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JOKER legge il saggio critico di FilmTv dedicato a THE IRISHMAN di MARTIN SCORSESE, che Pacino!
Per fortuna ci sono le stupende gambe di Saoirse Ronan a far sì che mi riprenda dalle stroncanti, ammoscianti, scriteriate recensioni su The Irishman totalmente scandalose
Eh lo sapevo, sì.
Dopo tutti i bastian contrari a Joker, ecco che stanno spuntando come funghi anche i “fighetti” dell’ultima ora che, dinanzi al 95% delle recensioni entusiastiche della media di metacritic.com riguardo The Irishman, non ci stanno e vogliono dire scriteriatamente la loro, andando incontro a plateali, oserei dire eclatanti figure di merda senza pari.
Adesso arriva dal nulla un sedicente critico che non avrei mai voluto leggere. Di cognome fa Simonetti. Spero che non sia imparentato con una delle produttrici esecutive di Lake Film che, purtroppo, ha lo stesso cognome di tale “zacquaro”.
Dicasi zacquaro, in meridione, un essere che millanta grandi qualità infallibili e invece, messo alla prova, si dimostra impresentabile quanto Zaza agli Europei di Calcio in cui, per colpa del suo rigore scellerato con tanto d’inutile balletto da Zorba il greco, fummo eliminati dalla Germania.
Zacquaro è sinonimo anche di zammero. Rimanendo in ambiti calcistici, vi racconto questa.
Tanti anni fa, nel paese natio dei miei genitori, giocai a calcetto nel campetto comunale. Al che uno sbagliò un rigore e il suo compagno di squadra gli urlò, arrabbiatissimo: sei un zammero!
Poi, fu assegnato un altro rigore e colui che sbagliò il primo rigore, ecco, volle calciare pure il secondo.
Si beccò un altro zammero!
E dire che, prima della partita, si paragonò a Pelé ma, tornando a Zaza e alla nostra eliminazione, assomigliò più che altro a Graziano Pellè. Ho detto tutto…
La producer della Lake Film è bellissima, la recensione di costui invece induce al voltastomaco. Insomma, fa cagare e vomitare.
Non vi dirò da quale sito qui la estrarrò e copia-incollerò, rispettando la perfetta dicitura d’ogni sua stronzata certamente da censura.
Ecco la “zamarrata”:
The Irishman è davvero un capolavoro?
Il nuovo film di Martin Scorsese è il memoir di un gregario nato, ma con una durata piuttosto eccessiva e uno schedario di frasi già usate.
Recentemente uno scorbutico Martin Scorsese si è scagliato contro i film Marvel, confinandoli al di fuori dell’insieme “cinema” e relegandoli con sdegno nel più modesto insieme “intrattenimento audiovisivo”. I principali focolai di tensione sono la mancanza di complessità, le sale intasate da sequel molto simili tra loro, la tendenza del franchise supereroistico a fagocitare il resto del sistema. Intervento non elegantissimo, forse non così necessario, ma non divagheremo oltre. A noi, impegnati nel primo approccio a The Irishman, già venerato come film-testamento del Maestro, il suo C’era una volta in America, interessa soprattutto questo passaggio: «Se alla gente viene dato un solo tipo di cosa e viene venduto all’infinito solo quello, ovviamente vorrà sempre di più di quell’unica cosa». Ci torneremo in un secondo momento. Per ora teniamolo da parte e godiamoci la sinossi…
Se Aristotele avesse avuto modo di occuparsi di cinema, probabilmente avrebbe quantificato la durata ideale di un film in 90 minuti primi. Lo stagirita sarebbe uscito moderatamente irritato da una proiezione di 120 minuti, molto triste da una di 180, certamente in lacrime da una di 210. Se i Grandi Lunghi di Mankiewicz, Diaz, Von Trier e dello stesso Scorsese hanno nobilitato la settima arte e meritano una mezza giornata d’attenzione, l’esaustivo memoir di Sheeran non ha nulla da aggiungere alle centinaia di gangster movie e serie tv, spesso splendidi, che da decenni intasano cinema e piattaforme di streaming con Mafia, Camorra, ‘Ndrangheta, Sacra Corona Unita, Yakuza, Triade, zingari di Birmingham, clan rivali di Taiwan, narcotrafficanti di Medellín e Sinaloa, baby gang delle favelas di Rio e della Transnistria moldava, sodalizi di orfani sordomuti della campagna ucraina.
