Nella vita vi è chi può e chi non può, dunque tristemente pontifica sugli altri con trombonesca monoporzione della sua limitata visione del mondo e del prossimo, con prosopopeica boria da mentale minorazione da uomo malato di fegato amaro in maniera sesquipedale. Eh già.
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Da JOKER al COVID-19, da THE IRISHMAN al Cinema di oggi, attualmente quasi scomparso, la mia e vostra vita in un annus horribilis e al contempo mirabilis, vi racconto…
So che forse non v’interessa, so che lo reputerete uno sfoggio vanitoso o forse, ancora peggio, un modo che ho io di allentare la noia esistenziale di queste nostre giornate pregne d’apatia immane, rallentate da qualcosa di grave e sconcertante che, in men che non si dica, parve passeggero e momentaneo, entrambi sinonimi di un “attimo” che, con l’arrivo dell’estate e il suo apparentemente tranquillo inoltrarsi, sembrava svanito, dimenticato. Per sempre sepolto nel passato. Sì, solamente un triste episodio estemporaneo oramai estinto, del tutto scomparso. Come si direbbe in gergo medico et similia, debellato.
I virologi accennarono infatti, molto vagamente, soltanto a una seconda, innocua ondata. Invece, i loro calcoli in merito al Coronavirus, sì, di questo stavo parlando, ve n’eravate accorti o no, miei sbadati e superficiali, ecco… dicevo, perdonatemi se mi son incantato e momentaneamente perso per strada.
Rinvengo, risorgeremo? Non più c’oscureremo oppure, dopo gli incalcolabili danni economici e psicologici di tale interminabile periodo protrattosi in modo estenuante, sì, fino allo sfinimento non preventivato né “diagnosticato” da una massa di scienziati incauti e frettolosi, dai disturbi psichici derivati dal Covid ci cureremo?
Ci salveremo, saremo santi, no, sanati? Tutto tornerà alla normalità? Ma quale sanità, per carità!
Personalmente, il termine normalità non appartiene da tempo immemorabile alla mia vita già trapassata in tempi non sospetti ove la gente, per via del mio vivere fuori dalla norma, sì, dal comune, volle impedirmi di spostarmi tra le regioni, no, fra le ragioni della mia mente ubicata chissà dove. Anche in questo vi è la misura restrittiva? Sì, fui messo alle strette in modo folle. Per fortuna, non fui messo fra le tette. Io non ho le tette, quindi non riesco a entrarvi in sintonia. Che cazzo volete da me?
Sì, da tempo, a mo’ di Guy Pearce di Memento, smemorato che sono io del mio dietro, consapevole solo di aver un discreto lato b, cioè didietro, debbo ammettere che in passato non ebbi molto culo e presi varie botte. Fisiche ma anche in senso lato, sebbene non sia mai stato un omosessuale passivo, sì, in passato mi fottei da solo. Dimenticando perfino che Carrie Anne-Moss fosse figa. Sì, una mezza bagascia passabile per poi ficcarla nel rusco.
Adesso, col senno di poi, no, col senno al posto giusto e anche qualcos’altro tornatomi alla memoria, no, tornato dritto, en pleine forme, devo essere onesto con me stesso. Credo di aver assunto la pillola sbagliata di Matrix.
Cioè quella per cui, se l’ingerisci, diventi Bradley Cooper di Limitless, dunque Carrie Anne-Moss ti sembra Anna Mazzamauro/signorina Silvani della saga di Fantozzi.
Sì, quando divieni superdotato non solo nel cervello, non te la tiri più su Carrie ma te la tiri su tutte, no, puoi permetterti di fare lo snob come John Wick. Vero ascetico a cazzo duro. In tutta franchezza, un povero cristo.
Forse farai la fine di Laurence Fishburne fra qualche anno. Sì, Laurence lo vedo sullo svaccato forte. Mi sa che si ridurrà “indurito” come il pornoattore Prince Yahshua.
Ci rendiamo coito, no, conto in che mondo siamo precipitati? Un tempo, la gente ascoltava quel genio di Prince, all’anagrafe Rogers Nelson, di Purple Rain.
Adesso invece vanno di moda uomini “cazzuti” e donne cazzone amanti di farsi i “cavoli” altrui.
D’altronde, da una vita le milf sostengono che i bambini nascono, nascano da un cavolo.
S’, sono alquanto misogino. Non vedo nessuna differenza fra Cherie DeVille e la Meloni. La prima è una pornostar, la seconda voleva esserlo ma, essendo più racchia, l’ha buttata sul far la figa di questo par de palle. Che palle, ‘sta donna.
Sì, la gente passa il tempo su Instagram a cazzeggiare in modo totalmente debosciato.
La depravazione impazza, in piazza urla per l’appunto la Meloni assieme a quel traviato di Salvini mentre Bonaccini offende Tiziana Panella perché non gliela dà e a lui girano non poco, virando dunque sulla virologia e non sull’essere stato da lei “evirato”.
Su Facebook anche la timida cantante Giorgia sputtana ogni sua depressione cronica, dandosi alla pazza gioia da frustrata mai vista, spogliandosi in diretta al suono del popolo eccitato a morte che, non capendovi una minchia in mezzo a questo porcile di fake news, di devastati uomini fuori come dei cocomeri, di donne cinquantenni in menopausa cazzeggiante, venditrici da mercato ortofrutticolo delle loro pere rancide, non sapendo che fare dal coprifuoco sino all’alba di un’altra giornata moscissima, riguarda su Netflix i peggiori film della loro vita.
Pensando: be’, in fondo non erano così brutti. Almeno c’era il Cinema, una volta.
In radio, dobbiamo sorbirci l’ennesima lagna di Federico Zampaglione, a San Silvestro abbiamo mangiano lo zampone ma la vita non è più dolce come un afrodisiaco zabaione.
Io non mi intendo di Musica. L’unica musica che ascolto è quella della mia anima. Io non ho soul, ho solo jazz.
Per esempio, oggi tutti reputano David Bowie un genio.
Quando uno muore, diventa un genio. In vita, sì, fui, no, fu molto amato. Insomma, so che Mick Jagger lo amò e David Bowie giocò a essere ambiguo sessualmente come Tilda Swinton.
Sì, credo che Tilda Swinton sia identico, no, identica a David.
Di mio, più passa il tempo e più sembro David Lynch.
A parte gli scherzi, no, non sono cambiato. Non riesco ad appassionarmi a David Bowie, ai Radiohead e a tutti questi sofisticati dei miei coglioni che siete voi.
Le tragedie esistono e io amerò eternamente Bruce Springsteen.
Non mi piace il Cinema francese e quello di Paul Thomas Anderson. Non lo capisco, non lo voglio capire.
Mi piace guidare ai 200km/h da solo a tarda notte, sfidare ogni curva come Ryan Gosling di Drive, se qualche mio amico viene tradito, divento Frank Sheeran di The Iishman, mi piace rispuntare dal passato come William Munny /Eastwood de Gli spietati, il revenant.
Sì, non mi piace il mondo, non mi è mai piaciuto, non mi piace la socialità, non mi piacciono i compromessi e nei miei libri ho raccontato la mia (non) vita.
Compreso, Bologna insanguinata.
In cui ho detto tutto. Mi denunciassero tutti.
Ma perché?
Perché non mi piacete, non mi siete mai piaciuti ma solo a quarant’anni da suonato, no, suonati, ho il coraggio di farla finita… con voi, col Cinema, con la Musica, con me stesso, col sesso, questa stronzata per cui v’inculate a vicenda.
Mi sono rotto il cazzo.
Fottetevi. Se non vi sta bene, sbattetevi in manicomio. Tanto il mondo è un ospedale psichiatrico allargato. Meglio essere di nicchia.
di Stefano Falotico
Il grande, graditissimo ritorno di uno dei più grandi: ANTHONY HOPKINS, The Father… of the attori di classe
One of the greatest actors of all time, sir Anthony Hopkins, premio Oscar per Il silenzio degli innocenti, protagonista fra l’altro di The Innocent di John Schlesinger, assai probabilmente, nuovamente oscarizzato per la sua titanica, strepitosa interpretazione inarrivabile in The Father con Olivia Colman.
Gary Oldman di Mank permettendo, pare infatti che il vecchio, navigatissimo lupo di mare, Anthony, chi sennò, quest’anno potrebbe aggiudicarsi ancora la statuetta, semmai assieme proprio ad Olivia per una “doppietta” storica di Best Actor & Best Actress premiati per le rispettive prove magistrali nello stesso film. Roba grandiosa da ricordare Jack Nicholson ed Helen Hunt di Qualcosa è cambiato che primeggiarono come migliori attori nell’anno del Titanic forse glorificato in maniera eccessivamente calorosa. Ciò, se si avverasse, avrebbe del clamoroso. Ma anche del sacrosanto. Ovviamente, un “paio” che ci riporta alla mente il succitato Silenzio… per cui Anthony vinse, come già detto, insieme a Jodie Foster, sconfiggendo nientepopodimeno che Bobby De Niro di Cape Fear, Robin Williams de La leggenda del re pescatore, Warren Beatty di Bugsy e l’eterno “perdente” Nick Nolte de Il principe delle maree. Alzando in cielo l’Academy Award strameritato ed entrando subitaneamente nel mito più leggendario. Anthony Hopkins, poveri cazzoni, mica un debosciato come il 90% delle persone. Anche se, a dirla tutta, nel suo periodo più buio nel quale fu afflitto da una potentissima depressione acuta, anche il buon Anthony divenne alcolizzato quasi cronico. Salvato per il rotto della cuffia, come si suol dire, forse da una possibilissima, lancinante, perforante ulcera devastante, grazie a Johathan Demme e alle sue intuizioni prodigiose e salvifiche, oserei dire miracolose. Roman Polanski corteggiò De Niro quando fu vicino a dirigerlo in Magic. Ma, per strane circostanze del destino, la regia passò a Richard Attenborough e De Niro fu da Anthony egregiamente rimpiazzato. Prima nomination ai Golden Globe per Anthony dopo una gavetta prestigiosa di natura scespiriana in tantissime prove teatrali portentose. Lui che camaleonticamente interpretò, in lungometraggi, film per la televisione e persino fiction di bassa lega, una marea di personaggi iconici e storici realmente esistiti, vissuti davvero… da Anthony con immedesimazione strepitosa. Da Adolf Hitler a Pablo Picasso, da Nixon ad Alfred Hitchcock, da Burt Munro forse a un uomo, meno famoso del gobbo di Notre Dame, ma assai vip, cioè celebre, in quel di Montemurlo o forse di Montecarlo. Sì, Anthony può fare tutto. Può interpretare, anche a ottanta primavere e più suonate, però non da suonato, anche il ruolo di Ugo Fantozzi in un remake americano diretto non da Luciano Salce, bensì da Michael Bay che donerebbe ad Anthony la parte ingrata eppur celeberrima del ragioniere sfigato incarnato dal compianto Paolo Villaggio, allestendogli attorno micidiali sparatorie scagliategli contro da un megadirettore galattico all’urlo d’uno spaurito Hopkins, veramente “transformer”, che implorerebbe disarmante pietà da comare sicula timorata di dio e più racchia della signorina Silvani!
