Posts Tagged ‘Ewan McGregor’

Cos’ho imparato dalla vita? Che Johnny Depp e Brad Pitt sono indubbiamente belli e fotogenici, altresì ho appreso di possedere un fascino da Dean Corso de La nona porta, anche da James Dean e basta


16 Aug

nona porta depp

Sì, senz’ombra del diavolo, no, del dubbio… credo di essere il figlio di Mia Farrow di Rosemary’s Baby, geneticamente possiedo l’autoironia intellettuale d’un John Cassavetes ante litteram, ho scoperto di non essere misogino, neppure misantropo, eppure preferisco l’originale Sharon Tate alla Margot Robbie di C’era una volta… a Hollywood. Adoro inoltre tutti i film di Roman Polanski, compreso lo stupendo e sottovalutato, per l’appunto, L’uomo nell’ombra.

Ultimamente, mi stanno perfino proponendo dei lavori da Ghost Writer e la mia attuale lei sostiene che alcune mie espressioni le ricorda/ino Ewan McGregor.

Ora, non esageriamo. Ewan è molto più alto di me, sebbene il McGregor di Big Fish sia spiccicato al sottoscritto. Ah ah.

Sì, sono sempre stato uno storyteller, un inventore di trame spesso fantasiose, autore di libri che oscillano fra il thriller e il fantastico in maniera meravigliosa. Libri la cui prosa, barocca-gotica, ricolma di qualche stronzata, di voli pindarici dei più azzardati e descrizioni minuziose, gioca sulle emotive, soventemente vergognose, perlomeno inconfessabili sensazioni interiori che ognuno di noi vive anche se spesso nasconde per timore di cascare nella ridicolezza, diciamo nel ridicolo. Non poetizziamo troppo, suvvia.

In quest’ultima decade, ho affinato spaventosamente la mia allure da uomo decadentista. Molte volte, inoltre, sono stato dal dentista. Sapete com’è… a forza di mangiare il gelato al cioccolato, è spuntata qualche carie. Non vi preoccupate, basta una bella e approfondita igiene dentale e, se qualche vecchia cariatide, la quale non comprenderà la vostra giovinezza eterna da Johnny Depp, il quale a sua volta è sicuro che abbia pattuito un contratto faustiano per conservare la sua immacolata beltà pulita da elisir di magnifica, lunghissima vita, dicevo… se delle cariatidi, non comprendendo le ribalde vostre sensuali gagliardezze da ragazzi maledetti, vorranno sbattervi in un centro di salute mentale, sbattetevene.

Ecco, Johnny Depp non è un uomo normale. Credo che ogni psichiatra del pianeta Terra non possa contraddirmi in merito. È infatti inconfutabile il fatto inequivocabile che, se un uomo, nella sua vita riesca a fare all’amore con Winona Ryder e chi più ne ha ne metta di super femmine da spot Calzedonia con tanto di eleganza da donne d’alta classe recitativa che lavorarono perfino con Scorsese e Coppola, riuscendo nel frattempo a lavorare con Kusturica, sia un genio assoluto.

Metteteci pure che Depp, oltre a possedere una bellezza dionisiaca, oserei dire idilliaca da far impallidire, anzi, arrossire-arrossare, finanche bagnare ogni essere dotato di estrogeni del nostro mondo, è pure chitarrista-bassista apprezzabilissimo, ecco, possiamo affermare insindacabilmente che Johnny non appartenga alla razza di animali così come praticamente tutti i cosiddetti uomini del globo terrestre. Comunque, non sono omosessuale, sono eterosessuale. A Depp e a Brad Pitt, preferisco Amber Heard. Dato che è in causa giudiziaria col Depp, la contattiamo subito su Instagram per vedere quello che si può/possa fare…

Sì, voglio segnalarla. Non si doveva permettere di rompere i coglioni a Johnny. Come direbbe Sgarbi, andasse a dar via il c… o. Diciamo, comunque, che una remotissima possibilità che io possa sbaciucchiarla c’è. Non ridete. Mantenete un contegno, non date spettacolo.

Sono più cinico di Polanski, sono molto più giovane di Depp e, oltre a essere l’unico attore di me stesso, dono riservato forse solo a Dio, sono uno scrittore amabile e un mezzo-doppiatore dalla voce e gola profonda cavernosa da cavernicolo facilmente troglodita di corpi cavernosi dilatati dinanzi a ogni selvaggia come Amber, indosso tutti i miei fallimenti esistenziali col savoirfaire dell’uomo che non deve chiedere mai… alla Caritas e all’assistenza sociale poiché non è un comune idiota che non ha mai visto Gli invisibili con Richard Gere, non è un uomo che scriverà patetici opuscoli e vademecum intitolati Recupera la tua autostima, guardandoti allo specchio e capendo, obiettivamente, che non sei Depp e Pitt ma non sei nemmeno un cesso della Stazione Termini, non è uomo che ci tiene/tenga a dimostrare di esserlo, esibendosi in linguacce su Instagram al fine che qualche tonta e sciocchina possa abboccare alle sue smorfie da Fabrizio Corona dei poveri che va(da) compatito e soprattutto preso a sberle non sventole come la Belena e la Heard, non è un uomo che vuole/voglia arrivare subito al dunque, eh sì, non soffro/e di eiaculazione precoce, non è un uomo perbene, no, per niente. Possiede/o l’anima mirabile di Elephant Man e la cultura di Frederick Treves e di Hannibal Lecter.

Questi sono super uomini alla Nietzsche, cazzo.

Dunque, in un mondo in cui molta gente pensa che Pamplona di Fabri Fibra featuring Thegiornalisti sia una canzone che dica il vero sull’attuale porcile della società, svelando chissà quali segreti del nostro contemporaneo status penoso e puttanesco di volpi, lupi, cani e porci, feriti ed ammazzati, uno come me può solo adorare il film Scappo dalla città – La vita, l’amore e le vacche, stare con una donna magnifica che si distingue/a principescamente da qualsiasi donna oramai svaccatasi, può inevitabilmente soltanto essere un recensore di Cinema più ricercato dell’Indio di Per qualche dollaro in più, un writer amante di Clint Eastwood dal carisma mille volte superiore a ogni Sean Connery/James Bond, con tanto di stempiatura da alopecia androgenetica del testosterone caldissimo, un uomo che ne sa una più del diavolo di The Ninth Gate.

Sì, il diavolo non esiste. Non esiste neanche dio, purtroppo. E Il Signore del male di John Carpenter, assai sottovalutato ai tempi della sua uscita, è uno dei film più belli del mondo.

Sicuramente più bello di Johnny Depp e Brad Pitt.

Di mio, faccio quello che posso. Ho acquistato un giubbotto da Wish. Mi sta benissimo. Perché l’ho comprato? Perché fa figo? No, perché costava poco ma fa la sua porca figura da Al Pacino di Serpico. No, non è un chiodo da Cruising. Non provateci… Allocchi, non sono Lefty di Donnie Brasco.

E questo è quanto.

