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Il Genius, il ritorno, meglio di Twin Peaks 3, e buon Natale a tutti


22 Dec

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Il cuore rivelatore, che fantastica storia è la vita!

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Il cuore rivelatore, che fantastica storia è la vita!

E tutti che pensavano assurdità sul mio conto. Lotte, invidie, mormorii, pettegolezzi.

Ma, restaurato, rinnovato, rincuorato, mi è giunto a casa il libro col mio racconto Un angelico miracolo.

E, fra un colpo di genio e l’altro, una colazione con molta panna e molto zucchero, sono io che risolvo i problemi, vero Mr. Wolf, rinato a suadente decadenza.

E se il grande Dario Argento filmò a Torino, no, a Roma, L’uccello dalle piume di cristallo, perché io non posso recarmi in questo capoluogo piemontese come il mitico Lino Banfi di Al bar dello sport e ammirare, dall’alto della mia Mole Antonelliana, tutto il panorama di questa vita strana?

Habemus Papam! Evviva le romane e anche le spagnole!

Come un gargoyle a Notre-Dame, osservo la miseria degli stolti e ballo assieme a Edgar Allan Poe la magnificenza della mia spettacolare giovinezza mia perduta o forse giammai vinta.

Tutti pensavano che fossi un martire e invece sono spaziale artista da Montmartre.

È ancora presto per ascoltare il rumore del mare, son riemerso come una marea di Mont Saint-Michel perché vado matto per quella figona di Pfeiffer Michelle. O meglio, ora Michelle è un po’ andata ma in giro ci son altre bionde che aspettano soltanto che io nei loro buchini le strapazzi come una buona frittata.

Molti pensavano che scherzassi quando mi autodefinii il Genius. E mi pigliarono per malato di mente.

Invece, io non sono né malato né inculato, resto un ragazzo con un ottimo c… o.

E d’ora in poi fatevi i vostri.

Un certo Lavstig su Facebook mi ha detto che son penoso. Dopo tre minuti, l’hanno ricoverato in manicomio perché gli son arrivate tre frecciatine che l’hanno fatto capitombolare di colpo.

Un altro, un tale Frattini, mi ha dato l’appellativo di poveraccio. Sì, questo pensionato avrà da me solo un rutto in faccia e una scoreggina distillata con enorme aplomb, silenziosa, scricchiolante nello sfintere a lui inchiappettante.

 

 

di Stefano Falotico

IL GATTO NERO (The Black Cat) di Edgar Allan Poe, recitato da me, il Joker


13 Dec

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Ieri, dopo un’accurata correzione di bozze col mio impeccabile editor, ho terminato il mio nuovo libro. Stavolta, ho cambiato totalmente genere, è un thriller erotico ambientato a Venezia con echi diabolici.

Posso sverlarvelo, ma solo questo. Il resto sarà una sorpresa, come sempre.

Un fine ed elegante lavoro maliardo, imbastito su una prosa raffinata, intelaiata nelle emozioni mie meandriche, sviscerate nelle notti buie della città galleggiante ove si smarriscono i sogni e ci si sveglia al plenilunio in compagnia di un uomo misterioso.

Quanto prima, sarà pubblicato. E la copertina sarà incandescente. Con l’immagine di una bellissima donna…

Intanto, Netflix ha annunciato che a Gennaio debutterà la seconda stagione di The Punisher.

È curioso sapere che per molto tempo son stato scambiato per Betty Love e la bambina dell’episodio di New York Stories diretto da Coppola.

Direi che assomiglio più a Nick Nolte di quello di Scorsese.

E, in concomitanza con la mia nuova recensione di Taxi Driver, ieri mattina mi andava di recitare per voi uno dei miei must.

Devo confidarvi che è stata dura. Alle nove, ha suonato quello dell’acqua per il consueto calcolo Ho dovuto interrompere la registrazione. L’ho lasciato accomodare. Poi, il tizio si è congedato. Al che ho ripreso da dove avevo interrotto. Dopo solo cinque minuti, il tipo ha suonato ancora. Si era dimenticato l’accendino che aveva appoggiato sul mio tavolo.

Quindi, è suonato il telefono. Al che, mi sono arrivati due messaggi WhatsApp, e via dicendo.

E gli aerei, a quell’ora, sopra il mio palazzo passano ininterrottamente.

Tutto si può dire di me, tranne che non sia un personaggio…

Come Edgar, non è che navighi nell’oro, ma che se ne fa il Bickle, anzi il Joker, dei soldi e delle mignotte?

Il Joker è il Principe!

 

 

di Stefano Falotico

“The Raven” di Poe, il mio corvo di Falotico piace anche a Laura Lattuada


01 Oct

Su Facebook, la bellissima Laura Lattuada guarda il mio video e mi scrive testualmente:

Beh: la parte audio è perfetta…usi benissimo la voce e anche certe “sporcature” di dizione funzionano (forse c’è un “misteri” e “pensieri” un po’ troppo della bassa padana), sinceramente non mi fanno impazzire le foto che hai usato, le abbiamo viste e riviste, che dici? L.L.

Rispondo cortesemente così:

Be’, innanzitutto grazie. Sì, son di Bologna nonostante le mie origini meridionali, quindi talvolta “tentenno” in una strana cadenza, più che basso-padana, direi lucana-emiliana. Eh eh. Ma ti posso rivelare che sono totalmente autodidatta. Sto imparando a usare il diaframma e m’ispiro alle grandi voci del nostro doppiaggio. Ad esempio, adoro Giannini e sempre i suoi straordinari lavori su Al Pacino. Alle volte, è quasi meglio Giancarlo della voce originale di Al, te lo posso assicurare. Riesce a fornire delle sfumature tanto sottili laddove spesso un roco e “monotono” Al non è parimenti profondo. Le foto dici? Be’, nell’altro mio blog www.edgarallapoetale.info, è spiegato tutto. Invero, Il corvo è un film a sé stante. Non è tratto da “The Raven” di Poe ma da un fumetto di James O’Barr. Ma solo chi non conosce le logiche del Cinema e della Letteratura può cadere, vedendo superficialmente il mio video, in un tranello così banale. Pensare, come mi han fatto “notare” alcuni, che io non sappia appunto che il film e il racconto son due cose estremamente differenti, è peccare di banalità. Sono due cose diverse in apparenza, e loro sono degli “ignoranti”. Il film trae spunto dal fumetto, lo interpreta liberamente e, a sua volta, James O’Barr attinse alle atmosfere del racconto di Poe per disegnare e scrivere la sua storia gotico-romantica. Comunque, sono esperimenti personali. Con un paio di miei amici, lavoreremo sul file mp3 per sviluppare come dire una sorta di corto d’avanguardia, mantenendo s’intende la mia voce narrante a sottofondo.

