosso e non vede un capitano sovietico di nome Marko Ramius.
Bensì James Bond ancora coi capelli, dicasi altresì toupet.
Questa è e fu la grandezza di Sean.
Così come, allo stesso modo, io non mi vedo e non vidi (forse non me ne avvidi, fui poco avveduto) come si suol dire gergalmente, Gigi Proietti nella parte di De Niro in Taxi Driver.
Cioè Travis Bickle. Gli sarebbe venuto spontaneo, durante il celeberrimo Dici a me?, strizzarci l’occhiolino e assieme al mago/Peter Boyle, raccontarci una “mandrakata”.
Gigi fu ed è Gigi. Così come Gene Hackman è sempre stato Hackman. Anche in film pessimi come Boxe.
Ecco, se vogliamo battercela su un piano cinematografico, anche letterario, caro Vittorio… non voglio fare il gigione esaltato come Muhammad Ali ma credo proprio che andresti, contro di me, al tappeto come George Foreman.
Aggiungiamo anche che, dalla mia, sono molto più bello, molto più veloce, molto più giovane e che, a differenza di magnificare il mondo e Raffaello, estetizzando tutto in modo un po’ stucchevole, poco addentro la realtà sociale, alla pari di Adriano Celentano di Joan Lui, eh sì, arrivo io… con questo.
Insomma, sono un tableau vivant, lei invece, Vittorio, è solo un bon vivant e, onestamente, fra tante cos(c)e giuste, non ha le mie car(t)ucce.
Mi spiace sostenere di essere più grande di Shakespeare.
Anche perché è vero. Ma, a differenza di Shakespeare, non sono un baronetto e devo fare un mutuo per comprarmi una nuova Fiat Punto. La vedo dura, signor Falotico, resistere a questo mondo in modo resiliente senza affidarsi alla previdenza… Sì, lo dico da me. Sapete perché? Perché così non è. Non sono mica un coglione come l’italiano medio.
Sono quello che sono, cioè non sono, poi ho sonno, domani no. Adesso, me la tiro…
Per farlo, devo indossare la mascherina? La uso solo per non contagiare gli altri. Si spaventerebbero se la togliessi. Perché sono sfregiato? No, perché nessuno è capace, in questa società dell’apparenza, di togliersela.
di Stefano Falotico
I migliori film sulla boxe: scritto dedicato a ogni uomo BOMBER
Sì, l’altro giorno ho visto Hands of Stone. Film da me anche recensito. Nell’ultima mezz’ora il film emoziona ma oramai è troppo tardi. Comunque non del tutto disprezzabile.
E, sulla base delle emozioni suscitatemi, ispirato, come spesso accade, dal fascino muscolare di tale storia grintosa, ho deciso di scrivere tale pezzo.
Sì, io di film sulla boxe ne ho visti tanti. Compreso proprio Boxe. Uno dei peggiori film con Gene Hackman. Che c’azzecca in questa pellicola pessima uno dei più grandi attori di tutti i tempi?
Va be’.
Sì, facendo un po’ di promemoria, credo di aver visto tutti i massimi film sull’arte nobile.
Ma nobile di che?
La boxe è quanto di meno nobile possa esserci. Gli uomini sfogano rabbiosamente tutti gli istinti più bassi e animaleschi per primeggiare sull’avversario. Massacrandolo.
Chiariamoci, infatti. Oggi, questo genere di sport con tutte le sue varianti, kickboxing e jujutsu, è praticato da gente esibizionista che vuol mostrare i suoi fisici bestiali. Uomini che fanno sfoggio edonistico delle loro virtù atletico-combattive per aver presa su donne culturiste, spesso di scarsa cultura, che vanno matte per questi uomini palestrati che, anziché mangiarsi un bel piatto di maccheroni, curano la loro asciuttezza, soprattutto del cervello amorfo, in diete a base di proteine e Gatorade.
Insomma, uomini che potrei smontare soltanto col montante di un mio neurone ambidestro.
Un tempo, invece, la boxe era perlopiù praticata da gente povera. Gente morta di fame proprio come il mitico Roberto Durán.
Ecco, ora vi racconto questa. Il mio leggendario, ah ah, zio Nicola, prima di fare il muratore, fece per qualche mese il pugilatore. Eh sì.