È finito ferragosto, è finita domenica, sta finendo l’estate e fra poco inizierà il Festival di Venezia ove parteciperò in veste di accreditato stampa. Venerdì prossimo, invece, dovrò lavorare all’editing del mio nuovo romanzo scritto in stream of consciousness. Libro di circa 500 pagine. Al che, incontrerò la mia lei. Qui, la vita si sta facendo molto, molto dura. Teniamo duro.

L’importante è raccontarsela un po’, non mentendo però sul fatto assai reale, tangibile in due tre miei sex tape privati che, nella mia vita, ho/abbia fatto all’amore con tre ragazze diverse, una più bella dell’altra. La terza, quella di ora, è molto più bella di Amber Heard. No, non sono un attore hard, non sono affatto matto, ballo benino il Tango, la mia lei è insuperabile col tanga e di tanto in tanto però non valgo un cazzo. Come tutti. Non mi pare un problema insormontabile.

Ora, come ho fatto a conquistare la mia lei? Le scrissi… sei una gran figa. Lei apprezzò tantissimo e non la reputò affatto una volgarità.

Anzi, mi disse: – Di solito, ci provano viscidamente, scrivendomi… complimenti, sei una donna molto bella. Sono degli ipocriti di merda. Tu sei stato alquanto diretto.

Io: – Sì, sono stato spudorato. Peccato che io non sia bello come te.

– Sì, fai veramente schifo. Non ti si può vedere. Se fossi in te, quando vai in giro, indosserei in viso un telo da Joseph Merrick?

– Perché mai? Sono, sarei un mostro?

– No, sono gelosa da morire.
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di Stefano Falotico

Credo di essere l’unico uomo, ammesso che lo sia, a cui piace Colin Farrell


13 Apr

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Ecco, uno screenshot del mio WhatsApp che non lascia dubbi.
Naturalmente, il nome della mia amata rimarrà nel mistero per molto tempo.

amore

Ora, che mi crediate o no, sono stato nuovamente travolto da quello strano, oserei dire perfino pericoloso sentimento chiamato amore. Dopo anni d’ibernazioni, di castighi impostimi, di repressioni perfino auto-indottemi, anzi, prescrittemi pure farmacologicamente da uomini che si credettero dotti o semplicemente denominati dottori, dopo le mie peripezie romantiche più e più volte narratevi con certosina, minuziosa cura di particolari un po’ romanzati, sebbene assai veri e addirittura lacrimosi, sì, poiché amare significa spesso ingelosirsi a morte e soffrire dunque, per forza, immensamente nel proprio (di)strutto cuore, questo sentimento è tornato potente a invadermi l’anima di ardore furente.

Sebbene mi mascheri da cinico nichilista assai ritroso, anzi, perfino irriguardoso nei riguardi dei sentimenti normalmente appartenenti all’animo umano più caloroso, poiché mi piace tirarmela da alienato scontroso, spacciandomi anche per ferito emarginato odioso, posso garantirvi che neppure Stanley Kubrick fosse davvero un misantropo immisericordioso.

Basti vedere come, in maniera adorante, muovendo la macchina da presa grazie al suo operatore impassibile, in quanto educato sin troppo perbenisticamente come il figlio di Barry Lindon, riprese il culo morbido e basculante di Nicole Kidman in Eyes Wide Shut, sognando in cuor suo di farvi all’amore illimitatamente da vero lupo alla Jack Torrance di Shining.

Poi, Kubrick fu sposato e visse nelle campagne londinesi, cazzeggiando spesso a raccogliere fiorellini e margherite fra l’elucubrare un progetto irrealizzato come Napoleon(e) e la sua Sant’Elena da autoesiliato.

Ora, da tempo immemorabile, vivo d’una sessualità ambigua. Anzi, è così talmente marcata la mia eterosessualità piuttosto pronunciata che malfidati m’appioppano patenti da omosessuale marchiato.

Io non sono omofobo e non nutro alcun pregiudizio riguardo i gay.

Ma credo che sia indubitabile la mia passione per le donne.

Più evidente delle sopracciglia foltissime e dello sguardo penetrante e immediatamente ficcante di Colin Farrell.

Devo esservi sincero. Per anni soffrii di complessi di colpa da Farrell di In Bruges. Con la sola differenza che lui davvero, in questo film, ammazzò un uomo.

Di mio, ammazzai me stesso.

La mia fu una vita contemplativa di natura malickiana alla The New World.

Pensai di essere Alexander ma furono gli altri a magnare me. Sì, dei magnoni. Comunque, ogni estate lecco il Magnum, gelato ricoperto di cioccolato.

Cioè Colin Farrell. Sì, il famoso gelato dell’Algida è in verità Colin Farrell con la stecca al posto di qualcos’altro.

Colin fu amante prelibato e donò dolcezze succhianti e cremose a donne morbide e deliziose, in una parola sfiziose.

Ma Colin non fu mai né un vizioso né un ozioso. Lavoratore infatti è, a tutt’oggi, instancabile e duro. Parsimonioso!

Per anni fui anche stalkerizzato dal Kiefer Sutherland di In linea con l’assassino.

Vale a dire un burino infame che visse, nei miei confronti, della perenne Regola del sospetto.

Mi diede la patente di cieco come Daredevil. Mah, più che un Bullseye, questo qui fu solamente un bullo del cazzo.

La vita è dura e non si vive solo di scherzetti, miei belli. Altrimenti, finiremo tutti Sotto corte marziale.

La donna di cui sono innamorato sostiene che, più che a Colin Farrell, il mio sguardo assomigli a quello di Ewan McGregor. Di Sogni e delitti? No.

Ewan è molto più alto di me ed è più biondo che castano. Io sono castano tendente al rosso di sera bel tempo si spera. E da parecchi anni non mi reco al mare ove potrei abbronzarmi e far sì che i raggi solari schiariscano i miei capelli ma soprattutto il mio umore spesso nero.

Fui anche indagato come Tom Cruise di Minority Report.

Ve lo do io Dumbo e Il sacrificio del cervo sacro. Film con Colin e la solita Kidman Nicole.

Ecco, tantissimi anni fa mi successe una cosa allucinante.

Uscii con un amico che mi lasciò da solo con sua moglie e tutte le sue amiche come ne L’inganno.

Una situazione veramente imbarazzante e, in tal caso, non gliel’avrebbe potuta fare nemmeno Clint Eastwood de La notte brava del soldato Jonathan.

Fui preso anche per Harry Potter. Invero, sono più simile ad Artemis Fowl. Sì, una mente geniale che sabota però il mio corpo bestiale.

Al che, ucciso dalla mia stessa malinconia, folleggio da Kenneth Branagh che recita il celeberrimo monologo essere-non essere di Hamlet.

Amici, vi garantisco che passai momenti di crisi incazzate da Colin Farrell di True Detective 2.

Molti mi chiedono se io voglia dei figli. Sì, è bellissimo avere dei figli. Peccato che possano avere dei problemi come il figlio di Colin nella succitata serie televisiva scritta da Nic Pizzolatto.

