Sì, da più di un anno a questa parte, in verità dal lontano 2003, succedono accadimenti orribili. Dal 2003, sì, cioè il preciso anno in cui il mio hater Andy Cup, cioè handicappato acclarato, pervertito malato di mente spropositato e irredento, lui pensa, erroneamente, impunito, decise vigliaccamente, da leone da tastiera, alias agnellino senza pari e coniglione sesquipedale, di cominciare a diffamarmi, con ogni stratagemma possibile, tramite tutti i mezzi del web, io sono Lee Van Cleef di Per qualche dollaro in più. E, a proposito di dollari o di Euro, certa gente, ignorante più di una capra senza lana, dopo aver incassato un ingente bottino tramite Patreon, accusa gli altri, sempre e puntualmente, solamente tramite chat criminose o commenti che poi cancella o eliminò, di cose assurde. Ed è inutile che, tornando al mio hater imbecille, costui tenti di avere ragione. Cercando vanamente di provocarmi, ripeto, soltanto virtualmente, in quanto, essendo tale idiot savant un ratto agonadico, non ha assolutamente gli attributi per dire ed espletare, oso dire, evacuare coraggiosamente le sue oscenità dal vivo perché se la farebbe nelle mutande seduta stante con tanto di ambulanza che, per una sua incontrollabile e penosa crisi di panico, giungerebbe sul luogo, immantinente, per ricoverarlo al primo centro psichiatrico. Gettando poi la chiave. E rimarrebbe, in tale posto non certamente piacevole, vita natural durante in quanto la sua follia, certificata e acclarata inconfutabilmente, non sarebbe dovuta al bullismo subito o ad eventi estemporaneamente circostanziati. Antifona abbstanza chiara, nevvero, demente? Vuoi e volete la guerra, diffamatori e imbroglioni, cafoni e buffoni? Ok, però attenti. Sono molto più veloce e avanti di voi. E, peraltro, è facilmente comprensibile perché una certa personcina non riesca ad amare Michael Bay. Bay ha la Ferrari ed è un futurista, lui, invece, un retrogrado pseudo-comunista a parole, fascista nei fatti, che non riesce a essere salvato neppure dal suo commercialista, oberato infatti, com’è, da debiti allucinanti che non riferisce ai suoi aficionados poiché verrebbe fuori semplicemente la verità più ridicola e tristissima. E, ovviamente, ne rimedierebbe una figura, così come dicono a Bologna, barbina. Questa persona attacca i ricchi non perché, giustappunto, combatte per la giustizia sociale e la sana equità morale-economica, semplicemente perché è un frustrato fallito dei più patetici e, ribadisco, ottusamente incurabili. E si crogiola, così facendo ipocritamente, nel fortilizio di una trincea falsamente ideologica ed eticamente orrida. Io sono uno scrittore e un critico di Cinema. Questa gente, invece, non solo non lo è, è anche pazza e sprovvista di contezza e contentezza. Poracci(a). Questi poveri sfigati non hanno chiesto tutte le assistenze sociali eventuali e, come si suol dire, immaginabili (loro, ah ah, direbbero immaginarie, essendo analfabeti), la mano di qualche educatore che, semmai, non riesce neppur a educare sé stesso in quanto laureatosi in pedagogia coi punti della Coop, il 104 e il RDC? Ah, ma allora, adesso, avete capito contro chi vi siete messi. E, per piacere, non siate farisei, andando prima a messa e poi rinnegando, il giorno dopo, tutte le vostre vi(ri)li sconcezze. Ci vuole Il commissario Falò ed Er Monnezza, schifezze!
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Miei cavalieri della Tavola Rotonda, in quest’Italietta di cadaveri tonti, abbiamo Checco Zalone mentre negli Stati Uniti nessuno è un (cassa)integrato perché sono grandi attori come De Niro e Tom Hanks, giustamente oscarizzati
Fratelli della congrega, cinti in raccoglimento. Le nostre notti si fanno insonni e infauste. Mentre gli idioti, fuori da questa nostra reggia qui ove noi, uomini moralmente eretti, ci segregammo poiché seppelliti vivi dai vili, festeggiano d’ilarità frivole che loro reputano virili quando, invero, sono solamente sconcezze e ignobili bassezze di gente nell’animo romantico oramai putrefatto e vinto, gente, orsù, che si ritiene vincitrice ma in realtà prostituì la dignità a favore del mercimonio collettivo, ecco, noi preghiamo da mesti uomini che non si vendettero al più furbo offerente cosiddetto migliore.
Per questo nostro duro, intransigente atteggiamento, ipocritamente considerato ostile da questa gente misera, ci ostracizzeranno ancora e i nostri cuori ostruiranno poiché già dapprima, scevri d’ogni resipiscenza, ci ricattarono, affinché ai loro dettami orrendi ci piegassimo, quindi c’indussero a peccare. Insomma, ci mangiarono.
Sì, delinquenti che ricusarono e nuovamente rifiutano la patologia di cui sono innatamente afflitti, ovvero la malignità, dissimulata dai loro sorrisi apparentemente giocondi.
Io non sono un monaco ortodosso né mi cago addosso bensì continuerò, anche nella mia guerra contro i mulini a vento da Don Chisciotte, a non sputtanarmi con tali mignotte.
Riceverò ancora ammende, reprimende, punizioni al fine che, castigato e intimorito, rinunzi alla mia impavidità e abiuri dinanzi a tale meschina, abietta vacuità da zombi luridi. Non arderò né aderirò all’idolatria del puttanesimo generale, genuflettendomi in segno di mia caduta impura. Cosicché, festanti e orribili, questi baccalà possano gridare d’aver (s)battuto nella notte più nera e imperitura un altro uomo che non volle cedere ai ricatti più porci da stronzi immaturi. Così che (non) potranno gustare la loro vita (s)porca dopo avermi ingiuriato, calunniato, diffamato e oscenamente emarginato con fare imperdonabile e assai scostumato.
Sì, immondamente, desiderarono che Re Artù, ovvero il sottoscritto, implorasse a costoro, cioè gli impostori, addirittura perdono quando, lo sapete benissimo, furono loro che dovrebbero essere a vita stigmatizzati poiché, svergognati, ambirono a deturpare la mia giammai rinnegata purezza per obbligarmi alla loro squallida vita da squali, (s)fatta di lerce sporcizie. No, non sono finito nell’immondizia né l’assistenza sociale accetterò, dunque nessun poveretto e disgraziato riuscirà a farmi sentire un disadattato pateticamente (s)consolato.
Ora, forza, mangiamo la cena e, lontani da questi miserabili acidi, impreziosiamo e condiamo d’aceto balsamico la nostra insalata fantasia a voi servita dal Falotico. Non dobbiamo assolutamente dare retta a chi, come già fece, oh che feci, ci affibbiò la patente di sfigati poiché non volemmo darci alla prima puttana(ta). Persistemmo, resilienti, nella nostra lotta di classe e, sebbene ci diranno eternamente che siamo degli insalvabili, tristi deficienti, non daremo più ragione alle loro scienze, come la psichiatria del cazzo, tantomeno presteremo fede alle loro sceme(nze).
Sì, dopo tantissimi an(n)i, solo come un cane, in cui patii lo strazio dell’ingiustizia più madornale, scandalosa e mostruosa, dunque an(n)ale, solamente perché declamai di mio candore ogni poetico, creaturale cantico, posso qui e testé attestare che, in virtù della mia geniale testa, fui io a smascherare i bugiardi e i vigliacchi più infingardi.
Fui indagato, perfino altrove deportato per colpa della mendace pusillanimità di tali oltraggiosi bastardi. I diversi, come me e come voi, fratelli e sorelle bone, son sempre stati invisi ma siamo stanchi di far buon viso a cattivo vino, no, sorte.
Non abboccheremo più ai sortilegi perpetratici e contro lanciatici dalle donne meretrici, scagliatici inutilmente da queste donne che si credono Beatrice ma in verità vi dico che sono soltanto delle mungitrici. Si allattassero, no, allettassero i pecoroni che con codeste vacche ameranno far sì che, dementi, fermenti il loro pecorino nel metterle a pecora. Pecorino non solo sardo e salato, bensì pure sordo dinanzi a noi che vediamo tal loro porcile assai lordo. Non ce ne vendiamo, anzi, insistiamo nonostante ci dicano che siamo dei balordi. Noi non ci allineiamo al gregge e al valore capitalistico del greggio…
La gente, in Italia, poco legge eppure tutti vogliono sui destini altrui legiferare dall’alto d’uno scibile che a noi, uomini saggi, appare solo come il sibilo di serpi viscide. Noi strisceremo al buio e, sguscianti, saremo a loro inculanti. Ci daranno la patente di ungulati ma ci piace far all’amore con le donne selvatiche. Che siano bionde o more, quel che importa è il più vivido, sentito, empatico, condiviso calore. Insomma, allegramente, fottiamocene!
Ci diranno, strafottenti e fetenti, ma fateci il piacere e noi, allora e di buon ora, al risveglio di Aurora, non scoperemo solo lei ma anche Arianna. Poiché Arianna sa quel che vuole e tutti divora, le orge adora e sa che il valore di un uomo non si conosce dall’oro ma dal suo intimo sapore. Poi, tutti assieme appassionatamente, ci laveremo nel sapone ma giammai verremo benedetti dalle loro false abluzioni. So di avervi rotto le palle abbastanza e av(r)ete adesso l’acquolina in bocca. Sì, ho finito l’arringa. Ora vi regalo la meringa ma ricordate che non siamo ancora alla frutta.