Perché onestamente Nicola non era particolarmente acculturato. E, prima di rimediare il lavoro appunto di muratore (e già gli andò grassa perché nel Mezzogiorno il lavoro ha sempre scarseggiato), per sbarcare il lunario, pigliava la gente a pugni.
Un uomo pugnace, come si suol dire, Nicola.
Con un fisico della madonna. Senza paura di niente.
Andò anche a lavorare in Germania. Prima di rincasare nuovamente nel suo paese.
Fra quei crucchi, si ubriacò e scoppiò una rissa. Nicola, testa calda, prese a sberle chiunque. Poi, i suoi sfidanti, ripresisi dalle batoste devastanti, in massa lo inseguirono per i viottoli tedeschi. In segno di accesa vendetta.
Nicola allora se la vide brutta. Era tarda notte. L’appartamento, in cui alloggiava, distava miglia dal bar ove era avvenuto il tafferuglio.
Al che, Nicola si dileguò in un cimitero. Scavalcò il muro di cinta, non quello di Berlino, ah ah, e si nascose fra le lapidi.
Era però, come detto, sbronzo. E si addormentò. Di lui, i suoi inseguitori persero ogni traccia.
E Nicola passò tutta la notte, cullato da Morfeo, in compagnia dei morti. Roba da film di Romero.
Dico questo per farvi capire che la boxe era all’epoca un modo per riscattarsi socialmente.
Certo, avevi solo la quinta elementare e non ti assumevano neppure al banco dei salumi come Mickey Rourke di The Wrestler.
Mitico Mickey. Uno degli attori più belli del mondo, secondo me anche uno dei più bravi e carismatici.
Ma Mickey non poté più accontentarsi delle sue grandi interpretazioni nei film di Coppola e di Michael Cimino, allora divenne un homeboy.
Uh uh ah ah.
Divenendo, per un po’, anche pugile nella vita vera. Eh sì, dopo gli schiaffi di gelosia sferrati a Carré Otis, Mickey capì che, a differenza di Mike Tyson, non doveva maltrattare il gentil sesso ma sfogare le sue corna con stronzi più bastardi di lui.
Vinse perfino qualche incontro, peraltro più truccato della sua attuale chirurgia plastica e del suo odierno makeup.
Uh uh ah ah.
Ora, bando alle ciance. I più bei film sul pugilato sono questi:
Lassù qualcuno mi ama con uno forse più figo di Mickey, Paul Newman, Città amara – Fat City di John Huston (film che però vidi cinquemila anni fa e dovrei rivedere), ovviamente Rocky, Toro scatenato, The Boxer di Jim Sheridan con uno strepitoso Daniel Day-Lewis e Ali di Michael Mann.
Ce ne sono altri? Sì? Scusate, se non mi sovvengono. Suggeritemeli voi perché non ho voglia, adesso, di rammemorare tutto. Uh uh ah ah.
Sì, c’è anche The Fighter.
Film però come Rocky, Toro scatenato e The Boxer non sono propriamente film sulla boxe. Bensì film su personali storie difficili di uomini che, rispettivamente incasinati, trovarono la loro salvezza, il loro fuoco vitale nella gloria del ring.
Be’, Jake LaMotta non è che fece però una bella fine come il Balboa. Ma questo è un discorso sul quale potrebbe illuminarvi un altro campione assoluto. Però di Calcio. Diego Armando Maradona, forse più autodistruttivo di Jake.
Uh uh ah ah.
Comunque, amici, il più bel film sulla boxe è naturalmente, non ci sono dubbi, Bomber di Michele Lupo con Bud Spencer, Jerry Calà, Mike Miller detto Giorgione e Valeria Cavalli, una delle mie donne preferite della storia. Quando non era ancora una milfona.
Sì, epico!
Cinematograficamente davvero bassino. Ma altro che Stallone che le suona a Dolph Lundgren.
Qui parliamo di emozioni mille volte superiori.
Quando Bud guarda il suo ragazzo, lo rimprovera e poi capisce tutto.
E allora Bud diventa una furia scatenata, distruggendo Rosco con Gegia che incita la folla!
Apoteosi!
Libidine, doppia libidine, libidine coi fiocchi!