Crescendo, bullizzato in quel modo, quel ragazzo si sarebbe ribellato. Sviluppando facoltà sensitive da Farrell di Premonitions.

Io evitai la psicopatia e la pericolosa pazzia, amando la musica country da Tommy Sweet di Crazy Heart.

E ho detto tutto.

Non sono l’immaginario Tony 3 di Parnassus – L’uomo che volle ingannare il diavolo ma anche Tom Waits non è male.

Non sono nemmeno il futuro Pinguino di Batman anche se, tre anni fa, divenni un po’ pingue e credo di essere Joker.

Mio padre avrebbe amato se mi fossi laureato in Legge, diventando un ricchissimo George Pierce di End of Justice.

Invece, depositai legalmente due miei libri che sputtanarono tutto il sistema d’ingiustizie su cui si basa la società, la psichiatria e l’economia del mondo odierno come Denzel Washington dello stesso film succitato.

Quindi, sono Colin Farrell nel finale di questa pellicola. Ah ah.

In verità vi dico che né io né voi dovete provare invidia per Colin Farrell. Non è solo indubbiamente bello, secondo me è anche un grande attore.

Da piccolissimo, ebbi comunque le orecchie a sventola. Poi, diventai un clown da circo.

Eppure ammaestro ogni leone con far da volpone, qualche volta son ancora coglione e minchione eppure sempre mantengo intatto un fascino più che da omone da uomo dai sani ormoni.

Per quanto riguarda le vecchie acredini, meglio finirla.

Al galoppo, amici.

Basta con le rotture di cazzo.

Colin+Farrell+Premiere+Disney+Dumbo+Arrivals+ggmn3shmZ3cl

 

di Stefano Falotico

 

Nell’oscura apoteosi dei nostri sogni giocosi, viviamo finalmente dello Shining che gode l’estasi dell’esistenziale nudità falotica


02 Nov

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Sì, è uscito Doctor Sleep, scemenza alquanto trascurabile, un film farlocco che terrorizzerà soltanto gli allocchi. Sì, quei ragazzi che, per fare colpo sulle oche, cioè le brutte tipe, non so se invece grosse tope, di Full Metal Jacket ricordano solo la marcetta di Topolin, topolin, evviva Topolin(o).

Sì, per molto tempo fui denominato Stefanino. Poiché venni attorniato da adulti saccenti, invero dementi. Ché degli adolescenti guardano solo se rispettano le composte certezze del perbenismo più ipocrita, pianificando la vita dei poveri lori figli secondo un regolatore piano guerrafondaio fatto di moralistici ricatti e dure imposizioni al fine di creare i futuri leader di una società classista, oserei dire nazifascista.

Improntata al vile culto virile della potenza più atrocemente maschilista. Egomaniaca e solipsista ad aderire all’unico credo di voler adattare la realtà, quindi anche il prossimo, a immagine e somiglianza dei loro Orizzonti di gloria.

Nauseato precocemente da tutto ciò, da tali assurdi precetti farisei assai pericolosi, me ne estraniai con impari arroganza. Poiché, piuttosto che conformarmi a questa sociale violenza (dis)educativa, preferii planare in stati apparentemente dormienti di coscienza. In realtà, metafisicamente già elevati rispetto a tale porcile di fradici, irredimibili bastardi. Cerebrali? No, cerebrolesi. Inutile che continuino a mangiare i cereali per crescere sani. Non sono dei santi, sono forse dei salumieri.

Io invece fui oltre, già distanziato anni luce da questo godereccio mondo immondo.

Perciò, fu chiaro che chicchessia, dagli appena succitati adulti pasciuti e panzoni sin ad arrivare ai miei coetanei già laidi e nell’anima putrefatti anzitempo, squagliatisi e immersisi nell’indottrinamento più duramente stronzo, mi vedesse come nano.

Figurarsi quando rivelai che fui e sono tutt’ora invincibilmente un amante dell’onanismo in ogni sua forma godibile. Poiché vivo d’emozionalità che soventemente non combaciano con le animalesche, plastificate emozioni del novanta per cento della gente.

Persone che basano basa la loro prospettiva esegetica della vita, abboccando agli ordini consumistici indotti loro dalla televisione. Poiché They Live. Invero già sono morti nell’anima da tempo immemorabile.

Ammetto, con profondissimo orgoglio, rinnovando le mie non tanto sentite condoglianze alla maggioranza d’un mondo verso il quale, essendo questo già perito e sepolto vivo, non verserò nessuna lacrima amara, che non sono cambiato più di tanto.

Malgrado anch’io cedetti alla lussuria per colpa d’un (im)puro capriccio, prodigandomi allo sverginamento di me stesso, acco(r)dandomi estemporaneamente al piacere sessuale condiviso, debbo constatare, toccandomi il costato e dunque sentendo ancora bruciare le ferite di tale mia scelta dagli altri forzata, che non servì a un cazzo.

Poiché solo quando dormo nei miei sogni sono grande e so trasfigurare fantasiosamente, in maniera eccelsa, la crudezza insalvabile di un’umanità bestiale.

Quando invece mi sveglio come tutti, piegandomi a un lavoro normale e costipandomi nella terrificante mansuetudine buonista, cado in depressione abissale.

Il vostro sarcasmo mi ripugna. I vostri sorrisini fake e le vostre pose da guardoni sospettosi mi spingono, infatti, sempre più ad alienarmi da voi.

Riprendo in mano la moltitudine di libri da me scritti in questi anni. Rimango io stesso esterrefatto e ipnotizzato dinanzi a qualcosa di così grandiosamente (ir)reale da lasciarmi davvero (s)finito.

Insomma, con buona pace dei miei detrattori e degl’imbattibili, ostinati invidiosi, io a questo mondo ho fornii, non so se ancora fornirò, una nuova visione luccicante.

E questo è quanto.

Se non gradite, domani è domenica. Andate a pregare il vostro dio e, il mattino dopo, continuate nelle porcate.

Tanto, ricordate: la Madonna v’accumpagn’.

Statemi buon’, ritardati.

Sì, ne ho viste cose che voi umani non potreste nemmeno immaginare.

 

di Stefano Falotico

Doctor Sleep sono io, un tempo fui anche un grande calciatore ma lessi Stephen King e divenni Ewan McGregor di Big Fish


14 Jun

doctorsleep poster

Indubbiamente, nel mio passato vi è un carnet di trofei mica male. Non ho molte donne da esporre però di campionario, diciamo. Nel sessuale campionato, ho giocato sempre in panchina.

Sì, da ammiratore sconfinato che sta seduto in mutande e applaude gli altri che ficcano le palle sotto le traverse di donne che sanno come marcare a zona i mediani dei sensuali giochi balistici. Li spompano. Queste qui stanno inizialmente in difesa, adottando la strategia delle terzine. Invero, in cuor loro, vogliono la tua doppietta, anche la tripletta ma, appena si sentono attaccate perché, semmai, le brami con troppa foga, dribblano ogni tua avance e frenano ogni tua tattica seduttiva troppo spinta.