L’unica anomalia di The Irishman, con un po’ di buona volontà, è l’assenza in Frank di qualsiasi pulsione verso la scalata al potere: in barba al furibondo desiderio di ascesa di quasi tutti i personaggi di Scorsese, il nostro rimane fedele a Russell con l’abnegazione del maggiordomo Stevens di Quel che resta del giorno. Un gregario nato, complimenti vivissimi. Per il resto, il consueto voice over compulsivo ci racconta di un familiare sottobosco fatto di Jimmy Tre Dita, Chazz Sulmona e Frankie Mandarancio, di macchine che esplodono, di riunioni in cui famiglie rivali si promettono di non fare delle cose che poi, con nostra grande sorpresa, fanno subito dopo. Solo che Mean Streets ha ormai quarantasei anni, lo schedario delle frasi celebri è pieno, e insomma questo divertissement tra vecchi amici è più divertente per loro che per noi. E allora perché Netflix ha puntato a occhi chiusi sul Maestro, accollandosi decine di milioni extra per l’orrendo ringiovanimento in CGI dei protagonisti? Forse perché se alla gente viene dato un solo tipo di cosa e viene venduto all’infinito solo quello, ovviamente vorrà sempre di più di quell’unica cosa. Ironico, vero? In confronto al genere crime, la Marvel ha la frequenza produttiva di Terrence Malick con l’influenza: il pubblico vuole ancora automobili in fiamme, possibilmente a causa di Jimmy Tre Dita, se siamo fortunati dopo una riunione in cui Jimmy aveva promesso a Frankie di non incendiare più automobili. Il modello reggerà in eterno generando calchi di sicuro successo, esattamente come nel genere supereroistico, e va benissimo così. I capolavori, tuttavia, sono davvero un’altra cosa.
Qui ci vorrebbe, contro costui, Clint Eastwood.
Sarebbe come dire, infatti, che dopo la trilogia del dollaro di Sergio Leone, Gli spietati è un film inutile.
Sino a ieri, considerai Saoirse Ronan un’attrice brava ma bruttina.
Invece, dopo averla vista ospite da Ellen DeGeneres, credo che anche l’insuperabile Gemma Arterton vi abbia fatto un pensierino, come no?
Guardate al min. 1:49 di questo video.
Gemma accarezza il braccio di Saoirse da semplice collega e amica?
Siamo sicuri? Delle cosce di Gemma siamo sicurissimi ma anche di questa cosa siamo però altrettanto sicuri. Tale critico Simonetti non capì The Irishman. Credo sinceramente che se, davanti a lui, si spogliassero Gemma Arterton e Saoirse Ronan, non capirebbe un cazzo lo stesso. Ma non in senso figurato, cioè impazzirebbe di desiderio ma entrambe gli assegnerebbero il pallino vuoto. Un uomo, insomma, da flop totale.
Ho detto tutto.
Morale: se date retta a questi critici della minchia, siete fottuti. Ah ah.
Ora, scusate, si è fatto tardi e devo indossare il pigiama.
di Stefano Falotico
Il JOKER Marino riparte alla volta di Roma per conquistare la platea di THE IRISHMAN: che fantastica storia è la mia vita da Gladiatore e Michelangelo
Eh sì, io e te, Roma, non dovevamo vederci più?
La prima volta che me ne recai, no, non a Recanati, la città del Leopardi, ah ah, fu tantissimi anni fa nella galassia lontana della mia post-pubertà poco in odore di santità. Quando avvertii, nel mio animo ma soprattutto nel mio cor(po), sensazioni peccaminose. Si chiamano adolescenziali turbamenti.
Ovvero, le capricciose voglie di un ragazzo che desidera una ragazza per metterglielo dentro.