La maschera(ta) della Morte Rossa di Edgar Allan Poe


18 Jul

Prefazione: esegesi dell’Arte, esigenza! So che spesso, in Passato non poche volte accadde (quindi caddi…), fraintendeste il mio umorismo nero. Mi pare il caso, anzi il racconto che calza a “trucco”. 

Dietro un resoconto di vita, qualcuno deve fare i conti!
Anche col proprio raccontarsela
Sin da infante, son sempre stato un grande ammiratore del supremo, imbattibile Edgar, vero genio d’acutezza mentale forse scaturita dalla sua vita tribolata.
Per esperienze personali, posso infatti attestare e comprovar alla mano che non v’è Arte senza sofferenze interiori.
Innanzitutto, definiamo “Arte”, concetto assai suscettibile di molteplici significa(n)ti ma, proprio in tali variazioni di metrica e giudizio, dal de gustibusdiscutibile, nasce il primo inghippo.

C’è chi considera “Arte” qualsiasi forma espressiva della personalità (non) mostrata. E quindi inglobano in tale “ginepraio” (sì, lo è ché il concetto tanto amplificato… si morde la coda da solo d’orticaria…) oramai tutto.
E, generalizzando, accorpando anche le più furbe, ricattatorie e a prima vista avvenenti “carezzine” al piacere, spesso omologato, s’include (dunque s’espande a iosa e “rose di spine” ritorsive) anche il brutto.
E il brutto, sempre secondo il discutandum est, a taluni appar(v)e-irà bellissimo. Addirittura, dinanzi a quattro schizzi di “sperma” su una tela, eiaculati per escogitar lo stratagemma “ludico” del far soldi, leggasi volgarmente e, per pari “teorema” (in)direttamente proporzionale, gettar fumo (piccante) agli occhi, spennando le coscienze di quattro creduloni pronti, dirimpetto a questi “stopposi petti pornografici” così “pendenti” dalle loro labbra, a farsi (in)coscientemente spellare semmai da chi li ha persuasi che arte sia, “ivi” spacc(i)ata a lettere cubitali in prima pagina del pennivendolo, a sua volta finto e suggestionante, dall’“alto” molto labile dell’esser già stato reputato “grande” e “credibile”… (eh sì, ha quattro lauree… se n’intenderà, se lo dice lui, bisogna credergli, può “certificarlo” appunto di “consolidata”, solidissima… reputazione eh, non si sputtanerebbe nel celebrar puttanate).
Finiamo, travolti dalla miriade d’informazioni (multi)mediatiche del bombardamento appiattente degli spiriti critici, con l’annebbiarci.
Prima, venivamo accecati da Michelangelo e la Letteratura di Dostoevskij c’ipnotizzava col suo carico, anche giustamente doloroso, d’addiction e tormenti, noi stessi ai limiti del misticismo e del rapimento estasiato.

Oggi, in questo Mondo alla cianfrusaglia, imbevuto di troppe “latrine”, anche il piscio a mo’ di graffito non è urina ma “adorabile”. Un Mondo appisolato di pis(ch)elli.
Insomma, non allunghiamo il brodo, la brodaglia puzza, non ho “quella” sotto il naso, ma vorrei annusare una bellissima Donna, senza che se la tiri da diva di Hollywood… oltre a nessun film in curriculum, ha solo un grande culo.
(S)oggettivamente è figa(ta). Per il resto, fa cagare.

Identico discorso “allusivo”, possiamo spostarlo in un versante più “elevato”. Le virgolette, che uso spesso, son qui ancor più necessarie per accentuar il sen(s)o d’ambiguità in cui raccapezzarsi è oramai impresa impossibile. Fra tale valle di capricci, arricciatevi e le acconciature eleganti vi sembreran sconce. Ah, scontato. Questo è già visto. Ma cosa è visto se reinventato?

Se vai al cinema e stronchi il film che va per la maggiore (semmai sei “obiettivo), ti dan del cretino perché oggi “spinge” il “cinema” con la maggiorata, a prescindere che compaia “allodola” solo nel trailer già “da lodare e Dio ti benedica…, oh, si chiamerà Benedetta, quindi ben detto” idolatrante giacché, per “vederla” priva di “giacchetta”, sudi freddo ma poi resti di ghiaccio quando “scopri” che all’oca han tagliato la parte “migliore”. Non è l’occhio, ma dove vorresti “pararli”. La “ravvedrai” completamente lussuriosa solo negli extra del Dvd deluxe formato “Max”, un po’ calendario e un po’ Patrizia D’Addario. Sì, dai al pubblico il “pube”, e crescerà “al cubo”- molto cubista da dadaismo…

Insomma, se hai talento, impegnati tanto lei la dà e di soldi pretende pure l’aborto dopo che il produttore corrotto l’ha “impregnata”, censurando la recitazione “orale” di “Sono cazzi suoi”. Sempre impegnato, non disturbatelo!

Ah sì, ironizziamo. Ché mi trovo in libreria davanti a una pila-“davanzale” di “bestseller” con in copertina peli pubici “pudicissimi”, “inneggianti” all’“altezza” scatologica delle più luride schifezze smerciate come “purissima” lindezza. Indecentemente, invece, la libreria più “fornita” di Bologna non ha più copie dei racconti… di Poe. Vado dal commesso e gli chiedo, anzi esigo, di parlare col direttore, al fine di poter esporgli uno scandalo “annunciato”.

Vendono solo i corpi “spogli”, nudi alla “Helmut Newton”… uguali, tendenti alla fotocopia delle cosiddette bellezze. Al bagno o ai bagnini?

