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Everything You Always Wanted to Know About SHARON STONE * But Were Afraid to Ask
Sì, io mi considero il più grande fan di Clint Eastwood della storia.
Sì, io ho ricevuto vari inganni da parte delle donne nel corso della mia vita. Il Clint de La notte brava del soldato Jonathan, in confronto a me, è un principiante.
Sì, la mia vita, maschilisticamente parlando, è stata L’inganno di Sofia Coppola.
Sì, mia madre a volte assomiglia a quella dell’episodio, appunto, di Woody Allen di New York Stories.
Ma anche le madri degli altri non stanno messe meglio.
La donna è sempre iper-premurosa nei riguardi del figlio. Da cui il famoso complesso di Edipo.
L’uomo, anche quando anzianotto, semmai pure ricco e realizzato come Eastwood, viene visto dalla sua genitrice come la madre, appunto, di Clint alla notte degli Oscar. Trovate la clip sul canale YouTube degli Academy Awards. Forza, non voglio più imboccarvi. Canalizzatevi da soli.
Sì, il figlio per la mamma sarà sempre un million dollar baby.
Le madri sono gelose, possessive, il cordone ombelicale mai fra loro si spezza. E il distacco non avviene manco con lo strappo.
Neppure se, appunto, diventi un uomo saggio come Frankie Dunn.
Uno che non ha bisogno di vedere il film di Bellocchio, Bella addormentata, oppure You Don’t Know Jack con Al Pacino per capire che l’eutanasia è in alcuni casi l’unica scelta giusta e possibile.
Sì, quando si soffre in maniera immonda, bisogna staccare la spina.
Quando la malattia è purtroppo terminale, una vita deve essere subito terminata.
Teologi e filosofi della morale, non solo cristiana, vorranno persuadervi del contrario.
Fidatevi. Se tali baggiani avessero un figlio o una figlia a quello stadio, la finirebbero di mortificarci con le loro folli invettive. Con le loro idiozie e le loro dottrine.
Il dolore insopprimibile e irreversibile va quanto prima frenato.
Mi pare che non si possa andare avanti così. Le condizioni sono pietose, vi è uno strazio dinanzi al quale neppure Cristo saprebbe donare un alleviante miracolo, diciamo, propedeutico e salvifico.
Ecco, nella mia vita, ho sulla mia pelle imparato che le cosiddette pillole della felicità, sono soltanto dei palliativi.
Farmacologiche inibizioni di stati depressivi spesso incurabili.
Come cantava Eros Ramazzotti in Parla con me:
Non si uccide un dolore
anestetizzando il cuore…
La vera cura non è neanche l’omonima canzone di Franco Battiato, neppure I giardini di marzo di Lucio Battisti.
Sì, può succedere che, se un uomo è troppo depresso, si chiuda nel mutismo e assuma atteggiamenti da apparente minorato mentale come in Parla con lei di Pedro Almodóvar.
Le donne non stanno messe meglio. Diventano ninfomani e isteriche a compensazione di un’angoscia di vivere enorme. Da cui il celeberrimo film Donne sull’orlo di una crisi di nervi.
Insomma, figlioli.
La felicità eterna è una cazzata messa in giro da Scientology e da qualche amante del buddismo new age.
Una vita sana e appagante deve essere anche una vita stressante.
Altrimenti, non vi è sostanza, sacrificio, combattimento ma solo alienamento e tante utopie sognanti da Il cielo in una stanza.
È una verità ineludibile.
Come questa.
Se volete dire che non è così, no, siete ficcati… e tamponati, impantanati e impegolati in un centro di salute mentale.
Sinceramente, siete già andati…
Oppure con una più figa di Sharon Stone siete impegnati.
In fede,
un uomo che ha conosciuto dal vivo Sharon Stone.
Su cosa sia successo, lo sa solo iddio.
Sì, per questo attualmente mi trovo fritto e impanato.
Detta come va detta, surgelato.
Ah ah.
di Stefano Falotico
Conosco le carriere e le cerniere di ogni singolo attore meglio di loro e la mia vita… la conoscono gli altri meglio di me, bella trombata, ah ah
Sì, io sono l’esperto per antonomasia. Appena vedo un attore, anche il più insignificante, il più insulso, posso citargli, se mai ne avesse bisogno, tutti i suoi ruoli. Dal film migliore che ha interpretato a quello più brutto e impresentabile che nemmeno sua sorella ha visto.
Sì, ad esempio, l’altra sera mi ha telefonato Nicolas Cage.
