Primi acquisti natalizi, un consiglio perché io possa pagare meglio l’aff(l)itto e curarmi dalle f(r)itte: “Il cavaliere di Alcatraz”, ora anche disponibile sul Kindle. E sul comò, no?
Prefazione delle “torrefazioni”
Son amabile come il caffè dolce, oh miei Alex da Arancia meccanica. Cucù, il clockwork fa, nel vostro culetto, un manicomio da cuculo. Sorridi a modo in tal mondaccio, sghiaccialo a limone con coraggio senz’Orange. Altrimenti, arrangiati!
Il genio vi ha fatto impazzire dopo che tentaste, miei folli, d’atrofizzare le mie idee affollanti, nessun mi prende, le donne il mio sì, oh signori!
Fratelli della congrega, lunga e impervia è stata la mia strada dopo tanto esistenziale smarrimento. Non calcolai, distratto dal cartellone pubblicitario d’una senza mutande ma di pube lampeggiante, la svolta a destra in tangenziale. Beccai un pazzesco sinistro. Mi salvai però in corner. Cornuti!
Ma nonostante già l’incidente grave occorsomi, come tutti i miti, per ascendere all’entità, divina e apollinea, sfidai Zeus l’eterno e vinsi dopo prove sfiancanti. Simile a Ercole, per dimostrare la mia Natura vicina al monte più sacro, dovetti costringermi a innumerevoli esami. E fu smile… dopo le smagliature, lo smagliante aitantissimo e azzannante con qualche rotto dente.
Dopo che me la squagliai in spirituale ritiro, mi tira a quaglia, miei somari stirati con puzza d’aglio. Il mio naso è “lungo”…
Quindi, fu il Giorno al tiramisù. Splendente a ribaldo vostro amato, ripudiato per anni, offerto in sacrificio per “(co)stiparsi” mentre la gente “allegra” si strippava dalle risate a me coprenti appunto di derisioni. Non mi stiperete! Loro però strappa(va)no! L’ignobiltà di tal razza fu da me estirpata impagabilmente con la mia classe, anche se soffrii di fegato e c(r)ol(l)ò la bile su acciacchi all’anca. Dalla biro nacque colui che molti, del porcile d’anatre allearance, vollero evirar di tutta frettolosa mira. Ma dimenticarono che io son stato concepito dalla Madonna in quel di Betlemme, coi Re Magi a regalarmi (l)oro, incenso e proprio mirra. Io, miracolante mistico di cui tanti mistificarono il senso metafisico solo perché, durante una tentennante adolescenza mai ai miranti seni sullo “stante”, non ero molto attratto dalle donnacce e neppur dalle belle fighe altrui “attizzanti”. Voi sì ch’eravate da “piedistall(on)i”. Mai ce l’avevate stanco, macellai! Io il “figliuolo”, io sempre a coprirmi con foglie di fico per romantico sognare così come il puro sfoglia i petali delle margherite e non annusa le strisce di “riga”. Rustico o arrosto? La rosticceria preferisce ilcurry, la cinesina a mandorla fa liquirizia. Oggi, superata l’età del Cristo di un an(n)o indelebile, memorabilissimamente son a voi tornato alla vita aderente. Un po’ stropicciato… annoiato per colpa delle mie palle più e più volte logorate, schiacciate e fatte… a poltiglia, incanalate in viso senza ruga dalla beltà maestosa su ridente vostro più “innocente” invidiarmi. In culo, lo prende(s)te? Roccioso, io rido gioioso, ieri giudicato noioso ché forse, patendomi dentro in malinconie insopportabili, deperii a estemporaneo “moralizzato”, nel futuro chissà ove il Fato mi condurrà. Se al quaquaraqua o a una chiatta. Meglio il Chianti. La piantiamo? Se all’indurito, a impietrirvi d’altro stupefacente, oppure nullatenente. Sì, si prospetta dura, la scala è in salita? Adottai le visioni prospettiche. A chiocciola sarebbe più co(s)mica. Sì, non amo le “torri” per raggiunger le vette gerarchiche, m’accontento del girarmeli. In tondo e attorno allo spermatico girino, qualcuno mi torchierà e io mi plasmerò sol a tornio del Minotauro. Fregandolo col filo d’Arianna alla quale, di zucchero “filato”, infilerò la cann(ell)a, alla faccia dei gelosi mostri. In gelatina e al gelo come Jack Nicholson di Shining. Ah, il mattino ha l’oro in bocca ed è un triste figuro. Così “integerrimo”, ineccepibile, non transigente e “intransitivo” d’ottusità, falso Verbo cristiano, severo e irreprensibile nel desiderio della tranquillità domestica, mi casca questo “giusto” asino “adulto”, pedagogo di tutti tranne che di sé fregato. Perché Jack scordò il sesso, mi urò di non friginare, soffocò l’Eros e si distaccò in Thanatos, intrappolandoselo nel labirinto. Vedi, Torr(anc)e? La vita non si confà delle stolte tue regole ma come stai dopo le batoste al tuo bastonarmi?. Io viaggio col triciclo, son tosto e non puoi battermi. T’adocchio e so. Dietro quei tuoi occhietti, si nasconde l’orco cattivo. Io, Pollicino e Apollo. Anche se preferisco Balboa Rocky. Come si suo dire e c.v.d. ,tre civette facevano l’amore con la figlia del dottore, il dottore s’ammalò, tutti i pesci vennero “a galla” come la palla di pelle di pollo fatta da Apelle, il figlio di puttana. Cari polli, siete rimasti al petto. M’aspettavo più “cosce” da maschioni come voi.