– Com’è umano lei! Mi perdoni padre, cioè padrone, perché ho peccato. Mi “facci” la grazia.
Anthony, adesso silenzio, cari/e lambs, falsi angioletti e piccoli agnellini. Comunque, dopo The Father, Anthony è atteso in Elyse. Diretto dalla sua ex moglie, Stella. La storia di una donna certamente più sexy di Buffalo Bill che però vive da Elephant (wo)Man. Di mio, non sono un lupo solitario come Buffalo ma potrei essere Wolfman. Su questa freddura, vi lascio. Ora, ho da fare. Forse la mia lei, forse Lisa Pepper. Attrice il cui nome ci segniamo subito poiché mi sembra, a differenza del suo personaggio interpretato nel film succiato, tutto fuorché malata. Mi pare semplicemente bona.
di Stefano Falotico
La quarantena c’ha provato, stremato, forse pure scremato, tremaste tutti così come io tremai ma si deve remare e l’amore e il cuore non andranno giammai più fermati
Sai che cosa diceva quel tale? In Italia sotto i Borgia, per trent’anni, hanno avuto assassinii, guerre, terrore e massacri, ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e che cos’hanno prodotto? Gli orologi a cucù.
(Orson Welles ne Il terzo uomo).
Sì, mi tengo tutta la mia “pazzia”. Mi fa sentire vivo, reattivo, come devo essere. Parafrasando Al Pacino di Heat.
Una delle caratteristiche che mi contraddistinguono è la mia alterità. In passato, essa fu malvista ed erroneamente scambiata per vacuità da errabondo, per patetismo laconico di un uomo troppo falotico.
Non per risalire a questioni araldiche di nobiltà medievali ma, sinceramente, malgrado mio nonno fosse contadino o, se preferite, coltivatore diretto, è altresì vero che io sia nobile, veramente.
La nobiltà abita, non so se sia abilitata o disabitata, eh eh, nella mia anima e sono disposto a perdonare i villain, pure i villani e gli screanzati che ardirono ad ardermi vivo, desiderando cattivamente che subissi devastanti umiliazioni al fine di dimostrare, assurdamente, da fascisti menomati, non so se meno amati (usando una loro espressione che dovrebbe indurre a un’amara, tristissima risata allineata alle loro battutine coi soliti doppi sensi ambiguamente impliciti e oramai intollerabili), di distruggermi la vita.
Ridendo, beati e contenti, di avermi invalidato. Sai che divertimento da beoti e poveretti.
Mi spiace deluderli. Persero la loro stessa idiozia.
I vecchi rimbambiti mi diedero infatti del vagabondo, le persone superficiali mi stigmatizzarono e inquadrarono entro la definizione di persona cupa e solitaria, pedante, pesantissima e dunque insopportabilmente cogitabonda.
No, non fui certamente James Bond e nessun mistero è chiuso in me alla Turandot.
Insomma, mi diedero del tonto e del poco di buono. Sì, additato che fui da persone cieche nell’anima di essere lento e addirittura paranoico, fui persino accusato di andare con delle prostitute ceche, ovvero provenienti dalla Cecoslovacchia.
Ditemi voi se dovetti, per l’amor di dio, prendermi del puttaniere, gratis e poco amore, dalle madri racchie di questi ragazzi schiappe.
Poiché la gente sospettosa è avvezza a sparlare dietro le (s)palle, come dico io, inventandone tante.
Di mio, posso dichiarare in tutta onestà di essere sempre stato sveglio e mai un vigliacco.
Cacasotto è un appellativo che a me, una sorta di Michael J. Fox di Ritorno al futuro, non si dovrebbe mai dare. Come cazzo si permisero tali impostori?
Anzi, precocemente vigile e di occhio vispo, vegliai già nottetempo sulla scemenza generale anche degli uomini capoccioni e stupidamente caporali. Cosicché, m’assopii (in)volontariamente, pure da obiettore di coscienza di giudizioso servizio civile assai diligente, malgrado abbia sempre odiato i dirigenti, planando in lande più meste e contemplativamente amabili, remote dalle solite adolescenze che constano di ragazzini presuntuosi, oserei dire untori, cafoni e deficienti. Ché danno subito in escandescenza se si sbatte in faccia loro la verità più atterrente.
Minchia, signor Tenente!
Eh già, come i bambini che perdono a carte coi nonni, da loro squallidamente definiti boomer, essi ricusano la sconfitta e rigirano la frittata da totali sprovveduti oltremodo incoscienti.
Paradossalmente, sì, la mia esagerata, prematura e dunque troppo matura sveltezza nel pensiero, stando a contatto con coetanei rimasti parecchio indietro, seppur coprendosi dietro requisiti formali atti a certificare la loro mentale sanità dietro un ipocrita paravento, m’indusse a far sì che gli altri pensassero, per l’appunto frettolosamente, quindi da persone tardive e poco sensibili, che mi fossi addormentato e fossi precipitato in uno stato preoccupante di demenza, adombrandomi nella notte melanconica dei più tediosi lamenti, oscurandomi irreversibilmente nello spettro mio fantasmatico e nel diagnostico, psichiatrico specchio d’ipocondriaci tormenti, rosicando nel vedere le loro vite falsamente, ripeto, contente.
Sì, fui etichettato come persona invidiosa e gelosa, poco sessualmente golosa, diciamocela, malata di mente perfino pericolosa. Che figli di troia. Che facinorosi! Soprattutto faciloni! Dio mio, che farfalloni!
Poiché, già nauseato dalle fandonie di quell’età acerba ch’è l’adolescenza che fa rima con deficienza, ove si misura il prossimo in base a stereotipie peggiori di un’esegesi da italiano medio riguardo la poetica di Fantozzi, con estremo (dis)piacere, lasciai che tali villani assai vili inveissero su di me in modo atroce, sbattendomene altamente.
Sì, bisogna fottersene… bellamente.
Ah, allestirono assurdi deliri sul mio conto. Arrivarono perfino a credere che mi credessi Robert De Niro, il mio attore preferito di tutti i tempi.
Riuscirono addirittura a persuadere uno psichiatra forense che io fossi sofferente di disturbo delirante paranoide.
Al che, servii loro e all’handicappato che mi rifilò una diagnosi falsissima più del suo conto in banca senz’attestati… versamenti fiscali, il mio racconto Disturbo denirante.
Ci sta, secondo voi, come enorme presa pel culo sfacciata e terribilmente irriverente?
Abbastanza, nevvero?
Lottai per anni in tribunale affinché tale equivoco giudiziario nei miei riguardi, eh sì, venisse giustificato di risarcimento sacrosanto.
Nel frattempo, puntualmente, ricevetti altre missive bombardanti la mia dignità. Avendo pochissime prove in mano, reagii di nuovo scriteriatamente. Cosicché, dopo immani strazi, privazioni, osceni sacrifici e un inutile, agghiacciante calvario disumano dei più tremendi, per l’ennesima volta vinsi ogni balordaggine dettami e “attestatami”, essendo io l’unica persona al mondo dimessa, consecutivamente per ben due volte di fila, da un centro di salute mentale.
Ma io sono io. Mica una testa di cazzo qualsiasi. Insomma, questi qua furono proprio dei pazzi da manicomio. Diciamocela!
E ancora, assai presto, battaglierò in aula contro il solito criminale se non la finirà di scherzare in modo decisamente irriguardoso nei miei riguardi. Uno schifoso che mi suscita compassionevole benevolenza.
Sì, come detto, sono magnanimo e perdono questi magnaccia. Sì, questo qui, ancora infamandomi e descrivendomi come persona affetta da fobia sociale, finanche di schizofrenia ebefrenica, andando in giro, calunniandomi a iosa, dicendo a tutti, tutto ridendosela da irredento, che io sia un eunuco con un cervello piccolo quando vuole, con falsa cortesia, usare a mio danno un eufemismo tanto tenero e simpatico, invece malvagiamente offendendomi nel darmi la patente di disturbato, squilibrato e decerebrato necessitante, quanto prima, di psicofarmaci pesanti, quando gli piace e va a genio, non mio, la strafottenza più mendace, ecco… persevera a insultarmi con pusillanimità disarmante, con ingratitudine da burino lestofante.
Costui, dopo il mio volontario ibernamento esistenziale, emozionale ed anestetizzante, come poc’anzi dettovi, le mielose scemenze dei miei coetanei adolescenti, più che altro scemi, pressoché uniformemente uniformati a medietà conformiste imposte dai loro genitori all’apparenza grandi, invece castranti, quindi terribilmente arroganti, assieme a quella frigida repressa di su’ mamma, eh già, ancora insiste nel definirmi un bugiardo. Dietro una tastiera, naturalmente. Ove ogni porcata, se non opportunamente denunciata, segnalata e prestamente punita, passa gravissimamente inosservata.
Al che, liberatomi dal gravame delle infondate accuse che dal cielo mi piovvero, non ci piove che, finché tale stronzo non avrà sputato tutto il rospo, smerdandosi tutto nel vasetto, eh sì, tale bimbetto da me non sarà, per nessuna ragione al mondo, minimamente scagionato né perdonato.