Questa vita è un ring e noi, ringhianti, saremo ficcati all’angolo ma sappiamo che in Italia si spacciano tutti per dottori e buoni ma son solo dei “buoi” a nulla. Sì, buoi, dicono all’altro di stare buono e gli assegnano l’ultima ruota del carro. Siamo veramente stufi di questa gente. Gente che si fa bella a parlare di valori, a schierarsi contro il razzismo e le segregazioni, contro il fascismo e il qualunquismo ma saranno in prima fila a vedere il nuovo film di Checco Zalone. Statene sicuri.
A me fa ridere, Checco, lo ammetto. Così come, togliendomi ora l’elmetto, dico altresì che sinceramente non fa invece ridere più nessuno il classico commento, per l’appunto, razzista su YouTube. Ove se, Jamie Foxx, siede a un tavolo davanti a una bella donna bianca, scrivete:
– Chissà, “sotto sotto”, a cosa sta pen(s)ando. Ah ah ah!
Questa è l’Italia. La mascherata è finita. Carmelo Bene era un provocatore ma, dietro ogni provocazione, diceva il vero. Sì, il Cinema non è mai esistito. Abbiamo sino a questo momento celebrato soltanto, proiettandola, la nostra vita che non è mai stata, mai fu, chissà se sarà. Il vero Cinema è la vita vera riflessa in noi. Pochissimi sono gli eletti che possono ambire a fare della loro vita un capolavoro. Gli altri, solipsistici, applaudiranno al film migliore secondo la loro ottica, rigirando le frittate a propria cafona (pres)unzione. È vero, Fellini era un burattinaio delle sue nostalgie, Pasolini un violento che, per resistere alla sua diversità, si spacciò per intellettuale elevato quando, invero, voleva solo essere accettato.
Dunque, criticò il sistema poiché lui fu lui stesso troppo criticato e, a metrica della sua sofferenza psicologica, pontificò, sicuramente e senza dubbio, con egregio stile ma non ammise mai chiaramente d’essere stato dai criminali distrutto. Senza retorica e senz’inganni, ve lo siete andato a cercare.
Parola di John Rambo.
Comunque, Checco Zalone non abusa di stereotipi razzisti. In verità, prende satiricamente per il culo l’italiano medio che, per l’appunto, pensa ipocritamente le stesse cose che dice lui nel film.
E questi sarebbero gli italiani “integrati?”. Per cortesia.
Abbasso la borghesia. Ecco il mio cervello piccolo offerto in san(t)ità di voi, poveri tonti. Poveri zombi.
di Stefano Falotico
JOKER è un film socialmente pericoloso? No, è purtroppo socialmente giusto
Sì, le polemiche riguardo il fatto che Joker di Todd Phillips possa scatenare, presso i giovani “disadattati”, delle manie emulative, aumentano a dismisura a poche or(g)e dal debutto mondiale nelle sale cinematografiche del film giustamente Leone d’oro alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia.
Un film devastante, titanico, cattivissimo, un pugno allo stomaco scagliato con potenza smisurata, riversata addosso alle panze piene di tutte quelle persone fintamente altolocate che occupano posizioni di estremo potere al vertice della scala gerarchica. Appunto, più abbiente.
Dunque, suprematiste, impongono la loro visione del mondo insensibile, fredda, plastificata, disarmante, aberrante e sinceramente terrificante. Praticando psicologico terrorismo verso coloro che non se n’attennero, attengono e atterranno. Diffondendo scemenze precettive attraverso i mass media demagogicamente più capitalistici che, come in Essi vivono di Carpenter, fieramente e svergognatamente, insistentemente e a tamburo battente propugnano e ancora sbandiereranno ottusamente uno stile di vita umanamente inapplicabile e non confacente alla splendida varietà delle singole nostre alterità colorate e stupefacenti.
Poiché l’umanità non può omologarsi a questi rigidi, edonistici, consumistici dettami nazi-fascisti.
Perlomeno, le menti deboli e poco nietzschiane ne abdicheranno perfino piacevolmente, facendo sì che il condizionamento mentale loro indotto dai mezzi d’informazione talmente le distorca, eticamente e dunque immoralmente le svii e travi nelle loro pure integrità individuali da disinformarle, credendo di venirne istruite e istituzionalizzate. In verità, (de)strutturandole, uniformandole al classismo palestrato, cazzuto e forzuto oramai imperante d’un sistema avviatosi, in maniera irredimibile, alla spersonalizzazione individuale, irreggimentato irreversibilmente nel canale di pensiero del network dai dati Auditel col maggiore share.
Cosicché, mentre la cantante Cher, più rifatta della madre di Jonathan Pryce in Brazil, ostinatamente perseveri a cantare malgrado perda in diretta pezzi della sua faccia di culo, i ricchi nullafacenti continuano a guardare Vacanze di Natale, andando a sciare.
Ordinando ai disoccupati di non scialare poiché debbono lavorare!
Andassero a cagare!
Sì, in quest’Italietta, in tale stivalone di mezze calzette e di cazzoni, di partenopei calzoni e di sessiste canzoni, esiste un uomo cavernicolo dalla voce roca e cavernosa come quella di Arthur Fleck che non s’arrende e le ingiustizie non lascia stare. Infuocandosi (e)retto di cor(po) cavernoso!
Si auto-eleva in gloria come lo Yeti, l’uomo delle nevi, provocando i piccolo-borghesi soltanto col movimento fugacemente impercettibile delle sue sopracciglia giammai pittate eppur intonate a uno sguardo simpaticamente arrogante, stimolante… una valanga detonante come l’urlo di Tarzan in tale giungla di deficienti che parlano solo di cos(c)e piccanti. Quando, in verità, sono an(n)i che le loro anime sono andate a puttane.
Sono quelli che considerano Her di Spike Jonze un film sdolcinato, sono i commendatori-impiegati statali-stalloni comunali che, durante questa prima settimana di Ottobre, nonostante la loro moglie sia chiusa in clinica psichiatrica e il loro figlio minorenne sia internato in una comunità per disintossicarsi, considerano A Beautiful Boy un film penoso e patetico.
Cazzeggiando dal lunedì sino al venerdì in discorsi davvero elevati. Sì, dopo l’infinito, interminabile tormentone della farfallina non di Jessica Rabbit, bensì della coniglietta Belén Rodríguez e del suo porno semi-freddo con un nababbo più schifoso di James Deen (James Deen, uomo nano che brucia tutte le gioventù delle vergini cor-rotte, non James Dean, ex uomo-Gigante solo da Gioventù bruciata), adesso la questione, oserei dire di rilevanza omerica, più che altro da cavalli dei pantaloni di Troia, verte su Diletta Leotta e sul coro da stadio, in sen(s)o propriamente letterale, dei tifosi accalorati del San Paolo.
San Paolo fu illuminato sulla via di Damasco mentre in Italia ascoltano ancora quell’ipocrita del Blasco. Dopo che l’hanno ascoltato, anzi nei loro cuori auscultato, si sentono illuminati. Il mattino dopo, però, son sempre più impoveriti. Non nell’animo ma nel portafogli.
Infatti, poi cantano a squarciagola tutte le hit del malinconico per eccellenza, ovvero l’intramontabile Riccardo Fogli.
Diletta, tutto sommato, nonostante le battute un po’ troppo spinte e vi(ri)li sulle sue tette, fa spallucce mentre le casca la spallina e un altro uomo, dalla Curva Sud, commenta in maniera leggermente furbina le sue pericolose curve che vanno dagli appennini alle Ande fin all’ex arbitro Collina.
È una valle di lacrime mascherata dietro le più triviali, scontate battutine finto-brillanti.
Joaquin Phoenix vincerà l’Oscar? Anche il Golden Globe? Perché Diletta Leotta, con le sue bocce dorate, no?
Ah ah, che ridere.
Ieri ha fatto goal Inglese. Ma Inglese andrà a vedere il film L’irlandese? Ah ah, che scompisciarsene. Capirai…
Stefano Falotico invece è fallito, “fallotico”, di mestiere fa l’ottico anche se molti pensano che sia schizofrenico e non veda bene questo mondo?
No, infatti non lo vede di buon occhio, malocchio, prezzemolo e basta coi doppi sen(s)i sui finocchi, basta con gli oscurantismi sugli “antrocchi”, basta con Calimero e il brutto anatroccolo, con l’anatra all’Arancia meccanica.
Col Gelato al cioccolato di Pupo, con le barzellette del Pupone, basta col cocco bello, con prese pel cul’ a Cicciobello.
La vita non è un negozio di Giochi Preziosi.
La prossima volta, se fossi in voi, starei molto attento a infierire da fiere sul prossimo (s)conosciuto.
Siamo sinceramente stufi di questo mondo retorico, buonista e fake.
Tanto, se sei un intellettuale ascetico e semi-eremitico, ti diranno sarcasticamente che sei mitico, se stai tutto l’anno a Ibiza, ti urleranno invece di avere una vita più tranquilla e di leggere più libri perché sei una vivente, demente fece.
Siamo stufi degli psichiatri conformisti che, anziché dare slancio ai loro pazienti impazienti, li castigano, sedano, comprimono, ancor più deprimono, impasticcandoli poiché non s’adattano e piangono.
Siamo stufi un po’ di tutto.
Finalmente, Todd Phillips, senza se e senza ma, è arrivato al sodo.
E ha fatto il culo a tutti.
di Stefano Falotico
Reaction: A HIDDEN LIFE di Terrence Malick – Official Trailer: siamo sicuri che Terence Hill di Don Camillo non sia meglio?
Capitolo 1: analisi del trailer nel mix della mia anima umorale e cangevole, goliardica, ancestrale, pindarico-cazzeggiante, vulnerabile e amabile…
Questa sarà una lunga riflessione molto ponderosa e assai ponderata. Sì, basta cambiare qualche consonante e sistemare i vocali su Messenger per ottenere sfumature tonali che possano combaciare con la nostra anima gemella.