Invece, io incassai, non mi spellaste ma le spelo, adesso incasso in se(n)so (a)lato.
Tieni chiuso ora il beccuccio? O vuoi (s)beccarmi in tal morbida “flagranza” del tuo franare dinanzi a me l’irrefrenabile nelle sode forme fragranti? Uovo e a voi donne. Che lievito, altro che castrato. Nessun più incastrerai. Sei tu che ce l’hai non da uccello, adesso.
Ecco la tua maniaca ossessione. N’eri oss(ess)o e t’impuntasti di chiodo fisso!
Nerone! Verde di rabbia! Sei Hulk?
Guarda come “dondola”, con le gambe ad angolo ballo il twist. E si v(ol)a di qua e di là, un popò e diamoci ancor per non poco. Voltati a me, il “duro”.
Ah ah.
Vi (rac)chiudo dunque in clausura, sono il Mon(a)co come Clint Eastwood
Trilogia del dollaro, Madison County e non pacchiano da Square Garden, Unforgiven e Walt Kowalski di Gran Torino. Perciò il capolavoro di Don Siegel. Tu invece sei un “topo” da Steven Seagal. Sei fermo alle idrauliche seghe, meglio le fughe…
Un’inversione a “u” e cambia la vocale di “i” senza i tuoi “puntini”. Sei sbiancato?
In fighe… bravooo…, parafrasando il Biondo.
Non so se Buono, di certo un “Wanted”.
Quindi, per solo 1 Euro e 99, ora non avete scuse né attenuanti che tengano.
Versate, pure le lacrime del (ri)morso. Me lo sono meritato?
Già, appena poco più d’un caffè. Dai, che vi costa?
Altrimenti, chi mi paga gli alimenti?
E dire che questo libro è universitario. Mamma, neanche tu, che insegni alle elementari vorresti dare a tuo figlio un Falotico? Non mi bastan i danari. Dannami! Dammela!
Tuo figlio deve crescere come me, allevalo subito. E levati la gonna.
Tuo marito non t’ha insegnato i fondamentali? Allora, prima di fiondarti sul “mio” fondente, effondiamoci (s)lavati e ignudi sopra il pavimento.
Il preliminare prevede il leccarmelo.
Ricordate, miei sporchi: per “venir” a Dio di tal sal(ir)e, bisogna innanzitutto, tutto tutto, (a)scenderlo nel fondale. Solo così si può (s)fondare!
Sì, il caffè costa meno del cappuccino, aumentato a 1 30, non vale il mio libro.
Assolutamente!
Stasera, mi reco al solito bar. Luogo poc’affollato, come piace a me.
Il barista è sempre stato gentile. Al che, ordino il cappuccino serale, ben scremato, ben “liscio”, ben con “spicchi” di cioccolatini, e spillo uno e venti.
Lui, all’improvviso, s’incazza e salta su senza ragione apparente: “Cazzo, mancano 10 centesimi! Dammeli o ti ammazzo!”.
Ecco, due anni fa guadagnavo 3 e 10 l’ora per un lavoro pseudo tale.
Che cazzo vuole questo tal dei tali? I dieci dei risparmi? No, me la taglia di accetta solo perché non accettò lo scontr(r)o.
Al che, controllo le tasche, il portafogli e non c’è traccia di “mancia”. Neanche un soldo “bucato” sbuca dalle maniche con le toppe. Una topa mi prende in giro e il suo gringo se la beve come una Peroni. Scopano ringhianti. E il colorante?
Questa è la vita. Erano meglio le lire. Infatti, su Amazon.us, viene pure a meno. E il mio libro non è in rumeno. Scrivo arabo, prometto che non sono albanese. Anche se le complanari letterarie di Antonio mi piacciono. Meglio delle piadine emiliane.
Firmato il Genius
(Stefano Falotico)