Infine, qual è il vero nome di Mike Miller? Potrebbe essere uguale al mio?
THE MULE: tra Fabrizio Corona e Jerry Lewis, scelgo Michael J. Fox di Ritorno al futuro 3
Sono il Joker Marino, uomo che non ha bisogno di truccarsi per essere sé stesso, nonostante sia pirandelliano, uno, nessuno e centomila, forse un mezzo uomo o un superuomo. Magari… Il giudizio sul mio valore umano spetterà al mio specchio dirmelo quando finalmente ne comprerò uno deformante, al fine che possa davvero osservare davanti a me un man distorto. Credo di essere abbastanza retto, un tipo straight, sin troppo dritto tant’è che la gente, spesso addormentata e lobotomizzata, pensa che sia io a farmi un tranquillo pisolino.
Al massimo vivo in dormiveglia. E comunque vaglio, pagando le bollette e i postali vaglia. Non sempre…
Oggi, vaglierò con oculatezza, di attenta disamina quello che considero uno dei film più grandiosi di tutti i tempi, ovvero Gli spietati (Unforgiven).
Chiariamoci, sono abbastanza di parte. Ho scritto un libricino intitolato Ghiaccio arcano di romantici occhi, che ha venduto otto copie perché le persone sono fintamente buone ma più spesso, soprattutto, brutte e cattive. Ah ah.
Ma in particolar modo, qualche anno fa, ho inaugurato una saga letteraria che va dal Cavaliere di Alcatraz a quello di Madrid. E in quest’ultimo la copertina è eastwoodiana al mille per mille, con tanto di Clint che cammina per un vicolo buio. Via da me i gatti neri. Sì, sono un Joker che caccia il malocchio col potere iridescente delle mie iridi cupe. In quanto uomo notturno che però non è mai stato a Castel Volturno. E che forse, nonostante sia stato molte volte tordo, tornò, è tornato come il revenant Eastwood, William Munny de Gli spietati.
Sì, basta con un’esistenza appartata e taciturna. Parliamo, mostriamoci, mostriamovi la mia analisi di Unforgiven.
Partiamo ovviamente con la messa in scena. Da non confondere mai con la messa in cena. Quella è stata l’ultima predica di Cristo prima di scatenare il cristianesimo e di conseguenza tutte le successive messe.
Di mio, spero di non essere mai messo… sulla croce. E nemmeno in una certa posizione a pecora.
Ecco invece la mia ideologica posizione sulla messinscena. Una posizione non a novanta ma credo a 360 gradi.
Eastwood, nei titoli di coda, ringrazia i suoi maestri Sergio Leone e Don Siegel. Ma Eastwood ha sempre saputo di essere un regista la cui poetica cinematografica è unica, indissolubile, inconfondibile.
Ne Gli Spietati non abbiamo retoriche leoniane né iperboli stilistiche da Siegel.
Eastwood non è Scorsese, non adotta cioè molti dolly, carrellate interminabili e zoomate, né in colonna sonora è postmodernista. Questo è western purissimo. Classico al top. E non al pop.
Eastwood non è Kubrick, è altrettanto geometrico e freddo nelle inquadrature ma al contempo sa infondervi spasmodica armonia romantica nella sua glacialità visiva e secchissima.
Si passa dai grandangoli del pestaggio di Bill Daggett ai danni di Bob l’inglese a primi piani fermissimi sui volti dei protagonisti. Eastwood ama gli spazi (s)confinati, il crepuscolarismo e assistiamo a scene ambientate a mezzogiorni di fuoco ad altre immerse nella notte più livida, profonda e tempestosa.
La messa in scena di Eastwood è magistrale, è come se avesse girato un noir, un semi-poliziesco in mezzo ai saloon, alle bettole da prostitute, alle stelle di latta di sceriffi stronzi.
Non ha bisogno di grossi effetti, è appunto millimetricamente spietato nell’uso sapiente della macchina da presa. Che c’è ma è come se non la vedessimo. Al che inquadra lui e Anna Levine vicini a un casolare come fosse un 70mm e invece è normalissimo Panavision 35. Che occhio di lince, che aquila!
Ciò andrebbe detto a Tarantino. Il cui The Hateful Eight mal tollero.