Io sono uno che non ama troppo fare il centravanti di sfondamento con queste. Mollo subito. E chiedo il cambio.

Sì, io sono sempre stato un tifoso delle fighe altrui. Campione del mondo, dunque, della mia sfiga.

Ho sempre inneggiato al mio fuorigioco in quel campo… lì.

Mi son salvato però in corner. Anni fa incontrai una che mi fece del pressing. Sì, da parte sua ricevetti un corteggiamento sfiancante più degli allenamenti di Zeman.

Voleva che le corressi sempre dietro anche se, di mio, avrei preferito guardare una partita alla tv. Lei di me era patita, partitissima.

Adorava i miei quadricipiti. Che aveva adocchiato in un video ove, incazzato nero, mi strappai la maglietta, mi denudai e fui da me stesso ammonito poiché mi colpevolizzai di aver rovinato una divisa costosa quasi quanto il cachet di Cristiano Ronaldo.

Lei non mi espulse. Anzi, ebbe fiducia in me e volle fortissimamente che cacciassi il mio fendente in mezzo alle sua calze per gonfiarla/o.

Così, in zona Cesarini, all’ultimo minuto scop(pi)ai. Non fui velocissimo come Marco Di Vaio ma come Francesco Totti a fine carriera. Sì, ebbi l’orgasmo dopo novanta minuti più recupero dei miei polmoni asfissiati. Lei desiderò i supplementari ma le dissi che dovevo per un po’ interrompere per riprendere fiato nello spogliatoio, cioè in bagno. Quindi, mi recai in cucina e bevvi un tè caldo. Non che con lei fossi rimasto parzialmente vestito ma necessitai di curarmi, intimamente, dal suo fallo di aver scorrettamente sgambettato senza fair play. Sì, mi tirò… dei calci durante la prestazione e dovetti chiamare un medico con la barella. Leggasi ambulanza.

A parte gli scherzi, fu una finalissima semi-fallimentare, appunto. Lei stravinse e io arrivai secondo. Sì, come detto, la mia eiaculazione fu tardiva e lei mi batté 4-1. La verità comunque è che mi sverginai a Porretta Terme. Ove le mogli degli allenatori, quando questi ultimi di domenica danno le direttive ai loro giocatori, praticano massaggi idratanti con la crema detergente di amanti per un riscaldamento extratime, molto anti-coniugale e poco sportivo.

Sì, io sono rimasto sostanzialmente un puro, il bambino di Shining. La maggior parte di quelli della mia età hanno trovato una moglie affettuosa come Shelley Duvall. Con la quale, per non avere rotture di attributi, si sono ritirati in qualche Overlook Hotel. Lavorando da casa, in solitaria. Sono quasi tutti impazziti. E ora li vedo di notte al bar a parlare da soli…

Sì, può darsi che mi sposerò una come Jessica Lange di Big Fish. Lei adorerà e adotterà la mia follia e io continuerò a inventare storie incredibili senza perdere la testa come Jack Nicholson.

Avevo visto giusto di luccicanza… del matrimonio… fottetevene. Siate, diciamo, fantasiosi.doctorsleepfalo doctorsleep

 

di Stefano Falotico

 

big fish

Il buio oltre la senape


10 Jul

Duvall buio oltre la siepe

L’avete visto questo memorabile film con Gregory Peck? Il buio oltre la siepe? Ah, non domandatelo a me. Io guardo tutto ma spesso non rammento quando lo vidi, e se lo vidi. Può darsi che in qualche scantinato della memoria, eh sì, da scardinare, giaccia nei suoi recessi la visione di questo film per cui Peck vinse il suo unico Oscar. Sì, Peck in questo film non sbagliò neppure un mezzo tono recitativo, fu impeccabile, insomma Peck non steccò e non peccò. Eh eh.

Ora, cos’è il buio oltre la siepe? Il “buio oltre la siepe” rappresenta l’ignoto e la paura che genera il pregiudizio. Secondo Wikipedia.

E voglio, a tal proposito, raccontarvi una breve storia che spero possa farvi riflettere sulla scellerata imbecillità che nasce dai più ignoranti e oscurantistici sospetti.

Anni fa, nel mio quartiere, conobbi un ragazzo. Avrà avuto sui diciassette anni. Mi fu di primo impatto immediatamente molto simpatico ma agli altri suoi coetanei, invece, appariva tutt’altro che una persona affabile o della quale potersi fidare. Insomma, agli occhi dei suoi coetanei pareva mattoide, strambo, inaffidabile. Una persona da prendere poco seriamente, da schivare e con cui, se proprio uno era costretto a scambiarci quattro chiacchiere, da trattare con la più bieca e pusillanime indifferenza. Con la tronfia ribalderia di chi lo guarda dall’alto in basso e sogghigna dinanzi alle sue parole, con l’aria inconfutabilmente di chi, mal giudicandolo a priori, ridacchia sotto i baffi e in cuor suo lo disprezza oppure, ancor peggio, ingenerosamente lo blandisce.

Questo ragazzo, in effetti, di primo acchito poteva sembrare un po’ spostato e picchiatello. Non voglio ammettere che non apparisse così e, inevitabilmente, se uno vi fosse entrato in contatto e, superficialmente, aveva la pretesa d’inquadrarlo, be’, non si può certo dire che si trovava di fronte a uno a postissimo, come si suol dire.

Uno che, per motivi però assolutamente leciti e personali, aveva deciso d’estraniarsi dai suoi coetanei, molto riservato, taciturno ai limiti quasi del mutismo. Tanto da scatenare in chi lo guardasse di sfuggita dei sentimenti derisori o sdegnosi.

No, proprio questo qui non voleva saperne di stare assieme a quelli della sua età. Ed era altresì convinto che una scuola superiore non potesse fornirgli strumenti utili alla comprensione della realtà più di quanto già la sua anima e la sua mente stavano privatamente, da auto-didatta, apprendendo. Anzi, riteneva con estremo orgoglio e perfino insopportabile superbia, che le lezioni scolastiche in qualche rigida scuola classicista e classista, come lui definiva i ginnasi e i licei, avrebbero solo coartato la sua libertà di pensiero, e avrebbero intorpidito la sua anima scioltamente romantica, sognante e profondamente viva. Perché in quelle scuole, istitutrici a suo avviso di un sapere retorico, falso e malinconico, avrebbe incendiato il suo cuore nell’ottundimento nozionistico più triste e pedante. Avrebbe lacerato la sua indole scoppiettante e fulgidamente creativa, quasi futuristica, nell’imbrigliarla in un apprendimento manicheo e improntato solamente a precetti distorsivi. E si sarebbe allineato al carnascialesco porcile adolescenziale di ragazzetti futilmente ambiziosi e vanagloriosi, tacendo le sue vere, fluide e più sentite emozioni, avrebbe omologato la sua unicità per contentare un fallace parametro di finta allegria culturale, debosciata e già istruita al cinismo competitivo.

