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Con l’impresentabile Dumbo, la carriera di Tim Burton può dichiararsi finita? E la magia del Cinema esiste ancora?


27 Mar

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Ecco, premetto questo. Il film non l’ho ancora visto e credo che in sala non lo vedrò.

Perché dovrei recarmi in una multisala e verrei attorniato da una massa tanto festosa quanto insopportabile di bambini pestiferi e chiassosi. I bambini sono la nostra salvezza ma non è propriamente bellissimo, eh eh, assistere al film di un maestro, quale Tim Burton comunque insindacabilmente è, e venir distratti da incontenibili entusiasmi molto, anzi troppo, fanciulleschi.

Detto ciò, mi attengo, almeno per il momento, a quelle che son state le reazioni della stampa italiana nei confronti, appunto, di Dumbo. Che in maniera quasi del tutto unanime e impietosa ha dovuto ammettere che, malgrado la forte simpatia che noi tutti abbiamo sempre riserbato nei riguardi di Tim, cantore favolistico dei diversi, delle vite difficili ed emarginate, sublimatore fantastico di ogni durezza della vita attraverso le sue nere fiabe poetiche, stavolta ha decisamente toppato. E forse la sua carriera s’è stoppata.

Perlomeno, davvero inceppata.

Invero, la Critica americana gli è stata più benevolente ma, si sa, noi italiani siam retorici a parole, demagoghi in trincea ma anche realisticamente, inevitabilmente più cinici. Sì, paradossalmente, questo già bistrattato Dumbo aveva tutti i crismi di un possibile capolavoro burtoniano. La storia dell’elefantino volante, vessato da tutti, che si dimostra prodigiosamente straordinario, lasciando anche i più stronzi e dal cuore di pietra, come si suol dire, con un palmo di naso, ovvero di proboscide, eh eh.

Ma a quanto pare, almeno leggendo le critiche, qualcosa non ha funzionato. Anzi, non ha funzionato nulla. I personaggi sono stereotipati, Colin Farrell che c’entra? E Michael Keaton, per quanto possa sforzarsi, a pelle non è credibile nei panni del cattivone. E soprattutto questo live action è stato accusato di mancare di poesia. Dobbiamo essere crudelmente schietti. Tim Burton non azzecca un film da una quindicina d’anni e passa. Ma è proprio così? In realtà, il Cinema di Tim Burton è sempre stato questo. Poetico, sì, ma anche molto stilizzato. In un certo senso, persino freddo. E sempre più mi stupisco che in Singles lo si abbia paragonato a Scorsese. In verità, Scorsese è quanto di più agli antipodi rispetto a Burton. Anche se Hugo Cabret, sì, qui lo dico, già lo dissi, è il miglior Scorsese degli ultimi vent’anni. Pensate che bestemmi? No.

Non fatemi più vedere, ad esempio, quella boiata stupida di The Wolf of Wall Street. Oltre a essere un film indubbiamente poco poetico, qui manca propria la poetica, signor Martin. Non v’è morale, non v’è nulla a parte le zinne di Margot Robbie e qualche scena finto-scabrosa che potrà aver entusiasmato e scioccato qualche sempliciotto in vena di scandali ma a me non ha fatto né caldo né freddo. Un film orribile! Diciamocela. Mentre Shutter Island è un film mediocre. A essere proprio sinceri, nei contemporanei tempi del cinismo a buon mercato di Black Mirror, la magia del Cinema, forse un po’ di tutto, s’è persa.

E noi non siamo più quei bambini attorno al falò di John Houseman dello splendido Fog di John Carpenter. Le storie fantastiche, le storie sui fantasmi, le storie tenebrose non ci spaventano né emozionano più. Quindi, non è vero che Tim Burton è finito e che il Cinema stesso sia agli sgoccioli. È la nostra umanità che è deperita, incancrenita, abbruttita. Siamo una società senz’anima ed è tutto un altro discorso. Se dite che questo è moralismo spicciolo, non è così, se volete dire invece che è purtroppo la verità, ahinoi, è così. La gente non crede più ai sogni perché tanto si è accorta che si era fatta soltanto un film inutile e pretenzioso. E la smettesse quindi Ligabue con le sue Luci d’America.

 

Le stelle sull’Africa 

Si accende lo spettacolo 

Le luci che ti scappano dall’anima

 

Ecco, a parte che Africa e anima è una rima baciata, no, assonanza dissonante da filastrocca per neonati, la dovrebbe finire Luciano di conciarsi come il gatto con gli stivali.