Una messa in scena prospettica che espande la focalità del campo ristretto d’azione e si dilata nei dettagli di una natura libera e selvaggia.
Prima abbiamo appunto la natura brulla ma selvatica del West e quindi negli ultimi dieci minuti ecco che veniamo soffocati claustrofobicamente nel covo di Big Whiskey. Come fosse un horror kammerspiel, addirittura!
Quindi, la ballata scritta dallo stesso Eastwood che, come nell’incipit, sigilla cimiteriale la fine di un’epoca e la fine di questa storia arrabbiata e cinica.
Eastwood è come se avesse scattato qui un dipinto in movimento a tramonto tombale del suo antieroe.
Messa in scena, dunque, 10 e lode.
Personaggi: è un film invero con due personaggi base, il William Munny di Eastwood e il memorabile Bill Daggett di Hackman, premiato giustamente con l’Oscar.
Ma altrettanto importanti e affatto secondarie sono le figure di Ned (Morgan Freeman), di English Bob (Richard Harris), perfino della prostituta interpretata dalla “sfregiata” Anna Levine.
Partiamo innanzitutto da William Munny.
Munny è un pistolero figlio di puttana che, dopo essersi sposato, ha voluto dimenticare il suo passato mostruoso. Perché era uno scellerato uomo senz’alcun scrupolo morale che ha ucciso donne e bambini.
E si è ritirato nella sua casetta in campagna coi due figli piccoli, ove fa ora l’allevatore di maiali.
Munny è un diavolo, un fantasma con la sua precisa etica da samurai.
Appena Kid gli propone di dar la caccia ai due uomini, Munny, allettato dall’idea di poter fare soldi per garantire un miglior futuro ai suoi pargoletti, che vuole preservare dal male del mondo, che lui conosce benissimo e del quale è stato schiavo, ritorna pian piano a ridiventare l’animale che aveva sepolto nella sua coscienza. Non si scappa mai dal proprio infimo passato e Munny, purtroppo, n’è perfettamente cosciente.
Al che, una donna gli dice che il suo amico Ned è stato macellato da Bill. Lui accoglie la notizia senza far una piega, al massimo corruccia la fronte e il suo sguardo s’indurisce all’improvviso. Ma dentro di lui ribolle il ribelle Munny dei suoi ripudiati anni giovanili e si vendicherà biblicamente.
Voto: 10.
Bill Daggett. Un attimo, per favore. Gene Hackman, pur essendo coetaneo di Eastwood, pur avendo già interpretato molti film, più o meno celebri, prima del suo Oscar per Il braccio violento della legge, ha ottenuto davvero popolare successo soltanto negli anni settanta. Ma a differenza di attori, un po’ più giovani di lui, esplosi in quel periodo, vedi Pacino e De Niro (fra l’altro, gli unici due della loro generazione a non aver mai interpretato un western), Hackman non è mai stato figlio del Metodo. Al contrario di Al e Bob, che son divenuti i personaggi che hanno interpretato, Hackman è sempre stato Hackman. Come disse un critico americano, del quale mi perdonerete se adesso non ricordo il nome, non è mai Hackman a trasfondersi nel personaggio da lui incarnato. È semmai l’inverso. È il personaggio che si adatta ad Hackman e Hackman, anche quando interpreta parti assai diverse fra loro, rimane sempre Hackman.
Bill Daggett non fa eccezione. Daggett diventa Gene Hackman. Con la sua celeberrima risatina sadica e strafottente, i suoi modi burberi e maneschi, la sua posa tronfia e cafona. Uno che è difficile fregare con le chiacchiere.
Hackman è sempre stato grande. Bill Daggett è un grande personaggio e in questo film Hackman sembra più grande di quello che è invero anche in film brutti come Boxe.
Voto dunque al personaggio ma di conseguenza ad Hackman che ne fa un suo personaggio: 9.
Ned: Morgan Freeman è uno che ha girato tre film con Eastwood. Questo Gli spietati, Million Dollar Baby e Invictus nei panni di Nelson Mandela. Per Million Dollar Baby si è beccato l’Oscar, per Invictus ci è andato vicinissimo.
Ecco, basterebbero questi soli tre personaggi per considerare Freeman un grandissimo. Ho detto tutto.