Eran gli altri quelli ottusi che non capivano il suo stile di vita appartato e ritirato, e dunque lo scambiavano per mattoide. E, da dietro, gli affibbiavano gli appellativi più infamanti e indignitosi, stando ben attenti a non volerlo conoscere davvero. Perché in quella casa immersa in un giardino, su cui svettavano alberi un po’ lugubri e germogliavano arbusti cespugliosi, secondo quei ragazzi abitava una specie di stregone nero, un essere diverso dagli altri. Che a loro suscitava tenerezza, misera compassione e addirittura paura.

Perché quel ragazzo non voleva saperne di stare in compagnia dei suoi coetanei e passava le giornate a guardare film dalla mattina alla sera, spericolatamente inventando e allestendo teorie sulla settima arte?

Ah, inaccettabile. Certamente c’era qualcosa che non andava. Forse quel ragazzo, per ritrosia e pudore, non voleva ammettere a sé stesso e agli altri che con tutta probabilità era affetto da qualche malattia oscura.

No, non era possibile che volesse vivere così. E, ammesso che non soffrisse di niente, il suo atteggiamento era figlio soltanto della vigliaccheria, della tristezza assoluta spacciata per chissà cosa. Povero scemo illuso!

Ah, gli stavan scappando dalle mani gli anni migliori, e troppa cerebrale spensieratezza, se non la si palettava subito con prontezza, l’avrebbe fatto scivolare nella più sciocca timidezza e nella pericolosa demenza. Ma che scemenza, ma sì, il suo volersi isolare e rintanare in quel castello di sogni e bramosie fugacemente stolte.

No, quel ragazzo non ci stava con la testa!

E su di lui cominciarono ad aleggiare molte fantasie e storielle.

Sì, quei ragazzi si riunivano da McDonald’s, in pieno centro cittadino, e gozzovigliando di patatine… e salse, coi loro paninoni ben farciti di colante senape stuzzicante, ne inventavano di cotte e crude su quel ragazzo.

E gli attribuirono poteri cataclismatici arrecatori di disgrazie e sfortune. Sì, se a uno di loro qualcosa andava male, se uno di loro aveva bucato la gomma del motorino o aveva fatto cilecca con la sua ragazza, incolpavano quel ragazzo, responsabile secondo loro, con la sua stregoneria, di aver fatto accadere lo spiacevole evento.

Un bel giorno, una ragazza del quartiere fu ritrovata in fin di vita nel parco comunale. Era stata malmenata e picchiata. E la comunità del luogo attribuì la colpa a un ragazzo di colore che era stato avvistato più e più volte in compagnia di quella ragazza. A mettere in giro la voce che fosse stato questo nero ad aver abusato della ragazza, fu uno di quei ragazzi del McDonald’s, uno studente modello, baldanzoso, aitante, di cui tutti ciecamente si fidavano, senza aver il minimo dubbio che potesse mentire o avesse, per maligno diletto, creato una calunniosa fantasia a mo’ di puro, sadico sfregio. E la gente cominciò a evitare quel ragazzo nero, emarginandolo e riempiendolo di pesanti, volgarissimi, ripugnanti insulti.

Quel nero fece amicizia col ragazzo che viveva nella “siepe”. E, col trascorrere dei mesi, il nero e il ragazzo della siepe divennero grandissimi amici. Incitandosi a vicenda nel portare avanti con passione sfrenata i loro sogni. Il nero voleva diventare un attore, il ragazzo uno sceneggiatore. Seppure, a eccezione di loro stessi, non avessero altri amici, perché uno era sotto “indagine” dalla comunità, l’altro era da una vita che nessuno voleva vedere e stare ad ascoltare.

Una sera, il nero e quello della siepe si misero a fumare e a parlare dei loro progetti, a tarda notte, in una panchina del parco. Al che udirono delle grida di donna. Si precipitarono di tutta fretta verso la direzione da cui le urla arrivavano e, dietro un cespuglio, videro con grande stupore e sgomento una ragazza coperta di sangue che adesso sussurrava loro di acciuffare colui che l’aveva aggredita. E disse loro che quell’aggressore era fuggito e ora era tornato nel suo appartamento. La ragazza rivelò loro come si chiamava.

Era quel perfetto ragazzo inappuntabile e così all’apparenza integerrimo, il leader di quelli del Mc.

Ora, il nero e quello della siepe avevano ora capito chi si celava dietro quella maschera di ragazzo fighetto e rispettato da tutti.

Un pazzo che ostentava grande gioia di vivere e che parlava in maniera forbita e coltissima. Colui che aveva messo in giro quelle voci false a cui tutti però avevano prestato fede, pendendo in adorazione dalle sue labbra dispensatrici di verità assoluta e incontrovertibile. Non poteva essere stato lui ad aver aggredito quella ragazza, e forse pure quell’altra ragazza.

Ma che scherziamo, su? Ah, non crederò mai che sia stato lui. Dai, son robe da matti…

Lui? Proprio lui? Così ricco dentro e fuori, lui estroverso bon vivant sempre felicissimo?

Lui, sì, l’incarnazione del buio oltre la senape…

 

Seconda versione

Anni fa, nel mio quartiere, conobbi un ragazzo. Avrà avuto diciassette anni. Mi fu di primo impatto immediatamente molto simpatico ma agli altri suoi coetanei, invece, appariva tutt’altro che una persona affabile o della quale potersi fidare. Insomma, agli occhi dei suoi coetanei pareva mattoide, strambo, inaffidabile. Una persona da prendere poco seriamente, da schivare e con cui, se proprio uno era costretto a scambiarci quattro chiacchiere, da trattare con la più bieca e pusillanime indifferenza. Con la tronfia ribalderia di chi lo guarda dall’alto in basso e sogghigna dinanzi alle sue parole, con l’aria inconfutabilmente di chi, mal giudicandolo a priori, ridacchia sotto i baffi e in cuor suo lo disprezza oppure, ancor peggio, ingenerosamente lo blandisce.

Questo ragazzo, in effetti, di primo acchito poteva sembrare un po’ spostato e picchiatello. Non voglio ammettere che non apparisse così e, inevitabilmente, se uno vi fosse entrato in contatto e, superficialmente, aveva la pretesa d’inquadrarlo, be’, non si può certo dire che si trovava di fronte a uno a postissimo, come si suol dire.

Uno che, per motivi però assolutamente leciti e personali, aveva deciso d’estraniarsi dai suoi coetanei, molto riservato, taciturno ai limiti quasi del mutismo. Tanto da scatenare in chi lo guardasse di sfuggita dei sentimenti derisori o sdegnosi.

Da dietro, costoro gli affibbiavano gli appellativi più infamanti e indignitosi, stando ben attenti a non volerlo conoscere davvero. Perché in quella casa immersa in un giardino, su cui svettavano alberi un po’ lugubri e germogliavano arbusti cespugliosi, secondo quei ragazzi abitava una specie di stregone nero.

E su di lui cominciarono ad aleggiare molte fantasie e storielle.

