Quando pensi di essere brutto, pazzo e coglione, invece il problema è il contrario, ah, bella roba…
Sì, questo lo sa anche il cane Jack della ragazza condomina del terzo piano del mio palazzo.
Pensate che stia scherzando? Vorreste alludere che… il cane non si chiami Jack ma ho scelto questo nome per richiamare, visto il titolo di questo scritto, uno dei pazzi per antonomasia del Cinema di tutti i tempi?
Ovvero mr. Jack Nicholson?
Già lo dissi e lo ripeto. Innanzitutto, sfatiamo questo luogo comune. Invero, Jack Nicholson ha interpretato pochissime volte la parte del pazzo.
Il suo McMurphy di Qualcuno volò sul nido del cuculo, ad esempio, non è propriamente pazzo.
È una persona che, non essendo mai soddisfatta, va con le donne e parla sempre di sesso ma invero questo suo atteggiamento, all’apparenza irriverente da bon vivant e pirata delle eleganti regole conviviali, questo pagliaccio triviale, nasconde intimamente una fragilità enorme di una sua anima all’addiaccio. Da diavolaccio.
Infatti, lo internano perché è uno sbandato. Non perché sia un folle nel senso letterale del termine.
Nemmeno il suo Jack Torrance di Shining lo è. Pazzo lo diventa. Assalito dalla solitudine, incancrenito dalla freddissima monotonia di una vita asfittica, priva oramai di ogni stimolo appunto puramente vitale. Anzi, vitalistico. Inaridito nella consuetudine d’una ripetitività stantia. Oppresso dalle pareti di quella sala spoglia, soprattutto del suo cuore, di quella gelida stanza senza più energiche, reattive istanze.
E dovrei anche dare colpi d’ascia a Kubrick. Ché ci ha fatto sempre credere che l’estrema solitudine, detta solitude o meglio loneliness dagli anglosassoni, sia arrecatrice di turbe psichiche piuttosto rilevanti.
Grande balla. Meglio stare soli che frequentare gente fuori di testa che, con le sue idee bacate, potrebbe davvero traviarti, distorcere la perfezione compositamente, oserei dire, simmetricamente architettonica dei tuoi neuroni, disordinando il mobilio del tuo arredamento psicofisico.
Meglio non essere intaccati da questi attaccabrighe toccati…
Eh sì. Parlo almeno per me. Più sto solo e più sono felice. Più la gente mi cerca e più mi stresso. E m’isolo in me stesso.
La gente angoscia con le sue richieste, ti vuole omologare ai loro canoni percettivi della realtà e, appunto, plasmarti a un modus vivendi da loro/essa reputato corretto e retto. È gente inetta che t’infetta.
La gente è solipsista, ti vuole plagiare secondo le sue metriche ideologiche, modellarti a immagine e somiglianza di un sembiante di te che tu sei/sai, quindi io so, che non appartiene a me.
È soltanto una parvenza, effimera, mera appariscenza, simpatica, carnascialesca, collettiva, spersonalizzata, sopravvenuta scemenza attenutasi ai dettami (dis)informativi di una massa in verità senza senziente coscienza.
Cosicché gli altri potranno dire: ah, bravo, ora mi piaci, sei anche più simpatico.
Sì, ma tu non piaci a te, quindi al sottoscritto.
Ti sei corrotto per compiacere, tutt’al più, un’idea (s)piacevole di conformità, di apparente, ben accetta normalità così triste e disdicevole.
Per farti accettare, ti sei accettato. “Accettato” nel senso adattato e (s)figurato, in tal caso, del verbo accettare. Ti sei reciso con l’accetta per non farti tagliare fuori da chi, se fossi rimasto integro, soprattutto nella tua moralità integerrima, ti avrebbe spaccato il morale con cattiverie miserrime. Ti avrebbe pure estratto un molare con sadismo pusillanime. Gente infima e infame.
E ti avrebbe incitato a mollare.
Ecco, così diventi misantropo come il Jack di Qualcosa è cambiato. Assalito da manie compulsive per compensare l’atrocità del comune vivere e del viversi di patti sociali per la maggioranza comuni.
A proposito, conosco uno che non vive comune-mente. Vive provincialmente.
Sì, adesso il suo comune è diventato provincia.
Ah ah.
E se la provincia in cui abita, un giorno, diventasse capitale?
A quel punto, diciamo demografico-topografico, vivrebbe capitalmente da fico?
Eh sì, per vivere in una metropoli ci vuole un certo capitale. Il prezzo della vita frenetica costa parecchio.
Altrimenti, se non vai alle feste, ti dicono che sei un provinciale e un uomo poco comune.
È un bel guaio, cazzo.
Tornando a Jack, no, non il cane della mia coinquilina, possiamo dire che l’unico pazzo puro che ha interpretato è stato il Joker. Gli altri suoi personaggi, compresi quelli da me poc’anzi menzionati, sono al massimo dei drop–out, degli easy rider.
Delle persone che non si accontentano della conoscenza carnale, persone complicate che si vanno a mettere nei casini perché a loro paiono troppo banali cinque pezzi facili.
Sono persone che si dilaniano dentro, persone a cui non basterebbero mille vite per essere sereni. Altro che Tre giorni per la verità.
Persone incurabili, altro che idiozie da Terapia d’urto.
Persone profondamente inquiete, perennemente alla ricerca di omeostasi emozionali che non troveranno mai.
Persone a loro volta smembrate come un’anonima persona smarritasi nel traffico tentacolare delle sue ansie secolari. Millenarie.
Non certo dei folli che anelano alla guerra civile. Non certamente dei sobillatori, dei mitomani, dei patetici losers che, dato che non sono stati capaci di fare nulla, s’augurano che dall’alto dei cieli arrivi finalmente l’Apocalisse, bestemmiando nei loro fanatici deliri insensati da malati con auto-distruttive chimere e stelle comete, diciamo, millenaristiche. Persone affette da deliri mistici. Persone non tanto mitiche. Eremitiche, probabilmente solamente delle teste di minchia.
“Pazzi” come il Joker sono le persone più vere e sincere. Come dico io, veraci. Ed è per questo che non stanno più bene. Perché tutto è andato in malora, son crollati, dalla società si son scollati, di tutto sono scocciati, la gente dice loro che sono degli sci(r)occati ma loro vedono le macerie crollare persino in mare e, quando spengono le cicche di sigarette nel posacenere, il lor sogno di amare una donna come Venere è sfumato nel vento doloroso di troppe bruciature.
Persone che erano ilari e ora sono buffoneschi giullari.
Rimane allora solo, sola-mente la “follia”, l’onnipotenza del buttarla in demenza perché esser stati valorosi e aver creduto agli ideali si è rivelata soltanto una stupida utopia.
Nonostante ciò, il Joker è il Principe del Crimine.
Io invece rimango il PRINCIPE.
God’s lonely man. Ringrazio iddio.
di Stefano Falotico