– Falotico, è lei che ha scritto che in Zandalee scopo come un animale la signorina, oramai signora, Erika Anderson? E mi dovrei vergognare di una performance così squallida, romanticamente poco elevata nello stesso anno di Cuore selvaggio?
– Sì, sono stato io. Lei, mister Cage, in questo film è proprio un bovaro. Le sembra il modo di scopare una donna? Si dimena su quel letto come un assatanato con la colite spastica. Siamo ai limiti del rape. Questo lo sa?
– La signorina Anderson gradì molto, mugolò. I gemiti che ha sentito, sa, non sono finzione. Erika non simulò un bel niente. È una scena vera, di emozioni vere!
– Be’, diciamo che la signorina Anderson è stata pagata profumatamente più delle creme e degli oli balsamico-afrodisiaci che lei ha cosparso, nella suddetta e sudata pellicola, sulle natiche di Erika coi suoi massaggi arrapanti, affinché lei urlasse come una cagna sbraitante.
– Può essere. Fatto sta che comunque non sono io in quel film.
– Come no? Ha appena asserito il contrario. E, in questo film, eccome se lo ha inserito.
– Sì, in effetti sono io. Adesso, la mia carriera si è sputtanata più di allora, soltanto Mandy mi tiene a galla.
Detto ciò, ho lavorato con Scorsese, De Palma, Lynch appunto. E chi più ne ha più ne metta. Questo Zandalee faccia e fate finta di non averlo visto, ok?
– Va bene. Solo una curiosità, prima di lasciarla, signor Cage. Non voglio trattenerla più del dovuto. Ha usato il famoso calzino nella scena di sesso spinta con Erika o Erika gliel’ha visto e toccato davvero?
– Non sono cazzi suoi.
Insomma, io so tutto degli attori. Ma soprattutto delle attrici.
E fallo, no, fatto sta che voi sapete tutto di me.
Ma di questo ne siete davvero sicuri?
Non è ch’è il contrario?
Come dice il mitico Falotico. Guardate, adocchiate, spiate senza dar nell’occhio e non mi spogliate. I vostri sguardi sono malati, siete dei maniaci. Parafrasando Totò, siete degli spogliatoi.
Pensate sempre male del prossimo, lo scarnificate e volete indagare di pelo nell’uovo. Indagate ben piuttosto perché vostra moglie parla con me e non con voi. Io mi farei una domanda e mi darei una risposta. E vi accorgerete che il mio pelo non sta nell’uovo. Ma nella strapazzata sì. A dire il vero, sono esattamente come Nic Cage di Zandalee. Ma di questa foto. Se la dorme bellamente…
Ma soprattutto: il nero che ci fa? Cos’è quello sguardo soddisfatto? Pare che dica… fra i due litiganti il terzo gode.
di Stefano Falotico
In questo sociale marasma, com’è bello soffrir di “asma” e anche essere “diverso” di ansie “l(i)evitanti”, non evitatemi né eviratemi
Inizia già difficile la giornata di oggi. Al solito, mi sveglio non sapendo chi sono e mi occorre una robusta forza morale per far sì che questa “perdita” momentanea d’identità mi sconvolga. In fondo, credo capiti a tutti. Dipende da cosa si mangia la sera prima, da come abbiamo dormito e devo confidarvi, eh eh, che stanotte ho avuto una polluzione. Eh sì, il mio liquido spermatico, dopo un sogno erotico in cui mi eccitavo per una strega dalle forme voluttuose eppur anche cangiante nella bruttezza più schifosa, attizzante però il mio “capriccio anomalo”, è uscito “leggero”, soffice, insufflando le mutande… Ah, una cosa rara, di cui non “pativo” da molti anni. Ma si stanno risvegliando gli ormoni, il mio “omone” ne risente e l’odor di donna sente, eccome, fra sogni indirizzati lì verso il lilla, “duri” e direi rizzati, che si rivolgono “innocentemente” verso quella cosa rosa… “a(l)itante”.
Ma lasciamo stare le polluzioni mie che non v’interessano e che per i lettori non “tirano”. Sebbene abbia il talento, credo, per scrivere romanzetti piccantelli che mi porterebbero in tasca tanti bei soldini. Ma non mi svendo e ancor alla “normale” vita puttanesca dei comuni immorali non mi annetto. Oh, me inetto, me che è afflitto da dubbi permanenti, incipienti quasi come la mia stempiatura avanzante nell’alopecia galoppante che curo di pilloline rinfoltenti non solo il bulbo ma anche i miei umori, fortunatamente non trasformatisi in tumori, eh eh, depressi. Ah, le compresse… sì, molte donne lo sono, si comprimono, reprimono e poi pigliano la pasticchina. Mangiando la domenica i pasticcini. Il colesterolo aumenta, il fisico si appesantisce, la mente scivola nella demenza. E si “cuccano” anche le mentine, dopo continui lamenti di vogliettine. Ah, queste donne son “mestruanti”, si arrotolano nella salsiccia per dimenticar la lor vita involuta. E in questi “involtini” scoppiano e poco scopano. Ma a terra sì, lustrando la casa per compensare i lor disordini neuronali. Alticce, alcune anche bassotte. Ah ah.