Alcuni ragazzi si riunivano da McDonald’s, in pieno centro cittadino, e gozzovigliando di patatine… e salse, coi loro paninoni ben farciti di colante senape stuzzicante, ne inventavano di cotte e crude su quel ragazzo.

E gli attribuirono poteri cataclismatici arrecatori di disgrazie e sfortune. Se a uno di loro qualcosa andava male, se uno di loro aveva bucato la gomma del motorino o aveva fatto cilecca con la sua ragazza, incolpavano quel ragazzo, responsabile secondo loro, con la sua stregoneria, di aver fatto accadere lo spiacevole evento.

Un bel giorno, una ragazza del quartiere fu ritrovata in fin di vita nel parco comunale. Era stata malmenata e picchiata. E la comunità del luogo attribuì la colpa a un ragazzo di colore che era stato avvistato più e più volte in compagnia di quella ragazza. A mettere in giro la voce che fosse stato questo nero ad aver abusato della ragazza, fu uno di quei ragazzi del McDonald’s, uno studente modello, baldanzoso, aitante, di cui tutti ciecamente si fidavano, senza aver il minimo dubbio che potesse mentire o avesse, per maligno diletto, creato una calunniosa fantasia a mo’ di puro, sadico sfregio. E la gente cominciò a evitare quel ragazzo nero, emarginandolo e riempiendolo di pesanti, volgarissimi, ripugnanti insulti. O ancor peggio evitandolo.

Be’, le malignità non vengono esplicitate attraverso gesti eclatanti, lo sapete meglio di me, ma vengono perpetrate con la più sfrontata ipocrisia.

Era estate, e quel nero, dopo aver passato tutto il pomeriggio a studiare, decise di concedersi una bella boccata d’aria e farsi una passeggiata.

Passeggiava sul marciapiede…

– Buonasera, signora Petri.

 

Non ottenne nessuna risposta e la signora Petri continuò a tirar dritto.

“Mah, è quella della cartoleria, ah, povera donna, sarà così tanto presa dalle sue preoccupazioni che non mi ha visto neanche passare”.

Dunque, il nero entrò in una gelateria.

 

– Un gelato stracciatella e pistacchio.

– Ci dispiace, stiamo chiudendo.

– Be’, sì, lo so. Sono l’ultimo cliente. Ma per trenta secondi in più non muore nessuno, no?

– Come lo vuoi questo gelato?

– Gliel’ho detto. Stracciatella e pistacchio. Nel cono da 2 Euro.

– Ecco, tieni qua.

– Scusi. Questo è il cono da 4 Euro e mi ha messo fragola e limone.

– Be’, scusami. Stiamo chiudendo. Sono stanco. Che vorresti? Che buttassi questo gelato e te ne facessi un altro? Oramai è andata, tanto fragola e limone sono buoni.

– Ah, certo. Ma io ho solo 2 Euro in tasca.

– Ah sì? Tu, bello mio, mi hai chiesto un cono da 4 Euro.

– No, veramente no.

– Che fai? Mi prendi per il culo? Dammi i 4 Euro, subito, o chiamo la polizia.

– Non ho 4 Euro.

– Non hai 4 Euro? E tu giri per strada senza avere un soldo in tasca?

– Ho fatto solo una passeggiata. Non è vero che non ho i soldi per pagarle il gelato. Ho i due Euro per il cono che le avevo chiesto.

– Io chiamo la polizia.

– Guardi, i due euro mancanti glieli do domani. Tanto mi conosce, sono un cliente abituale. Sa pure dove abito. E poi per 2 Euro non farei una tragedia.

– Non m’interessa un cazzo! Io voglio i 4 Euro. O me li dai adesso o chiamo la polizia.

– Ma la polizia riderebbe. Non può denunciare uno per 4 Euro.

– Infatti, non ti denuncio per quello. Io ti ho visto l’altra sera con quella tipa, sai? Ho visto e non ho detto nulla ma adesso potrei dire tutta la verità.

– Guardi, io non ho fatto nulla a quella ragazza.

– Ah sì? E quei lividi che aveva per tutto il corpo?

– Non sono stato io.

– Invece io dico e dirò che sei stato tu se non mi dai i 4 Euro.

– Sta scherzando, vero?

– No, sono serissimo.

 

Nel frattempo, da quelle parti passò una volante della polizia. E, attratta dalla caciara che proveniva dalla gelateria, sostò la macchina e scesero due pezzi d’uomini grandi e grossi. Facendo irruzione nel locale.

 

– Be’? Si può sapere che sta succedendo, qui?

– Questo è un manigoldo. Ha ordinato un gelato e ora non vuol pagare. E poi è il tipo che ha violentato la ragazza.

– Che cosa? È lui il tipo che stiamo cercando da una settimana?

– Sì, è lui. L’ho visto in quel parco coi miei occhi! È lui il farabutto pervertito!

– E perché ha aspettato a denunciarlo?

– Sa, io sono un modesto gelataio, ho una casa da portare avanti e una famiglia con mio figlio piccolo. Sono stato preso dal lavoro. Sarei venuto in centrale appena possibile.

– Quindi lei è pronto adesso a testimoniare contro questo qui?

– Sì, assolutamente. Ho finito ora di lavorare, ora sono libero. Vengo in centrale immediatamente e sporgo denuncia.

– Ottimo, ci segua. Ci segua anche lei, bastardo. Anzi, ecco qua.

– Che fate? Mi ammanettate?

– Sì, sei in stato di arresto e in un mare di guai, criminale!

 

Tutto a un tratto, nella gelateria entrò il ragazzo della “siepe”.

– E tu che vuoi? Non t’impicciare – gli disse il poliziotto.

– Lui è mio amico e non potete arrestarlo. Lui non ha fatto niente. Era con me quella sera.

– Hai delle prove per dimostrare ciò che ti dici, ragazzo?

– Sì, guardate questa. È una foto che abbiamo scattato assieme quella sera. Siamo in casa mia a guardare un vecchio film con Gregory Peck.

– Fa vedere. Eh sì, c’è la data, le dieci e mezzo di sera di lunedì 18 Giugno. Più o meno la stessa ora nella quale la ragazza ha detto di essere stata aggredita. Non può essere stato questo qui a picchiarla. E lei, caro gelataio, adesso verrà in centrale, eccome, ma per beccarsi lei la denuncia di falsa testimonianza.

– Ma su, dai. È solo una foto che non dimostra nulla. Io dico che è stato questo qui, l’ho visto coi miei occhi.

– No, questo genere di foto auto-generate con tanto di data e orario dai cellulari, non si possono contraffare tanto facilmente. Voi, ragazzi, andate pure a divertirvi. Mentre lei, gelataio, adesso viene con noi.

– Ma che fate?

– Forza, non opponga resistenza. Lei voleva incriminare un innocente.

 

Qualche mese dopo, sulla prima pagina del quotidiani cittadino, campeggiò la foto del leader di quelli del Mc. Con la scritta: il primo della classe, benvoluto da tutti nel quartiere, da amici e parenti, è stato arrestato ieri notte con pesanti accuse di molestie sessuali. Tre donne l’hanno denunciato.