E smanacciare al vento nelle lande americane. Luciano, mi dia retta, torni nella sua Romagna e si pappi una piadina o un panino con la mortadella.

Lei, molti anni fa, era anche bravo. Va ammesso. Metteva pepe. Adesso è più sciupato in viso di Tim Burton e potrebbe fare concorrenza a Tim Roth de Il pianeta delle scimmie.

Sì, non me ne voglia, si scherza, lei ha perso da parecchio la testa come Chris Walken de Il mistero di Sleepy Hollow.

E, se continuerà su questa strada, farà la fine di Ed Wood versione “rock”. Sì, prenderemo i suoi ultimi album e li faremo a fettine come Edward mani di forbice. Una bella “tosatura”. Potatura!

Sì, la sua musica si è involuta paurosamente. È passato dai romanticismi schietti e ruvidi da Beetlejuice – Spiritello porcello, con tutti i doppi sensi che infilava da marpione qua e là, a romanticherie più buoniste de La fabbrica di cioccolato.

Insomma, lei si sta trasformando in un fenomeno da baraccone, mio briccone. E, ora che è diventato un riccone, fa proprio il ca… e.

Tanto non ci credi manco tu, Luciano, col tuo lifting da Alfonso Signorini.

Tu eri uno del popolo, un po’ sconcio e sbracato, onesto e simpaticamente sguaiato, perché mai ti sei dato al patinato più scontato?

Questo è grave, molto preoccupante. Sì, ci vuole un chirurgo plastico per rifar daccapo questa società di plastica. Questa società di svastiche e vacche. Ci vuole la poesia di un elephant man.

Un Falotico lynchiano che linci, trinci, no, tranci con occhi da lince come Travis Bickle questo mondo andato oramai… e sapete dove. Sì, un mondo che va stroncato subito. Prima che possa arrivare al primo posto del box office di ogni altra puttanata.

Che gigione che sono, ah ah, un po’ Topo Gigio, qualche volta uomo grigio, spesso uno che non transige in quanto della morale ligio. E volteggio nell’aria, ballando di naso lungo alla Pinocchio anche se le sventole mi tirano le orecchie. Solo quelle…

Insomma, mi sa che Luciano ce lo siamo giocati.

Tim Burton è quasi del tutto andato.

Rimane solo un uomo favolista.

Ed è anche favoloso.

Un uomo che va sempre più su, anche se spesso, va detto, questa società di pachidermi lo vuole mettere in gabbia.

 

 

di Stefano Falotico

Mezzanotte nella fattoria degli animali


21 Dec

Un “ratto” che assapora le gatte con occhi lupeschi da ululato fra le ielle di chi è incagliato, di canini, nella “caramella”

Uso tante virgolette poiché svierò sempre senza sviolinate. Amo semmai l’armonica, strumento da fischiettare senz’anemia. Sì, duello coi nemici come Charles Bronson, “muto” che striscia con pelle di cuoio, apparentemente “senza palle” ma figlio di Apollo fra tutti i polli allo spiedo, cotti nel western ove desertifica ogni figa e si sfila l’abito da monaco “ammanicandolo” solo quando rimbocca le coperte a delle bocche di signore affamate di “fagioli” da Trinità.
Sì, mi torturano ma son io che poi li striglio, che facce da triglia, e attingo nel trito per “tirarmelo”. Buonnotte pisellini da sonnellino. Che pisolino!
So cosa piace alle donne. Il (pro)fumo maschio del Machete capellone di brezza calda come vento orientale di mossa aerobica alla Bruce Lee. Sì, poi di “spaccate” son muscle from BruxellesSpaccone d’occhi neri che cangian azzurri alla Paul Newman con indole da Bob De Niro “aggrottato” nel neo perspicace e spiccato di rughe in fronte a te, come il Sole dell’attore melodioso della vita spericolata alla McQueen. Pericoloso io? Pernicioso? No, vado a caccia della pernice, e incornicio ogni “quaglia” nella mia bacheca, dopo averla concupita di capelli al balsamo, balsamici nell’“imbalsamarlo” come il falco-uccell’ predatorio e “cupo” appunto nel boschetto delle lupe.
Ah, poi di luppolo m’abbevero, birra che spezza le sbarre e barrica invece chi mangia solo il buonismo delle barrette di cioccolato. Nel baretto, io sghignazzo, imbucando nel “buco” con “asta” lunga e mira(ta) infallibile. Ecco i “colpi” da biliardo, miei biliosi. Ah, mi sgambettan di falli, ma il mio fallo è sempre più falo che brucia e scalda sul tappeto verde del prato “ritto” d’erboristeria cosmetica, cometa in tutte le mele a cornificar le loro metà, mietendo altre vittime nel “mungendo”. Sì, mugolano d’ugole, e mi scappello da cowgirl.