Detta come va detta e dato come dio comanda e soprattutto non solo se dio vuole ma se lei è consenziente, senza poetizzare nulla.
Ero in terza media e andai nella capitale con tutta l’allegra congrega della scolaresca.
Stazionammo in un albergo fatiscente in piena periferia più degradata della Gotham City in cui abita Arthur Fleck. Uomo d’inarrivabile malinconia.
Un uomo comunque paragonabile a Michelangelo poiché in lui scoccò la scintilla divina da Adamo toccato da un’interpretazione da dio di Joaquin Phoenix Sì, Michelangelo, nonostante fosse un genio inaudito, creatore della Cappella Sistina, de La Pietà e di quasi tutta la facciata di San Pietro, visse come una merda. Riscattandosi dalle perpetue umiliazioni, lavorando per il papa che gli commissionò capolavori quasi pari, per perfezione stilistica e potenza visionaria, al Leone d’oro della scorsa Mostra del Cinema di Venezia.
Una vita tormentata quella di Michelangelo, senza troppe ricreazioni e rinfreschi. Rischiò anche d’essere sbattuto al fresco. Anche se si dice che, tra un affresco e una superba scultura monumentale, a notte inoltrata, affrescò molte donne dai corpi statuari incontrate per strada, dopo averle invitate a bere del vinello alla trattoria più vicina.
Sì, dietro le frasche, a loro offrì la sua fraschetta. Fraschetta, detto apposta, nel senso di locale romano. Non fiaschetta.
Ove forse incontrò persino quel figlio di pu… a di Jude Law di The Young Pope. Uno che… non ci crede nessuno che non stette a letto con Ludivine Sagnier. Donna di enormi tette tali d’allattarti nell’allettartene con tanto di baciarla, (s)fregandotene. Ah ah.
Nonostante il marito di lei, guardia in prima linea dei Lanzichenecchi, dopo aver partorito un figlio da Ludivine, s’illuse di non essere una checca.
Adoro Ludivine Sagnier. Lei forse non è vergine come Santa Maria ma è una figa della madonna.
Se non riuscirò a giacervi, vorrei comunque avere un figlio da costei. Semmai anche tramite l’inseminazione artificiale proveniente da un altro pianeta. Basta che poi non ne venga fuori un povero Cristo, costretto a esperire il dolore e ad espiare le colpe d’un mondo ove molta gente crede, a tutt’oggi, che dopo la morte ascenderà al cielo.
Un mondo di pazzi.
Quando morirò, voglio sedere lassù da solo, senza Gesù al mio fianco. Ah ah.
Come capitò e capita purtroppo a molti geni, Michelangelo, a parte gli scherzi e gli schizzi… sulle tele, non fu un uomo che avrebbe mai ascoltato Marco Mengoni. Quindi, fu considerato dalla società un minchione.
E venne… inculato peggio di Arthur Fleck.
That’s Life!
Poiché i geni son soventemente reputati uomini alla carlona messi alla berlina per colpa del nazismo ancora imperante malgrado la caduta del muro di Berlino.
Uomini non adatti a chi non ha una visione angelicata della vita e non riesce ad amare la paradisiaca bellezza dell’arte contemplativa il piacere anche soltanto d’un pennello impressionistico alla Vincent van Gogh da spizzicare non solo con la Sagnier ma soprattutto con Lodovini Valentina.
Un’attrice pessima ma una passerona da passerella a cui, come Michelangelo, non offrirei solo del vino, bensì tutto il mio red carpet. Con tanto di grappa e ingropparmela.
Ovviamente, fra questi geni miracola(n)ti l’orrore delle persone che vivono quotidiane esistenze mediocri e immisericordiose, (s)fatte di rivalità fratricide, d’accoppiamenti bradi da bradipi da sconci, lerci uomini e donne volgari, in questo mondo inetto pieno d’insetti, il Falotico è come Leopardi e Michelangelo.
Un uomo capace di scrivere La satanica brama del fatale languore ma che si trova in una situazione economica al cui confronto Arhur Fleck è Donald Trump.
Ah ah.
Bene, mica tanto. Dunque, ho due scelte (im)possibili.