Gli piace perseguitarmi, dandomi del maniaco e dell’invertito.
Vediamo invece se, unendo le forze congiuntamente coi miei attuali amici, i giochetti suoi invertiremo.
Se la sta già facendo nelle mutande?
Ah, ebbe il coraggio di dire che fui io uno che mentì a sé stesso per rifuggire una realtà che, a suo avviso, a tutt’oggi per me sarebbe inaffrontabile.
Ma per piacere, poveri pazzi e tapini rivoltanti. Sì, includo, in tale j’accuse, non solo il mentecatto, bensì tutta la sua razza di storpi e malati…
Atto accusatorio senza fronzoli!
Su’ mamma…
Oh, figliuoli, parliamo di una donna fintamente cattolica, giudaica e apostolica che sognò di essere una diva di Hollywood e si ridusse a recitare in parrocchia le sue versioni, non di latino e greco, bensì delle più leziose, francesi commediole.
Ecco come si spurga la donna bebè…
Ah, diciamo che col tempo m’indurii. Sì, fui un duro sin dapprincipio. Poi, a contatto con gente senza coglioni che mi diede del coglione, m’ammosciai in modo rude.
Ma forse sono Bruce Willis di Die Hard?
Ah, bolognesi che mi considerarono alla stregua di una negrona… ah ah, il cui unico, vero interesse culturale fu stressarmi, spacciandosi per intellettuali del cazzo.
Sì, che due marroni… gente che non conoscerà mai Gli amanti del Pont-Neuf e, soprattutto, Juliette Binoche di Cosmopolis. Ah, Juliette fu sempre donna di bellissime cosc’ da infarcire di crema dolce fuoriuscente da tali cornuti, no, da questi cornetti salati, detti mondialmente brioche.
Si sfaldano presto in bocca appena li addenti. Si sciolgono come un caldo soufflé.
Di mio, mi presero per bimbo poiché adorai i Sofficini e i Bastoncini della Findus.
Comunque, mi chiedo sempre come riuscì Ralph Fiennes, in The English Patient, a esserle così paziente.
Sì, dinanzi a un’infermiera come la Binoche, parafrasando Totò di Totò Diabolicus, siamo tutti dei pazienti che non hanno pazienza. E basta con Andrea Pazienza!
Per colpa di tali impostori, divenni Paz! Invece conoscono benissimo Apocalypse Now…
Ah ah!
Credettero che soffrissi di solitudini spaventose da Hotel paura!
Comunque, sì, lo ammetto spudoratamente, senza vergogna alcuna, divenni bergmaniano, amante perfino di Un’altra donna di Woody Allen e patii parecchio L’insostenibile leggerezza dell’essere.
Recitai, a tarda notte, pure il rosario in maniera ossessivo-compulsiva da Giovanna d’Arco della minchia.
Di mio comunque, eh sì, al Cinema di Bresson, a prescindere da Il diavolo probabilmente e dal mio essere inevitabilmente caduto in un’apatia all’epoca indubbiamente deprimente, preferii e tutt’ora prediligo Luc Besson. Anche se rimasi Milla Jovovich de Il quinto elemento.
Questa è bella, è bellissima, ah ah!
Sì, va detto. Milla è una gran figa.
E, a proposito di Bob De Niro, in Stone tradì tutti gli accordi con Edward Norton. Il quale, pur di scontare la sua pena, consegnò la patata di sua moglie, incarnata da Milla, al Bob volpone e assai porcellone.
Il quale, a sua volta, non tanto scontò il suo pene. Eppure lo scottò con lei… mica tanto da uomo perbene…
Ah, vite bruciate come la villa di Bob nel film. Povera Frances Conroy. In Stone, suo marito è un porco, in Joker, cazzo, suo figlio ce l’ha con un porcellino poiché, per colpa della politica di suo padre, Thomas Wayne, un capitalista più bastardo di Mel Brooks di Che vita da cani!, Arthur Fleck divenne un lupo mannaro americano a Gotham City…
Cazzo, roba più demenziale dell’appena succitato Brooks. Roba da John Landis!
In The Score, invece, Ed Norton pensò di essere più bravo, con metodo Actor’s Studio, di Marlon Brando e di De Niro stesso.
Sì, che bella figura… che bella fighettina…
Andiamo avanti. Al Jean Reno di La ragazza nella nebbia, preferisco mia madre. Anche se, in passato, divenne troppo religiosa. A Cose Nostre – Malavita, preferisco invece Léon.
A Natalie Porman di Heat, preferisco quella di Closer. Ragazza di ottimo culo, mica una matta sfigata poi ritrovata come ne Il cigno nero.
Ce la vogliamo dire? Il film di Aronofsky è una mezza puttanata e forse il caro Oscar dato a Natalie, eh sì, col senno di poi possiamo considerarlo davvero regalato.
Una sorta di premio simpatia nei confronti del suo personaggio di ragazza sessualmente frust(r)ata.
A quella di Thor, invece, preferisco Naomi Watts di Birdman. Ah ah.
Al Cinema di Renato De Maria e al Padre Nostro di tua sorella, sì, preferisco Gli spietati di Eastwood.
E quell’altro? Ne vogliamo parlare di Scamarcio ne Lo spietato?
Ancora rompe il cazzo a fare il malavitoso dei nostri stivali? Ma non fu da Keanu Reeves, in John Wick 2, inculato più di come la sua ex, Valeria Golino, si lasciò da lui stesso, cioè Riccardo (non tanto Cuor di Leone), tranquillamente sodomizzare?
Che poi… anche Valeria. Dovrebbe chiedere la cancellazione, dalla sua filmografia, de La puttana del re.
Tanto, basterebbero già Hot Spots! e Respiro per capire che non fu attendibile ne La guerra di Mario.
Di mio, posso dire che me ne tirai parecchie sull’ex ballerina Lorenza Mario, da anni non torno al mare e, a La Mer, celeberrima canzone melanconica per depressi oramai affogati irrecuperabilmente nell’oceano delle loro tristezze melmose da merdosi, preferisco fare un po’ la merda stupendamente odiosa.
Sì, stronzeggio quando gli altri troppo sulla mia vita cazzeggiano.
Qualche mese fa, chiesi un parere a una tizia:
– Sono di Bologna come Stefano Accorsi. Secondo te, gli assomiglio?
– Sì, sei simile a lui in Radiofreccia e in Un viaggio chiamato amore.
– Cioè, in modo cortese, mi hai appena detto che morirò suicida poiché pazzo come Dino Campana.
– In effetti, qualcosa del genere.
Ah, non dovete mai dare retta a Le fate ignoranti. Poi, uno crede davvero di avere Saturno contro. E si lascia travolgere dalle paranoie e dalle delusioni, tipici elementi che scatenano la schizofrenia apatica.
Accorsi è comunque un falso. Siamo tutti bravi a celebrare l’amore quando stiamo con Laetitia Casta.
Ma se lei ti lascia, ecco, non hai molte vie di figa, no, di fuga. Puoi mangiare le fave di Fuca, puoi diventare casto oppure leccare il culo ancora a Gabriele Muccino per rimanere tanto “Maxibon” e carino.
Infine, puoi venire, no, divenire il paziente, ricollegandoci al discorso sopra fattovi, de La stanza del figlio.
Baciami ancora? Ma che cazzo stai a di’!?
Se perderete un figlio, comunque, lasciate perdere Nanni Moretti. Non basta un barattolo gigantesco di Nutella per tappare il lutto. So io cos’è Bianca…
Lasciate anche stare film come Jack Frusciante è uscito dal gruppo. Ah ah, di Enza Negroni. Una che mai si spostò da Bologna e, anziché girare vero Cinema, girò film pseudo-educativi come Rotta per il Pilastro. Meglio il Cremlino a queste donne da Cremino.
Di mio, da piccolo m’iscrissi a Nuoto alla piscina Record del quartiere, per l’appunto, Pilastro. Imparai a nuotare da solo durante giornate piene di Sole e, piuttosto che fare la rana, preferii essere un principe del giuoco della palle come Lionel Messi. Sì, giocai a Calcio sino a diciott’anni, arrivando fino alla categoria Juniores.
Poi, mi fu chiesto di andare in prima squadra. Ancora una volta, mi buttai viai. Dovrei prendermi a calci nei testicoli? Sì, sono un testone! Alla Negroni, al Negroni, alle negrone, a Nerone, al Martini e al mojito, preferirò sempre Dolls di Takeshi Kitano e Le iene di Quentin Tarantino.
In passato, non ebbi Paura d’amare. Bensì, paura di soffrire. Allora, soffrii del tutto come il protagonista de Le onde del destino. Ecco, dopo questo scritto, ora capite bene che il Kobra non è un serpente…
Ci siete arrivati, finalmente? Di mio, non sono pazzo come il cattivo di Cobra ma non sono neppure figo come Sylvester Stallone. Infatti, sono più intelligente di entrambi. Finisco così…
Su Facebook, un tizio scrisse: Joker è una cagata pazzesca. È molto sopravvalutato.
Al che, gli risposi con questa freddura:
– Perché? Tu non lo sei?
Quindi, lui gridò, inferocito!
– Che vorresti dire? Che sono una merda d’uomo?
– No, hai frainteso.
– Ah, menomale. Perdonami se ho equivocato.
– Sì, scusami. Volevo solo dire che, per quanto mi riguarda, puoi avere anche tre lauree e due donne di nome Laura.
Ma, lasciatemelo dire, secondo me di Cinema non capisci un cazzo.
– Capisco almeno di figa? – mi chiese lui, spaesato.
– Non lo so. La tua ragazza mi disse di no.
– Che cosa? Conosci la mia ragazza?
– No, non la conosco.
– Ah, perfetto.
– La conobbi ieri sera – risposi io con sesquipedale nonchalance.
Costui rimarrà sconvolto a vita. La sua ragazza di più. Ah ah.
Per quanto mi riguarda, comunque, non sono cazzi vostri.