Partiamo dal titolo di questa nuova pellicola di Malick. Malick fu un combattente, un portavoce dell’Easy Rider–life style, un ribelle, un sognatore, un propulsivo cuore insanguinato nella sua anima profondamente arrabbiata, schierata a favore della gagliardia delle giovinezze immacolate e pure che, dopo aver danzato nel limbo magnifico della spensieratezza, forse utopistica, si schiantarono dinanzi alle atroci verità di un mondo ottuso, fascista, forse pure peggio… nazista.
Sì, A HIDDEN LIFE è la storia di un pastore (protestante?) disertore. Anzi, obiettore di coscienza. Come me. Nei giorni di leva, mi chiesero se volessi arruolarmi nell’esercito e mi posero un quiz con delle crocette da riempire.
Si tratta di questionari che vorrebbero molto superficialmente inquadrare, in poche tue risposte, la tua tendenza o no a essere e divenire un uomo violento e facinoroso. Per appurare addirittura se hai delle strane tendenze… Dunque, dei miserissimi, agghiaccianti, anzi raccapriccianti test attitudinali, figli appunto d’un vetusto, insopprimibile, retrivo e pericoloso codice fascista secondo cui l’uomo è tale soltanto se in sé cova un’indole guerrafondaia per ficcarlo in culo al prossimo suo e (s)fotterlo. Per misurare… se è disposto cioè a sacrificare lo splendore gioioso e giocondo, allegro e parsimonioso del sacro dono vitale infusoci imperscrutabilmente chissà da chi per rinunciare alla bellezza del creato, anche di sé stesso e della sua morale integrità naturale, nel suo mutare multiforme della sua creaturale essenza atta a maturarsi, a esperire gioie e dolori, al solo scopo minatorio d’inibire la sua sana e robusta costituzione fisica, deviandone i sinceri moti del cuore nell’indirizzarli forzatamente a un preposto, costituito ordine precostituito, attraverso il drastico strumento del ricatto emotivo più tosto. Piuttosto, di conseguenza anche anti-vitalistico a fartelo a strisce in maniera imposta.
Cioè, dettando la propria legge di vivere a conformità dell’uniforme socio-economica, costituzionale-istituzionale di ciò che il pensiero nazistico ha prescritto.
Altrimenti, chi si rifiuterà di aderire a quest’uniformità aggressivamente brutale e anti-democratica, non più vivrà e bruciato sarà. Tagliato fuori e messo perfino dentro. Incarcerato, stigmatizzato nel crematorio forno delle radicali scremature stronze.
Essere uomo, invece, non significa abdicare alle religioni che non appartengono ai nostri credo interiori.
Da cui Silence di Scorsese, chiarissima metafora di come l’uomo, dinanzi ai ricatti impostigli, appunto, coattamente dagli impostori con le proibizioni, i castighi, le terrificanti torture, non solo fisiche, giocoforza è stato sempre obbligato, pur di sopravvivere, a soccombere al pensiero comune, perlomeno a quello che va e andava per la maggiore-caporale, ah ah, nel luogo in cui abita, vive e vegeta(va).
Sennò, se si fosse ribellato, se avesse strenuamente opposto resistenza implacabilmente, non piegandosi a niente, per quanto lodevole sarebbe stata questa sua nobile, fiera, ferrea idea libertaria di vita assoluta, irrinunciabilmente legata connaturatamente al proprio senziente battito cardiaco umanamente sincero e spontaneamente battente, dunque meravigliosamente, intattamente legato al suo vedere la vita coi suoi occhi fervidi e con le sue vivaci emozioni scalpitanti, secondo il suo percepirla, filtrarla, viverla e, perché no, anche respingerla, intristendosi poiché semmai non la sentiva e respirava affine nell’abito e all’habitat psicofisico in lui albergante, ecco, se avesse combattuto energicamente per mantenere salda e incorrotta la sua anima squillante e appassionatamente tonitruante, sarebbe stato lentamente distrutto fisicamente e anche interiormente, progressivamente lacerato ininterrottamente. Prima interrotto, poi sfibrato e corrotto, avrebbe prima o poi abiurato squallidamente a questa visione del mondo così brutta. Arrendendosi, vinto e da troppe violenze nell’animo e nel coraggio, seppur intraprendente, mortificato e trafitto, inchinandosi di fronte all’ideologia predominante che, in quel preciso momento storico, etico, perfino etnico, stava arbitrariamente monopolizzando le coscienze di massa a indottrinamento capzioso e squadrista.
No, non è previsto nessun tentennamento, non è permesso fare dietrofront se ti vogliono al fronte e invece tu, fronteggiando questa richiesta assurda col tuo pacifismo fuori moda, sfrontatamente avessi addotto che alla guerra non saresti mai stato pronto. Poiché tu la aborri!
Un tempo, i ribelli più immarcescibili divennero loro stessi dei criminali, affiliandosi al brigantaggio, al banditismo, addirittura al terrorismo pur di lottare per dei valori che la società di quel periodo stava sopprimendo col massiccio uso della violenza a dosi pesantissime, utilizzando dapprima l’arma ricattatoria dell’omertà e del silenzio, dunque attuando “trattamenti sanitari obbligatori” sulla pelle dei più inarrendevoli, frenando ogni lor istinto ribelle, arrestandoli semplicemente bellamente con la filosofia, appunto, nazistica più punitiva. Diciamo così, eufemisticamente, più comoda…
Ah ah.
Ora, non so come sarà questo A HIDDEN LIFE.
Da tempo, ho un cattivo rapporto col signor Malick. Penso che sia diventato un troll, cazzeggia a tutto spiano di grandangoli e inquadrature paesaggistiche che realizzerei meglio io con un Android, sì, sono un androide io stesso come Rutger Hauer di Blade Runner, un cellulare umanizzatosi per 500 Euro, superdotato di una fotocamera digitale più figa di questa qui.
Ora, ve la mostro.
Che gran donna. Mi sono innamorato di lei all’istante. Che gnocca della madonna. Che classe raffinata davvero inarrivabile. Che sguardo finemente intagliato a basamento della vertiginosa sua armonica, eccitante, svenevole minigonna provocante. Che caviglie intarsiate nella morbidezza elevata di gambe sue dolcemente calde. Probabilmente inarrivabili, inattingibili per quanto io la brami in modo inestinguibile. E ne sogni il suo inguine per invitarla a mangiare, allo scoglio, le linguine.
Al che, segretamente, cominciai a corteggiarla. Scrivendole poesie leopardiane, inviandole commenti talmente romantici che avrebbero sciolto anche una donna eschimese dell’Alaska.
Del tipo, ah, che topa: al solo tuo apparirmi in foto, capisco che molti adulti della vita non capirono un cazzo. Dissero ai figli di diventare dei poeti e dei cantori della venustà universale, obbligandoli però ad amare il Cinema catto-borghese, invero solo coatto, di Gabriele Muccino ma, al contempo, ammonendoli dall’essere come suo fratello minore, Silvio, da costoro reputato uno scemino e un mezzo ratto.
Dei falsi, insomma.
Gente che predica bene e razzola male, colpevolizza i figli migliori e più fighi solamente perché sono invidiosi delle loro assolute libertà cavalleresche. Urlando loro che sono figli di un dio minore, cioè trattandoli da minorati. Si capisce, loro sono a capo delle gerarchie e qui si va avanti di nepotismi, bullismi e nonnismi, puttane e nonnetti.
Oh, Vanessa, sii la mia leonessa, ci sbraneremo di baci come in To the Wonder, rotolando nelle lenzuola al ritmo dei Negrita. Io sarò per te un negro e il tuo schiavo, tu sarai la mia aurora, sì, sei mora, offro a te la mia faccia da salame a ogni ora. Poi, al mattino, ancora che sarai cremosa e fragrante, ti porterò a letto nuovamente la mia brioche ripiena di marmellata e tu, a pranzo, non mangiare/erai solo insalata. Poiché ti amo così come sei, soda e tosta. Diciamocela, ammazza quanto sei bona.
No, non sono comunista ma non sono neppure un santo. Tanto sano neanche.
A voi pare normale uno come me? Sono uguale a Terence Hill di Don Camillo.
Sì, quando sarò morto, i posteri scriveranno del sottoscritto: Lo chiamavano Trinità.
Di me, non ci avete capito niente, vero?
Se volete ve lo rifaccio…
Tanto, qui in Italia, siete talmente lenti che il mio Salmo non servirà a mettervi a posto…
Post Scriptum:
io vi faccio divertire, ho i miei valori ma non sono un moralista.
Non sono un nazista.
Sono una faccia da culo.
Volete mettermi in croce?
Bene.
Capitolo 2: dalle reminiscenze della mia vita da peccatore, umano come tutti, dal patibolo delle sofferenze disumane, riamai la vita in modo inaudito… ieri poiché oggi lei ama un altro
Ebbene, so di avere molti detrattori semplicemente perché sono un uomo contemplativo come Richard Farnsworth di Una storia vera. Lui era parecchio anziano e si suicidò, non resistendo agli esiziali, super afflittivi dolori della sua fisica malattia impietosa.
Consegnando però alla memoria un personaggio straordinario, Alvin Straight.
Un uomo che, senza sprezzo del pericolo, alla sua veneranda, egregia età coi capelli già tutti bianchi, non ancora ingrigito nell’animo suo portentoso, fregandosene appunto d’ogni detrattore, viaggiò per mezza America con uno scassato trattore.
In nessuna trattoria si fermò, bensì molte serate in compagnia passò, recitando le sue pillole di saggezza ai più giovani per avviarli alla retta via. Spingendoli cioè all’azione.
Poiché l’esistenza di noi tutti è appesa a un filo, Vasco Rossi cantava… è tutto un equilibrio sopra la follia. Infatti, lungo la sua traiettoria, Alvin incrociò, non so se dopo una rotonda o un incrocio, una donna che perse la brocca, delirando soltanto perché investì un cervo.