Ned è un poveraccio, uno che si crede chissà chi e invece si lascia massacrare come una femminuccia.
Uno che dà consigli di vita a Kid, che lui prende sempre per il culo, è uno che sbeffeggia bonariamente Munny ma che non ha fatto i conti mai davvero con la pura cattiveria di questo nostro mondo merdoso.
Sì, in mezzo a questa pura cattiveria, Ned è un puro. Nonostante l’apparenza da duro. Altro personaggio indimenticabile.
Voto: 8.
Bob l’inglese. Altra presenza impossibile da dimenticare. Richard Harris era già molto vecchio, qui. Incanutito a dismisura, grinzoso, coi capelli sfibratissimi. Eppure titanico nonostante compaia una ventina di minuti e basta. Lui è il baro della morte, anzi, il barone della morte. Uno che millanta di essere stato e di essere ancora, nonostante l’età, il bounty killer più veloce del West, e forse ciò era ed è pure vero, ma Daggett lo sputtana di brutto e lo tratta da pagliaccio cretino. Lo smonta in pochi secondi.
E, con la coda fra le gambe, Bob, spogliato di tutto, rimedia una figura da fesso colossale. Povero Bob.
Che classe, Richard Harris.
Voto: 8.
Anna Levine la prostituta: bella, bellissima, una che svolge il mestiere più antico del mondo e il più “sporco”. Eppure, dal suo viso, sfregiato, più che dalle cicatrici, dal dolore della sua anima infranta, traspare l’angelica rinomanza di una donna volitiva, in cerca di giustizia. Che dolcezza. Io me la sposerei.
Anche in questo caso, gli (riferito al personaggio), le (riferito a lei) diamo voto molto alto, 7 e mezzo.
E sarebbe bello, semmai facendo rivivere il defunto Harris con la computer graphics, un sequel de Gli spietati, con Eastwood, Harris e la Levine diventata donna matura, con Eastwood oramai novantenne che accende il fuoco, Harris che si pettina i pochi capelli allo specchio e la Levine che prepara i tortellini, sì, loro sono gli unici sopravvissuti nella pellicola. Sarebbe altrettanto stupendo un prequel in cui si racconta la vita dello sceriffo-carpentiere Daggett prima della sua ascesa, appunto, a sceriffo. Che cazzo faceva quando aveva quindici anni? Sì, Bill Daggett scopriamo che in realtà è Biff Tannen della trilogia Ritorno al futuro e legge l’almanacco delle scommesse sulle corse dei cavalli, fa soldi con quest’imbroglio, al che si candida, visto il potere pecuniario acquisito, come sceriffo di Big Whiskey. La gente è terrorizzata. Messa in soggezione da quest’uomo potentissimo e pieno di money, lo elegge appunto capo della cittadina. Arriva in città anche Michael J. Fox di Ritorno al futuro 3 e si presenta come Clint, Clint Eastwood. Al che Bill, non Biff, pensa: ma quanti cazzo di Eastwood vogliono farmi il culo?
Meglio. Questo Eastwood mi ha fatto vincere l’Oscar, battendo Al Pacino di Americani, in Potere assoluto invece ho interpretato la parte sognata da ogni americano: quella del Presidente degli Stati Uniti che non fa un cazzo da mattina a sera, eccetto raccontare stronzate e frottole alla gente, e si tromba pure una gnocca della madonna.
Coinvolgimento… un film che dura quasi due ore ed è come se durasse invece 10 min. Ipnotico, senza un attimo di tregua. Che semmai ti scappa, mentre lo stai vedendo, di andare a pisciare ma ti fai scoppiare la vescica perché non puoi interromperne la magia che t’ha avvolto.
Uno dei film più appassionanti di sempre.
Voto: 11.
Morale: Eastwood non è mai retorico. E la morale de Gli spietati è quella secondo la quale, invero, il mondo non ha morale. Il mondo è amorale. Così fu, così è, così sarà. E così sia scritto. Amen.
Munny, così come tutti gli altri, è una merda d’uomo, non certo uno stinco di santo. Sebbene sia romanticissimo e non vuole tradire sua moglie con qualche “anticipo”.