 

Il buio oltre la senape…

 

 

Terza versione

Anni fa, nel mio quartiere, conobbi un ragazzo. Avrà avuto diciassette anni. Mi fu di primo impatto immediatamente molto simpatico ma agli altri suoi coetanei, invece, appariva tutt’altro che una persona affabile o della quale potersi fidare. Insomma, agli occhi dei suoi coetanei pareva mattoide, strambo, inaffidabile. Una persona da prendere poco seriamente, da schivare e con cui, se proprio uno era costretto a scambiarci quattro chiacchiere, da trattare con la più bieca e pusillanime indifferenza. Con la tronfia ribalderia di chi lo guarda dall’alto in basso e sogghigna dinanzi alle sue parole, con l’aria inconfutabilmente di chi, mal giudicandolo a priori, ridacchia sotto i baffi e in cuor suo lo disprezza oppure, ancor peggio, ingenerosamente lo blandisce.

Questo ragazzo, in effetti, di primo acchito poteva sembrare un po’ spostato e picchiatello. Non voglio ammettere che non apparisse così e, inevitabilmente, se uno vi fosse entrato in contatto e, superficialmente, aveva la pretesa d’inquadrarlo, be’, non si può certo dire che si trovava di fronte a uno a postissimo, come si suol dire.

Da dietro, le persone gli affibbiavano gli appellativi più infamanti e indignitosi, stando ben attenti a non volerlo conoscere davvero. Perché in quella casa immersa in un giardino, su cui svettavano alberi un po’ lugubri e germogliavano arbusti cespugliosi, secondo molti abitava abitava una specie di stregone nero.

E su di lui cominciarono ad aleggiare molte fantasie e storielle.

Alcuni ragazzi si riunivano da McDonald’s, in pieno centro cittadino, e gozzovigliando di patatine… e salse, coi loro paninoni ben farciti di colante senape stuzzicante, ne inventavano di cotte e crude su quel ragazzo.

E gli attribuirono poteri cataclismatici arrecatori di disgrazie e sfortune. Se a uno di loro qualcosa andava male, se uno di loro aveva bucato la gomma del motorino o aveva fatto cilecca con la sua ragazza, incolpavano quel ragazzo, responsabile secondo loro, con la sua stregoneria, di aver fatto accadere lo spiacevole evento.

Un bel giorno, una ragazza del quartiere fu ritrovata in fin di vita nel parco comunale. Era stata malmenata e picchiata. E la comunità del luogo attribuì la colpa a un ragazzo di colore che era stato avvistato più e più volte in compagnia di quella ragazza. A mettere in giro la voce che fosse stato questo nero ad aver abusato della ragazza, fu uno di quei ragazzi del McDonald’s, Ennio, uno studente modello, baldanzoso, aitante, di cui tutti ciecamente si fidavano, senza aver il minimo dubbio che potesse mentire o avesse, per maligno diletto, creato una calunniosa fantasia a mo’ di puro, sadico sfregio. E la gente cominciò a evitare quel ragazzo nero, emarginandolo e riempiendolo di pesanti, volgarissimi, ripugnanti insulti. O ancor peggio evitandolo.

Be’, le malignità non vengono esplicitate attraverso gesti eclatanti, lo sapete meglio di me, ma vengono perpetrate con la più sfrontata ipocrisia.

Era estate, e quel nero, dopo aver passato tutto il pomeriggio a studiare, decise di concedersi una bella boccata d’aria e farsi una passeggiata.

Passeggiava sul marciapiede…

– Buonasera, signora Petri.

 

Non ottenne nessuna risposta e la signora Petri continuò a tirar dritto.

“Mah, è quella della cartoleria, ah, povera donna, sarà così tanto presa dalle sue preoccupazioni che non mi ha visto neanche passare”.

Vi basta come esempio?

 

Dunque, il nero entrò in una gelateria.

– Un gelato stracciatella e pistacchio.

– Ci dispiace, sto chiudendo.

– Be’, sì, lo so. Sono l’ultimo cliente. Ma per trenta secondi in più non muore nessuno, no?

– Come lo vuoi questo gelato?

– Gliel’ho detto. Stracciatella e pistacchio. Nel cono da 2 Euro.

– Ecco, tieni qua.

– Scusi. Questa è una vaschetta da venti Euro. E mi ha messo solo il cioccolato.

– Be’, scusami. Stio chiudendo. Sono stanco. Che vorresti? Che buttassi questa bella vaschetta e te ne facessi un altro? Oramai è andata, il cioccolato poi si addice a te.

– Che vuole dire?

– Il cioccolato è buono, tutto colorato di marrone. Questo cioccolato è molto dolce. Dolcissimo, vero?

– Guardi, forse ha voglia di scherzare. Io non ho venti Euro, al momento, da darle.

– Che fai? Vuoi fregarmi? Non posso buttare questo ben di Dio nella spazzatura. Ora te lo pigli e mi paghi.

– Scusi, non può rimetterlo dentro il banco dei gelati?

– No, oramai si sta sciogliendo. Non posso.

– Suvvia, non mi pigli in giro.

– Allora, bello, mi paghi questo gelato o no?

– Io le avevo chiesto un gelato stracciatella e pistacchio da 2 Euro. Non solo mi ha sbagliato gusto, ma qui con me, in tasca, non ho venti Euro. E poi comunque non glieli darei. Non sono stato io a chiederle questa vaschetta.

– Ah, è così? Dunque è così? Vedo che non capisci con la gentilezza. Allora passiamo alle maniere forti, criminale!

 

Il gelataio afferrò la scopa, con cui ripuliva il pavimento, e si avventò sul nero. E lo ferì in viso. Il ragazzo provò a divincolarsi e a chiedere aiuto ma il gelataio continuò a ferirlo sadicamente.

– Prenditi quest’altra! Bastardo! Ah, fa male, vero? Così impari a molestare le ragazze!

 

Al che, attirati dal chiasso che si era scatenato, dal putiferio sollevatosi, accorsero nella gelateria altri ragazzi.

Erano quelli del McDonald’s.

– Ah, eccoti qua, razza di malvivente maledetto! – disse Ennio.

 

E il gelataio: – Presto, spingete quel bottone, ragazzi. Chiudete la saracinesca. E saremo soli, senza che nessuno possa disturbarci, con questo qui. Spegnete anche le luci. Forza, presto!

– Te la sei andata a cercare, farabutto! Non vogliamo nel nostro quartiere gente come te!

 

Ed ecco che, mentre il ragazzo nero era ora a terra, coperto di lividi e sanguinante in viso, Ennio provò a sferrargli un calcio sull’addome. Mentre gli altri del gruppo lo incitarono al folle gesto, inneggiando alla violenza.

Al che, nel buio più assordante, apparì all’improvviso, con una torcia in mano, il ragazzo della “siepe”.

– Eh no. Troppo facile così. Dieci contro uno. Siete dei vigliacchi.

– Ah, ecco. Ci mancava pure il matto del quartiere! Vattene via, iettatore! Da dove sei sbucato? Non sono affari che ti riguardano. – gli urlò Ennio.