Intanto, sono diventato il re dei fan di Anna Falchi. Ma sì, ne andai matto.
Mi sa che abbisogno di tornare alle belle donne come la mia donna attualmente amata.
Basta coi moralismi delle bruttone e delle fallite.
E, dopo la giacca incazzosa di Drive, presto a casa arriverà a casa mia una di queste due giacchette da vero maschilista amante del piacere più verace.
Ah ah.
Se non vi sta bene, mi sa che farete la fine di Leo DiCaprio di Shutter Island. Eh già, non gliela potete fare neanche se vi reggesse il gioco un amico buono come Mark Ruffalo. A voi non basterebbe nessuna cura da Ben Kingsley.
Vi credeste grandi, puttaneggiando con Gandhi ma, onestamente, siete soltanto degli ipocriti.
Ricordate Ove the Top, miei topi.
Falco sono io. Volete affrontarmi? Ok, Poi però non piangete.
di Stefano Falotico
Federico Frusciante non ha capito nulla di JOKER: ha poco a che vedere con FALLING DOWN di Joel Schumacher ma ha molto da spartire con DOG DAY AFTERNOON e THE SILENCE OF THE LAMBS
Da circa un anno, sono in contatto con una ragazza per girare un cortometraggio. Al che, intervenni su un suo post in cui dissi, scherzando, che DiCaprio è meno bello di me.
Senza motivo alcuno, lei mi scrisse in chat che dovrei guardarmi allo specchio. Sì, dopo che lesse la mia sceneggiatura. Capace pure che me l’abbia fregata.
Ma chi cazzo credete di essere? DiCaprio lo vedrete col binocolo e mi sa che, se continuerete a tirarvela, vedrete anche qualcos’altro da lontano, di riflesso, diciamo.
Sì, quando m’incazzo, Vittorio Sgarbi mi fa un baffo.
Sono diventato uno psichiatra “cannibale” delle idiozie e delle battutine di cattivo gusto. Alla pari di Hopkins nella scena de Il silenzio degli innocenti in cui viene provocato dalla senatrice e lui psicologicamente la annienta, dicendole che i suoi capezzoli sono ora tropo duri dopo che allattò la piccola Catherine.
Al che, la senatrice gli urla che è un mostro orribile. Lui ridacchia e poi la sconvolge ancora. Rivelandole il nome dell’assassino, anche se non è lui.
Sì, per colpa di gente bigotta che me la combinò (s)porca, in questi anni mi sono indurito veramente troppo. Diventando una sorta di Matthew McConaughey di True Detective.
Un po’, anche, come Max Cady di Cape Fear.
Insomma, incontri Errol che vuole svezzare con crudeltà la verginità altrui. Col piccolo dettaglio che Errol ora ha di fronte uno più cattivo di lui. Questo non l’aveva previsto, però.
Sì, io sono amichevole, anzi amicale, spesso ammiccante con tutti. Tanto amico di tutti che, nel cammino della mia vita, fui accusato di essere solo come un cane.
Sì, poiché non attenendomi ai parametri istituzionali della borghesia felsinea, già ai primi vagiti della mia adolescenza tormentata, dunque già al fiorire di miei desideri, sin troppo pronunciati e marcati, presto stigmatizzati e marchiati, verso le vagine più rimarchevoli, eh sì, non comprendendo io la filosofia nerd dei miei coetanei, indaffarati più che altro a giocare col pc in videogame come Doom, le mie cosce, no, la mia (in)coscienza s’ottenebrò e sin da subito mi spompai e tutto s’annacquò. Questo mio (d)eludermi dal mondo, questo mio prematuro essere invero già troppo maturo, indusse gli adulti, anzi la gente che si considerò più grande psicologicamente e intellettivamente di me, gente che presuppose di essere, rispetto a me, molto più matura, ecco… dove minchia ero rimasto, andiamo avanti anche se, come appena accennato, molti pensarono che fossi rimasto indietro, insomma degli arretrati, portò gli adulti a vedermi come ragazzo vulnerabile, innocuamente indifeso.
Cioè, scambiarono uno che, anziché innamorarsi di Liv Tyler di Io ballo da sola, smanettava di brutto sulla figona del video di Vasco Rossi, Rewind.
Sì, me ne sarò sparate circa diecimila su quella lì. Anche se, in quel periodo pieno di seghe non solo mentali, andai matto pure per la super figa ciclopica di Smack My Bitch Up dei Prodigy.
Registrai, dopo la prima visione, immediatamente da MTV la suddetta, molto da me sudata, ah ah, clip con tale gnocca esagerata.
Però, dovevo premere pause, anzi stop prima del finale esplosivo, no, scandaloso. Sennò mi s’ammosciava proprio prima dell’attimo deflagrante e più schizzante del piacere focoso. Eiaculante! Eh già.
Che uomo brillante! Ah ah.
Non era una donna, bensì un uomo poco arrapante e, a darcela tutta, no, dircela, anche un po’ peloso.
Avrei da raccontarvene di quel periodo veramente sfigato del mio essere Quentin Tarantino di Dal tramonto all’alba.
Eh, come ancora me la tiro. Un paio, in effetti, me ne tirai anche su Juliette Lewis… di Cape Fear. Ah, quelle cosce morbidamente vellutate, lisce come pesca da accarezzare di primo mattino e deglutire come una sveltina ah, che spensierata sobrietà fu quella mia dolce volgarità nel mio allisciarmelo da lupo cattivo come Max Cady/De Niro.
Datemi pure del cretino, io so che Juliette ama molto il cremino…
Molti credettero che fossi un vizioso viziato assai capriccioso e più complessato dell’appena eccitante, no, citata Juliette. E pensarono che mio padre fosse Nick Nolte, cioè un ipocrita che di giorno svolgesse un lavoro utile alla burocrazia e di notte, segretamente, “racchetasse” sulle milf che, giocando a squash, via cavo sviluppavano le sue malsane voglie sulle donne più perversamente sexy.
Sì, Illeana Douglas di Cape Fear è un po’ come la signorina Silvani/Anna Mazzamauro di Fantozzi.
Oggettivamente, fa schifo al cazzo ma forse, proprio per via della sua evidente bruttezza inconfutabile, emanava un non so che di morbosamente attraente.
No, mio padre non fu avvocato, si laureò in Scienze politiche. Che è un ramo di Giurisprudenza.
Svolse il lavoro di capufficio. Non gli piaceva affatto ma doveva pagare il mutuo della casa.
Di mio, rimasi muto, spesso nella cameretta. Ah ah.
Ho sempre saputo che, quando io e mia madre eravamo in vacanza d’estate nel paese dei miei genitori, mio padre deve averci dentro a più non posso pure sulle tenniste che, verso quel periodo, mostravano le gambe, più di una valletta, sulla terra verde di Wimbledon.
Non so quali fossero le sue preferite. Di mio, posso dire che, appena vedevo Gabriela Sabatini, qualcosa non rimaneva più piccino e s’ingrandiva più delle mie pupille dilatate su vasi dilatatori tesi alla massima potenza. Mio padre non è originario di Potenza, bensì di un paesino vicino Matera, eh sì, uomini maturi.
Siete duri nella testa come dei Sassi ma molto mosci altrove. Ficcatevelo/a dove dico io.
Anzi, pazzo come John McEnroe, arrivavo subito all’ace a mo’ di Pete Sampras.
Sì, vi ho detto che ero già precoce, anche di eiaculazione. Nella vita e nella figa volevo arrivare istantaneamente al sodo, senza girarci attorno e senza far godere lei.
Sì, non è che vivessi una vita godibile. Onestamente, vissi molte fighe virtuali ma assai poche a livello tangibile.
Ah ah, questa è bellissima. Sì, mi toccavo come un ossesso ma, in quanto a reale sesso, la mia quaglia poco quagliava. Anzi, appena incontravo una, lei violentemente mi offendeva in tre secondi ritti, no netti, e me la squagliavo mentre lei, sicuramente, con un altro se la squagliava…
Sì, le ragazze non vogliono un tipo sveglio, sincero o troppo svelto, bensì uno che se la tiri/a da dritto e nelle gambe, no, in gamba.
Sì, dei cazzoni farisei. Come detto, felsinei. Sì, il bolognese medio parla di donne a destra e a manca ma, sostanzialmente, mangia solo la carne dei tortellini.
Ah ah.
Anni fa, un’altra che mi fece perdere la testa, soprattutto i testicoli, di dritto e rovescio… fu Flavia Pennetta. Come direbbero a Bologna, in fallo, no infatti… un’ottima penna. Traducibile in passera di livello superiore alla media. Già oltre, come me, gli onanismi scolastici assai ombelicali della scuola media e più dotata in maniera da 110 e lode. Diciamo che non ho bisogno di allori e lauree, ce l’ho profumato di quasi trenta centimetri. Parlatene con colei che mi sverginò e capirete perché mi disse che, non solo gli altri, bensì io stesso di me capii un cazzo.
– Siamo sicuri che, prima di questa selva, no, di questa sera… tu fossi vergine? E sei sicuro di essere uno da Cinema di Bergman, depresso che odia il contatto fisico? Non hai mai pensato che Mark Wahlberg di Boogie Nights è come il tuo “Grande Lebowski” che cura ogni frigida e la rende rossa, non solo nei capelli, come Julianne Moore?
– No, non ci avevo mai pensato. Fammici penare meglio, no, volevo dire pensare.
– Per forza. A furia di sentirti dire che eri meno dotato, te n’eri convinto. Parte tutto dall’ipofisi, sai? Ti hanno suggestionato. Direi invece che, stanotte, tu hai sanato ogni mio pensarmi poco donna.
– E come avrei fatto?
– Mi sa che la vergine ero io…
Ah, gambe toniche quelle di Flavia Pennetta, miei uomini con la panza piena che aspettano solo la domenica per magnare le pennette all’arrabbiata perché vostra moglie non vuole che amiate il gioco, non delle palline, bensì del pallone.
Siete dei palloni gonfiati.
E da tempo immemorabile, davvero poco memorabile, oramai i coglioni che non siete altro, eh già, hanno rotto quella, no, la scapola dell’ultimo scapolo, oh, miei ammogliati.