Che cos’è quest’inversione balorda delle e(ste)tiche? E delle na(u)tiche?
Si rema a rotta contraria, nessuno vuol contrastare il prossimo. E si dichiarano però democratici con vezzi artistoidi da spacciatori.

Il commesso dichiara, a viva voce-urlatore, che va così e così bisogna (s)vendere. Minaccia di chiamare le forze dell’ordine e blocca anche la mia “ordinazione” del Poe.

Dopo tre secondi netti, entrano in libreria dei fascisti teppisti fasciati di “nervi”. Insomma, dei nerboruti manigoldi col manganello senza distintivo qualificante ma “quantitativo” per l’istinto lor brado del da pollo marchiarmi in quanto voglio ancora comprare Poe nel 2013, dunque sono solo che un puerile e non posso perfino spillar di tasca mia.
Però, mi riempiono le palle di “palate”. Eh già, ne fan a “patate”, a polpette sul chi crede all’Arte fra questa “sensibile” contemporaneità!

Mah.

Di mio, nonostante vari lividi all’attivo, visibili e non “passibili di denuncia”, poiché acquirente sorpassato, non voglio acclararmi nei cori ma insisto, “masochista”, a raschiarmi di vera Arte depurativa come il Vim Clorex.

Ho recitato “La mascherata della Morte Rossa”, alcuni testi poco puristi riportano solo “Maschera”, ma qual è davvero il titolo originale? Quello “valido?”
Altri “vetusti”, “vegliardamente” han adattato ne “La pantomima della Morte Rossa”. Insomma, è tutta una “festa”.
Ma c’è da perder la testa fra queste maschere carnevalesche, fra i mascara delle donne fra maschi animaleschi, fratricidi, omicidi e appunto il porno attore che fa… “artista” ma a me sembra solo “apri-aragoste” di “carisma” spermicida. Ad Agosto, tutti al mare, ma ti girano per gli altri mesi lavorativi, un girarrosto di girasole. Sì, appassiti autunnalmente e dipendenti per il festivo, concesso loro dal padrone coi festini eterni.
Alcuni si rivolgono al Padreterno. Altri alle tenerezze, altri alla monnezza.

Insomma, ecco il testo integrale, da leggere e imparare a memoria.

Dopo di che, recitatelo con la mia voce, e capirete che sono Arte col suo perché:

La mascherata della Morte Rossa
Da lungo tempo la Morte Rossa devastava il paese. Nessuna pestilenza era mai stata così fatale, così spaventosa. Il sangue era la sua manifestazione e il suo sigillo: il rosso e l’orrore del sangue. Provocava dolori acuti, improvvise vertigini, poi un abbondante sanguinare dai pori, e infine la dissoluzione. Le macchie scarlatte sul corpo e soprattutto sul volto delle vittime erano il marchio della pestilenza che le escludeva da ogni aiuto e simpatia dei loro simili. L’intero processo della malattia: l’attacco, l’avanzamento e la conclusione duravano non più di mezz’ora.
Ma il principe Prospero era felice, coraggioso e sagace. E, quando le sue terre furono per metà spopolate, egli convocò un migliaio di amici sani e spensierati, scelti fra i cavalieri e le dame della sua corte, e si ritirò con loro in totale isolamento in una delle sue roccaforti. Era una costruzione immensa, magnifica, una creazione che corrispondeva al gusto eccentrico e alla grandiosità del principe. Un muro forte ed altissimo la circondava. Nel muro le porte erano di ferro. Una volta entrati, i cortigiani presero incudini e martelli massicci e saldarono le serrature. Impedivano così ogni possibilità di entrata ? di uscita, per improvvisi impulsi di disperazione ? di frenesia, che potevano nascere, in chi era dentro le mura. La fortezza era ampiamente fornita di viveri. Con tutte queste precauzioni i cortigiani potevano permettersi di sfidare il contagio. Il mondo esterno provvedesse a se stesso. Era tutto sommato follia addolorarsi o pensarci troppo su. Il principe aveva pensato a tutti i divertimenti possibili. C’erano buffoni, improvvisatori, c’erano ballerini, musicanti, c’era la Bellezza e c’era il vino. Tutto chiuso là dentro. Fuori c’era la Morte Rossa.
Fu verso la fine del quinto o sesto mese di questo isolamento, mentre la pestilenza tutt’intorno infuriava al massimo, che il principe Prospero pensò di divertire i suoi mille amici con un ballo mascherato di un insolito splendore.
Fu una messa in scena voluttuosa, questa mascherata. Innanzitutto però, vorrei descrivere le stanze in cui si svolse. Sette stanze formavano un unico maestoso appartamento. In molti palazzi, simili fughe di stanze aprono a una veduta lunga e diritta; con le porte a due battenti che si aprono verso le pareti permettendo di vedere tutto in un solo colpo d’occhio. In questo caso invece la situazione era differente, come d’altronde ci si poteva aspettare dall’amore del principe per il bizzarro. Le camere erano disposte così irregolarmente da poter essere viste soltanto una alla volta. C’era, ogni venti ? trenta metri, un’improvvisa svolta che apriva di conseguenza prospettive sempre diverse. A destra e a sinistra, nel mezzo delle pareti, un’alta e strettissima finestra gotica dava su un corridoio chiuso, che seguiva le tortuosità dell’appartamento. Queste finestre, di vetro lavorato, variavano di colore secondo la tinta dominante delle decorazioni di ogni singola stanza. Quella situata all’estremità orientale aveva nella decorazione una forte dominante blu, e blu erano le finestre. Negli ornamenti e nelle tappezzerie della seconda stanza predominava il purpureo e purpuree erano le vetrate. Tutta verde la terza, altrettanto le finestre. La quarta era arredata in arancione e così anche illuminata dello stesso colore, la quinta di bianco e la sesta di violetto. La settima stanza invece era tutta avvolta in arazzi di velluto nero, che pendevano dal soffitto e dalle pareti, ricadendo su tappeti della stessa stoffa e colore. Era soltanto in questa stanza che il colore delle finestre non corrispondeva a quello delle decorazioni. Le vetrate erano di un colore scarlatto, di un cupo color sangue. Ebbene, nessuna delle sette stanze con le loro decorazioni, pur ricca di ornamenti d’oro, era illuminata da lampade o da candelabri. Non v’era luce di alcun genere proveniente da candele ? lampadari in questo succedersi di sale. Ma nei corridoi che accompagnavano le stanze erano appoggiati pesanti tripodi che sostenevano bracieri accesi, che, proiettando la loro luce raggiante attraverso il vetro colorato, illuminavano così in modo abbagliante le sale. Questo produceva un’infinità di immagini fantastiche. Ma nella stanza nera, quella a occidente, l’effetto della luce e del fuoco che si diffondeva sui drappi neri attraverso le rosse vetrate era talmente spettrale e produceva un tale effetto irreale sulle fisionomie di chi entrava, che nessuno aveva il coraggio di mettervi piede.
In questa sala si trovava pure, appoggiato contro la parete, un gigantesco orologio d’ebano. Il suo pendolo emetteva un suono cupo e monotono e quando la lancetta dei minuti compiva il giro del quadrante e batteva l’ora, veniva fuori dai suoi polmoni di bronzo un suono chiaro, forte e profondo, straordinariamente musicale ma di una tale forza, che a ogni ora i musicisti dell’orchestra erano costretti a fermare l’esecuzione dei loro pezzi, per ascoltare quel suono; e così anche le coppie interrompevano le danze e su tutta l’allegra compagnia cadeva un velo di tristezza; e mentre l’orologio scandiva ancora i suoi rintocchi si notava che i più spensierati impallidivano e i più vecchi e sereni si passavano una mano sulla fronte in un gesto di confusa visione o di meditazione. Ma non appena questi rintocchi tacevano, tutti erano subito presi da un sottile riso; i musicanti si guardavano fra di loro e sorridevano quasi imbarazzati del proprio nervosismo, e si promettevano che il prossimo scoccare della pendola non li avrebbe più messi tanto a disagio; ma poi, dopo sessanta minuti (che sono esattamente tremilaseicento secondi del Tempo che fugge), quando tornavano a risuonare i rintocchi dell’orologio, cresceva in loro lo stesso stato di smarrimento, di tremore e meditazione.
Nonostante tutto questo, la festa era allegra e incantevole. I gusti del principe erano davvero squisiti. Aveva, in particolare, occhio per i colori e per gli effetti. Disprezzava le facili decorazioni in voga. I suoi progetti erano avventurosi e bizzarri, e la loro ideazione era illuminata da incandescenze quasi barbare. Qualcuno avrebbe potuto giudicarlo pazzo. I suoi seguaci però intuivano che non lo era affatto. Bastava stargli vicino e ascoltarlo per assicurarsi del contrario.
Era stato in gran parte lui stesso a sovrintendere alle decorazioni delle sette stanze, in occasione di questa grande festa; ed era stato senz’altro il suo gusto personale a caratterizzare le maschere dell’intera compagnia. Credete, erano davvero grottesche! Di splendore e lucentezza, di intensità e fantasticheria, ce ne era tanto quanto poi se ne sarebbe visto nell’Ernani. Vi erano maschere arabesche, maschere totalmente in contrasto con i corpi che le portavano, fantasie assurde che soltanto un pazzo poteva aver inventato. Vi si trovavano in gran copia bellezza, lascivia e bizzarria, e insieme terrore, e nulla che potesse suscitare disgusto. E difatti, nelle sette stanze si muoveva una moltitudine di sogni. E questi sogni si intrecciavano, assumendo colore dalle stanze e dando la sensazione che la musica ossessionante dell’orchestra fosse soltanto l’eco dei loro passi. E poi, ancora l’orologio d’ebano, nella sala di velluto, che batte tutte le ore pietrificando per un attimo, i sogni. E cade il silenzio e l’immobilità e si sente soltanto l’orologio. Ma l’eco dei rintocchi si estingue lentamente: ancora una volta non sono durati che un istante, e un riso represso fluttua e l’insegue, mentre svaniscono. Torna la musica e i sogni riprendono vita; si incrociano e si uniscono ancora più ardentemente, illuminati dai raggi del fuoco dei tripodi, attraverso il vetro colorato. Ma verso la camera più occidentale nessuna maschera osa avventurarsi, ora che la notte avanza e dalle vetrate sanguigne viene una luce più rossiccia, e la cupezza dei drappeggi scuri spaventa più che mai. Chi posasse il piede sul tappeto nero sentirebbe il rintocco ovattato dell’orologio vicino ancora più solenne e, nello stesso tempo più vigoroso, di quanto possano sentirlo le orecchie di coloro che indugiano nei più remoti divertimenti delle altre sale.
Ma queste sale erano densamente affollate; in esse pulsava febbrile il cuore della vita. La baldoria andò avanti ancora più frenetica, finché risuonarono i primi rintocchi della mezzanotte. La musica cessò, come ho detto, i ballerini si interruppero e vi fu, come prima, una pausa generale, inquieta. Questa volta però i rintocchi erano dodici e accadde che il tempo a disposizione per lasciarsi andare a contemplazioni e pensieri fosse più lungo; e per questo forse, prima che l’ultima eco si dileguasse, più di uno della compagnia ebbe occasione di notare una figura mascherata che fino ad allora era sfuggita all’attenzione. E, quando la notizia della presenza di questo personaggio si diffuse fra i presenti, si levò un bisbiglio, un mormorio dapprima di disapprovazione e di sorpresa e alla fine di spavento, orrore e disgusto.
In una mascherata come quella appena descritta si può immaginare che non poteva essere un’apparizione normale a suscitare tutto questo trambusto. Alla fantasia e al capriccio delle maschere erano state fatte illimitate concessioni, ma la persona in questione aveva superato Erode e oltrepassato anche i limiti della stravaganza del principe. Anche nei cuori dei più sfrenati ci sono corde che non possono essere toccate senza dare forti emozioni. Persino per i più cinici, per i quali la vita e la morte sono oggetto di beffa, esistono cose su cui non si può scherzare. Era ovvio ormai che tutta la compagnia sentiva profondamente che nel costume e nel comportamento dell’individuo non vi erano né umorismo né dignità. La figura era alta e ossuta, ed era coperta dalla testa ai piedi dei vestimenti per i defunti. La maschera che portava sul viso era talmente simile all’aspetto di un cadavere irrigidito che anche l’occhio più accorto avrebbe avuto difficoltà a scoprire l’inganno. Eppure tutto questo avrebbe potuto essere sopportato, se non approvato, dai pazzi festaioli tutt’intorno. Ma l’individuo aveva avuto il coraggio di mascherarsi a guisa di Morte Rossa. Le sue vesti erano fradicie di sangue e anche la sua faccia dall’ampia fronte era cosparsa dell’orrore scarlatto.
Quando gli occhi del principe Prospero caddero per la prima volta su questa immagine lugubre (che solennemente, quasi a simulare il ruolo scelto, camminava maestosamente fra gli ospiti) sul suo viso sconvolto si disegnarono terrore e disgusto; subito dopo avvampò di rabbia.
 «Chi osa?», domandò con voce rauca ai cortigiani più vicini, «chi osa insultarci con questa bestemmia? Prendetelo e smascheratelo, e che si sappia chi impiccheremo all’alba sui bastioni del nostro castello.»
Mentre pronunciava queste parole, il principe Prospero si trovava nella sala orientale, cioè nella sala blu e la sua voce risuonò alta e chiara per le sette sale, poiché il principe era fiero ed energico, e a un cenno della sua mano l’orchestra s’era taciuta.
Era nella stanza blu, che si trovava il principe, circondato da un gruppo di cortigiani impalliditi. Al suo parlare dapprima i cortigiani fecero l’atto di scagliarsi contro l’intruso, che in quel momento si trovava nei pressi e che ora si stava avvicinando maestosamente al principe, con passo lento e deciso. Ma per l’indicibile terrore che la folle messa in scena della maschera aveva suscitato nell’intera compagnia, nessuno osò afferrarlo, e così passò indisturbato vicino al principe. E mentre la folla si allontanava di scatto, come colta da un comune impulso, dal centro delle stanze e si appiattiva alle pareti, presa da una paura incontrollabile, costui continuò ad avanzare con quel suo passo solenne e misurato che lo aveva distinto fin dall’inizio, senza incontrare ostacoli da una sala all’altra. Attraversò la sala blu, la sala purpurea e da quella passò alla sala verde, dalla sala verde a quella arancione, e poi alla bianca, e da questa si spinse anche nella sala violetta, prima che fosse fatto un solo tentativo di arrestarlo. Fu in quel momento però, che il principe Prospero, furioso anche della propria momentanea vigliaccheria, si precipitò attraverso le sei stanze, senza che nessuno dei suoi lo seguisse, per il folle terrore che li paralizzava. Impugnava una daga e d’impeto si era avvicinato alla figura che si ritirava, ed era già a pochi passi quando questa, giunta all’estremità della stanza di velluto, si girò di scatto verso il suo inseguitore. Si sentì un grido straziante. La spada cadde scintillando sul tappeto nero, sul quale subito dopo si accasciò morto il principe Prospero. Con il coraggio della disperazione un gruppo di gaudenti si precipitò nella sala e afferrò il mascherato, la cui alta figura stava maestosamente immobile nell’ombra della pendola d’ebano; e fu allora che con un gemito d’orrore si accorsero che le vesti funerarie e la maschera di cadavere che avevano afferrato con tanta violenza, non contenevano alcuna forma tangibile.
E allora si seppe che la Morte Rossa era là, e tutti la riconobbero. Era arrivata come un ladro nella notte. Uno dopo l’altro caddero i festanti nelle sale ormai invase di sangue; morivano così, nella disperazione. E quando l’ultimo morì, anche l’orologio d’ebano tacque, e le fiamme dei tripodi si spensero. E il Buio, il Disfacimento e la Morte Rossa dominarono indisturbati su tutto.