Sì, forse questa donna era un’educatrice di comunità, una donna pia e pedagogica come la Montessori. E trascorreva le sue giornate con tutti quegl’innocenti bambini, i suoi tesori.
Ecco, dopo aver ammazzato un cervo, con che faccia poteva presentarsi al loro cospetto?
Un bambino, che ne so, le avesse chiesto di recitare alla classe la favola di Bambi e lei, risentitasene, avrebbe portato invece l’intera scolaresca a vedere il film Il cacciatore. Facendo crescere troppo in fretta queste povere creature ancora in fiore.
Ammonendo i pargoletti dai pericoli della guerra, mettendoli appunto in guardia, dicendo loro di camminare a petto in fuori, istruendoli cioè precocemente a quello che Marlon Brando, in Apocalypse Now, definisce l’orrore…
Sì, la vita è fatta solamente per i più forti. E v’è solo per i deboli la patetica costernazione.
Guarda invece come va il pensiero sull’ali dorate, evviva i(l) Pascoli! A Nabucco, miei crucchi e ciuchi, ho sempre comunque preferito Lorella Cuccarini al fine, non certamente finissimo, d’assaggiare con lei un piatto di patate nella Scavolini, la cucina più amata dalle italiane, cioè la mia.
Servo pietanze fredde agli uomini di panza e a ogni ammiraglio ignorante gli ricordo che raglia.
Sì, con me la sua donna invece vuole la quaglia e se ne sbatte delle sue stelle di latta. Mi fa bere anche il latte.
Ah sì, dalle stelle alle stalle, dall’aver avuto le mie prime esperienze masturbatorie con Ilona Staller a essere il Sylvester Stallone italiano, basta l’attimo devastante d’un altro pugno rifilato allo stomaco a quel bambagione che continua a chiamarmi fallito e coglione. Sembra Tommy Morrison di Rocky V.
Pace all’anima sua e di quell’altro ebete. Non aveva rispetto di nessuno. Pigliava a sberle chiunque. Anche chi non c’entrava niente con le sue puerili rivalità da bimbo che ancora giocava nel cortile.
Sì, offendeva le persone più anziane di lui, camminava tutto tronfio, credendosi Antonio Banderas quando in verità vi dico che era più brutto della canzone Brutta di Alessandro Canino. Suo cavallo di battaglia dell’infanzia, visto che lo prendevano tutti per quello che effettivamente era, vale a dire un ritardato esteticamente assai schifosino.
Sì, da quando la prima sciocchina gli disse che era carino, cominciò a tirarsela di brutto. Durante l’adolescenza, portò i capelli lunghi e, per via del suo strabismo di Venere, ci fu un tempo in cui persino s’identificò con Bono degli U2.
D’altronde, dalla prima volta in cui si sverginò in poi, cominciò a fare lo stronzo con tutti.
Sì, pensò che tutti gli altri fossero tonti, lenti e deficienti. E si pose loro alla stessa maniera di quelli che, ne I Simpson, facevano gli scherzetti telefonici a Boe Szyslak.
Se poi, foste state fra quelli che compirono scelte diverse dalla rigida, classica e classistica visione del mondo impartitagli da sua madre, v’avrebbe dato dello schizofrenico.
Ah, quella donna sua genitrice, povera donna, mi spiace, perennemente infelice.
Leccò il culo ai preti per farsi assumere di ruolo. Poi, anziché trascorrere un bel pomeriggio allegro con gli amici, con gli stessi si vantò di avere un figlio superiore. Sì, piuttosto che lodare i monumenti figli della cultura greco-romana da lei insegnata a scuola, chiamò a sé, guarda un po’, suo figlio, affinché davanti a tutti leggesse le iscrizioni latine affisse sui medesimi, a dimostrazione che era la Persefone d’un Dioniso di cotanta risma.
E non dico altro… potrei dire che è una strega e, come Persefone, la regina della morte?
No, non lo dico, l’ho già detto. Ah ah.
Vincono sempre i potenti che irreggimentano le coscienze, annichilendo ogni agguerrita Resistenza, opacizzando le anime più pure e splendenti, annerendo ogni loro sentita poesia del cuore, insomma, distruggendo ogni speranza con le loro lotte (ig)nobili e le loro rivalse stupide di puzza sotto il naso, detta altresì fetore.
Ho visto molti film sulla guerra. La natura bellicosa non si addice, però, alla mia anima bella di tutto cor.
No, non sono nessuno, non mi professo genio, malgrado molti che mi conoscono davvero sostengano che lo sia realmente.
Per me, essere investito d’una carica così importante e onerosa è quasi un oltraggio al mio pudore. No, vi prego in ginocchio, vi supplico, non ho alcuna intenzione di caricarmi di questa responsabilità così vanagloriosa.
È capace che domani realizzerò un film metafisico senza dialoghi e, la sera stessa, mi vedrete in compagnia di una che non è propriamente una dottoressa, forse è solo Vanessa.
Mi fareste un culo spesso. Soltanto per colpa di questo mio peccatuccio ven(i)ale e per un po’ di sano sesso.
Poiché, una volta che sarò dagli altri visto come un genio, farò la fine di Alessandro Magno. Il quale, come sapete, constatando che non aveva più regni da conquistare, inconsolabilmente pianse.
E si dedicò solo alla cura delle piante.
No, non la pianto. Giammai m’arrenderò alla falsità dette alla mia persona. Accusata da tempo immemorabile di vigliaccheria e mancanza di palle.
Orsù, miei orsi, state attenti al genere di leader che state creando con le vostre folli istituzioni, come ben arguì Al Pacino in Scent of a Woman, argomentando con una forza sovrumana ogni tragico errore, dunque orrore, dovuto alla fretta, alla subdola intimidazione, dettato dalla più manichea, fascistica presunzione.
Non è coi colpi bassi, le bocciature e le espulsioni che alleverete alla sanità mentale le future generazioni. Alleviandole dietro la retorica del corretto politicamente più bieco e mentitore.
Voi non siete dei mentori!
Non è con le semi-castrazioni, le demoralizzazioni e le stolte punizioni che fermerete la rabbia giovane.
Castigandola nel comune porcile volgare di voi, uomini oramai stanchi ché, non credendo più a nulla, vi siete dati solo al sesso più ruffiano e all’alcol come quell’altro panzone che, per anni, si spacciò per giornalista, in quanto questa fu questa la sua giovanile ambizione ma non ebbe mai il coraggio di dire nemmeno ai figli che, in verità, svolse semplicemente l’onesto lavoretto di portalettere.
Pigliava tutti a balli e canti.
No, non più m’incantate. Potete urlarmi di essere un cane e solo come un lupo, state mentendo e voi lo sapete.
Avrei tante da raccontarvene. Di gendarmi come nella fiaba di Pinocchio che mi trascinarono nei nuovi nazistici lager, ovvero degli abominevoli centri psichiatrici, solo perché ebbi la temeraria, coscienziosa virtù di ribellarmi a degli abusi scriteriati e a delle oscene provocazioni immeritate, soltanto perché gridai il mio urlo munchiano dinanzi alla condizione vostra umana così avvilente e deprimente.
Ove impazza l’indifferenza e, se ti arrabbi e t’infervori, ti danno altre botte, ti etichettano come “pericoloso” paziente, additandoti da malato di mente e, una volta che sarà finita la tragedia, cristo signore, insabbieranno ogni mostruosità nell’ardere la verità per difendere l’onore della patria e la loro intoccabile rispettabilità puttana.
Sì, non voglio far ammenda delle mie distrazioni, dei miei ingenui sensi, più che addormentai, precipitati nel limbo d’un adolescenziale, inesperto dormiveglia.
Sì, ci fu un tempo in cui, senza vergogna alcuna, ve lo confesso, sì, m’ammalai di depressione.
La depressione, in Italia, viene malvista. Se soffri di cancro, tutti ti compatiscono e ti stanno accanto sin alla fine, se sei depresso, ti dicono solamente che non vali un cazzo e ti vogliono far credere che sei finito.
Evitai il contatto anche fisico, preservandomi candidamente da ogni esperienza per il timore tremendo di provare troppi sentimenti.
Come un figlio partorito dai film di Bergman o da quelli ancora più religiosamente deliranti come in una pellicola di Carl Theodor Dreyer.
Scivolai nelle voragini della sensibile incoscienza, giocando con gli arcobaleni della mia anima nottambula.
Mi dissero che la psicologica scienza avrebbe potuto aiutarmi a uscire da quella che tali malfattori credettero che fosse addirittura demenza.
Poi, come il capitano Benjamin L. Willard/Martin Sheen del capolavoro coppoliano succitato, sì, mi arrivò la lettera di San Paolo, no, di Stato. Per cui avrei dovuto svolgere servizievolmente il civile servizio e i normali, comuni apprendistati.
Fui ubicato, come già vi scrissi, in Cineteca. Lì vissi inizialmente momenti molto tristi. Dopo tanto vuoto, entrai infatti nuovamente a contatto, appunto, duramente con gente viva ma soprattutto assai più di me adulta, quindi anche parecchio cinica e stronza.
Eravamo quattro obiettori coetanei, su per giù.
Ci fu una sera, inoltre, nella quale c’affidarono la mansione di guardiani, a Piazza Maggiore, durante la manifestazione estiva del Cinema Ritrovato. Che, allora, era alla prima sua edizione restaurata.
Scusatemi se, a distanza di così tanti anni da allora, non ricordo il titolo di quel magnifico film in b/n che quella sera proiettarono.
Era la storia di un’umile donna i cui figli da lei partoriti, dannazione, per la guerra partirono. Non se ne salvò nessuno. In un modo o nell’altro tutti morirono. Forse uno, soltanto uno sopravvisse. Aiutatemi. Ne conoscete il titolo? So solo che quella donna non ebbe più un solo minuto di consolazione.