Ora, questo lungo e grosso pene, dopo tale disamina vera da uomo penoso, spesso fallace, fallico o solo pen(s)ante, no, questo palloso panegirico, per venire… a una questione che mi (s)preme di più.
Cioè, credo che la gente di me non avesse capito nulla.
No, non sono mai stato il tipo da canzoni di Leonard Cohen e da La Mer da Charles Trenet. Anche se, crescendo, odio sempre più andare al mare. Appunto… ah ah.
Credo di essere un montanaro come Max Cady.
Vi ricordate la scena del pestaggio di Cape Fear?
– Avvocato. Avvocato, sei tu, vero? Avvocato. Vieni fuori, dai forza, fatti vedere. Io non sono un povero pezzo di merda. Io sono meglio di tutti voi. Io imparo meglio di voi, leggo meglio di voi, ragiono meglio di voi e filosofeggio pure meglio di voi. E durerò più di voi. Ti credi che un po’ di botte mettano fuori combattimento questo vecchio montanaro?
Bob De Niro, per questo ruolo, fu candidato all’Oscar ma fu battuto da Anthony Hopkins de Il Il silenzio degli innocenti. Sapete, no, che Jonathan Demme, prima di affidare la parte ad Hopkins, pensò proprio a De Niro?
Infatti, qualche anno fa, De Niro e Bradley Cooper avrebbero dovuto lavorare nell’ancora irrealizzato Honeymoon with Harry. Che doveva essere diretto da Demme.
Cazzi loro…
Per farla breve, io fui accusato di fobia sociale, di semi-schizofrenia diabolica come Linda Blair de L’esorcista, di essere l’incarnazione, ah ah, dell’innocenza del diavolo. Mi diedero la patente di attore monstre delle sue menzogne, di Pinocchio, di finocchio, soprattutto di figlio di ‘ntrocchia, questi figli di troia.
Di mio, posso dire, che d’inculate ne ricevetti tante.
Posso dire che colei che mi sverginò era di Trieste ma non apparteneva alla minoranza slovena.
M’insegnò tutto, dove toccarla e come incularla ma alla fine mi coglionò e mi mandò a fare in culo senza più bisogno di fotterla. Ah ah.
Se fossi voluto andare con una dell’est, bastava che chiedessi alla ragazza delle pulizie del mio pazzo, no, del mio palazzo, di smettere di farselo da sola.
La mia seconda tizia era più grande di me. All’anagrafe. Io avevo 28 anni, lei 33. Che colpo d’ano.
Oh, non è colpa mia se non ci arrivate…
Così come non è colpa mia se odiate Philadelphia di Jonathan Demme perché siete omofobi e considerate Bruce Springsteen un troione. Pigliatevi pure Eddie Vedder, quel pelato di Billy Corgan, Kurt Cobain e tutti quei froci. Ah ah.
E non è neppure colpa mia se odiate la classe della prima della classe, Jodie Foster.
Ora, che c’entra il Frusciante?
C’entra il Frusciante, eccome. Mi specchiai, mezzo nudo, davanti allo specchio.
Mi sa che sto facendo la fine di Anthony Kiedis.
Dunque, non voglio più sentirmi accusato di stronzate.
Pigliatevi Muccino, suo fratello e tutta la retorica catto-borghese di quest’Italia di (po)lentoni, di tardone e ritardati, e soprattutto vedete di non rompere più i maroni.
Purtroppo o per fortuna, sono diventato identico a Rust Cohle.
Metto le corna al diavolo e pure al mio miglior amico. Partono risse mai viste.
di Stefano Falotico
JOKER o jolly: la vita è una partita a poker, uno scacco matto, una mossa vincente per vincere un Cartier, giocandosela appunto a carte o è Get Carter?
Fratelli e sorelle della congrega, cinti in raccoglimento, noi non siamo stati accolti da quest’accolita di deficienti che gironzolano, ridendo come matti. Vollero che soffrissimo di coliti poiché ci considerarono spastici.
Loro cattivamente con noi non furono elastici e noi invece continuiamo a vivere liberi, lontani da ogni fascista Maciste e da questo abbruttente mastice.
Ecco a voi il video da me realizzato di quel che già io ieri dissi. E ivi ridico con la mia imperiosa voce strafottente.
Sì, s’è attuato oramai da circa vent’anni, anche di più, un progressivo mutamento sociale che, purtroppo, il potere vuole oscurare. Quello, apparentemente invisibile di Internet e dei social, appunto. Ammazza che paradosso non solo temporale, oserei dire da rivoluzione industriale.
Poiché, come nella leggenda del vaso di Pandora, il potere desidera nuovamente celare le oscure macchinazioni che dominano i giochi classistici e, di conseguenza, regolano l’abietto schiavismo, spesso opportunista, che dagli albori dei nostri umani primordi, gerarchizzano il mondo in suddivisioni arbitrarie di caste.
Anche di case. Visto che chi ha più soldi, dunque è più potente, ha di solito una casa migliore del debole angariato dal signorotto tutto tronfio e di sé pienotto. Sì, il signorotto prende di mira il malcapitato di turno e fa sì che venga ad libitum sfruttato, castigato, (in)castrato, relegato a servo della gleba assai mortificato, svilito ma soprattutto spompato. Sul quale esercita fieramente il suo prosopopeico, filisteo diritto, dipingerlo come bella statuina del presepio.
Ah, questa è una prosapia che continua all’infinito. Poiché il potente dice al suo pulcino di non alzare la cresta, narcotizzandolo e dannandolo, nanizzandolo sempre perentoriamente con fottute reprimende. Ah, è davvero tremendo. Non vuole che il pulcino cresca ma che, cristallizzato nella sua bassa statura, come Calimero si senta brutto e diverso. Appena il suo pio pio assume una voce un po’ più forte, ecco che il potente lo vuole far tornare infante e demente, indottrinandolo di consigli pedagogici da Montessori, ah, donna pia, ma intanto il potente si tuffa nel suo tesoro. E lì vi sguazza con tante discinte, bombastiche ragazze, false suore.
Che ipocrisia, alla faccia del cazzo.
Sì, lo fa vivere nel muschio, lo getta nel rusco una volta che son finite le feste. Cosicché, il povero pastorello aspetta la notte di San Lorenzo e quella di San Silvetro, augurandosi che qualche re mago possa da benefattore elargirgli attimi, invero oramai persi e irreversibili, di bagliori inattingibili, donandogli l’attimo fuggente di speranze lucenti come una fugace, veloce e appunto imprendibile stella cometa decadente. E poi ottenebrandolo ancora nella poesia di Quasimodo:
ognuno sta solo sul cuor della terra,
trafitto da un raggio di sole
ed è subito sera.
Appena al poveretto ricala la notte, il potente gli dice che è penoso e che gli fa calar le brache mentre lui cola ridente e frizzante, con tanto di spumante, nella prostituta pagata a peso doratissimo dopo che ai suoi dipendenti ha tolto pure le mutande.
È uno scostumato, giudica gli altri, da lui reputati appunto inetti e incapaci. S’è pure buttato in politica, sostenendo che combatte la mafia affinché non avvengano più stragi come quella di Capaci.
Ah, è un rapace, esprime giudizi a vanvera e vive in contumacia. Mentre agli altri toglie pure i soldi per una soda arancia. Ah, questo qui tutti mangia.
È il classico trombone che ricatta i giovani senza lavoro, urlando loro che si dovrebbero vergognare. Che, anziché amoreggiare e sognare in grande, quanto prima debbano coprirsi di dignità.
È un dovere! Un richiamo all’ordine e alle armi!
Per lui sono tutti inferiori, soldatini e cervelli piccoli. Sì, essendo statista e stronzo mai visto, ce l’ha pure con gli stagisti. Non solo coi fancazzisti.
Maltratta chiunque come se fosse Fantozzi ma è lui quello che pappa i maritozzi…altrui, rubando le mogli più bone grazie al fascino del suo adamantino carisma di risma splendente da compratore delle più belle signore in virtù del suo sorriso a trentadue denti placcati d’oro suadente.
Egli vive di allori. Sì, non è mica un incolto. S’è preso, eccome, onestamente una laurea.
Fa come il principe Carlo e i suoi figli. Questi qua hanno frequentato le scuole più prestigiose per non fare un cazzo tutto il dì. Andando a ricevimenti e party, facendosi solo belli per i flash dei paparazzi.
E noi saremmo i pazzi? Dico, stiamo impazzendo? Che follia è mai questa ove la sottomessa folla acclama la regina quando invero, come in un film giustissimo di Ken Loach, non ha più neanche in campagna la sua vecchia, già arrugginita cascina poiché ora non può pagare nemmeno le bollette di una miserissima cantina? Ah, ma le persone che credono all’idiozia della monarchia, eh già, si fanno trattare da squallide pedine. Campano a stento nella merda di una latrina e non hanno un soldo bucato neanche per potersi comprare una lattina di birra e poter brindare allegramente con un amico a lor umanamente vicino con dello scaduto vino.
È veramente uno schifo.
Sono qui tutti porci come quel maiale di Mickey Rourke ne La vendetta di Carter.
E io invece sono sufficiente stupido per farmi massacrare di botte (ah, la botte è piena e tua moglie ubriaca) e ritornare ancora a ridartele e a suonartele anche se, caro ipocrita, volesti rovinarmi la faccia.
Sono il più cattivo di tutti. Come Joe Pesci di Casinò. Quando al banchiere che vuole fotterlo, eh sì, lui dice quello che sapete…
Con me non attacca. Sono come Bud Spencer di Bomber. Entra nella bottega del barbiere, un tizio gli dice che lui è un duro e Bud lo appende al muro.
Che potete farmi? Bruciarmi la casa con la vostra casta? Ah sì, con voi quella è castissima, con me è invece orgasmica e, da castana, diventa ariana. Un vero Stallone italiano. Sì, sono fuori come un cavallo. E non lascerò mai vincere i criminali. Non si era capito? Davvero speravano di mettermi a tacere e insabbiare tutto con quattro sberle?