Voi cosa avete capito da quest’emblematico racconto? Che siamo pirandelliani, ognuno dietro una maschera per l’opportunismo di circostanza?
Carlo d’Inghilterra è il Principe che “prosperò” traditore di Lady Diana per “fotterla” nel “tunnel” della buzzicona? Potrebbe essere un’interpretazione molto sui generis, una vaccata meglio della vaccona di Kate Middleton.
Sì, secondo me le principesse, anche se magre e slanciate, han un che di lardoso. E vanno (s)munte.

Ora, alza la mano uno studente senza denti:

– Professore, ce lo spieghi Lei?

– Ma io non ce l’ho piegato! Non devo spiegare proprio un cazzo. Devi impararla/a da solo. Ricorda: non troppo analizzare, se no diventi un analista da penali, e ti faccio l’anale.

– Come, prego?

– Niente, era una cazzata. Vuoi la spiegazione del racconto?

– Certo.

Il Principe Prospero pensa di poter pappare tutte le prosperose e invece niente cena della sua maschera di cera da morto.
I panegirici servono al panettiere per le “rosette”. La verità va dritta e abbrustolita. Come lo “sfilatino” rizzo, non arrotolato… in inutili (rag)giri(ni). Deve essere caldo e basta. Farina del suo sacco, senza scopiazzature e altri “cazzi” che tengano, leggi Viagra e Bignami.
Da me, il professore, otterrai solo il tuo gnomo se oserai “magnarmi” da falsità professorali. Non sono magnanimo, sono quel che sono. A volte non ci sei, perché dormi. I sonniferi rilassano, per un po’ non ci sarai, poi canterai con Claudio Baglioni la tarantella assieme a Vasco Rossi, al ritmo di sono vivo, sono qui, sono ancora qui, eh già. Secondo me, è già finita. Ti ve(n)do in zona Verdone quando canta la canzone “Binario”…

Rammenta, demente. Nella vita, non esistono equazioni binarie e spiegazioni logiche. Devi calcolare anche il digitale dopo l’analogico. Infatti, adesso dove li butterò i vecchi VHS che non “entrano” nel “lettore?”.
Io leggo ma gli altri no. Sembrano delle stampanti. Parlan per frasi fatte. Io non mi faccio, gli altri strafatti ti dicono di farti gli affari tuoi. Il loro affare però è ammosciato. Troppa droga e i ventenni han già le rughe. Se a quaranta diverran a novanta, a ottanta rinsaviranno o salirà ancora? Chissà. Lasciano il Tempo che trovano. Ma lo troveranno in mezzo alle troie. Il mestiere più antico. Sì.
Un Tempo, guidavano le Vespette. Amavan la donzelletta che “vien” dalla campagna, adesso mirano a carriere “facili” eppur “arrivate” in cima al “monte”.
C’è Monti, Vespa Bruno, Brunetta va con le brunette, la verruca di De Niro è sempre più vecchia.

