Che dire di codesta?
Con tanto di Clint Eastwood in carriera, due gambe da (s)ballo, un viso dolcissimo, una classe recitativa irraggiungibile?
Che dire di codesta?
Con tanto di Clint Eastwood in carriera, due gambe da (s)ballo, un viso dolcissimo, una classe recitativa irraggiungibile?
La migliore “Regia” va alla mia “Copp(i)a Volpone”
Scorazzando per Lido, “incappai” fra varie gambe, che “attanagliarono” la mia morsa, “ferendo” nel “non plus ultra… Man“, e con “classe” celeberrima vinsi il “Leone d’Oro”, nello spogliarello della “premiazione” di donne “gentili” che, dopo avermi denudato, “accavallarono” le loro corna, masticando “dolcemente” vari croissant, assai “croccanti” dopo che “le” infornarono” nella “mezzaluna” della “Poteva andare in prostituta, invece siamo intellettuali tristi. Dai, amica mia, dammi un bacetto sulle guanciotte e facciam sbiboccia, cantando l’appassionatamente di chirurgia plastica per tirarla e pasticche per star su, stirandocele”.
Sì, fra i vari ritardati cronici che infestano, “festosi”, la Laguna, senza dubbio mi distinguo, per compostezza “rilassatissima”, tanto che se uno mi provoca, poi non apre, non solo più bocca, ma neanche la patta dei pantaloni.
Incastro ogni “cerniera” senza bisogno di “mozzarglielo”. Perché se ha una faccia da mozzarellone, non è necessario esser cattivi imboccandolo di “formaggini”.
In quest’umanità allo sbando, sì, fisso lo scemo per il suo “occhio sinistro” e mi catapulto nella sua ottica distorta, “rafforzando” le sue vigliaccherie, a tal punto (di sutura dolorante da “cotone idrofilo”, sì, tanto è ovattato tanto è ottuso di contundente da chi gli spacca i dentini per apparato gengivale da “disinfettare” salvo ascessi) che, stremato, non può che tremare e scappare, spaccando tutto per la vergogna ignobile d’avermi affrontato con siffatta prosopopea.
Sì, me “ne” pippo tante, un po’ Goofy come il “cane” della Disney, un po’ nelle “topoline“, fra un paperino che prendo per una giovane marmotta e un’altra che monto(n’) di “panna”.
“Zuccherando” nello “smutandando” anche solo di Sguardo “invadente” ove l’inguine può inguaiare se è spos(t)ata e suo marito è “micidiale”. Sì, un coglionazzon’ che fa l’impiegato e “ficca” (con) Bon Jovi in autoradio, ma con du’ coglioni così nonostante la moglie preferisca le palle degli altri.
Tanto moscio quanto “duro”, l’ossimoro di chi ti rompe le ossa.
Sì, come no…
Molte “ragazze-minchia”, espressione “romana” di come son “puttanesche” d’ingenuo “darle” e pomiciar col Pomì, l’italianissima, “trentennal'” salsa e polpa dei “pomodori“, tentano di darmi del “fallito”. Ma apro l’impermeabile e sconvolte “ammirano” tutto il gioiello del falotico mutar alla Montale.
Sì, corteggio una signora fighissima con quest'”apostrofe” per ogni amante che sa come in culo non se la farà, ma lì lo prenderà: – Ti voglio, lascia stare quel quarantenne, non vale il mio valore qua in mezzo”.
E Lei, molto “cortese”: – Mi lusinga, ma ho quindici anni più di te. Capisci che sono “grande”.
– Sì, ma tu sai però che io ce l’ho più lungo di 20 cm?”.
– Lurido porcello, a cosa alludi? All’uccell’?.
– No, allo spassarmela nella passerin’. Non tarparmi le ali, involiamoci nell'”involtino”.
E così, sbeffeggio tutti. Un tale, un torinese “spietato“, fa le corse dalla Sala Grande al PalaBiennale, scrive come un “dannato” ma sempre più “an(nu)al'” è la sua vita d’accoppiamenti promiscui, di orge miste e minestroni senza peperoncino.
Sì, è là che loda e va in brodo di giuggiole, ma mi chiedo: “Se gli piace il sofisticato, a quando un’esistenza che non sarà… ficcata/nte?”.
Vi lascio su questo dubbio, e auguro agli imbecilli “Buona fortuna” che, a conti (s)fatti, è l’unica “congratulazione” d’una mai vissuta.
Oh, almeno questo vogliamo pure “concederglielo?”.
Già, una pensionata frigida mi disse “incazzata a morte”: – Basta adesso, vedi di “fartelo”.
E io: – Certamente, sarà “fatta”. Tu vedi di farti quel flaccidon del tuo compagno(n’).
– Ma io ti spacco la faccia.
– “D’accordissimo“, però deve sapere che sono l’unico Uomo che può essere sia Batman sia Bane. All’occorrenza, sotto il “muto” c’è “tutto”, e sotto i muscoli c’è quello ancora più indistruttibile, meno evidente a prima vista ma “a bel vedere”.