O faccio come Frank Sheeran/De Niro di The Irishman, ovvero trovo un sindacalista corrotto che mi paghi per ammazzare gli stronzi, oppure mi darò al circo.
Come Massimo Decimo Meridio, alias Russell Crowe?
È più personalmente fattibile, oggettivamente, quello Orfei.
Anche se Moira è morta, Pozzi Moana non c’è più e comunque preferisco ai fenomeni da baraccone, eh sì, Luna di Gianni Togni.
Ah ah.
Si stanno scatenando, oramai da due settimane accese, discussioni su Joker.
Fra sostenitori a spada tratta e detrattori che non vogliono piegarsi.
Spero che apprezziate sempre la mia autoironia assolutamente innocua.
Sono un satiro perché so prendere le tragedie con leggerezza. Dunque, sono sano e santo. Ah ah.
Possiedo lo stesso carisma di Padre Roberto Carillo/De Niro di Sleepers e la stessa bellezza, quasi, di Billy Crudup/Tommy Marcano.
Sì, io e Tommy Marcano siamo molto simili. Per colpa di una bravata, a causa della nostra inesperienza, passammo un calvario terrificante. Poi ancora sbagliammo, la seconda volta, per troppa rabbia. Sleepers non è un grande film ma, quando Brad Pitt chiama in tribunale Bob, è un colpo di scena micidiale.
Nessuno se lo sarebbe mai aspettato. Tutti rimangono agghiacciati, pietrificati e al contempo esterrefatti.
Invero, Brad mi conosce molto bene. In tempi non sospetti, mise tutti in guardia.
Dicendo: – Credo che non abbiate capito. Sapete per caso chi state prendendo per il culo, poveri ritardati?
di Stefano Falotico
La burocrazia è il male ma noi siamo cuori selvaggi
Io conosco questo passo a memoria, ovvero:
la burocrazia è un male come il cancro, un allontanamento dalla direzione dell’evoluzione umana di infiniti potenziali e azioni differenziate e indipendenti, verso la parassitarietà completa del virus.
Passo strepitoso di William Burroughs de Il pasto nudo, il libro preferito di Kurt Cobain e pure il mio, escludendo ovviamente i miei, oserei dire superiori ai libri di chiunque.
Burroughs è stato il maestro per eccellenza del delirio più squinternato fattosi genialità pura.
Come vi scrissi qualche giorno fa, la Historica Edizioni ha pubblicato nella sua antologia di racconti un mio piccolo scritto, intitolato Disturbo denirante.
Sfacciata e sofisticata presa in giro nei confronti degli arroganti e superficiali psichiatri che, sulla base di un paio di mie dichiarazioni sentite e sincere, addussero sbrigativamente che soffrissi di disturbo paranoico delirante. Io dissi loro semplicemente che mi ero creato il mio mondo di gioie e che delle gioie di molta gente, apparentemente felice, invero abominevole e cinica, non ne volevo sapere.
Io non ho paranoie, mai avute. Quelle le ha il novanta per cento delle persone, in particolar modo di questo Paese ove tutti spettegolano, bramano malignamente il male altrui affinché il prossimo, assediato dalle loro crocifissioni e dalle loro perverse persecuzioni, abdichi alla loro religione ideologica all’insegna della falsità morale più ipocrita, dunque illogica.
Sì, sono Andrew Garfield di Silence. Ma, a differenza del suo personaggio di nome Rodrigues, neppure Liam Neeson di Taken mi persuaderà a soccombere all’idiozia collettiva.
Potrà puntarmi una pistola contro e io, dirimpetto al suo giustiziere della notte, pronuncerò quest’esaustiva, lapidaria frase, freddandolo subito:
– Signor Liam, giri altri film come Run All Night e Un uomo tranquillo e veda di non farmi girare qualcos’altro.
Non sono la sua Preda perfetta, sennò sarà lei a farsi una bella passeggiata cimiteriale come il titolo originale del film appena citatole, A Walk Among the Tombstones.
Ferreo, integerrimo, moralmente intransigente, nessuno mi convincerà ad accettare le regole naziste di un mondo andato oramai da tempo immemorabile nel loculo ma soprattutto a culo.