Oggi ripudio il sesso e domani ne son vincitore di podi da puledre.
Io me le spolvero tutte, impoverendo i ricchi a cui frego lo “sfregamento”. Di sperone. Io do alle donne speranza.
I mariti, infatti, s’assentan per oneri lavorativi e io son l’operatore solidale ai “pianti” delle moglie, “piantandolo” ove cresca germogliante e rigoglioso, colto sul nascere di preliminari già a spruzzarvi per spupazzarla poi da “pazzo”. Ah, ne van matte. I padri ergon mattoni per educar le figlie, e io invece le ammattisco di “mattanza”. Mulatta o da stalle, basta che ci sia il latte.

Incontrai vari uomini che provaron, invano, a ledere l’erezione mia. Che sagitati! Agitiamoli di gomiti spaccati e crani frantumati!
Tentando d’ipnotizzarmi al fine di rimbambirmi per rimpicciolirmi come Bambi.
Sì, in tempi cerbiatti alla mia metafisca, amai Malick, eppur coniugo il “male” al bene della rabbia giovane, e m’elevo to the wonder. Ricordate, son solo che cervo erto.

Sfide fra genitori in lotta, famiglie agli antipodi d’odio perpetrato di generazione in azioni mai mutanti, perseverando diabolici nel tradizionalismo castrante.
Il mio vecchio vien equivocato per scemo, solo perché scandisce la sua classe in quel che vien reputata “lentezza”. Mentre i forsennati classisti tanto di “scaldano” di chiacchiera quanto non gustan le chicche, frenetici solo d’ebefrenia da “fenomeni”.
Scalmanatevi, altrimenti ammainati rimpiangerete la vostra nascita. Maledicendo il Dio che pregate e poi “starnutite”, starnazzando di bestemmie. Stramazzerete proprio di “rubamazzo” con la vostra “mazza” e sarete blasfemi perché poco affamati. Disprezzate gli effeminati ma nessuna femmina vi “affettate”. Sempre affrettati, oh che frettolosi. Che freddo!
Evviva il sudor che trema per(laceo) delle cosce, son gli odori del poro maschio contro gli zombi teschi.
Io su di Lei “zompetto” di “zampone”, e son gallo fra le gallinacce.
Ah, son allergico alla graminacea ma lecco la gramigna. Gnam gnam.

“Gnomo” io? Innanzitutto, ho un nome, il resto è su(in)o…

Tua madre è zoccola, non lesse Topolino ma fu “Titti” di Silvetro. Sì, ruspante pulcinella se lo spulciava.

“Detto tutto”, amo le tette. Un etto al Giorno toglie il grasso prosciutto del maial di torno, e medica la depressa, “premendo”.
Finirei con quest’aneddoto d’un disgraziato che dialogò con una “qualsiasi”:

– Ciao, come ti chiami?
– Mi chiamo “Chimica”. Mi reputi una puta? Mi “punti” il “dito?”.
– No, m’appunto la matematica del tuo ematoma. Quanti t’han succhiato?
– Cioè?
– Quanti t’han (am)montato di “danni?”.
– Uno all’anno.
– Analmente però molto di più, quotidianamente parlando.
– Sì, lo prendo in culo come subalterna precaria.
– Hai le carie, cara?
– Solo quando lecco lo zucchero del direttore.
– Quindi, ciò dimostra la mia teoria.
– Quale sarebbe?
– Se sei così, per forza lì deve “andare”.
– Ti do un calcio in mezzo alle gambe.
– Ce la fai?
– Che vorresti dire?
– Mi sembri sciancata. Il che è tutto tuo “darla”.

Finì in rissa, ma risi.

Ora, vado a russare. Sì, meglio la Russia delle “rosse”.

Fidatevi. Perdo il pelo ma non la pila.
La pila illumina geniale, è lampadina fra gli allampanati.

Evviva i lampi!
Soprattutto W la “lampo”. Il lama, le “lame”.
La “lana”.

Se animal fui, amato sia.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Animal Kingdom (2010)
  2. Elephant (2003)
  3. Il re Leone (1994)
  4. Tom & Jerry e la favola dello Schiaccianoci (2007)
  5. Quel lupo mannaro di mio marito (2007)
  6. Dottor Jekyll e Mr. Hyde (1941)
  7. Le folli notti del Dr. Jerryll (1963)

Genius-Pop

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