Tanto ha scandalizzato la scena in cui De Niro, dopo il funerale della povera moglie, “beatamente” brillo, tutto rizzo, si masturba nudo sul (di)van(it)o(so) su un por(n)o suo casalinguo, anzi, di “casalingua” fantozziana.
Credo che sia il raging bull che “viene” fuori anche quando l’età va su e “lui” è un po’ “giù”.
È il toro che tira, la vita che st(r)inge, il “prenderla” appunto a culo. Dopo tanta fatica, la figa, senza bisogno di Viagra ma con un De Niro “in mutande”.
Bello arzillo, vivacello di uccellin’ viaggiatore, migra in quel della Florida per espeller la fauna borghese, in mezzo a quella flora appunto floridissima, altro che sua signor(i)a, moscia e morta vivente, Dick è a caccia di una “monta”, no, di una mora, a fare il culo nero a un negro, a spogliarsi della sua “reputazione” e andar a puttane. Care “oche”, v’è anche la presa per il popò del karaoke.
Intanto, gli Stadio a Sanremo cantano dell’amore di un padre, meglio l’ardore di un Dirty Grandpa.
In questo fotogramma, da me “immortalato”, v’è tutto il significato della vita, ch’è un cazzo (f)ritto.
“Diciamocela!”.
Insomma, licealli, ché scommetto abbiate ancora caldi i be(gl)i uccelli, frenate la cultura, sapete meglio di Bob che “crescere” significa sognare un culo duro.
E farselo.
Post(eriore) capolavoro di Stefano Falotico