Daggett è un porco, Bob l’inglese un bugiardo azzimato, Ned un coglione mezzo maniaco sessuale. Ah ah, sì, lo è. Fa battutine sconce, senza sconti e gl’interessa sapere se il suo amico Munny, dopo la morte della moglie, si fa le seghe o va a puttane.
La morale è che gli eroi non esistono, non sono mai esistiti, non esiste bianco o nero, siamo tutti, chi più chi meno, dei falliti, dei luridi vermi. Siamo tutti fregati!
Voto: 9 e mezzo.
Epicità: stesso discorso di prima. Gli spietati è uno dei film più epici della storia proprio per il fatto che di epico in questa pellicola non c’è nulla. Anche il finale vendicativo non appartiene all’epica, alla leggendarietà, bensì alla funeraria dissoluzione di ogni finto sogno americano.
Un film epicissimo. Superlativo, in ogni senso, assoluto.
Voto: 10 -. Il meno sta ironicamente a significare che è il massimo dell’epicità nonostante in quanto a epica non siamo proprio al massimo. Anzi, siamo allo zero assoluto.
Epicità super più di lineetta “negativa”. Ah ah.
E questo è quanto.
Adesso, scusate, anche il Joker deve mangiare fagioli…
di Stefano Falotico
TOP TEN Gene Hackman
Sì, l’altra sera ho rivisto Lo spaventapasseri, film di una potenza immane. Tanto che ne sono ancora stordito. Poi, ieri notte, ho riguardato su Netflix Il gladiatore. Solo l’ultima mezz’ora. Io già lo dissi all’epoca ma, come sempre, mi prendeste per matto.
Il gladiatore è veramente uno dei film più sopravvalutati del mondo. È davvero una cagata. Lasciate perdere i miei scritti in cui, in frangenti in cui odo rimbombare nelle mie vene delle insane voglie vendicatrici e recrimino sulle mie sfighe, attingo al furioso Massimo Decimo Meridio per cinque minuti d’incazzatura da uomo pugnace e verace. Sono solo attimi fugaci delle mie ingiurie incazzose da uomo tanto capace che potrebbe essere sterminato a Capaci perché dice la verità, e i mafiosi non ci stanno, e anche incapace perché ho a volte la febbre e non mi tira neppure con la donna più rapace… Eh sì, Falcone!
Ma Il gladiatore, a prescindere dall’impatto subliminale che può avere su una persona, se si sente tradita o fottuta da qualche demente come Joaquin Phoenix, fa proprio schifo al cazzo.
Diciamocelo! Il finale, poi, è di una sconcezza immonda. Con tanto di computer graphics a iosa, Giannina Facio, l’ex di Fiorello, una popolana da spagnolone, messasi assieme a Ridley Scott per ravvivarlo quando non gira film malinconici come Blade Runner, e Giorgio Cantarini, sì, il bambinello de La vita è bella, che nei Campi Elisi aspettano il bellimbusto Crowe per girare assieme la nuova pubblicità della Barilla. Sì, tanto granturco e un Crowe derelitto-delirante che si è cuccato l’Oscar prima che ingrassasse come un elefante a botte di pastasciutta e vinelli francesi. E, secondo me, anche per colpa di troppe zoccole tailandesi.
Sì, a me puoi dirlo, Russell. Ti piaceva divertirti. Lo so… non fare il boy erased.
Un film tronfio, pomposo, romanesco, e intanto Isoardi Elisa lascia Salvini e quell’altra depressa incurabile di Elisa canta Se piovesse il tuo nome…
In tutto il mondo, Il gladiatore ha avuto successo e ciò dovrebbe dirla lunga sull’imbarbarimento dei gusti degli occidentali. Ancora ancorati a visioni della vita solenni da peplum semi-biblici. A inneggiare nazional-popolari agli stadi all’urlo di SPACCAGLI IL CULO! E poi la domenica a messa da santarellini.
Ah, Elena di Troia. Vieni a me, Elena Santarelli, e sarà tutta una Ferrarelle! Ah no, era quella della Rocchetta. Sì, sono un’ottima forchetta. Ecco il forcone, non darmi del troione, ti farò a polpette! Dopo il sugo, voglio fare la scarpetta. Ma come? Non ti sei neanche tolta le scarpe e già dici che puzzo? PUSSA via!