Meglio allora io che soffro la dannazione della mia “diversità” e alla veneranda età di 38 anni non mi capacito dei ritmi frenetici di queste vite isteriche. Vado al bar, e il mio cinese preferito prende per il culo un pensionato, accusandolo di aver fregato lo Stato, perché è andato in pensione con solo 32 anni di lavoro. Ma son “ingiustizie” che capitano, non a me che forse non lavorerò mai “normalmente”. Alzatevi tardi e “alzatelo” presto. Ergetevi! E poi detergetelo…
Eppur la mia mente va, ove non si sa, vado a prepararmi un uovo. E tante rabbie covo mentre la vostra vita è una gatta che (ci) cova. Sì, spesso mentite e alle banalità vi adattate, illudendovi di star meglio con le facili consolazioni e gli abbracci ruffiani.
Allorché, impugno il mio “scemo” e altre genialità nei vostri cervellini fritti insemino.
Sì, la polluzione, il seme…
di Stefano Falotico
La grande bellezza, racconto ero(t)ico
Salve, sono Gambardella. In questo pullulare pusillanime di scribacchini che vogliono “vergare” pagine “sudate” di passione, ove imperano le sfumature di grigio, anch’io voglio cimentarmi in un racconto “piccante”, dunque peccante, perché ricordiamolo viviamo nel Paese dei moralisti e dei benpensanti, quando è invece al “pen” pen(s)are che dovremmo darci. Voglion votare i grillini ma è ai femminili grilletti che dovrebbero “innalzarlo”. Spassionatamente, con un po’ di malincuore e giusta serenità antitetica a questo sentimento malinconico ch’è la mia notevole pigrizia, posso ammettere, anche se vorrei solo “metterlo”, che, nonostante le mie mille mortificazioni patite e il mio ego un po’ partito, nessuno è riuscito ad abbattere il mio senso gioviale, affabile, (dis)umano nei riguardi della vita. Sapete… tentativi ostracizzanti di volermi annettere alla comune massa volgarotta, e cercarono di “castigarmi” in un lavoretto all’insegna della demagogia più spicciola per “curarmi” dal mio invero innato bisogno di creatività, di sapidità euforica del mio animo sguinzagliante tra la foll(i)a. Così, per qualche tempo immemorabile m’addolorai e, “pun(i)to”, quasi mi convinsi che avessero ragione. Ma io sono appunto anima libera, che canta fuori dal cor(p)o, e vive di sue estasi esistenziali al di là delle mer(l)e esistenze “pie” e conservatrici di “valori” fasulli e fallimentari come la filigrana di uno zingaro proprio falsario. No, non mi avranno, e (r)esisterò in un altro(ve) tutto personale, “baionettando” di libri appunto liberi, di miei momenti estemporaneamente metafisici, addentrandomi nelle braci viscerali del tenebroso mio “stronzo” a cuor aperto. Sì, con questa frase son stato ermetico, ma fa parte del mio (t)essere. Ah, son tutti alla mediocrità tesserati e si plastificano in vite odoranti solo il dio denaro, per lo squallido compromesso dell’accettabilità sociale. Dio me ne scampi dalle socialità e da questi sorrisi ipocriti che pretendono tu ti conformi all’idiozia generale per un esasperante buonismo che in verità, vi dico, scontenta tutti. Allorché, fra i miei polmoni innaffiati di gaudio, anche se taluni ignoranti mi piglian per “gaio”, scrivo di quest’avventura trasognata, fantasticata, del mio uccello fanatica.