Insomma: “La maschera della Morte Rossa” è la metafora della condizione (dis)umana, che tocca anche ai “potenti”. Si credon “untouchable”, ribaltando le regole da Al Capone, ma se li tocchi… nell’intimo… (vedi Berlusconi con le mignotte), s’incazzano e rigiran di porcate. Tutto un Travaglio, da che posizione la guardi, sei ingravidato da quando sei uscito uterino, forse anche Martin Lutero era invero papale. Sì, Martin non ha mai pappato, sol di sapone bolle.

Gli uomini coi soldi, prima o poi, si rivelan stronzi. Le stronzette, da me solo che cazzotti. Comunque, ce n’erano molte nell’orgia di Eyes Wide Shut.

Tom Cruise scelse la fulva in modo poco furbo, di lievito “infornante” sull’inculata che levita.

Si toglie la mask, diventa Jim Carrey di Bugiardo Bugiardo e tanto va il porco al largo che fa la fine del Prospero.

Una fine da vero dottore del Principato… di Monaco?

No, di me che glielo monco.

La Morte Rossa sono io.

Così scrisse, così è.

Amen, salutami la bionda morta dell’obitorio.

Anzi no, aspetta. Ma la bionda era la stessa della festa? E chi l’ha resa rossa? Come? Era sempre bionda? Son io che confondo?
Siamo in un doppio sogno?

Mah, secondo me l’ha ammazzata il parrucchiere.

E Nicole Kidman rimase una cagna anche con Kubrick. Il resto è una “montatura”. Rimarrà negli an(n)ali.

Fidati. La vita è Arte per Natura, il bisogno dell’artista è consolarla.

Certo, se non hai i soldi per neanche un piatto d’insalata e la testa di Stanley Kubrick, poi ci scappa la frittata.

E nessuna scopata. Ci sarà qualche scappatoia? Voglio solo la scappatoia. Al massimo, posso pretendere una scaloppina. Non voglio galoppare di fritte patatine.

Oh, non friggerti. Pensa al tuo uovo, mi sa che l’Uomo non sei tu. Mi sembri uno da Vov. Dammi retta, quale genio della lampada.
Non sei nessuno, io sono qualunque. Il problema non mi passa. Svolto mentre ti aspetta la sedia elettrica da Alessandro Volta(ggio).

Insomma, mi tengo Poe-ta, anche squattrinato, tu tieniti le tette guadagnate di molta marchetta.

Ciao, ci rivediamo, eh?!

Non è una spiegazione? Invece, lo è. E se non t’ho convinto, se vuoi avvincermi al tuo vanto, da me lo riceverai poco davanti.

In realtà, l’esegesi di questo grande racconto è questa, sintetizziamola però per questioni logi(sti)che: il “Principe” Prospero pensa di scacciare via i suoi demoni interiori e crede di trovar conforto in una “fortezza”, attorniato solo da persone che può “soggiogare”.
Ma la coscienza silenziosa serpeggia, striscia, entra senza che nessuno possa vederla, il Principe l’ha sempre saputo/a. Sperava che si fossero per sempre calmate le acque, ma le acque delle anime “rinnegate”, soprattutto la propria, tornano prima o poi a galla.
Tormentano di pari persecuzione. Per se stessi nello specchio delle bugie. Di tutti, purtroppo.

M(or)ale: se fai il gallo, anche i ricchi piangono.

Non fa rima. Non segue un filo logico?

Sì, ho sempre preferito gli incubi di Lynch a Shining.

Possiamo dirci la bestemmia? Va detta. E ci sta pure il Dio dopo il?

Il pranzo di Prospero. Perché non puoi (pro)sperare a lungo.

Applauso!
Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Apocalypse Now (1979)
  2. La maschera della morte rossa (1964)
  3. All’inseguimento della pietra verde (1984)

“Il gatto nero” di Edgar Allan Poe, by Stefano Falotico


25 Mar

Una tempesta, un vulcano, una montagna riscaturita da ignoto, irrazionale miracolo.
Questo è costui, il sottoscritto e al “nulla” di paragonabile ascrivibile, cioè Stefano Falotico, l’Uomo che superò l’Inferno, vide(o) coi propri occhi l’infinita cattiveria del Mondo, superstizioso e ancora retrogrado nella mentalità oscurantista.
Ma, con indelebile e imperscrutabile classe “sott’acqua”, eccolo qui riemerso “in sacrificio per voi”, un notturno di lusso e di tutto punto combattivo.

Varie afasie furon proprio afa alla mia “umidità” e, “fannullone”, mi buttai via, gettando il Tempo come se non volessi viverlo o addivenirne al suo disegno. Così, mi dipinsero “immobile” nell’elogio della mia “follia” senz’orologi.

Per giunta, d’illazioni e deduzione accomunata alle “intuizioni” più sciocche, anelarono affinché agognassi “ghigliottinato”, immiserito del me più valoroso.

Lo so, inutile dannarvi, nacqui già bello, di Scienza infusa e mai “imboccato”, mi bocciaste ma io risbocciai in mezzo alle bisbocce del mio birbante conturbantissimo. Infatti, indosso un cappello alla cui sommità v’è un tulipano che dispensa saggezza e perle.