Sì, tutti si professano intellettuali al giorno d’oggi ma sono, come dico io, dei zacquari. Zacquaro, lo ribadisco, è un uomo radical–chic che si finge istruito, citando le pappardelle a memoria, così come faceva a scuola quando recitava alla maestra le guerre puniche, ma è invero un ignorantone terrificante.
Non basta saper tradurre in latino e greco per essere degli ellenici. E neppure per elevarvi al cielo. Ecco, levatevi dai coglioni e anche dagli spaghetti. Me li magno io, miei americani a Roma.
Ora, che c’entra tutto ciò con Gene Hackman? Ecco, Russell Crowe si è sempre creduto Marlon Brando. E invece è un burino da osteria dei proci, sì, proci, non porci, e ha interpretato spesso parti alla Gene Hackman. Parti da duro litigioso, arrogante, sprezzante, un tipo tosto, per la Madonna di Cristo santissimo!
E invece non ha niente della classe di Gene. Gene è uno stronzo, uno che sa il fatto suo e ridacchia come ne Lo spaventapasseri, un donnaiolo, uno che va dritto al sodo… senza panegirici. Ride, poi piange, muove alla commozione.
Di mio, sono Come Lion/Pacino, ma è un’altra storia.
Sì, è strepitoso Gene. Un compagnone, uno che, se un pederasta ti vuol fare… e ti spacca la faccia, arriva lui e gliele suona. Con uno così, ti senti protetto. Gene entra in un bar e sa come porgere l’occhiolino a quella super figa che prepara il caffè, mischiando già la schiuma del suo volerglielo shakerare senza ghiaccio. Gene ammicca con dovuta sfrontatezza, a costo di pigliarsi una sberla e un calcio nelle palle. Ma se ne fotte. Perché sa che una gli ha servito il due di picche e ad altre dieci invece regalerà il suo “picc(i)one”.
Gene è troppo forte. Lo adoro. Un uomo tenerissimo nel remake di Incompreso e un bastardo figlio di puttana ne Gli spietati. Un pezzo di merda mai visto nei vari Superman. E poi un cazzone in Frankenstein Junior. Un dio ne Il braccio violento della legge, 1 e 2, ne La conversazione, in Bersaglio di notte.
Il Presidente degli Stati Uniti più puttaniere e sadico della Storia in Potere assoluto, altro che Trump, capace di saltare da capolavori assoluti a film indegni del suo nome come Boxe. Capace di passare da Sam Raimi a Walter Hill nel giro di un colpo di pistola come Wyatt Earp. Sì, dopo Unforgiven, gli hanno offerto cinquemila ruoli da villain nei western.
E lui: – Ma non è che poi la gente dirà che interpreto sempre lo stesso ruolo? E che cazzo me ne frega? Tanto mi pagano. Poi ho già vinto due Oscar, quindi non devo dimostrare una minchia.
Sì, non mi va di dirvi quali sono le sue dieci migliori performance. Guardate i suoi film, fatevi la vostra idea e la vostra donna. Soprattutto fatevi mandare in quel posto.
Guardate qui… come, con charme da Oscar, appunto, lo mette nel culo ad Al Pacino e Jack Nicholson senza battere ciglio.
Comunque, ad Al Pacino non sbatté. Dopo poco avrebbe vinto come Protagonista.
Eh sì, due grandissimi amici.
Sì, Gene ha un che di Falotico.
Come no?
– Senti, Stefano, hai il tuo perché. Ma non mi piaci, lecchi troppo… – dice lei, già totalmente presa ma che altezzosamente fa finta di niente…
– Non è meglio? – rispondo io con una faccia da culo incredibile.
– Stefano?! Ma cos’è questa porcata che ho letto? Non è da te.
– Questa porcata sa il “fallo” suo.
Ah ah.
Insomma, dal 2008, questo Gene, nato a San Bernardino, che fa nella vita?
Vive del suo carisma.
O no?
di Stefano Falotico
Scarecrow: banalità vera della sera: un uomo senz’amore è un arido ma forse se la gode, un uomo senz’amici è un uomo morto
Sì, è così.
Assisto sconsolato al mio fantasma che vaga un po’ annacquato, forse da tanti sconsiderati eventi esacerbato.