La mia memoria, in tal caso, non ricorda il nome di tale commovente, realistica pellicola storica. È un film, come dettovi, comunque del passato.
Sì, fu dopo il servizio civile che mi ripresi del tutto. Per anni, fui costipato in una zona ermetica fatta di rituali e puntigliose ossessioni, specie di natura igienica e ritualistica.
Ma accadde davvero qualcosa di veramente allucinante, distorsivo e, oserei dire, persecutorio.
Non v’ho mai mentito. Né ravviso ragione alcuna per cui dovrei mentirvi proprio ora.
Avete mai visto il film Verso il sole? Sì, torniamo di nuovo al mitico Michael Cimino.
Jon Seda/Brandon Monroe, in questo film, è convinto che esista un’oasi battesimale fra i monti del Colorado che possa miracolarlo dalla sua malattia incurabile.
Prende così in ostaggio un medico, Woody Harrelson, assolutamente incredulo, ovviamente, eh sì, gli uomini di scienza con tanto di testa sono sempre scettici, e lo conduce verso la sua meta radiosa e rinascente.
Nel 2003, già ve lo dissi, durante la prima romana di Gangs of New York, qualcosa di psichiatricamente impossibile da spiegare, dev’essermi successo. Non pretendo che possiate prestarmi fede. Apparirei davvero pazzo se volessi persuadervi che questa sorta di “miracolo” accadutomi, cazzo, avvenne purtroppo, sì, purtroppo, davvero.
Non dico per fortuna. No, ribadisco purtroppo. Invero, a essere sinceri, si trattò di un mezzo miracolo. I miracoli infatti non esistono. Esistono però tutta una serie di dinamiche che, così come gli eventi fortuitamente negativi provocano l’alienazione e l’estraniamento, eh già, allo stesso modo, come appena scrittovi, molti processi di ricognizione mnemonica e rimozione, quella che viene definita elaborazione del lutto e poi catartica sublimazione, erano in me già involontariamente scattati, generando eventi estremamente positivi.
Sì, la fatalità, da me stesso imprevista di quella visita a Roma, scatenò nella mia anima dei ricordi profondissimi.
Sì, fu allora che cominciai, proprio a Roma, ad avvertire i miei primi sintomi…
Credo che da allora non m’innamorai più, se non virtualmente o in maniera fantasticante, di qualcuno e qualcuna.
Quindi, dopo il miracolo accaddero cose ai confini della realtà. Ah ah.
Vi dico solamente questo.
Sono forse l’unica persona al mondo ad essere stata dimessa, per ben due volte consecutive, da un c.s.m.
Allora, le possibilità sono due: o sono Sharon Stone di Basic Instinct, cioè un uomo/donna dalla psiche maliziosa talmente geniale e fredda che coglionò, in modo furbissimo, ogni macchina della verità, ma non vedo perché sarei dovuto esserlo, visto che non ho il conto in banca né di Sharon che del suo personaggio, ovvero Catherine Tramell, oppure sono molto simile a Billy Crudup di Sleepers.
Avete letto quello che ho appena scritto con molta attenzione?
Che cosa fa Billy Crudup al suo torturatore Kevin Bacon?
Esatto.
Io non ammazzai nessuno però, dopo il gravissimo danno ricevuto ingiustamente, minacciai telematicamente qualcuno…
Sì, sono davvero diventato un prete assai ambiguo.
Come Don Camillo di Terence Hill, come De Niro di Sleepers, appunto.
D’ora in poi, se qualche adulto panzone e bastardo attenterà alle vostre verginità, dunque vi provocherà un po’ più del dovuto, mi presenterò a lui come Bob:
– La prossima volta ti batti con me. Io non sono della tua categoria ma peso un po’ di più di quaranta chili…
Visto? È sempre Bob De Niro il mio attore preferito.
E degli ultimi miei quindici anni di vita, eh sì, credo che questa gente assai auto-ingannevole sappia poco, pochissimo.
La vostra prossima bugia a mio danno quale sarà?
Oh, mi raccomando, non c’è fretta. Anche se ammetto che ne avete inventate così tante che, se fossi in voi, avrei un’oggettiva difficoltà a spararne un’altra dello stesso livello.
Mi sa che adesso avete poche frecce al vostro arco.
Mi diceste che vissi di riflesso. Be’, che c’è di male a essere Plutarco? Sempre meglio che passare per Pluto.
Mi rattrista avervi deluso, sì, l’avete pigliato in culo.
Foste e siete dei criminali nazi-fascisti, cioè delle merde.
E per canalizzare la diarrea di tanto vostro crimine non basterà un imbuto.
Questa è la verità.
Non è auto-inganno, poveri idioti.
So che fa molto male.
Ma questo è quanto.
Avete altro d’aggiungere?
No, meglio di no.
Sporchereste pure questo mio testo.
Sì, voi siete testardi.
Ma non avete più incisivi dardi da scagliarmi e, contro un fuoriclasse come me e il grande Boninsegna di Don Camillo, poveri diavoli, vi restano solo la falce e il martello.
Un altro sgambetto?
Good night and good luck.
di Stefano Falotico
A Rambo preferisco Rocky, alla moglie di Stallone le figlie
ROCKY con Little Marie docet: la mia unica debolezza è non avere debolezze, è avere ciò che i ricchi, in quanto avari, non avranno mai neanche in primavera
Sì, devo cambiare le cuffie e il microfono. Inserire nuovi spinotti mentre Stallone la dovrebbe finire con gli spin–off di Rocky, ovvero Creed.
Infatti, a quanto pare, girerà il settimo film della saga su Balboa, il suo miglior personaggio in assoluto.
John Rambo è altrettanto iconico e riuscito ma è la versione cattiva di Rocky. M’ero già poco tempo fa espresso su questa sottile, antitetica eppur molto importante, imprescindibile sfumatura.
Rocky era un cane bastonato, anzi, spesso solo come un cagnaccio. Ma sarebbe finito peggio, cioè incagnito, se l’avessero fatto solo abbaiare, no, arrabbiare.
Lui avrebbe terminato di svolgere anche il suo lavoro da underdog riscuotitore di crediti, abbandonando ogni residua speranza da clandestino pugilatore e, a gran malincuore, si sarebbe ritirato con la coda fra le gambe, come si suol dire. Del tutto svalorizzato e screditato.
Probabilmente, emarginato completamente, osteggiato e vilipeso da una società cinica e spietata, totalmente ignudo, dirimpetto a una nuova provocazione smodata, villana e screanzata, avrebbe dato di matto e l’avrebbero ricoverato.
Prima l’avrebbero fortissimamente insultato, sì, in maniera inusitata, dunque, dopo averlo bloccato, bocciato, boicottato e dopo avergli infilato il bastone fra le ruote in ogni dove, l’avrebbero maltrattato, reputandolo un’ultima ruota del carro, brindando sul camion dei falsi, pagliacceschi vincitori col drink in mano.
A Rambo andava subito data una mano, non una lametta da barba per sgozzare ogni sua già bruciacchiata, decollata speranza. Decollò, voleste decollarlo ma non a picco colò. Anzi, in culo ve lo ficcò.
Rambo, dopo essere stato medaglia al valore, soldato rimpatriato e perfino ultra-decorato, fu dallo sceriffo stronzo, infatti, che scorretto fallo, psicologicamente sodomizzato.
Cosicché, ancora non guarito, bensì sguarnito d’ogni dignità in quanto atrocemente nell’onore e nell’amor proprio spogliato, avrebbero addirittura attentato ai suoi passati traumatici, risvegliandolo dal letargo e inducendolo a un’irosa esplosione scriteriata.
Presto sedata per ancor più servirgli una fottuta, bastarda, doppia inculata.
A Rocky Balboa invece, miracolosamente, una seconda chance fu generosamente data. Dal cielo gli fu fortunatamente addosso piombata e donata. Mentre a Rambo i cattivi vollero soltanto riempirlo di piombo. Altra sfumatura che, per nessuna ragione al mondo, andrebbe trascurata.
Sì, desiderano che Rambo fosse del tutto oscurato in quanto, vivendo lui da ascetico vagabondo un po’ troppo cogitabondo, forse anche tonto, i fascisti pensarono bene, anzi malissimo, di rimproverarlo, di spedirlo coattamente in cura solamente perché, nonostante fisicamente fosse assai muscolato, la sua barbetta era trascurata e Rambo girovagava a zonzo con aria da gonzo, malinconica e sconsolata. Voleva farsi solo una birretta, cuccarsi forse un’insalata per una discreta, serena mangiata. Invece gli stronzi vollero papparselo e inchiappettarlo.
Rambo non era certamente il primo venuto e sappiamo bene che si dimostrò un osso duro.
Lo stesso lo prese in quel posto ma almeno restituì pan per focaccia a quel panzone di Brian Dennehy, trivellandolo pure in maniera sacrosanta e assai cazzuta, in modo parimenti micidiale da pollo nel girarrosto.
Rocky invece, nonostante le iniziali, comprensibili titubanze poiché, dopo tanta sociale latitanza, umanamente credette che sarebbe stato controproducente rigettarsi nella mischia, rischiando ancora una volta una figuraccia, tergiversò. Rimanendo un po’ sull’introverso.
Pensò che, dall’incontro contro Apollo Creed, ne sarebbe uscito sfigurato, massacrato e, costernato, nelle costole spappolato, sarebbe rincasato ancora più incazzato.
Invece, contro ogni pronostico a lui sfavorevole, sì, perse ugualmente ai pugni, no, ai punti ma, se l’incontro fosse durato solamente dieci secondi di più, sarebbe stato lui ad alzare le braccia in segno di vittoria. Mica pugnette. Mica pizze e fichi, pizzicotti e fighelle. Ricotte.
Ecco, spesso nella mia vita, ho fatto cascare le braccia, invece, a tutti.