– Ah, ma tu allora sei “schizzato” veramente!
– Sì, non canto con Venuti il famoso “ritornello” che “fa” così:
il cielo grida il tuo nome, la primavera mi risveglierà come un fiore…, come un fiore…
Però “vengo” molto più dell’altro “pezzo” a “lei” mancante: riflettono l’essenza, adesso stai fingendo…
Firmato il Genius
(Stefano Falotico)
L'”asmatica” maschera del ghiaccio divampante
Richard Kuklinski, colosso impassibile, immutabilmente tetro come un film che danza acquatico in un’anima dallo spettro già morto, come un Babbo Natale irredento nelle funeree onde già stuprate d’una dolenza remota, walking mai ridente, polacco di “macigno” grezzo del Cuore, nascondiglio dai furtivi scatti, che giace dietro una morbida città dai peccati infausti, celati in una coltre “ovattata” di monocorde monotonia, nel sangue già terso di prigioni cimiteriali, di panchine “sdrucite” in uno slavato Sole arrugginito, ove a ruggire, proprio “scongelandosi, è forse la coscienza d’inter(n)e solitudini dimenticate da un Dio ceruleo nelle ceneri dei “vinti”.
Sprigionati rintocchi d’un dondolio vulcanico inacchetabile, inarrestata “litania” dal serpeggiarvi denso, allucinato, scomparso, “estraneo”, marmoree membra squagliate come lama autodistruttiva del suo dolore più “cutaneo” e piangente.
Kuklinski, martire, dalla pelle “a scaglie” dentro fluttuanti espressioni mortifere, ove anche il guizzo è un lampante istinto omicida, come il tunnel “cieco” che intravede gli spiragli di luci bianche a “innervar” iridi nerissime ma di cangianti umori pericolosi dal tortuoso incurvar i muscoli flebili di labbra “pittate” in un azzurro d’illagrimato rosso “squillante” nell’abissale discesa negli inferi delle pulsioni incontrollabili, quasi aldilà mistico che respira fra echi e “picchi” di sieste e paradisiaco illanguidimento di svenevolezza romantica per poi, implacabile, spietatamente sicario ad “agghindar” solo il dark d’un orrido fantasma, vicario forse delle “fantasie” pazze dei burattinai assassini in cui “trasmigra” da emissario satanico negli anfratti di fiamma “ossidrica” dal lancinante urlo che si “dimena” ammutolito proprio “digrignando” gli occhi di “vetro” nelle smorfie della vittima designata, “anonimo”, ignoto, fuggitivo incarnato in possenza muscolare dai tremolii glaciali nella vigoria “orca” d’istinti a domar solo gli spasmi della follia.
Boati e poesie come strade illuminate a sprazzi, incendiate dall’ice fulmineo di spari.
Kuklinski, incenerito fra vagabondanti illusioni, già spente, riaccese dal sorriso d’una famiglia, l’unico pentimento di cui si discolpa, nella “flemma” ieratica di commoventi dissolvenze, “fermoimmaginate” anche nell’imperdonabile confessione agli spettatori, terrificati, che (non) possono giudicarlo con “obiettività”.
La vita è un incrocio d’errori, errando sbagliamo, come Richard dichiara, esausto, finito, affranto solo per i suoi cari.
Fra il suo specchio che non ha paura del buio della condanna eterna, lapidaria, “divina”, un Cristo disegnato nei suoi zigomi di cuoio e nella titanica sua statura appassita come foglie solo sognanti di un autunnale “obitorio” per la sua stessa micidiale autopsia.
Sul banco degli imputati, a fissarci, a guardarsi (in noi) dentro, nel ventre visceral, “acustico” d’agonica “pioggia” nel viso, in una penombra che spaventa, distrutta come un flash magnifico che ha divelto le tutto.
Forse, “Richie” più che the iceman è il nothing (e “morphing“) crepuscolare della sua opalescenza nelle note, notti malinconiche d’uno Springsteen laconicamente “irrequieto” di sua chetezza “tramontante”, rabbia nel lacero incanto contemplativo su macerie incarnate, apparenza svanita in evasioni estemporanee, (de)frammentate del suo “non c’è” che vocifera “lucifereggiando”, lampeggia d’ardori che gli brucian dentro, schizzando nelle sue vene d’uno psichedelico inturgidirsi dalle acute, anche “rimpiante” fragilità che si scorporano da un Cuore suo tensivo, fantasmaticamente “cristallo” spezzato nel baluginar “morso” delle interiora, di martoriate stesse estasi che lubrifica e smalta nelle tempeste improvvise degli imponderabili turbinii.
Squartante, si ricoagula per ferire, ferirsi, feralmente mostruoso ancora nell’infinito dolore.
Grido spaventoso, distruzioni, reset che cancella e poi (s’)offusca. Arde, (s’)annienta. S’annerisce e s’illumina di nuovo, “ammodernato” negli abiti eleganti d’ una “personalità” dell'”alta finanza”.