– Invece sì. Fatti sotto, Ennio!

– Come fai a sapere come mi chiamo? Chi te l’ha detto?

– Questi non sono fatti tuoi. So benissimo chi sei. Con me la tua faccia da finto bravo ragazzo non attacca. Non sono un allocco. Questo ragazzo è innocente. E sono sinceramente stanco di te. Hai oltrepassato il limite. Non mi fai paura.

– Lurido verme. Te ne pentirai di esserti impicciato in questa faccenda. Che pensi di fare? Ah, vero, tu sei matto. Non piangere poi se ti spediamo all’ospedale con le ossa rotte. Forza, amici, all’attacco!

 

Intanto, qualcuno bussò potentissimamente alla porta chiusa del locale. Era la polizia.

– Aprite! O sfondiamo subito. Che sta succedendo là dentro?

– Oddio, è la polizia. Chi l’ha chiamata?

– Sono stato io – disse il ragazzo della siepe. Li ho chiamati cinque minuti fa, quando vi ho visto entrare.

– Da quando in qua la polizia è così tempestiva?

– Siete in trappola! – gridò il ragazzo nero da terra.

– Sì, lo sono – replicò il ragazzo della siepe.

 

Be’, amici, ve l’avevo detto. A me quel tipo era stato subito molto simpatico, a pelle… Ognuno ha i suoi gusti, e alcuni si meritano la senape marcia.

 

 

di Stefano Falotico

 

 

I Golden Globe, fest(iv)a(l) delle banalità assortite, ritratto dei confusi tempi moderni, forse solo uno spettacolo per facili quaderni e per premi da mal all’ernia


08 Jan

Netflix+Hosts+Golden+Globes+After+Party+Waldorf+MKE67hFzNHol

THE MAN WHO WASN'T THERE, Frances McDormand, Billy Bob Thornton, 2001, (c) USA Films

THE MAN WHO WASN’T THERE, Frances McDormand, Billy Bob Thornton, 2001, (c) USA Films

Ebbene, mancava all’appuntamento Bob De Niro, che non ha vinto, sconfitto “ai punti” del doppio Ewan McGregor. Ma, col senno di poi, De Niro ha fatto bene a disertare questa manifestazione. Perché, se il motivo da lui addotto è il fatto che è stra-impegnato con le riprese di The Irishman, la verità è che da qualche giorno i bookmakers avevano snobbato il suo nome, e quindi ha preferito defilarsi e lasciare gli onori al bell’inglesino, no, è scozzese, dato all’ultimo per favorito, e infatti come da recentissimi pronostici è stato quest’ultimo ad alzare il Globo. Sia detto, peraltro, che questa categoria crea già confusione di suo. Le possibilità che un attore di un Tv Movie, la cui presenza di minutaggio è oggettivamente ridotta, possa farcela contro chi invece è stato il protagonista di una serie televisiva, che dunque ha avuto più “tempo” per farsi apprezzare e bucare, come si suol dire, lo schermo, sono assai limitate. E infatti come volevasi dimostrare in questa categoria il premio va spesso a chi ha avuto più spazio per esporsi. Ah, l’esibizionismo e le chance nella vita. Questa vita corrosiva, abrasiva, frenetica, ove nel movimentatissimo panta rei bisogna correre per non farsi scoreggiare, no, scoraggiare.

Al che, sovente trionfano i mediocri e, infatti, a fine articolo, farò una stilettata, con tanto di colta citazione, contro tali “vincitori” invero assai discutibili. Pensate che io ho da obiettare anche sulla prova di Gary Oldman. Non l’ho ancora vista, ma mi pare notevolmente sostenuta, tenuta molto in piedi dal trucco, che come sappiamo fa scena e molto performance tipicamente da Oscar! Esigo una prestation en nature. Ah ah, lo so, sono un burlone e mi piace scherzare e travisare il francese a piacimento. Volevo dire che una prova più al naturale mi avrebbe convinto maggiormente. Anche se non voglio sindacare sull’eccellente bravura del signor Oldman. Avrei invece da ridire sulla McDormand. Donna simpaticissima (ma si sa, le donne molto racchie attraggono i nostri “favoritismi” a livello di “stima”, ah ah) ma che pare una versione incazzata della sua zitella di Fargo. Il Fargo dei Coen e non quello del McGregor, che poi sarebbe partito invero col Billy Bob Thornton, l’uomo che non c’era di Frances… ah ah!

Che casino! Sì, tutti a casina a tifare per i Golden Globe, in un anno in cui praticamente i più scontati pronostici sono stati assurdamente rispettati, ogni casa, no cosa, insomma come da programma, nello stile politicamente corretto di un’edizione dimenticabile quanto raggelante in termini d’importanza autoriale. Sì, perché le scelte dei votanti, la stampa estera, non son state del tutto esecrabili, ma hanno mancato appunto d’imprevedibilità e coraggio, premiando chi “andava” premiato e non azzardando di vere sorprese che ci avrebbero svegliato dagli sbadigli che questa trasmissione ci ha “indotto”. Invero, io non ho seguito la diretta, l’ho registrata, saltando “a piè pari” sui momenti salienti.

Sì, ho assistito a persone “living” l’evento, fanzinari della peggior specie, che devono aver equivocato il Cinema, scambiandolo col glamour e confondendo l’Arte con gli striscioni da Stadio. Ma stendiamo su certa gente un velo (im)pietoso.

Direi di concludere con la schietta, chirurgica disamina di Onofri Anton Giulio, come sempre sprezzantemente cinico ma obiettivissimo:

ai Golden Globes è andata in scena stanotte la tragica farsa di un’America ormai votata all’autodistruzione. La macabra messa in scena del nero sul tappeto rosso la dice lunga sul come le ladies vorranno d’ora in poi impostare le loro relazioni con maschi ridotti ad automi scarichi e difettosi, oggetto di ironie tristissime perfino del comico presentatore di turno. Ma più grave è il cinema che ne è uscito vittorioso, finto, artefatto, inerte, e di bassa statura intellettuale, macchinetta per scuotere un pubblico rincoglionito dalle serie tv e ormai del tutto incapace di riconoscere il passo che, per fortuna, proprio in USA qualcuno continua ad avere, guarda caso rimasto senza premi, se non assente dalla competizione. Trump o non Trump, un’America in picchiata libera, che potrebbe trascinare tutto e tutti in un fondo di placentale, addormentata melassa in cui nemmeno ci accorgeremo di essere, come Occidentali, non solo già morti, ma addirittura in avanzato stato di decomposizione. Pronti per essere inghiottiti, e poi gestiti, da civiltà più solide, se non altro per essere rimaste fedeli agli antichi principi di una follia umana fondata sull’ignoranza e sulla paura, che offrivano a chi fosse riuscito ad affrancarsene con lo studio e con l’intelligenza, la possibilità di una libera, autentica, spontanea e incondizionata libertà creatrice.

 

di Stefano Falotico

Genius-Pop

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