Sono stato la pecora nera in quanto non mi è mai piaciuto fare il bugiardo e campare d’ipocrisie figlie d’una mentalità laida partorita dalla gente di panza piena e perciò pure nel cervello assai larda.
A forza di ricevere a raffica botte pazzesche, sono oramai indurito e collaudato.
Invero, come girano le cos(c)e a questo mondo, lo compresi già dopo il servizio civile. Non feci il militare, cazzo, lì ancora maggiormente i caporali e i maggiori, di nepotismi, nonnismi e bullismi m’avrebbero fatto a sangue il culo, ma comunque me lo spaccai lo stesso, archiviando tutti i manifesti della Cineteca di Bologna ove prestai diligentemente il mio obolo da obiettore di coscia, no, di coscienza.
Ah, lavoravo cinque ore al giorno. Ma non servì a molto. Dopo circa un anno di servizio, ferie e permessi inclusi, guadagnai un cazzo. Roba che in un giorno, oggigiorno, una modella su Instagram, oltre ad archiviare sempre più followers nel suo carnet personale, becca sempre a ogni orgia, no, ora… un figo della madonna, che lei non è, da chiavare perché sa mostrare la carne e non abbisogna, dunque, di girare di locandine in bettole per trovare un lavoro da sguattera, da cameriera. Diciamocelo, la cameriera è una donna onesta eppur da molti trattata a pesci in faccia in modo disonesto. E non vuole la riscaldata minestra! Infatti, serve in una trattoria che offre ai clienti solo il caffè amaro.
Se non vi sta bene solo il caffè ma volete il tè, la cameriera vi sbatterà… solo fuori dalla finestra.
No, invece la modella d’Instagram vi serve sul piatto d’argento la sua carrozzeria dorata per onanismi vostri da uomini a cui, in quegli attimi bollenti, più della vostra salsiccia ottimamente rosolata, non darei mai in mano, appunto, qualcosa di fine e di porcellana. Le vostre mani, oltre che sporche, tremano e potreste rovinare un vassoio che vale dieci milioni di modelle intoccabili perché troppo belle.
Eh sì, mie porcelle, no, porcellini, sono Lupo Ezechiele e vi conosco perché io non sono un ipocrita che pensa che la vita sia solamente rose e fiori, baci Perugina e confetture di miele.
Già, qualche volta pure io me la tiro, lucidando tutta la mia cristalleria d’assaggiatore che sorseggia le migliori, femminili bellezze rosate come il vino più pregiato, ambendo a smaltarne le lor labbra con calorosa, densa freschezza masturbata e, da buona forchetta di codeste tutte da gustare, sognandone le linguette allo scoglio, speriamo non allo scolo, i baffi mi lecco. Che leccornia ma loro con altri mi mettono le corna. Insomma, stimolano le mie cornee ma sono delle zoccole senza cuore.
Alcune sono solo delle galline spennacchiate ma non è da questo che si giudica un cedrone gallo che da bianco lo fa diventare giallo e poi rosso con tanto di cresta cremisi e finale cremoso.
A parte gli schizzi, no, gli scherzi, Rocky è un glande, no, un grande.
Avete presente quando avverte Little Marie, l’attrice Jodi Letizia, riguardo alle ipocrisie del mondo adulto?
Rocky le dice che lei si comporta da mignottella e, così facendo, a lungo… andare, la gente, quella che mangia solo le tagliatelle, comincerà davvero a considerarla come tale se non si darà presto una regolata.
Sarà per sempre confinata, stigmatizzata e come puttanella etichettata.
Poiché la gente preferisce farsi un quadretto assai distorto del prossimo, un’idea più conveniente e sbrigativa. Per lavarsene le mani, appunto.
E non vuole mai rivedere le proprie (im)posizioni nemmeno se uno le smonta e smentisce pezzo per pezzo.
Per esempio, se uno viene troppo velocemente preso per pazzo, agli occhi di chi emise questo giudizio sveltissimo, senz’appurare nel profondo, quel ragazzo rimarrà sempre pazzo.
Può diventare pure Gandhi e queste persone diranno che fa Gandhi per far credere a tutti che in verità non è un pensatore libero ma un povero cristo che si spaccia per uomo elevato. Continuerà a puntargli il dito, imputandosi, urlandogli perfino che s’è sputtanato.
Poiché, se prima era pazzo, adesso manco usa il cazzo. Sì, sputtanato significa non andare a puttane.
Quante cazzate… la gente, Gesù mio.
Cosicché, se vi sarete/foste annoiati di una vita di balli e cani, no, canti, vi diranno che vi siete arresi, che siete degli vigliacchi e sopravvivete alla bell’è meglio in squallidi appartamenti e in fatiscenti auto-inganni. Ah, non mi incantate. In voi non m’incarnate.
Arriverà un cinquantenne a farvi la morale per puro, sadico gusto di farvi del male. Farvi e farvi, sempre farvi.
Vi dirà… che siete uomini senza dignità che si fanno soltanto gli atti impuri quando, in verità, lui fa ben di peggio.
Oltre a segarsi, quasi ogni notte va appunto ove sapete. A mignotte!
Però, ogni domenica brinda con moglie e prole, continuando a raccontarsi frottole, magnandosi anche delle dolci frittelle.
I suoi amici credono che sia un grande uomo perché è perfino un tosto lavoratore. Non sta fermo una sola ora. Ci dà!
E voi, giovani, continuerete a farvi fottere da una merda così.
Morale della favola:
aveva ragione Trautman quando avvertì lo sceriffo, dicendogli che gli sarebbe convenuto mollare subito la presa. Lo sceriffo continuò a fare lo smargiasso e a ridersela grassa…
E aveva ragione pure Apollo Creed quando, dopo trenta secondi di match, capì immediatamente che aveva di fronte uno più forte di lui.
Sì, vinse. Ma solo nel primo perché aveva più esperienza, si chiama vantaggio psicologico, appunto.
Nel secondo però perde perché Rocky è, appunto, più forte e s’è esperito duramente dopo il primo incontro.
Insomma, la gente vede assai bene, spesso finge di non vedere, dunque ti sottovaluta apposta, facendoti credere assurdità perché è consapevole che, se scopri la verità, hai due reazioni possibili.
o come Rambo scoppi oppure finiscono loro scop(pi)ati.
Perciò farà di tutto per buttarvi giù e distruggervi, ne inventerà sul vostro conto di tutti i colori per farvi passare dalla parte del torto.
Voi pazientate, resistete e aspettate il momento giusto.
Quando vi sentirete pronti, sferrate un mancino pugno pari ai loro colpi bassi e ai loro giochetti mancini.
Che vi devo dire? Sono un macigno, forse un nero cigno, forse arcigno, fui Lucignolo e anche Pinocchio ma le bugie hanno le gambe corte, i vostri nasi sempre più s’allungano e ce l’avete molto più di me corto…
Il cervello. Quell’altro… non m’interessa.
Come dice il grande Renato Pozzetto di Grandi magazzini, signora, so che il cane è castrato, non ho mica paura che m’inculi…
Sì, non possiamo continuare a farci coglionare da gente che guardava roba come Lui è peggio di me e La casa stregata.
Comunque, anche Stallone è un ipocrita.
Nel quinto Rocky, dice al ragazzo che è un cocone, per svegliarlo, mettendolo in guardia dal successo e dal sesso arrivati troppo in fretta.
Peccato che da parecchio, fra l’altro, Stallone stia con Jennifer Flavin. Una rossa praticamente identica a quella mentecatta che George Washington Duke dà come premio a Tommy “Machine” Gunn/Morrison.
Sì, la Flavin fa la bella vita, va tutti i giorni in palestra e se la tira da milf assai figa.
Ha trovato quel coglione di Stallone che si spacca la schiena per girare il prossimo episodio de I mercenari, così che in famiglia possano continuare a pagare le super bollette e saldare i bolli della Porsche, della Ferrari e forse anche della Mercedes.
Sinceramente, mi farei le figlie di Stallone.
Ragazze che potrebbero insegnarvi, fidatevi, molte più cos(c)e dei luridi tromboni maestrini che oramai nessuno s’incula e che soprattutto da una vita non trombano.
Questa è la mia dichiarazione di dignità con tanto di mandare a fanculo questa gente falsa con gl’interessi della presa per il deretano non solo a loro. Pure a quelle due gran fighe delle figlie dello Stallone italiano…
M’immagino la scena…
Stallone, come un Provolone, scopre che ho scopato il sangue del suo sangue. Al che si precipita sotto casa mia per spaccarmi la faccia. Suona potentemente al citofono. Non gli apro. Sfonda allora il portone come Rambo e sale le scale a velocità pazzesca pari alla sua corsa fra le montagne del quarto Rocky:
– Falotico, apri! O prendo a calci la porta?! Chi cazzo pensi di essere?
– Sono Oscar – Un fidanzato per due figlie.
Stallone, dinanzi a questa mia risposta velocissima e imprevista, rimane stordito, spiazzato, imbambolato.
Mentre lui resta istupidito per circa una settimana intera, io gli scrivo la sceneggiatura del nuovo Rocky.
Al che, apro la porta. Stallone è fermo lì come uno stoccafisso, da settimana immobile, senza cibo né acqua. Una situazione orribile.
Gli do un pugno.
– Signor Stallone, mi sente?
– Sì, scusi. Eccomi. Dove sono?
– Tenga, licenzi il cazzone screenwriter del nuovo Rocky e usi il mio script.
– Ok. Vuole che la paghi?
– No, bastano le sue figlie. Pensi, Sly, sono loro che mi pagano affinché faccia gli straordinari.
Veda ora però di non rompere più il cazzo.
Comunque, le figlie di Stallone sono tre, forse quattro.
Dove stava la terza?
Sempre con me? Dove cazzo vuoi che stesse?
E la quarta?
Nascerà.