Io ho avuto sempre un grande sogno nella vita. Trovare un mezzo matto come me e naufragar di notte come i Blues Brothers nella goliardia più sfrenata.
Sì, una bella nottata di bagordi e cazzate da collasso respiratorio. Quando la città s’addorme, la gente va a letto e le donne grasse già da mezz’ora, ronfando, cacciano scoregge sesquipedali che svolazzano nella camera mentre il marito ode questa musica “soave” e pensa che domani sarà un’altra giornata di merda. Di colleghi invidiosi e bavosi sul culo della segretaria, di battutine per celebrare la noia aziendale, una leccatina al direttore e la domenica sera con un’altra partitina.
Ma gli artisti non stanno messi meglio. Anzi, oserei dire peggio. Sono quelli che l’hanno preso più nel culo, detta sfacciatamente come va detta. Vedo portafogli miseri e cervelli pieni. Molte sigarette, troppi caffè e fegati dunque amarissimi. Con tanto di schiuma… di rabbia.
Prendete il marito della figlia della mia vicina di casa. Quando parla non si capisce un cazzo e ogni tre parole ripete la parola precedente, al che un discorso di senso compiuto di nove parole diventa una faticata incredibile. Ché finisci di ascoltarlo quando lui è già a letto a trombarsi la moglie. E tu invece, nel cercare di realizzare il suo interminabile discorso balbettante, sei ancora lì, fermo immobile come uno stoccafisso, mezzo stordito, al calar della Luna, pensando fra te e te… non è che questo stronzo ha ragione?
No, è uno stronzo tartaglione del cazzo.
Sta messo molto meglio di me. Sì, ha iniziato a lavorare a quattordici anni. Credo che abbia letto a malapena solo un libro, se tale si può chiamare, in vita sua… sì, me lo confidò lui in un attimo di sua vanità “intellettuale”. Il titolo da lui letto, ora ve lo dico, s’intitola… Io amo la mia lei e lei ama me ma non sa che io amo bere solo il tè.
Libro che potete trovare in vendita sulle maggiori bancarelle della città Bonislandia. Sì, non esiste questa Bonislandia, ho detto tutto…
Però esiste questo qui. A quattordici iniziò a lavorare come saldatore. Prima di trovare la figlia della mia vicina, diciamo, che saldò molto bene quell’arnese in mezzo alle gambe a tante donne calde che oliava per meglio lubrificare l’incollatura. Poi, una volta arrugginito che fu il pezzo rovente da maniscalco del suo ferro del mestiere, lo appiccicò alla moglie. Nel frattempo, a forza di lavorare duro…, si è fatto un sacco di soldi. E adesso ride e scherza da mattina a sera, andando ogni fine settimana all’estero.
Ieri sera abbiamo preso l’ascensore assieme. Mi ha confidato, consigliandomi di non dirlo a nessuno, che ha letto un altro libro da allora… Voi avete debiti da saldare e invece io ho pieno il salvadanaio.
Sì, era meglio essere ignoranti come capre ma farsi il culo…
L’altra sera mi ha contattato una in chat. Dice che la interessavo. Al che, ha letto nel mio profilo che scrivo libri. E mi ha chiesto di dedicarle una poesia creata sul momento. Gliel’ho scritta sull’onda di una forte attrazione passionale. Lei si è commossa, poi mi ha detto: – Bellissima, ora devo andare.
– Dove vai?
– Dal mio amante.
– Ah, capisco. Che lavoro fa il tuo amante?
– Il magnaccio. Sotto ogni punto di vista. Ma con lui sto bene. Insomma, no, non tanto. Mi sfrutta. Ma a fine mese posso comprarmi un altro Android.
Ho detto tutto…
Che te lo dico a fare? Come la vedi?
E ora mi riguardo un film magnifico che, certamente, voi teste di cazzo non conoscete… Lo spaventapasseri con due dei più grandi attori di tutti i tempi.
Ce la possiamo dire senza infingimenti e invidie? Questo mio scritto è uno dei pezzi più belli di sempre. Roba che Walt Whitman mi fa un pippa. No, meglio di no. Donna, dammi una pipa, son stanco delle pippe. Anche delle poppe.
di Stefano Falotico