Rimango basito quando si parla di Cinema italiano, come se ancora esistesse, e come se, appena escono un paio di film dignitosi, gridando tutti al miracolo, sperassero in cuor loro che questa rinascita sia finalmente avvenuta. Si tratta spesso di casi isolati, di film miracolistici, appunto, semmai giusti nel periodo in cui sono usciti, e allora tutti in giubilo credono che il Cinema italiano possa ritornare ai fasti di un tempo. Fellini, l’ho detto più volte, anche con una certa personale, motivata acredine, penso sia sopravvalutato, ma gli va riconosciuto, a prescindere dai più o meno opinabili gusti, il merito di aver varcato i confini nazionali. Anche se poi, a ben vedere, i suoi film maggiormente apprezzati all’estero, soprattutto negli USA, quelli oscarizzati, mitizzati, son stati quelli in cui esportava, a mo’ di cartolina un po’ piccolo-borghese, la nostra italianità. Bellezza da esportazione come la Fontana di Trevi de La dolce vita, ed esaltazioni anche grottesche, che agli americani piacciono tanto (vedi Sorrentino e The Great Beauty), di Roma e della sua sporca, triviale o storica monumentalità quasi turistica.
Sì, gli americani in fondo di Fellini amavano solo questo. Non possedevano il background culturale, il retroterra perfino mitteleuropeo, mediterraneo e peninsulare per poterli amare nella loro pienezza.
Tant’è vero che noi agli Oscar abbiamo poi vinto proprio col mediocrissimo Mediterraneo e con Nuovo Cinema Paradiso, film, non me ne vogliate, assai patetico e paesano…
Allora ci son rimasti due nomi forti su cui puntare per il nostro futuro. Sorrentino, del quale non ho visto Loro e certamente non lo vedrò presto, perché una “biografia”, sebbene delirante e sovrabbondante, su Berlusconi, è quanto ritengo di più lontano possibile dal Cinema che io bramo, amo, abbraccio. E la sua operazione, interessante o meno che sia, geniale quanto si vuole, non m’interessa.
E Matteo Garrone!
Sì, perché posso lodare Dogman ma è un Cinema che non mi appartiene quello di Garrone. La vita è già spesso triste di suo perché ce ne ammorbiamo con le sue variazioni à la Gomorra in salsa disperatamente suburbana, ché ho già la “tragedia” di portar avanti la mia carcassa per potermi dolere delle disgrazie altrui.
Posso emozionarmene perfino ma nella mia anima non scatta la scintilla inconsciamente fiammeggiante che mi possa far urlare al capolavoro.
Sogno un regista italiano che abbia il coraggio di scendere, sì, tra le periferie nostre abbandonate, ma semmai di raccontarci un horror metafisico come Il signore del male. Che abbia le palle di scarnificarsi con temi immensi come l’ambiguità della spiritualità, senza pesanti ore di religione alla Bellocchio, che sappia infondermi paura e brividi acuti, imponderabili, che sappia stupirmi in una chiesa diroccata e sconsacrata ai confini della follia, nelle notti turpi dell’agghiacciante condizione umana, con zombi mendicanti in stato catatonico, con ombre sul selciato, con suspense che scampanella nelle nostre vene come una guglia gotica di un’abbazia medioevale piena di mistero che squilla dai sepolcri delle nostre umanità recondite.
Che sappia, insomma, non uscire dal teorico, astratto DAMS e non si metta a girare film con la Angiolini
Voglio un film di angeli e demoni, ma che non sia quella baracconata del film di Ron Howard con Tom Hanks, ottimo attore, per carità di Dio, ma ve lo vedete Tom in un film cazzuto di John Carpenter?
Tom Hanks è il classico tipo da DAMS, corretto, pulitino, bravo bambino, un bel simpatico soldatino.
Ma ci vogliono jene per fare Cinema che varchi i limiti della prevedibilità e delle scolastiche ottusità da libretti e manualetti.
di Stefano Falotico