Ah ah.
di Stefano Falotico
JOKER sarà presentato al Festival di Toronto, a Venezia, no? Immaginiamo il confronto fra De Niro/Franklin e Arthur Fleck/Phoenix, la causa della pazzia!
Sì, Joker di Todd Phillips è stato confermato tra i film selezionati del prossimo Toronto Fest. Avremo una pioggia di stelle, come si suol dire, una parata di star.
Tale Festival, ultimamente gemellato a quello ben più internazionale e altolocato di Venezia, sta però acquisendo sempre più maggiore rinomanza. Addirittura, soprattutto nell’ultima decade, molti attori di Hollywood lo preferiscono, appunto, alla più prestigiosa, storicamente parlando, kermesse veneziana.
Soventemente, molti dei film presentati a Toronto sono pressoché gli stessi di quelli visti in anteprima mondiale, qualche giorno prima, alla Mostra d’Arte Internazionale d’Arte Cinematografica del Lido. La quale, nonostante tutto, si riserba le world premiere, ovvero le esclusive.
Però, gli attori che ne sono protagonisti, eh già, anziché involarsi per Venezia, piuttosto che scomodarsi nel prendere l’aereo, soggiornare all’Hotel Excelsior o al Baglioni, amano di più starsene in terra natia, patria statunitense o casa, appunto, in Canada che sia… La casetta in Canadà!
Fottendosene della prima.
Joker è uno che, sinceramente, se ne fotte pure delle seconde possibilità. Anzi, fa di tutto per continuare a rimanere confinato nella sua zona folle da emarginato non plus ultra. Unico spazio nel quale si sente libero e felice, lontano da ogni porcile e condizionamento. Sopravvaluta però sé stesso, inconsapevole dei suoi evidenti limiti caratteriali, sovrastima per così dire il suo inesistente, forse soltanto inestimabile talento alla stessa maniera di De Niro di Re per una notte.
O forse, invece, la sua abissale solitudine annale, oserei dire ancestrale e spettrale, l’ha davvero reso un personaggio dalla bravura tragicomica impressionante. In verità, la massima personificata di Joyce: un uomo di genio non commette errori, i suoi sbagli sono l’anticamera della scoperta.
Soltanto che la realtà sociale, soprattutto quella dello spettacolo destinato a un pubblico di spettatori impassibili e ammaestrati, telecomandati e appartenenti alla falsa, alta borghesia, diciamo, schifosamente amabile, forse animale, un uomo come il Joker non può applaudire.
Poiché, se così facesse, cioè se s’inchinasse dinanzi alla sfavillante verve brillante di un uomo considerato di mente malato, adesso miracolosamente, sfolgorantemente rinascente, rinnegherebbe ogni principio e valore della sua casta privilegiata ed emozionalmente deficiente. Ché, sin dalla notte dei tempi, fin dai temp(l)i dei faraoni egizi, ha strutturato il mondo in una gerarchia piramidale assai tribale e vomitevole. Ove non è permesso scalare, genialmente, tale totem, sconfiggere questo moloch e arrivare al vertice se, fino a quel momento, non ci si è attenuti a un percorso corretto, politicamente.
Joker è la simbolizzazione, terribilmente mostruosa, d’ogni ipocrisia dell’uomo fintamente principesco, forsanche regale, che non accetterà mai e poi mai che una persona forse affetta da assistenzialismo possa essere a essa pedagogicamente educatrice del significato della più cordiale, solidale, umana esistenza.
Al che, gli psichiatri pagati a peso d’oro schiferanno la morale onestà del Joker perché lui, semplicemente, incarna la nemesi, da lui vivificata nella genuina purezza e nella schiettezza più nobilmente lodevole, del loro pensiero coercitivamente proteso al conformismo più materialistico e becero. Sì, lo psichiatra medio è un conformista. Non è invero molto preoccupato della salute psichica del suo paziente. A lui interessa soltanto che i suoi pazienti non diano di matto, cioè che non siano di danno, per colpa delle loro innominabili patologie, eh sì, vige il segreto professionale, dei loro disagi indomiti, per sé stessi o per gli altri. Dunque, se il loro grado di sofferenza psicologica supera un certo livello di criticità, rincarano le dosi…, fregandosene altamente. Che poi un paziente pesi trecento chili e sia totalmente (ar)reso a uno stato simile al coma vegetativo, non è che gliene freghi molto. Anzi, un cazzo. Gli psichiatri sono tutori dell’ordine prefabbricato delle cose, dei preservatori della dinastiche case delle libertà, appunto, più farisee.
Intervengono spesso coattamente a livello prima farmacologico e poi intensamente subliminale. Facendo credere al loro paziente di essere malato, in una parola semplice, ingannandolo con l’ipnosi o attraverso la forza intellettiva a mo’ di Scanner Michael Ironside. Ovvero, circuendo cattivamente e plagiando capziosamente i canali del pensiero del paziente in questione affinché il paziente stesso si convinca di essere affetto da qualche mentale distorsione patologica sempre latente. Da cui il termine strizzacervelli e anche qualcos’altro. Si prodigano di parcelle da porcelli al solo scopo che i loro pazienti vengano inebetiti da psicofarmaci contenitivi che in verità li castigano nel forno crematorio delle loro fornaci disperatamente impotenti. Ora, mettiamo invece che un tipo alla Joaquin Phoenix, anziché andare in cura da uno di questi imbonitori, venga affidato alle terapie rivoluzionarie del cosiddetto ciarlatano, simile a Dario Fo, di The Master. Sì, un tipo innovativo come Philip Seymour Hoffman.
Che cosa potrebbe accadere?
Ecco la situazione…
Fleck si presenta al talk show condotto da Franklin/De Niro:
– Buonasera, signor Fleck. Si accomodi.
– Grazie. Prego, anche se io sono ateo.
– Bene, io sono invece un arrivista-aziendalista-nazista.
– Va bene, allora io perseverò nell’esserle antifascista. Orgogliosamente fancazzista.
– Be’, onestamente, caro Fleck, lei assomiglia più che altro a Fantozzi.
– Sì, sono in effetti fan di Umberto Tozzi. Sa, prima di entrare in studio, ho ascoltato in cuffia Gloria. Io qui non cerco la fama.
– Ah sì? Allora perché s’è presentato in trasmissione? Coi soldi che le abbiamo dato per la sua ospitata, per un anno non morirà di fame. Guardi, Fleck, mi dia retta. Non chieda, finita la nostra paga, il reddito di dignità. Vada piuttosto a Roma Nord. Se la godrà pure. Continuerà a prenderlo in quel posto ma almeno non passerà per invalido. Anzi, faranno la fila e le belle fighe gli altri, messi a novanta più di lei, per usufruire carnalmente del suo reddito di cittadinanza.
Ahahahahaha, il pubblico ride di grana grossa.
– Vero, ha ragione. La valletta, qui al nostro fianco, ha fatto la stessa cosa con lei.
– Che vorrebbe dire, signor Fleck?
– Cioè che le ha dato quello che lei sa per avere nella vita, diciamo, più culo.
A questo punto compare la scritta: ci scusiamo per il disagio coi telespettatori, la trasmissione riprenderà il prima possibile.
E il sottotitolo: è una tragedia! Si prega di mantenere la calma, intanto fate zapping. Pensavamo di aver invitato un coglione e invece s’è rivelato l’incarnazione di Pier Paolo Pasolini. Perdonateci.
In futuro, c’informeremo meglio sugli ospiti, evitando figure di merda di queste proporzioni.
Sì, Joker sarà presentato a Toronto, miei tonti.
The Show Must Go On!
Credo che Joker invidi molto Jim Morrison, James Dean, Kurt Cobain, insomma gente che è morta giovanissima nel momento massimo del loro zenit percettivo della realtà. Uno dei tre succitati comunque suicida.
Che fortunati. Sì, l’età migliore, quella del massimo grado cognitivo del mondo è dai 25 anni fino ai 35, se va fatta bene.
Poi è soltanto una bugiarda accettazione della condizione umana. Una gara a chi resiste di più per non soccombere e sprofondare nell’abisso, nella perdizione irrimediabile di questo mondo angoscioso per cui filosofi, pensatori, poeti ed esseri spirituali ed elevati si sono scervellati per trovare una soluzione all’apoteosi dell’entropico disastro collettivo.
Nessuno di questi ha avuto una vita felice. C’è chi s’è ammalato di nevrosi, chi è impazzito del tutto, chi è andato a vivere sull’Everest, chi ha deciso di farla finita come Mishima, chi ha tentato, vanamente, con tutta la forza psicologica possibile, di contrastare l’orrore di cui parlava a ragion veduta Marlon Brando/Kurtz.
Sono tutti finiti male, purtroppo. Hanno voluto sfidare Dio. Pensiamo a Frankenstein.
C’è un’altra variabile che spesso molti di essi hanno universalmente trascurato.
Dio è figlio delle fantasie dell’uomo. Immaginate che roba possa essere lottare per un mondo ove il padreterno è stato partorito da chi può avere stupidamente creduto che l’uomo sia stato creato a immagine e somiglianza del creatore da lui stesso concepito.
Sono amico dei pazzi. Perché il novanta per cento di essi è incosciente di esserlo.
Dunque i pazzi hanno tutta la mia stima possibile e immaginabile.
Sono invece nemico delle certezze, delle frasi fatte, della retorica, del buonismo consolatorio e ricattatorio, del proibizionismo, dell’astensionismo dalla verità rinnegata a favore delle facili spiegazioni sbrigative, sono nemico delle speculazioni analitiche sul prossimo, del quale nessuno di noi, estraneo perciò al suo cuore e alla sua mente, potrà mai conoscere il suo vissuto e il suo vivido sentire, di conseguenza non potrà mai capirlo, semmai solo supporre, fantasticare, allestire un delirio peggiore dei deliri di chi ha preso la sua incontrovertibile, irreversibile scelta estrema.