Sì, se perfino Liam Neeson di Schindler’s List mi volesse salvare e dunque mi consigliasse vivamente di rinunciare ai miei valori per non essere bruciato nella fornace di una società che screma ed emargina, spella e arde ogni speranza romantica, a costo di venir distrutto dalle mie stesse utopie ardimentose e ardenti, a costo di rimanere solo come un cane bastonato nell’implorare pietà a dio, non mi lascerò macerare dai macellai dell’anima.
Detto ciò, sì, nel mio racconto Disturbo denirante narro brevemente di come fui ammaliato da colui che meglio di chiunque altro incarnò God’s lonely man, ovvero Bob De Niro/Travis Bickle di Taxi Driver. Consequenzialmente, ipnotizzato dal suo carisma esistenzialista e dostoevskijano, mi ammalai profondamente di melanconia lontana anni luce da ogni frivolezza mondana.
Furono anni di manie ossessivo-compulsive nei quali, agonizzante, sognai soltanto un angelo biondo che mi riscaldasse in maniera paradisiaca per addolcire tutte le mie scottanti ansie.
Per molte ragazze presi bestiali cotte ma anche oggi mangerò pane e cicoria, pastasciutta con la ricotta…
Sì, non fatevi fottere da queste ragazze squillo che, dietro falsi profili, su Facebook vi contattano per fregarvi i soldi:
– Ciao, mi sembri una brava persona. Mi piacerebbe conoscerti.
– Piacere, Stefano.
– Il piacere sarà reciproco assai presto se vorrai…
– Tu che fai nella vita?
– La parrucchiera. Vorrei farti barba e capelli.
Bannata. Trattasi, come sapete, di prostituta che si spaccia per acconciatrice…
Dunque di una donna sconcia che elemosina notti squallide pur di arrivare a fine mese quando, in realtà, la sua vita è già finita dopo la prima volta…
Sì, diciamo una sciampista delle doppie punte moralmente in conflitto fra loro e del punto G della sua personalità doppia da donna apparentemente bella di giorno e coi clienti più brutti e frustrati di notte.
Detto ciò, ecco…
Ho inviato il bonifico alla casa editrice ma non è bastato. Hanno voluto la scansione digitalizzata con tanto di conferma di lettura.
Eh già, bisogna sempre attestare.
– Lei, Falotico, è critico cinematografico. Ma non è laureato al DAMS. Lei lo deve attestare, testone, altrimenti io la prenderò a testate, non giornalistiche.
– Scusi, eh, io sono giornalista amato perfino dai giornalisti. Chieda al giornalaio la copia de Il Giornale ove è stato pubblicato un servizio spettacolare, nella pagina degli Spettacoli, riguardo il mio libro su Carpenter.
– Allora lei è un Genius romantico!
– Non si era capito?
– Mah, non tanto a dire il vero. Mi tolga una curiosità, però. Qual è secondo lei una delle migliori interpretazioni di Nicolas Cage?
– Ovviamente quella in cui Nic canta questa.
Vi era bisogno di chiederlo?
di Stefano Falotico
I peggiori film del prossimo anno saranno certamente meglio dell’ultima pellicola di Tarantino
Eh già, tutti fanno previsioni sui possibili film migliori della prossima stagione.
Ma è troppo facile puntare sui registi di qualità, sui cosiddetti cavalli di razza vincenti.
Ora, chiariamoci, C’era una volta a Hollywood di Tarantino, secondo me, come già profetizzai, sarà una delle solite, ultime gigionate anemiche e poco emozionanti di Tarantino.
Tarantino è un bel tipino. Ha da sempre impostato la sua carriera, girando film pieni di citazionismi che a loro volta omaggiano film del passato da lui idolatrati e adorati, quindi shakerati secondo la sua visione spesso volgarmente pulp o pacchianamente grindhouse.
Ripeto, ciò aveva un senso per i suoi primi tre film, ovvero Le iene, Pulp Fiction e Jackie Brown, perle che non si toccano.