Altro che pera cotta, avete di fronte un Uomo al cui confronto il Cristo è un patetico guitto delle san-t-ità. Egli cadde, tentato da una Maddalena arpia, ma io, nonostante donne stupende m’offrirono le loro grazie “floreali”, non m’abbindolai al porcile. Svezzato fui da una bionda adamantina che protesse il già “teso” mio Cuore fiammeggiante e propenso alle “farneticazioni” più falotiche per non commettere i vostri “falli”. Sì, voi sbagliate e vi pentite solo di Domenica mattina nella “benedetta” poi, mentre intingete la manina, “scrutate”, sottob(r)anco e di sottecchi, le sottane delle su(or)ine di sbirciatina nel frattanto, a “fratturarvelo”-scisso, dell’ammirare la Croce di colui che è a-sceso.

Ma mentre porgete la vostra adorazione al figlio di Dio, so che qualcosa, là sotto, “sale”.
Perché quella della prima “fila”, che figa, è entrata in chiesa con una minigonna a “tirarsela” da finta monaca, Ella è allusiva e voi ve n’illudete nel luogo ove potete poi confessare il “peccatuccio”, senza che nessuno possa vedervi né “toccarvi”. Abside! Io vi subisso! Abbassatevi!

Lo so, sono il vostro confessore, venite (d)a me e riceverete la Grazia di Lei, che ve la darà gratis et amore. Già, è una prostituta che mente mentre, meretrice impunita, sempre puttanissima, in “cuor” suo sogna di peccare ancora. E di “accogliervi” dentro la sua “chiave” del “Paradiso”.
Ve ne fornicherete, lo so.

Basta con questa “recita parrocchiale”. Ipocriti!

Sono migliaia di anime, miei sfigati. Mi scambiaste per il micio “Sfigatto” di Ti presento i miei… i miei son gioielli di voce e intonazione senza “tonache”.

Io, qui per voi, fratelli della congrega, leggo con superba (in)differenza, “Il gatto nero” del grande Edgar Allan Poe.

Edgar sapeva che non c’è niente di “normale” e “diagnosticabile” in un genio.
Oggi, voi pensate d’incastrarlo, ma Lui è già oltre e v’ha (s)fregato, appunto, di fusa, miei “fusi”.

Ora, “allego” per voi le prime righe di tale leggendario, epocale, POE-tico racconto.

Il gatto nero
Per il più folle e insieme più semplice racconto che mi accingo a scrivere, non mi aspetto né sollecito credito alcuno. Sarei matto ad aspettarmelo in un caso in cui i miei stessi sensi respingono quanto hanno direttamente sperimentato. Matto non sono e certamente non sto sognando, ma domani morirò e oggi voglio liberarmi l’anima. Il mio scopo immediato è quello di esporre al mondo pianamente e succintamente una serie di semplici eventi domestici, senza commentarli. Le loro conseguenze mi hanno terrorizzato, torturato, distrutto, ma non tenterò di spiegarli. Per me hanno significato nient’altro che orrore, ma per molti sembreranno meno terribili che barocchi. Si potrà, forse, trovare qualche intelletto che ridurrà il mio fantasma ad un luogo comune – qualche intelletto più calmo, più logico e molto meno eccitabile del mio che possa cogliere nelle circostanze che io evoco con timore, nient’altro che una normale successione di cause ed effetti naturalissimi

Il resto, dovreste conoscerlo. Se ve lo siete scordato, rileggetelo.
Come? Non ce “l’avete?”. Com’è possibile.

Mi ero precautelato con cura, affinché lo compraste e lo studiaste a memoria. Sudatevelo!
Invece, non avete svolto il vostro compito. Gravissimo! Pessimo! Neanche la masturbazione mentale! Fate proprio schifo! Avete mollato anche il delirio? E che vi rimane? Il lavoretto da quattro bagascie? Vergogna! Andrete, non nelle gonne, ma nelle gogne, altro che vigne! Io vi sono il Vinavil!

Ma fui o non sarò migliore del Cristo? Quindi, Io vi perdono e vi offro un’altra possibilità.

Adesso, andate su ibs.it e scegliete l’edizione che più vi aggrada.
Se non v’alletta la lettura su cartaceo, a pochissimi Euro, quasi a zero, potete scaricarlo in eBook.
Fra l’altro, allo stesso prezzo, oltre al “Gatto…” vi sarà data in “regalo” l’opera omnia di Poe.

Se non avete neanche i soldi per questo, eh già, la crisi che non permette neanche un “caffè”, lo leggerò qui per voi:

Ascoltate le modulazioni delle mie frequenze e godetene tutti.

Ora, scambiatevi un segno di Pace.

Ricordate: so, in quanto sono un subacqueo.

E, nell’acquolina in bocca, la salsedine è una nave che va, ove non si sa, un po’ qui e un po’ “lì”.

Ove “att(r)acca” e mette l’ancora, ancora in riva al mar’, mentre l’orizzone, calando, le abbassa il costumino con calma per poi spingere veliero.

Tre film, numero perfetto, inutile eccedere, che valgono il “candelotto”.

A cui aggiungiamo un quarto che è da dieci e lode.

Applauso!

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Quei bravi ragazzi (1990)
    Questo Liotta insuperabile, timido, alle prime armi, come si suol dire, in sordina, “sordo” nel senso che va per la sua strada da capra. E, da bimbo complessato, a criminale “sganasciato”, in mezzo a stronzi veri. Questo Liotta che capisce tutto, che spacca la faccia, che gioisce per le rapine, poi si tira indietro, questo Liotta che lotta.E, alla fine, dopo una mezza vita da serpe, fa il Serpico di turno, e denuncia da “pentito”. Sbatte i compagni in galera e si “gode” la pensioncina “anticipata”. “Bellissima”, con tanto di pantofole e giornalino in mezzo alle motoruspe, su sorriso amaro “ruspante”.Questo Joe Pesci strepitoso che cazzeggia a tutto spiano, spara e sbotta, sputtana e va a puttane completamente. Uccide, singhiozza, s’ingozza di “manicaretti” di sua madre, nella realtà quella di Scorsese, “donna coraggio” a “spronare” i “bravi” a combinarne delle “belle”.
    La cena dei tre figli di puttana è da morire dal ridere per non piangere.
    Sì, Pesci scatenato ironizza e strizza l’occhio, intanto c’è un cadavere “pulp fiction” nel baule.