Alla prossima.
Sperando che non sia già altrove, in un qualche aldilà, in un’altra identità, in un’altra galassia remota, distante anni luce da ogni cosmetico imbellettamento, da ogni (s)truccato balletto.
Da ogni imbecille, turlupinante trucchetto.
Da ogni adulto che si comporta da bimbetto e da ogni bimbetto che si atteggia ad adulto per fare lo stronzetto.
Vado a dormire, ascoltando il grande Daniele Silvestri.
Clint Eastwood è proprio un mule. Come me, incarnazione del fascino superbo della nichilistica arroganza
Eh sì, ieri alle candidature dei Golden Globe Awards, son state commesse due gravi dimenticanze, a mio avviso.
Aver innanzitutto trascurato vergognosamente la performance di Ethan Hawke in First Reformed. Film, come detto, dal finale assai discutibile, ma Ethan ha sfoderato nella suddetta pellicola forse la sua migliore interpretazione in assoluto. E dunque, ripeto, mi par alquanto scandaloso averlo messo in disparte. Speriamo negli Screen Actors… e naturalmente negli Oscar.
E poi ovviamente Clint Eastwood di The Mule. Il film non l’ho ancora visto. Da noi uscirà soltanto a Febbraio. Ma credo, in tutta onestà, che neppure i giurati dei Globes l’abbiano minimamente guardato.
Perché basterebbe questa clip, a prescindere dal valore ultimo, definitivo, complessivo dell’opera, per poter attestare che Eastwood, fosse solo per la sua commovente faccia raggrinzita, tenera e dolcissima, avrebbe meritato la menzione speciale…
Sì, devo confidarvi quanto segue, carissimi e anche acerrimi nemici (in)validissimi.
Io, da tempo immemorabile, mi son appartato, molto schivo, refrattario alla vita sociale, in una sorta di eremitica, perciò virtuosa, vita iper-coscienziosa al di sopra delle squallide piccinerie, oltre le regole falsamente basiche di un mondo ipocrita e pusillanime. E tengo a distanza le chiacchiere, le possibili calunnie che, inevitabilmente, proprio a ragione di questa mia anomala, bellissima scelta esistenziale, mi attiro addosso. Cattiverie inaudite sputate da vomitevoli bocche stomachevoli. Ché m’han stancato, quindi stomacato, disgustato, in una parola stufato. Anche nauseato.
Beceri luoghi comuni atti a prescrivermi istruzioni per l’uso… di questa vita. Come se la vita fosse un casellario, un questionario, un quiz a crocette, una battaglia crociata di rigidi percorsi a tappe per non venir sbattuti al tappeto. A cui adattarsi, improntarsi conformemente remissivi senza battere ciglio, senz’opporci con la nostra, vivaddio, unica, personalissima anima, perfino impura, masturbatoria in ogni senso, autoreferenziale, ombelicale. E semmai omologarci a narcisistici, morettiani precetti malati di solipsismo.
Sì, è stato immenso Goffredo Fofi quando ha bellamente, sottilmente sputtanato Nanni Moretti e il suo accalorato pubblico di pecoroni finti sinistroidi. Personaggini da CGIL che pendevano dalle labbra di quest’autarchico post-sessantottino e hanno sempre aspettato i suoi mediocri, blandi filmetti come fossero irrinunciabili appuntamenti da concerto di Woodstock. E si scompisciavano dinanzi alle sue battute, alle sue tirate d’orecchie, ai suoi “girotondi” in Vespa, a questa sua magnificazione della piccola borghesia apparentemente schierata politicamente ma invero più fascista della maggioranza del sistema da costoro aspramente criticato, osteggiato ma in realtà accettato, a cui sono stati i primi ad abdicare, celandosi dietro ribellioni di maniera, retorici discorsi pazzi in piazza e sventolio di bandiere rosse, dietro trasgressioni fasulle da uomini insinceri, tristi, appagati, facendosela sotto nella facciata tediosamente intellettualistica di una vanagloria ancora più pericolosa e barbosa della Destra più facinorosa.
Sì, so bene io chi è Moretti. Non fatevi ingannare. È uno che, memore delle scopate che aveva con Bianca, ha ficcato… Laura Morante ne La stanza del figlio solo per succhiarle di nuovo il seno. Con la scusa della scena empaticamente coniugale. E ficcò… il cammeo di Jennifer Beals in Caro diario perché, fanatico delle sue cosce in Flashdance, sperava di corromperla per uno stress da vampiro da Campbell Scott di Roger Dodger. Non poteva esserle franco? Che ne so? Andare da Jennifer e presentarsi così:
– Sai, Jennifer, dopo il tuo momento di gloria, a Hollywood non ti cagano molto. Io sono Moretti. Un regista molto cazzuto, portato su un piatto d’argento in Italia. Sai, vorrei sbattertelo di Strange Days perché sei una strafiga. Ci stai? Poi posso darti anche una particina… in Aprile, per farti rifiorire come in una maledetta primavera da Loretta Goggi.
Insomma, una merda. Ne ho viste tante. Sono quelle ex professorine, ora in pensione e mi auguro presto seppellite, che guardavano tutti i programmi “culturali” di Serena Dandini, strofinandosi la figa marcia con la mortadella di un marito pasciuto alla Gianfranco Funari. Donne dunque più volgari, classiste e cafone delle troie che odiavano. Disprezzavano e volevano bruciare, mettere al rogo. Delle streghe!
Ma cosa insegnavano ai loro studenti? A adempiere al fighetto inculare il prossimo col potere ricattatorio di un pezzo di carta per pulirsi il deretano?
Sì, secondo queste megere vacche, ogni ragazzo che non frequentava il Classico sarebbe stato estromesso dalla società che “conta”. Perché non aveva formato, anzi, io direi formalizzato la forma mentis del cazzo.
In parole poverette come codeste, donnette che avevano figli come Silvio Muccino di Come te nessuno mai, a loro volta pubescenti idolatri di Tarantino e poi cresciuti a moralismi peggiori dell’inquisizione de Il nome della rosa.
Eh sì, dopo averli indotti e indottrinati al Classico, tal mentecatte hanno indirizzato i figli agli studi da Umberto Eco, obbligandoli a non andare allo stadio, ah, roba da sottoproletari orribili, bensì inducendoli a mentali stadi da “tribuna elettorale”, sì, ficcandoli psicologicamente, oserei dire in modus ermeneutico, semanticamente semiologico a studiare le teorie illogiche di tal fervido, abietto fautore di una delle più grosse stronzate “sintattiche” della cultura oscenamente “giornalistica”, ovvero Scienze delle comunicazioni, facoltà per futuri imbecilli come il “bot”(taniere) Montemagno.
Ove t’insegnano a comunicare per farci capire. Capire che? Come se un articolo di un giornale fosse un graffito preistorico ove, per far comprendere al tuo simile che non sei vegetariano e sei inserito… al vertice della gerarchica scala alimentare, col sangue di porco dipingi di murale un maiale scannato offerto in sacrificio per Natale al popolino come fosse un grasso, lardoso zampone con le lenticchie…
Sì, l’altro giorno, un tale Frattini mi ha attaccato su Facebook. Luogo in cui avevo condiviso la mia video-recensione de L’avvocato del diavolo. Costui, spregevolmente vigliacco, probabilmente di profilo fake senza foto e “credenziali”, ha messo in guardia, ah ah, i futuri fruitori del mio dissacrante video coltissimo, chiedendo loro di non dar retta a un personaggio come me, da tale idiota definito un clown d’avanspettacolo, un poveraccio senz’arte né parte, un guitto imbarazzante, un misero omuncolo che, a suo (ar)dire, non possederebbe la sensibilità artistica, il tatto, il gusto e la culturale perspicacia per addentrarsi in esegesi e disamine che, sempre a sua detta, esulerebbero dalla mia limitata comprensione della realtà e di conseguenza della sua raffigurazione, neorealistica o meno, surreale o visionaria, il Cinema.
Oddio, sto morendo. Frattini. Uno che, ammesso che sia un profilo vero e non un falsario alla Totò de La banda degli onesti, visionando la sua bacheca, pare un morto di fame che posta solo manifesti politicanti, ridicolmente politicizzati più dei peggiori film di Oliver Stone, inveendo contro tutti, sbertucciando l’Italietta unta e bisunta e poi melensamente glorificando i suoi musicali cantanti giovanili. Per un patetico, senile, pensionistico giovanilismo anacronistico da messia ante litteram poco letterato ed erudito, qualunquista e stupidamente partenopeo, floridamente incattivito nell’odio più oscurantistico.
Frattini, sì, la parodia di sé stesso da vignetta di Giorgio Forattini.
Insomma, in tre secondi netti, rispondendogli in chat, l’ho fatto piangere. Credo che al momento sia ricoverato in qualche clinica psichiatrica di Napoli. Città nella quale dice di aver doverosamente svolto il lavoro di direttore di banca, tifando il Maradona dei bei tempi e drogandosi da mattina a sera di seratine “dolci” come il liquore del suo babà. Ah ah.
Sì, uno che non voleva essere un sempliciotto come il compianto, suo concittadino Troisi ma che, a mio parere, trattava tutti come fosse il direttore del circo Massimo, rimanendo ideologicamente al minimo storico. Simpatica bestiolina questo Frattini. Un frustrato che giustamente frustai.
Sì, volevano che rinnegassi le mie scelte e ripartissi daccapo. Mortificando il mio io interiore affinché m’immiserissi nel porcile di massa, mercantile e spaventoso.
Vollero che mi curassi per alleviare le mie pene…
Sì, pene, gliel’ho messo in quel posto, ancora una volta.
Perché sono un colorito, armonioso fiorellino.
E al mio mulo non piace la gente che ride…
di Stefano Falotico