Le perle non vanno assolutamente toccate. Così come le gambe di Catherine Zeta-Jones, donna ora sposata a Michael Douglas, il quale le regala tuttora collanine d’oro neanche se fosse Bob De Niro di Casinò con la sua bagascia Ginger, dunque dovete tenere ben a mente il comandamento… non desiderare la donna d’altri.
Io la desidero eccome ma Michael Douglas non lo sa perché è rincoglionito. Catherine invece sa tutto.
E non mi spingerei oltre.
Torniamo a Tarantino e non perdiamoci in freddure da Clint Eastwood di Per qualche dollaro in più.
Sì, diciamocela, Kill Bill 1 e 2 valgono solo per la scena finale del capitolo uno quando un ispirato Michael Madsen recita cimiteriale, con soffice farsela nelle sue mutande, la celeberrima… merita la sua vendetta.
Sì, una battuta di dieci secondi in un film che dura quasi due ore.
Il capitolo due invece dura quasi 140 min ma non ha neppure dieci secondi di gloria.
Quindi, secondo voi questo dittico sarebbe un capolavoro?
Se la pensate in questi termini, David Carradine deve prepararvi un panino con le sue mani lerce e servirvelo con tenerezza così come fa con sua figlia ancora innocente e incosciente.
The Hateful Eight è una spossante esibizione di attori che vogliono dimostrarci di saper recitare monologhi interminabili.
E perfino la scena finale che dovrebbe risultare rivelatrice e dunque emozionante, cazzo, non sta in piedi neanche ad attaccarla con la colla.
Scusate, uno riceve la lettera di Abramo Lincoln e, anziché conservarla come la reliquia di San Gennaro, la illiquidisce nel sangue più purulento e gore?
Il bifolco Samuel L. Jackson dovrebbe prendere lezioni d’igiene da Al Pacino di Danny Collins. Il quale, a differenza sua, coccola l’epistola recapitatagli da John Lennon neanche fosse Yoko Ono.
Sì, l’accarezza con estrema delicatezza, eccitandosi come Lino Banfi di Al bar dello sport quando, contando le banconote della vincita della sua schedina miliardaria, pare che stia massaggiando arrapatissimo le cosce di Milly Carlucci dei tempi di Pappa e ciccia.
Eh, Milly è invecchiata ma all’epoca attizzava ogni uomo pugliese di verace Calore! E anche froclen, come diceva Pasquale Zagaria, dinanzi alle gambone di Milly aveva attimi assai dubbiosi riguardo la sua senile omosessualità.
Detta come va detta, la Carlucci è sempre stata una bella donna moralmente discutibile. Sì, prostituitasi a filmacci pecorecci pur di arrivare un giorno a una vita da Ballando con le stelle.
Contenta lei, contenti quelli che son stati nel suo letto per farla ascendere ai primati dei massimi ascolti della Radiotelevisione Italiana. Scommettiamo che… andò proprio così?
Sì, so che Milly è sposata da anni.
Sì, da qualche anno, da un decennio. Da un ventennio? Da un trentello? Sì, se me lo passasse su PayPal, non avrei bisogno di partecipare ai telequiz di Mediaset. Un tempo patrocinati da Mike Bongiorno, da una vita sostenuti invece dal peso extralarge per eccellenza, soprattutto nel portafoglio, cioè Gerry Scotti.
Capisco, ora Milly è sposata. Perfetto, non ci proverò, Tanto adesso è pure rifatta.
E qui alla mia vita è stata (s)fatta una frittata! Ah ah.
Sì, sono l’unico uomo della storia che, anni addietro, finì nei centri di salute mentale. Dopo che tutti appurarono che non necessitavo di alcuna Cura da Franco Battiato, ho capito che non mi piaceva manco la filosofia sempliciotta di Lucio Battisti.
Ah, ma è tutto un battistero. Sì, prima mi chiesero di recarmi ed entrare in chiesa a confessare i miei peccati, poi vollero sconfessarmi. Qui viviamo di baci di Giuda come ne Il padrino – Parte II.