    Quando (non) si dice che Tarantino s’ispirò a Scorsese, è giusta blasfemia al sapore sentito dire che ha il suo perché. Diciamocela. Tarantino copia e non vale un mezzo Scorsese di questo film.
    Così è. Vaffanculo!

    Questo De Niro, un anno prima di Cape Fear, un irlandese italoamericano, un Butcher antecedente le gang di New York. Che fa il mentore e nessuno mi toglie dalla testa che voleva fottersi, nel “vicolo”, Lorraine Bracco, prima di Gandolfini da Soprano…

    Infatti, finì in analisi da terapia e pallottole.

  2. Casinò (1995)
    Chi paragona questo film a quello sopra, appena citato, deve solo che andare a “far impazzire la maionese” delle sue cervella. Qui, Scorsese, sceglie una scorza “dura”, Sam Rothstein, un De Niro versione elegantone e brillantissimo che, a ogni “cambio” di scena, indossa abiti diversi. Nei ragazzi vestiva Armani, qui si dà all’alta moda d’un film che non bada alle mode del gusto medio.S’innamora di Sharon Stone, conclamata zoccola. Bona è bona, superfighissima, tanto da rovinarlo.
    Glielo s-tira del tutto nelle corse della sua cavalla, infatti De Niro si darà all’ippica!Pesci “gioca” d’“adulto” bambino al terzo incomodo e se la scopa vicino al comodino.

    Se la fa di botta, ma fa il botto!

    E incasina tutto. Finisce bastonato, su De Niro “suonato” che perde tutto, peggio di C’era una volta in America.

    Ce la vogliamo dire?

    Altro che Orson Welles!

    Questo è il film più grande del Mondo.

    Lynch David vada dallo psichiatra, subito.

  3. Risvegli (1990)
    Sorpresone!Il “mio” medico come me lo spiega questo?Mah.

    Increduli nel mio Credo.

    Avevo ragione io.

  4. Shining (1980)
    Ora, questa vita da romanziere non rende molti soldi. Urge assolutamente, quanto prima, un lavoro più redditizio. Basta col muso e il mugnaio!
    Occupazione “tranquilla”, lontano dalla gentaglia. Ove possa concentrarmi e continuare a scrivere in santa pace di Cristo, senza rotture di coglioni. Devo, al massimo, controllare le tubature e i “commenti” da filtrare sul mio canale “YouTube” ove, una volta su dieci, c’è lo stronzo che provoca.Provoca ma fa la figura dello scemo.
    Sono più scemo io, sì, lui è Jim Carrey e io Jeff Daniels.
    Sono doppiamente imbattibile.A lungo andare, sto perdendo la bussola. L’Inverno si protrae e perdo ispirazione. L’apatia ritorna e non scatta la molla, anzi, m’ammoscio con occhi da pesce lesso. Circola poca aria e perdo anche i capelli. I flaconi del Bioscalin aiutano a rinfoltire il “lupo col vizio”, ma si “spelacchia” anche la voglia di figa. Divento un triste figuro, più che altro.

    Il referente Adecco, agenzia lavorativa della minchia, beve solo il cappuccino a Crespellano.
    E sta mandando a troie quelli in attesa.
    Lui mescola il cucchiaio e gli girano pure le palle.

    Bella questa. Questa è bellissima!

    Mio figlio è matto, si crede sensitivo e infatti mi raffredderà del tutto. Mia moglie fa schifo alla monnezza, recita bene ma è una strega, eroticamente parlando. Con costei, il cesso dei cessi oltre il water, ci vogliono mille chili di Viagra. Meglio farsi una bevuta col “maggiordomo”.

    Il maggiordomo è uno psicopatico assassino, non bisogna dargli dunque troppa confidenza. Altrimenti, camminare assieme allo zoppo, ti rende appunto pazzo. Zoppo no, io zappo. Male che può andare, mi darò la zappa sui piedi.
    Tanto a che serve camminare in questo Mondo?

    Solo un altro bicchierino per tirarmi su il morale.

    In poche parole, il mattino ha l’oro in bocca.

    Dai, mettiamo su “Nebraska” di Springsteen.

    Qui, finirò congelato.

    Prendiamo armi e bagagli e via da quest’Overlook Hotel.
    Si fotta il direttore che m’ha assunto.

    Meglio finire barboni che nel “ginepraio” degli orrori.

    Adesso, chiedo la pratica di divorzio e spedisco mio figlio dalle suore.

    Poi, continuo a fare Jack Nicholson.

    Jack, si sa, ci dà.

Silenzio. Una favola di Edgar Allan Poe


22 Jan

Silenzio alla Poe-ta

Fratelli della congrega, so che la società vi sta direzionando verso risate smargiasse da combriccole a me assai intollerabili.

Da anni, nonostante titubanze, arretramenti e mentalità retrograde che vollero incupirmi per sbranar il lupo in me sempre germogliante e or rifioccato, perseguo una linea inossidabile, il più altero disprezzo per chi disprezzò le mie scelte, corroborate di notti a immaginarmi pasciuto nelle vostre valli di lagrime, ove rassodavo i miei glutei in totale sfacciataggine che fischietterà sempre infischiandosi dei fiacchi, dei fianchi e dei vostri fiancheggiamenti.

Sono erede della tradizione lunare, e non intendo, sebben provarono a tentarmi, e dir che ne fui quasi quasi attenuato, a farmi retrocedere. Invece eccedo, insisto nella mia resistenza forse a non esistere ma che di tal moltitudine infelice non sa se soffiarsi il naso o sbugiardarli nel Pinocchio.

Io nudo, io che scalzo le mezze calzette e tutti obbediranno alla inviolabile legge del mio fragore, dei miei frastuoni.

Udite idioti la voce del Signore, e non inveite di sbeffeggiarla ché, da dietro la tua testa, potrebbe rasarti il cranio nel frantumarlo.

Signori, colui ch’è, un perché qui:

Adoratori miei, il trono è nostro.

Orsù, cavalchiamo. La Notte è lunga. E va addent(r)ata.

 Recito da “favola” o no?

Genius-Pop

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