La vendetta di Carter, un film da me ritenuto cult, un film che in quel lontano 2003 non avrei mai dovuto vedere.
Sì, sarei rimasto castigato nell’etichetta appioppatami da un demente. E invece io per te, idiota, tornerò sempre. Quando meno te l’aspetti. Quando pensi di averla fatta franca e avermi fatto scemo. Quando pensi che te la puoi ridere e cantare, ballando, mio bello.
di Stefano Falotico
TOO OLD TO DIE YOUNG: ne vogliamo parlare della recensione apparsa su Rolling Stone della serie di Nicolas Winding Refn? E del JOKER?
Guardate, ogni altra parola sarebbe superflua, oserei dire pleonastica.
Colui che ha scritto tale recensione, secondo me, vista la figuraccia, non si salverà nemmeno con mille facciali plastiche.
E questo è pus underground da Nanni Moretti di Caro diario!
Copiamo-incolliamo qui tale recensione assurda in maniera integrale, senza dunque apportare editing alle virgole di cui questo recensore abusa più del minutaggio lunghissimo della suddetta serie di Refn, senza correggergli alcun errore di battitura.
Una recensione cult, più che altro scritta col culo, contro la quale anche il mitico Pino Farinotti di C’era una volta il West si deve arrendere.
Sì, dinanzi a questo campione dell’esegesi cinematografica, non possono esistere al momento rivali.
Speriamo che la maggior parte delle persone si stia approcciando a Too Old to Die Young, la serie televisiva fottutamente pulp del regista danese per Amazon Prime Video, in quanto fan o qualcosa di simile. O, per lo meno, come spettatori semi-consapevoli della sua filmografia. In bocca al lupo nel caso invece questo sia il vostro debutto nel mondo di Refn – è la peggiore introduzione possibile al suo marchio di fabbrica di noir al neon stilizzato e sotto steroidi, o la “migliore” introduzione nel peggiore dei modi possibili. Buona fortuna a chiunque sia caduto nel suo paesaggio di anti eroi stoici, violenza e ritmo lento e doloroso come la tortura dell’acqua senza una mappa.
Ma torniamo alla domanda iniziale: il vostro film preferito fa parte della trilogia di Pusher, il racconto in tre parti e a tre prospettive, che ha contribuito a lanciare Refn a livello internazionale e ha introdotto il futuro criminale Hannibal Lecter / cattivo di Bond / Mads Mikkelsen nel mondo? Oppure è Bronson, biopic incredibilmente brillante del condannato britannico Charles Bronson che vede Tom Hardy raggiungere i livelli di teatralità del kabuki? Con tutta probabilità è Drive, il riff stellare guidato da Ryan Gosling sugli autisti per la fuga; quasi sicuramente non è il film successivo del duo, Solo Dio perdona (anche se questo thriller ambientato in Thailandia è migliore di quanto la sua reputazione suggerisca). O forse è The Neon Demon, il suo benvenuto all’Inferno, una parabola sulle modelle che si mangiano da sole.
Ok, ora immaginate che il vostro film preferito duri 13 ore. Con la stessa trama però. Potrebbe essere diviso in narrazioni parallele, forse qualche deviazione extra qua e là. Ma lo stesso materiale narrativo di base. Stiracchiato. Su. 13. Ore.
A meno che non ti chiami Ken Burns o David Lynch, forse devi pensare bene se quel tempo, suddiviso in più di 10 puntate con una durata media di un’ora e 15 minuti, sia una necessità o semplicemente un’indulgenza. (Alcuni episodi durano fino a 90 minuti, l’ultimo una mezz’ora, chiamatelo coda). Specialmente se il motivo principale per lavorare a un prodotto serializzato più lungo è: “Sembra che tutti stiano facendo roba in streaming, dovrei farlo anch’io!”. Questa è stata più o meno la scusa che Refn ha accampato a Cannes, dove ha mostrato due episodi centrali, per dare uno sguardo esteso ed esistenziale sia nell’abisso che nel proprio ombelico, dove ci sono poliziotti, truffatori, cartelli e modi creativi di torturare forme di vita basate sul carbonio. Ha anche detto che questa non era tv – un mezzo che definisce “tutto reality show e notizie” – ma un lunghissimo film. Ovvio. Certo, sua maestà. La sensazione di guardare qualcosa di un autore che in qualche modo crede virtualmente di abbassare i propri standard proviene dal tuo schermo.
Cosa dipinge il nostro uomo su questa grande tela? Iniziamo con un poliziotto di nome Martin (Miles Teller), un tipo forte e silenzioso che suggerisce un blocco da sofferenza post-traumatica o una lavagna intenzionalmente vuota. Il suo partner (Lance Gross) ha la capacità di trasformare un controllo del traffico di routine in una situazione alla Cattivo tenente in un batter d’occhio. In ogni caso è sorprendente quando qualcuno si avvicina semplicemente a lui e gli spara una pallottola in testa. La tragedia fa guadagnare a Martin una promozione a detective, ma non la libertà da un gangster locale (Babs Olusanmokun), che lo costringe a ricoprire il ruolo del suo defunto partner come sicario. Né vi impedisce di essere scettici sul fatto che il protagonista frequenti una studentessa delle superiori di 17 anni (Nell Tiger Free).
Seguiamo poi chi ha sparato, Jesus (Augusto Aguilera), a sud del confine. Il poliziotto aveva ucciso sua madre, una famigerata signora della droga. Suo zio (Emiliano Díez) lo accoglie e lo introduce al cartello. Quando c’è uno slittamento di potere, Jesus e la pupilla del vecchio – una giovane di nome Yaritza (Cristina Rodlo) che ha salvato dal deserto e cresciuto come sua figlia, non senza alcune implicazioni spiacevoli – sono sposati. La coppia viene quindi mandata in America, con l’intenzione di proteggere gli interessi dell’organizzazione. Ci sono anche questioni incompiute riguardo a quell’omicidio per vendetta. Ci sono sempre. Ah, abbiamo detto che Yaritza potrebbe essere l’incarnazione di un’antica leggenda folcloristica / pilastro dei tarocchi conosciuta come l’Alta Sacerdotessa della Morte?
Altri personaggi vengono buttati nella mischia, in particolare un ex agente dell’FBI con un occhio solo (John Hawkes di Deadwood) che diventa mentore di Martin e una guaritrice New Age (Jena Malone) che assume l’ex federale per dare la caccia a criminali sessuali particolarmente efferati. Ci sono anche magnati fissati con il rape-porn, pedofili, tossici, casi di molestie da studio del #MeToo, più controfigure di Trump di quante non ne riescano a far entrare in una registrazione di Access Hollywood e, qua e là, solo ordinari stronzi. In altre parole, un sacco di mascolinità tossica – e il punto è questo. La galleria di parassiti della malavita, molestatori seriali di bambini e misogini violenti che Refn e il suo co-creatore, il fumettista fuoriclasse Ed Brubaker, hanno inventato non rappresentano solo il peggio di quella società quanto della Società del 2019, un “chi è chi” quotidiano di degenerati e miserabili. E come per il mondo in cui viviamo, molto di ciò si riduce al male che fanno gli uomini. ‘Bravi ragazzi’ qui è un ossimoro.
Ci vorrà un angelo della morte per ripulire il mondo dai maschi abusivi, ed è per questo che la serie e l’attenzione continuano a tornare a Yaritza. È il veicolo per le inclinazioni più soprannaturali e surreali del regista, che sono cresciute dai tempi di Solo Dio perdona e la sua decisione che preferirebbe essere una nuova versione di Alejandro Jodorowsky piuttosto che un povero Michael Mann. Aiuta anche che a interpretare Yaritza sia Rodlo, un’attrice che sa come tenere uno schermo, indipendentemente dalle dimensioni. È una grande osservatrice con un occhio killer per i dettagli, un’artista che sa come far sì che la calma e il tocco minimalista contino in un pasticcio splatter massimalista. Va da sé che Refn, un cineasta che non ha mai incontrato una luce colorata che non abbia amato biblicamente, e il leggendario direttore della fotografia Darius Khondji (La città perduta, Seven) immergono tutto in colori allucinogeni, ombre da notte oscurissima e atmosfera infernale da night club. Vale anche la pena sottolineare che il personaggio di Rodlo è l’unico che sembra davvero adatto al tono e alla visione dello show; nemmeno Teller, che offre la migliore imitazione di un Robert Mitchum del XXI secolo, può sincronizzare il piglio alla Raymond Chandler del suo protagonista alla narrazione. Un giorno, qualcuno realizzerà un super-montaggio delle scene di Rodlo e ci regalerà un incubo cromosomico XY di tre ore.
Nel frattempo, abbiamo questa lagna zoppicante e sgraziata che non giustifica la sua durata da maratona come qualcosa di più di una follia autocompiaciuta e durissima senza giustificazioni. Naturalmente puoi trasformare una crime story pulp in qualcosa di immoralmente magnifico dal punto di vista visivo, ammucchiando varie cose, dal costume da narco chic agli schemi visivi della Pop Art. Puoi dare al tuo gangster un tocco di stranezza facendolo diventare un fanatico dello ska vintage e puoi inscenare un inseguimento in auto ridicolmente lungo sulle note di Mandy di Barry Manilow, l’action-flick dito medio del giorno. Puoi ingaggiare Morgan Fairchild come White Privilege e dare a William Baldwin un pasto da sette portate da masticare, completo di mosse onanistiche di potere. Puoi usare l’immaginario misogino in nome dell’innalzamento della vendetta e dell’empowerment femminile, anche se ogni singola persona sulla faccia della terra vorrebbe davvero che non lo facessi. Puoi perfino usare la violenza estrema come esercizio di carneficina feticizzata. Chi non ama un cinemassacro ben fatto? O guardare un Nazista farsi sparare nel cazzo?