La sua famiglia, pearl argentata della violenza, della sua umanità, profonda, che spacca le “mura domestiche” quando dichiara il suo straziante, struggente darling nel suo kiss “tatuatole” per sempre…
Perché ama ed è Uomo solo quando adorato dagli amplessi romantici nello Sguardo della moglie, nella creaturale innocenza dei figli, forse ad accudire e uccidere il sé che non ha mai coccolato.
Il cui unico abominio è stato averli traditi, averli fatti soffrire.
Michael Shannon, in un ruolo “cucito” nell’Oscar, una Winona Ryder dolcissima, ringiovanità in un’ancor più bella maturità, un Ray Liotta “riesumato” dal goodfella “fallito” d’una criminalità davvero triste, un cameo lugubre di James Franco, uno Stephen Dorff finalmente “brutto”, un Chris Evans che, del Capitan America, è solo lo spaventapasseri della sua “arietta” sbruffoncella da laido truffatore delle sue idiozie.
E, solitario, l’iceman si congeda, voltandosi da un’altra parte, aspettando il patibolo.
“Punitore” d’un Mondo sbagliato, “(as)sol(d)ato” alla deriva che ha trovato, nella sua traviata “ingenuità”, il capro espiatorio di tutta la merda.
“La prima… di chi è senza Peccato…“.
(Stefano Falotico)
Come no, oh, “perbacco” – Festival di Venezia 2012, meglio il “cucciolo”
Ogni cane ama il “pacioso” a sé affine, l’orso polare
Ah, un mio amico mi redarguisce e mi “guarnisce” di panna nei neuroni: – Stefano, bello mio, da un mutismo apatico, sei passato a un’intraprendenza acuta, un po’ d’aculei (e qualche culo), all’esoterismo e alla magia, da “tarocco”, allocco e “balocco” ai tarocchi, dai tarchiati alle borchie, dagli scirocchi a qualche “sciocca”, dagli gnocchi e dal romperti le nocche alla gnocca, dal cervello (s)caduto al decadentismo che “trivella” incauto, dal “monossido di carbonio” alle bone da “ossigenar” di calor antiossidante, spellante-piccante, ansimante-“animato”-animalesco. Ti vuoi dare una calmata?
– No, grazie, le camomille vengon di Notte, duante il Giorno son “a migliaia” nel mio “Un po’ sfaso, un po’ fallo, forse macrobiotico”.
E cosa ne sai tu, mio compagno di (s)fighe, di Hari Seldon? Il fondatore, nel ciclo(stilato) della Fondazione del fantascientifico Isaac Asimov? Io ho i suoi libri, non son (ro)manzetti di “uccelli”, ma di come l’Uomo evoluto prevede(rà) il Futuro nel suo “oltre” sociologico.
Che ne sai tu? Lo leggevo alla Prima Comunione, mentre il mariuolo Beppe tastava le “ostie benedette”. Già allora compresi che Beppe sarebbe finito in manette, altro che “mani”.
Ah, che vuoi indagare? Che vuoi scrutare? Che vuoi incutere?
Oh, goodness, ne vogliamo parlare dei Goonies? E di Gargamella? Lo stregon medioevale, “nero”, del villaggio dei Puffi? Ove il bel damerino “blu” si fotte la peperoncina “rossettina” che non “arrossisce” mica tanto, al “suono tantrico” dei “Loacker che bontà!“, wafer che sa il cioccolato “fondente” suo, per la cretina che poi pulirà le “labbra sporche” nel bidet, in zona “Chicago” vicino al water.
Eh sì, scorrendo il “programmone” del Festival di Venezia, e discorrendovi sopra, un po’ scoreggiando su questa Nair in “apertura” (io proporrei di “rinchiuderla”), mi vien il mal di pancia, sebben sia dimagrito circa venti chili nell’ulimo mese, causa nervosismo “ipertrofico”. Da trofeo, anzi, sempre meno atrofizzato, Trophy davvero, posso “giurarvelo”, ma un po’ “Camel(ia)” e “intossicato”.
Meglio Carmela…
Ma, in mezzo, ai redivivi Malick e De Palma, perché non resuscitar, in “Laguna mostruosa“, quel fuggitivo di Joaquin Phoenix? Ah, come gradirei il “suo” The Master, come sgranocchierei il James Gray…
Ma, scusate? “Che c’azzecca” Jonathan Demme, il regista degli … Innocenti e di Philadelphia, con Enzo Avitabile? Si tratta, evidentemente, di uno scherzo di troppi Barbera, vino “stagionato”.
Ah, sempre stu’ Kitan’ con gli yakuza. Cambiare trama, no?
Al che, “traviato” da tutta questo bordello cinefilo, mi rendo un cinofilo con tanto di “soprammobile” a Lui “guardingo”:
Firmato il Genius
(Stefano Falotico)
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