Ella stava seduta sul divanetto di una sauna, no, sala d’aspetto e, pettoralmente, mostrava il suo basculante balconcino mobile, lustrandosi le gambe carezzevolmente con le sue mani delicate da signora poco angelicata. In quell’accavallamento di ormoni, “rinvenni” le sue cosce muscolari, già pronte a “prostrarsi” al mio “coso” (t)irato. Mi avvicinai in modo felpato, infatti indossavo un felpino, e felino adocchiai le sue movenze felliniane. Donna di grandi curve abbondanti, su cui Valentino Rossi avrebbe “disegnato” le sue giravolte rallistiche, sgommando a velocità “liscia” delle sue “gomme” pneumaticamente dense di corpi cavernosi enfiati, dilatatisi nell’acceleratore forse di un’eiaculazione precoce. Sì, di lì a po(r)co l’avrei “oliata”, nel seder inchiappettata di mio “gusto”, e sarei “ribollito” così come l’aroma del caffè “vien su” mentre “lo” mandi giù. Ella stette al “giogo” e, cavalcandomi “a singhiozzi”, ebbe il suo “duro” affare, no, da fare, mentre io me la facevo di tutto gel e poco gelo. Scaldandola, ebbi maniera di “pittarle” il mio “amore”, circumnavigando la sua pelle di profonda gola “schitarrante”, forse solo di colpi di tosse scatarranti per via del “fallo” che mi (re)spingeva poc’ardimentosa ma via via comunque più carnosa.
Poi, andammo a mangiare una pizza a Canosa. E parlammo delle “imprese” del Canova, gustando un siciliano cannolo mentre dei ragazzi vergini si fumavan le canne.
Ah sì, il Festival di Cannes.
Ricordate: forse non sono intellettuale di spicco ma di “spacco”, sicuramente di “sticchio”.
Non sono distinto ma d’istinto e lì dentro “la” tingo. Non canto Tenco ma un po’ triste mi mantengo.
Ora, balliamo il tango, e poi ti toglierai, ti toglierei il tanga.
di Stefano Falotico
Pamphlet ero(t)ico
Due pezzi di Stefano Falotico
Il fascino (in)sano dell’omosessuale, l’anomalia dell’etero “integrale”, scusate, nella società (dis)integrato
Sì, questo è un pamphlet sul sesso.
Cause ed effetti… notte. Di notte, va la ronda del piacere e gli “uccelli” son rondini che s’“offuscano” tra (ef)fusioni atomiche, personalità doppie (in)sospettabili che “esplodono” di botto e “botte”, stanze d’albergo ove “piove” a (di)rotto dentro, a causa delle tempeste ormonali dell’amante più “bagnino”, raccattato a Rimini dopo un’immersione subacquea che voleva essere un suicidio e invece si tramutò in un bacio bocca-bocca sin alla riva in cui l’aspirante-“respirato” suicida, grazie a quel “salvataggio”, riaprì gli occhi e, così di labbra “vi(ri)li” a lui (af)fini, comprese nella calura estiva un piacere estatico mai prima provato né esternato. Ammainò il suo “gabbiano” e si gabbò da “gobbo” ma l’evento, fra quegli sci(r)occhi venti, gli rivelò la natura “ambigua” della sua (r)esistenza da o(r)ca. Sì, quel bagnino che, innocentemente, lo “baciò” insistente(mente) per dargli fiato di ventre, nel ment(o)re incoraggiò la sua latente, da lui sempre affogata omosessualità. In quell’attimo fetente-fottente fra la vita e la morte, l’inconscio del suicida provò sensazioni “a pelle” polmonare d’un risveglio dei sen(s)i e da allora, da quel momento fatale di maschio così “dentro” sentito, volle diventare femme.
Per tutta la vita si effeminò, nascondendo agli altri la voglia di passar dall’altra parte. Ma l’outing mai (av)venne… e, castrando i suoi desideri più profondi, quell’uomo rimase a metà, senza mela e senza mammelle. Però, dopo quell’abisso…, gli si spalancò una voragine percettiva e vide nuovamente, nudamente, chi era. Sì, fu Eva e per molto tempo pen(s)ò invece di essere solo Adamo.
Ma quel frust(r)arsi bloccò sia la sua “voce” dal pomo e anche il “suo” dalle patate. In quell’istante, (ap)prese e si sfogò da “figa”.
In culo a tutti, aprendo le gambe da uomo che ebbe il (co)raggio solare di svelarsi crudamente omosessuale. Senza più la paura del giudizio altrui, che sempre lo fotté nel mai dir che lui invero sempre arse sol per un simile ardente e “al dente”. Mai dire “mare”…
Evviva il “tonno!”.
Evviva il Sole!
Eppur la notte si fa (s)fonda…
L’omosessuale, a parte le battute e le battone sui viali da viados, continua a non entrare nella società perché (re)spinto dai pregiudizi ferenti il suo orgoglio “penetrato”.
Allora, vaga nel sempre ancor mentire, non importa se attivo lo dà o, passivo, lo piglia.
A questa società bigotta ancor non piace.