Ma quando ti viene data la possibilità di impegnarti in uno storytelling di lunga durata e lo traduci nel nulla, in scene che si estendano all’infinito semplicemente perché puoi farlo, o scambi il concetto di lentezza al cinema con quello di istantanea profondità, o non riesci a capire che forse “meno è meglio” quando si tratta della tua estetica art-to-grindhouse, potresti essere chiamato a risponderne. Refn ha ragione: questa non è tv. È auto-parodia. E non ci vuole una mezza giornata di visione per capire che forse stiamo diventando troppo vecchi per questa merda.
In attesa del trailer 2 di JOKER, immaginiamo Arthur Fleck al Murray Franklin Show con tutti gli altri ospiti della società (im)bandita
Sì, ecco che Robert De Niro, cotonato come Mike Bongiorno, invita in trasmissione il mezzo disgraziato, sciagurato, completamente devastato e rovinato, handicappato, scalognato, super sfigato mai visto, schizofrenico irreprimibile e not responder incallito Arthur Fleck. Sottoponendolo a delle domande da terzo grado derisorio per far ridere di gusto la platea gozzovigliante di applausi purtroppo spontanei e non telecomandati.
Sì, gente che ride dinanzi a ogni più sconcia, stolta provocazione di cattivo gusto, si scompiscia e sganascia di fronte alle sentenzianti stereotipie dei luoghi comuni espulsi malvagiamente dall’infernale orco catodico incarnato da Murray, inquisitore da Il nome della rosa con Connery, impomatato e in giacca e cravatta, in smoking impeccabile abbigliato. La gente va matta per tale tremendo mega-direttore, no, solo presentatore galattico del network di massa sparato negli occhi e nelle orecchie dei telespettatori paganti, ovvero l’uomo medio italiano, filoamericano che si beve tutte le stronzate della Rai, pagando anche il canone. Crepando di risate quando parte la donna cannone, mangiando nel frattempo, stravaccato sul divano, un cannolo.
– Ecco a voi, ladies and gentleman, signore e signori, un fenomeno della natura. Un ragazzo apparentemente anche di discreto aspetto fisico che però, ah ah, quando apre bocca pare afflitto da dislessia, epilessia, catatonia espressiva perché non si capisce un cazzo di quello che dice. Tartaglia, mugugna, si esprime come Benicio Del Toro de La promessa.
Questa sua deformità lessicale lo rende simile agli occhi della gente, oh sì, perché noi amiamo le apparenze, vero, a Joseph Merrick, elephant man, colui che soffrì della distrofica malattia muscolare denominata sindrome di Proteo. E non basterà il dottor Frankenstein per rigenerare questo Fleck, per garantirgli nell’anima una protesi, in quanto lui non è Prometeo, in verità è solo uno che si crede un poeta ermetico ma è sinceramente, obiettivamente, senza falsi inganni, senza consolatori buonismi ipocriti, senza velare nulla, un coglione plurimo. No, non dobbiamo usare con lui una piuma, se vuole però gli rimbocchiamo le lenzuola del piumino perché è paragonabile a Tom Hanks di Forrest Gump.
E io, parimenti al demone del trash contro ogni ottava meraviglia del mondo improponibile, appunto impresentabile ma strepitosamente impressionante, ah ah, ovvero Demon Killian di The Running Man, gli sarò implacabile.
Oh oh. Ah ah.
Applause!
Ma non perdiamoci in chiacchiere. Diamo subito il benvenuto al demente per antonomasia, a questo mezzo uomo auto-flagellatosi ridicolmente nella rupe, anzi nel dirupo del suo esistenziale buio ai confini del mondo? No, nel suo pozzo senza fondo da confinato, ghettizzato, emarginato ma soprattutto immoralmente linciato da noi, figli dei giganti. I quali demoralizzeranno imperituramente ogni suo ardore vitalistico. Spegnendo ogni sua ribellione che, da essere piccolo e nano qual è, s’azzarderà, vanamente e pateticamente, a scagliare contro il nostro indomito potere forzuto da fascisti rocciosi, ferrei e duri stronzi.
Ah ah.
Sì, se questo Fleck spererà di avere una seconda chance nella vita, speronandoci, gliel’arderemo… ancor prima che possa solamente sperare di rivedere una pur minima, debolissima fiammella.
Sì, se dai sepolcri della sua malinconia tristissima s’illuderà di captare un fievole eppur speranzoso bagliore della luce del giorno, anneriremo questo suo rinascente, dolcissimo, chimerico fulgore, soffocandogli anche ogni alba e tutti i crepuscoli e, più che Ugo Foscolo, lo renderemo del tutto fosco. Buttandolo ancora nel fosso.
Sì, Fleck è un fesso e noi sempre lo affosseremo. Forza. Ora lo distruggerò. Mi raccomando, coi vostri clap clap, datemi manforte. Ah ah.
Questo qui non è Prometeo di niente, non ha neanche mai visto il film Prometeus. Stasera, crede che sarà Re per una notte ma, al solo tintinnare delle sue iridi accesesi estemporaneamente dal flash dei fotografi, ah ah, io lo tratterò da straniero della società. Vivrà la sua eterna, tetrissima vita nella scura agonia dei suoi tormenti da Travis Bickle di Taxi Driver dei poveretti!
Ok, partiamo con la distruzione.
Buonasera, signor Fleck. Si accomodi. È di suo gradimento la poltroncina o forse desiderava essere al posto di quella ove è seduto a dieci metri da lei, qui sul palcoscenico, quel gran culo della modella che può vedere vicino a noi?
Scusi, riesce a vederla? Ah ah.
Partiamo con le domande. Si sente pronto? Ah, a proposito, lei qualche volta ha coscienza di essere tonto? Ah ah.
Aspetti solo un secondo. Riesce a pazientare? D’altronde, lei è dalla nascita addormentato, in un centro di salute mentale ben sedato. Dunque, sì, lei è un paziente che ha molta pazienza.
Mi lasci riflettere. Oh, ecco la domanda. Risponda, mi raccomando, solo dopo una profonda, lenta riflessione ponderata.
Lei è solo come un cane, nessuno e nessuna la ama, nemmeno sua madre, mio mammone, poiché sua madre ora è fortemente malata. Dato che nessuno la ama, lei qualche volta riesce ad apprezzare il film Paura d’amare o perlomeno sé stesso? Insomma, detta come va detta, pratica l’autoerotismo? Si fa qualche sega?
– Sì, qualche volta me la tiro.
– Avete sentito? Se la tira pure di brutto. Sei veramente il mio idolo. Ecco, tutti noi ti amiamo. Non odiarmi per questo ma, vedi, ti beatifichiamo e glorifichiamo qui tutti da morire. Vero, pubblico? Un bell’applauso caloroso per incitare un po’ il nostro Fleck.
E tutti assieme appassionatamente, al mio via, urlategli: bravissimo, sei un grandissimo!
Ha sentito, Fleck, che roba? Sono tutti qua in platea e anche in galleria per lei. Non è quello che voleva? Scusi, non mi mandi a fanculo, le ricordo che mi mandò piuttosto anche una lettera di auto-invito come fece Valerio Mastandrea, quando ancora non era famoso, per partecipare al Maurizio Costanzo Show…
Che vuole di più dalla vita? Ah, capisco. Il suono degli applausi non sono musica per le sue orecchie.
Perfetto. Maestro, dedichi al nostro Fleck il celeberrimo ritornello di Jovanotti:
sono un ragazzo fortunato perché m’hanno regalato un sogno. Sono fortunato perché non c’è niente che ho bisogno e quando viene sera e tornerò da te… è andata com’è andata, la fortuna è d’incontrarci ancora. Sei bella come il sole. A me mi fai impazzire…
all’inferno delle verità,
io mento col sorriso…
Sentito, mio bel giovanotto?
Mi tolga una curiosità. Riesce a vedere almeno, seduta al suo fianco, Eleonora Giorgi? La saluti, forza. Che fa? Le pare il modo di starsene impalato vicino a una signora?
Lei usa come Carlo Verdone il Borotalco? Non è che mi farà la fine invece, coi suoi auto-inganni, di Paolo Villaggio de Il volpone?
No, sa, è per chiedere. Lei è davvero Troppo forte, Un sacco bello.
– Signor Franklin/De Niro. Potrei cortesemente farle io una domanda, adesso?
– Ma certo. Non vedevo l’ora. Voleva chiedermi se potessi essere il suo unico amico come il ragioniere Filini? Ah ah. Mi dichi! Ah ah.
– No, se gentilmente mi permette, vorrei farle una domanda alla Tom Cruise di Collateral.
– Ah be’. Mi pare ovvio che lei s’identifichi con Tom Cruise. Visto che, da tempo immemorabile, sogna la sua Mission: Impossible. Ah ah, comunque chieda pure.
– Da giovane, la soprannominavano Bobby Milk per via della sua carnagione molto chiara, per via del suo pallore latteo. Giusto?
– Sì, è vero. Quindi?
– Lei ha dichiarato, nelle sue interviste, che è sempre stata una persona molto timida nella vita di tutti i giorni. Tant’è che, appunto, da giovane, l’affibbiatole nomignolo Milk forse si riferiva anche al fatto che qualche bullo, lì, nel Bronx o a Little Italy, deve avergliele suonate molte volte, cantandole pure… fatti mandare dalla mamma a prendere il latte di Gianni Morandi.
– Non capisco, signor Fleck. Che razza di domanda è mai questa?
– Infatti, questa era solo l’introduzione. La domanda è:
come mai lei nella sua vita sentimentale-sessuale ha sempre avuto una predilezione per le donne nere, per anni considerate diverse in base alla segregazione razziale che imperò negli Stati Uniti dai tempi di Amistad e non si è invece mai accorto che il suo famoso neo nero sulla guancia la rende unico?
Ecco, se ora io glielo strappassi, lei rimarrebbe sempre Robert De Niro, uno dei più grandi attori della storia.
Ma avrebbe perso la sua unicità. E sarebbe uguale a tutte le facce di merda omologate e fatte con lo stampino.
L’è piaciuta la domanda?
di Stefano Falotico
JOKER sarà presentato al Festival di Toronto, a Venezia, no? Immaginiamo il confronto fra De Niro/Franklin e Arthur Fleck/Phoenix, la causa della pazzia!
Sì, Joker di Todd Phillips è stato confermato tra i film selezionati del prossimo Toronto Fest. Avremo una pioggia di stelle, come si suol dire, una parata di star.
Tale Festival, ultimamente gemellato a quello ben più internazionale e altolocato di Venezia, sta però acquisendo sempre più maggiore rinomanza. Addirittura, soprattutto nell’ultima decade, molti attori di Hollywood lo preferiscono, appunto, alla più prestigiosa, storicamente parlando, kermesse veneziana.
Soventemente, molti dei film presentati a Toronto sono pressoché gli stessi di quelli visti in anteprima mondiale, qualche giorno prima, alla Mostra d’Arte Internazionale d’Arte Cinematografica del Lido. La quale, nonostante tutto, si riserba le world premiere, ovvero le esclusive.
Però, gli attori che ne sono protagonisti, eh già, anziché involarsi per Venezia, piuttosto che scomodarsi nel prendere l’aereo, soggiornare all’Hotel Excelsior o al Baglioni, amano di più starsene in terra natia, patria statunitense o casa, appunto, in Canada che sia… La casetta in Canadà!
Fottendosene della prima.
Joker è uno che, sinceramente, se ne fotte pure delle seconde possibilità. Anzi, fa di tutto per continuare a rimanere confinato nella sua zona folle da emarginato non plus ultra. Unico spazio nel quale si sente libero e felice, lontano da ogni porcile e condizionamento. Sopravvaluta però sé stesso, inconsapevole dei suoi evidenti limiti caratteriali, sovrastima per così dire il suo inesistente, forse soltanto inestimabile talento alla stessa maniera di De Niro di Re per una notte.
O forse, invece, la sua abissale solitudine annale, oserei dire ancestrale e spettrale, l’ha davvero reso un personaggio dalla bravura tragicomica impressionante. In verità, la massima personificata di Joyce: un uomo di genio non commette errori, i suoi sbagli sono l’anticamera della scoperta.
Soltanto che la realtà sociale, soprattutto quella dello spettacolo destinato a un pubblico di spettatori impassibili e ammaestrati, telecomandati e appartenenti alla falsa, alta borghesia, diciamo, schifosamente amabile, forse animale, un uomo come il Joker non può applaudire.
Poiché, se così facesse, cioè se s’inchinasse dinanzi alla sfavillante verve brillante di un uomo considerato di mente malato, adesso miracolosamente, sfolgorantemente rinascente, rinnegherebbe ogni principio e valore della sua casta privilegiata ed emozionalmente deficiente. Ché, sin dalla notte dei tempi, fin dai temp(l)i dei faraoni egizi, ha strutturato il mondo in una gerarchia piramidale assai tribale e vomitevole. Ove non è permesso scalare, genialmente, tale totem, sconfiggere questo moloch e arrivare al vertice se, fino a quel momento, non ci si è attenuti a un percorso corretto, politicamente.
Joker è la simbolizzazione, terribilmente mostruosa, d’ogni ipocrisia dell’uomo fintamente principesco, forsanche regale, che non accetterà mai e poi mai che una persona forse affetta da assistenzialismo possa essere a essa pedagogicamente educatrice del significato della più cordiale, solidale, umana esistenza.
Al che, gli psichiatri pagati a peso d’oro schiferanno la morale onestà del Joker perché lui, semplicemente, incarna la nemesi, da lui vivificata nella genuina purezza e nella schiettezza più nobilmente lodevole, del loro pensiero coercitivamente proteso al conformismo più materialistico e becero. Sì, lo psichiatra medio è un conformista. Non è invero molto preoccupato della salute psichica del suo paziente. A lui interessa soltanto che i suoi pazienti non diano di matto, cioè che non siano di danno, per colpa delle loro innominabili patologie, eh sì, vige il segreto professionale, dei loro disagi indomiti, per sé stessi o per gli altri. Dunque, se il loro grado di sofferenza psicologica supera un certo livello di criticità, rincarano le dosi…, fregandosene altamente. Che poi un paziente pesi trecento chili e sia totalmente (ar)reso a uno stato simile al coma vegetativo, non è che gliene freghi molto. Anzi, un cazzo. Gli psichiatri sono tutori dell’ordine prefabbricato delle cose, dei preservatori della dinastiche case delle libertà, appunto, più farisee.
Intervengono spesso coattamente a livello prima farmacologico e poi intensamente subliminale. Facendo credere al loro paziente di essere malato, in una parola semplice, ingannandolo con l’ipnosi o attraverso la forza intellettiva a mo’ di Scanner Michael Ironside. Ovvero, circuendo cattivamente e plagiando capziosamente i canali del pensiero del paziente in questione affinché il paziente stesso si convinca di essere affetto da qualche mentale distorsione patologica sempre latente. Da cui il termine strizzacervelli e anche qualcos’altro. Si prodigano di parcelle da porcelli al solo scopo che i loro pazienti vengano inebetiti da psicofarmaci contenitivi che in verità li castigano nel forno crematorio delle loro fornaci disperatamente impotenti. Ora, mettiamo invece che un tipo alla Joaquin Phoenix, anziché andare in cura da uno di questi imbonitori, venga affidato alle terapie rivoluzionarie del cosiddetto ciarlatano, simile a Dario Fo, di The Master. Sì, un tipo innovativo come Philip Seymour Hoffman.
Che cosa potrebbe accadere?
Ecco la situazione…
Fleck si presenta al talk show condotto da Franklin/De Niro:
– Buonasera, signor Fleck. Si accomodi.
– Grazie. Prego, anche se io sono ateo.
– Bene, io sono invece un arrivista-aziendalista-nazista.
– Va bene, allora io perseverò nell’esserle antifascista. Orgogliosamente fancazzista.
– Be’, onestamente, caro Fleck, lei assomiglia più che altro a Fantozzi.
– Sì, sono in effetti fan di Umberto Tozzi. Sa, prima di entrare in studio, ho ascoltato in cuffia Gloria. Io qui non cerco la fama.
– Ah sì? Allora perché s’è presentato in trasmissione? Coi soldi che le abbiamo dato per la sua ospitata, per un anno non morirà di fame. Guardi, Fleck, mi dia retta. Non chieda, finita la nostra paga, il reddito di dignità. Vada piuttosto a Roma Nord. Se la godrà pure. Continuerà a prenderlo in quel posto ma almeno non passerà per invalido. Anzi, faranno la fila e le belle fighe gli altri, messi a novanta più di lei, per usufruire carnalmente del suo reddito di cittadinanza.
Ahahahahaha, il pubblico ride di grana grossa.
– Vero, ha ragione. La valletta, qui al nostro fianco, ha fatto la stessa cosa con lei.
– Che vorrebbe dire, signor Fleck?
– Cioè che le ha dato quello che lei sa per avere nella vita, diciamo, più culo.
A questo punto compare la scritta: ci scusiamo per il disagio coi telespettatori, la trasmissione riprenderà il prima possibile.
E il sottotitolo: è una tragedia! Si prega di mantenere la calma, intanto fate zapping. Pensavamo di aver invitato un coglione e invece s’è rivelato l’incarnazione di Pier Paolo Pasolini. Perdonateci.
In futuro, c’informeremo meglio sugli ospiti, evitando figure di merda di queste proporzioni.
Sì, Joker sarà presentato a Toronto, miei tonti.
The Show Must Go On!
Credo che Joker invidi molto Jim Morrison, James Dean, Kurt Cobain, insomma gente che è morta giovanissima nel momento massimo del loro zenit percettivo della realtà. Uno dei tre succitati comunque suicida.
Che fortunati. Sì, l’età migliore, quella del massimo grado cognitivo del mondo è dai 25 anni fino ai 35, se va fatta bene.
Poi è soltanto una bugiarda accettazione della condizione umana. Una gara a chi resiste di più per non soccombere e sprofondare nell’abisso, nella perdizione irrimediabile di questo mondo angoscioso per cui filosofi, pensatori, poeti ed esseri spirituali ed elevati si sono scervellati per trovare una soluzione all’apoteosi dell’entropico disastro collettivo.
Nessuno di questi ha avuto una vita felice. C’è chi s’è ammalato di nevrosi, chi è impazzito del tutto, chi è andato a vivere sull’Everest, chi ha deciso di farla finita come Mishima, chi ha tentato, vanamente, con tutta la forza psicologica possibile, di contrastare l’orrore di cui parlava a ragion veduta Marlon Brando/Kurtz.
Sono tutti finiti male, purtroppo. Hanno voluto sfidare Dio. Pensiamo a Frankenstein.
C’è un’altra variabile che spesso molti di essi hanno universalmente trascurato.
Dio è figlio delle fantasie dell’uomo. Immaginate che roba possa essere lottare per un mondo ove il padreterno è stato partorito da chi può avere stupidamente creduto che l’uomo sia stato creato a immagine e somiglianza del creatore da lui stesso concepito.
Sono amico dei pazzi. Perché il novanta per cento di essi è incosciente di esserlo.
Dunque i pazzi hanno tutta la mia stima possibile e immaginabile.
Sono invece nemico delle certezze, delle frasi fatte, della retorica, del buonismo consolatorio e ricattatorio, del proibizionismo, dell’astensionismo dalla verità rinnegata a favore delle facili spiegazioni sbrigative, sono nemico delle speculazioni analitiche sul prossimo, del quale nessuno di noi, estraneo perciò al suo cuore e alla sua mente, potrà mai conoscere il suo vissuto e il suo vivido sentire, di conseguenza non potrà mai capirlo, semmai solo supporre, fantasticare, allestire un delirio peggiore dei deliri di chi ha preso la sua incontrovertibile, irreversibile scelta estrema.
Alla prossima.
Sperando che non sia già altrove, in un qualche aldilà, in un’altra identità, in un’altra galassia remota, distante anni luce da ogni cosmetico imbellettamento, da ogni (s)truccato balletto.
Da ogni imbecille, turlupinante trucchetto.
Da ogni adulto che si comporta da bimbetto e da ogni bimbetto che si atteggia ad adulto per fare lo stronzetto.
Vado a dormire, ascoltando il grande Daniele Silvestri.