E finalmente potrà suicidarsi in san(t)a pace nell’Oceano Pacifico, senza che nessun possa più (o)metter “bocca” sulla sua scelta… “duramente” attaccata.
“Si attacchi” al cazzo.
L’oscena realtà dei (non) rapporti confidenziali, interpersonali
Una tizia contatto…
Guardo le sue foto. Di lei sempre nella natura, che abbraccia cani quasi lupo, coccola le fronde degli alberi in sue pose attorcigliate da serpentesca amazzone, foto di lei in Alaska col mar che le sguazza fra le lucide, terse, asciutte e abbronzate gambe, e par si scaldi, denudata anche nell’anima, nonostante il freddo polare. Lei che bacia un gatto e lo lecca fra noci di cocco da “cocca” in sue albicocche losche fra le esche, tra le frasche fresca, affusolandone, lei “isterica” d’inquadrature fermo-immagine a sussurrarti dallo schermo che non è una donna superficiale e schematica. Ma guarda nel (pro)fondo delle cos(c)e.
Lei che balla solo coperta da un bikini floreale col vento fra i capelli, svolazzando d’intercapedini prominenti d’un seno libero e sciolto eppur appunto di capezzoli appuntiti per il tuo “sacco” a pelo in lei appena (s)coperta.
Le scrivo che (at)tira e le chiedo l’amicizia per spronarla a una conoscenza selvaggia in cui possa sghiacciarmi dall’ibernato, gracchiante, inchiappettante, sdrucciolevole, “lungo” inverno “rigido” dei miei cazzi assonnati, da biscia a sonagli, visto che lei par che ami anche gli asini che ragliano e voglia sgranchirsele da g(i)nocc(hi)a scricchiolata a chiocciole.
Ah, su quelle scale scoscia.
Mi chiede se ho Facebook e io approvo… già mi (ar)rende provato.
Lei “accetta” e guarda, in tre secondi netti, due mie foto in cui son “venuto” come il cazzo.
Al che, taglia di (i)netto e mi scrive, recidendomi così decisa, che non sono il suo tipo perché le paio un topo. A questa topa non piacciono dunque anche i topi?
Che sia una zoccola e un’orsa, altro che (co)stella(zione) omonima, e sia solo, altro che Sole, in cerca della “pesca” dei “salmoni?”.
Non sono un salame, non abbocco alla sua carne cruda.
Insomma, si dichiarava di larghe vedute, si spacc(i)ava per selvatica e sganciata dalla società nauseante delle carni in scatola da market e Manz(ot)i(n).
Scoprii subito in lei che, come tutte le altre, voleva solo una scopata in mezzo al “bosco”.
Meglio le fragole vere a queste uve passerine.
Coltivo l’orto, cari orchi
Ciao, sono sportivo, bello indubbiamente, atletico quando m’alleno e non allento. Sexy, simpatico, cazzaro se “vien” la convenienza dell’eveniente per “svenarlo”.
Scrittore però anche poeta e romanziere, fra le stoviglie della mia mente a far lotta di detersivi e malessere, ipocondria e anaconda sensualmente, di sesso ne vado valoroso nonostante l’orgoglio possa marcir in quest’Italia di marci(a).
Ho marcione… in più, ingrano la quinta e voglio una con la sesta. Eppure, amo la Settima Arte.
Il mio nome è Falotico, lo Stefano che non t’aspetteresti, che di McDonald’s è Duffy Duck di bacon sganasciato ma inaffidabile nonostante indaffarato “innaffi”. All’occorrenza, bibita gassata nel frizzantino a letto, ove riverisco anche la “serva” che non n’è mai, del mio, scevra. Io brandisco lo “scettro” e son spettrale anche quando “lo” vedi.
Ingarbuglio la tua testa e “là”, al buio, s’abbaglia.
Abbaiamo vicino all’abbaino. Non pensiamo alle abbazie, ché la zia prega Padre Pio ma anche lei fu pulcina di gatta che covò.
Nessun mi scoverà, e scoperò.
Insomma, ci stai? Non pretendo molto. Solo qualcosa… in più.
La febbre non passa nonostante le passere.
Ora, contatto il medico, è una donna. E tocca nelle zone ammal(i)ate.
Poi urla “Che schifo!”, perché l’altro paziente è lì che non ha totoianamente pazienza ma è trasfuso nel sangue di Andrea, fumettista defunto bolognese, di fungo atomico per “scoppiarla” anche lui.
Gli sollecita la sala d’attesa, dandogli una mano per il “teso”.
E intanto “sale”.
Poi, mi presenta la “porcella”. Salatissima.
Meglio l’insalata.