Non va bene, eh? V’è un’ipocrisia dilagante, figlia appunto della moralità piccolo-borghese di cui è, ahinoi, intrisa la falsa cultura radical–chic nostrana da farisei Pater Noster e fasulle Bibbie come se fossimo in Cape Fear di Scorsese.
L’Italia, l’unico Paese al mondo ove primeggia negli incassi Checco Zalone, ove andavano forte i film banfiani, una nazione di Cornetti alla crema, di Ciccio perdona… io no!, un posto malfamato di religiosissimi mafiosi ove tutti ammiccano e provocano con pessime, equivocabili battute scontatissime sul sesso manco se ci trovassimo, appunto, nello studio dentistico della pellicola Vieni avanti cretino col compianto Gigi Reder nella stravista, abusata parte d’una spalla fantozziana di Luciano Salce.
Tarantino è figlio della nostra peggiore italianità. Non è come il grande, succitato Scorsese, appunto. Uno che in Mean Streets ficcò in colonna sonora Renato Carosone non per fare, come Tarantino, il citazionista piacione molto cazzone, bensì perché in quei bar fetidi di Little Italy nei juke–box passava davvero il Carusone. Il suo vero cognome.
Statem’ buon’, a casa tutti bene? Come ti sei sciupato. Hai mangiato? Vuoi ancora un po’ di polpette?
Sì, le madri italiane amano i figli e i loro picciotti come se fossero bravi ragazzi…
E tu invece? Stai sul timiduzzo? Henry, perché non parli mai?
Sì, in Goodfellas passa, nella stupenda scena della presentazione dei vari personaggi, Il cielo in una stanza poiché i piccoli manovali della criminalità adoravano realmente Mina.
E può darsi che su un barcone di sballati sia andata on air veramente Gloria di Umberto Tozzi così come si vede in The Wolf of Wall Street quando Margot Robbie, scatenata e smutandata, qui sembra Sharon Tate e nel film di Tarantino no.
A proposito, secondo voi, Roman Polanski, prima che Sharon fosse oscenamente trucidata dalla banda di Charles Manson, cantò mai alla sua Tate Ti amo?
Mah, secondo me vi può fornire una risposta esaustiva in merito, eh già, Brudos di Mindhunter.
Ecco, a mio avviso i peggiori film del prossimo anno saranno dei capolavori in confronto alla super porcata mai vista di Tarantino.
Quentin, hai davvero rotto il cazzo col tuo Cinema autoreferenziale, leccaculo, auto-imbrodante.
Ha ragione l’attuale moglie di Polanski, Emmanuelle Seigner. O fai un film alla David Fincher incentrato esclusivamente sulla tragedia di Sharon Tate, oppure, se devi ficcare la storiella di contorno per altra carne al fuoco, vai a fare in culo.
Scorsese ha fatto solo una scelta sbagliata in vita sua.
Ha avuto ragione Nick Nolte a non applaudire Elia Kazan nella notte degli Oscar in cui, al regista di Fronte del porto, consegnarono l’Oscar alla carriera.
Certamente, immenso regista, Elia, ma non dovevi fare il maialino.
Sennò sei (stato) solamente un figlio di puta peggiore di Clint Eastwood de Il buono, il brutto, il cattivo.
Ve lo dice Wallach Eli.
Ora, se non ero a Cannes, se C’era una volta a Hollywood non è neppure uscito ancora negli Stati Uniti, chi sono io per dire questo?
Be’, sono il padrone di un mulo a cui non piace la gente che ride…
E soprattutto i puntini di sospensione nel titolo, cazzo, Sergio Leone non li avrebbe mai usati.
Fanno proprio schifo.
di Stefano Falotico
Il principe cronenberghiano vive al di sopra dei comuni mortali
Sì, io sono un personaggio cronenberghiano, anche bergmaniano. Una metamorfosi kafiana oserei dire incarnata e non mi fregherete più poiché ora son anche maestro del fregolismo e me ne fotto…
Sono io l’autore del saggio monografico David Cronenberg – Poetica indagine divorante.
Capolavoro letterario-meta-cinematografico che, più che essere un saggio, rappresenta la mia poetica saggezza. Leggerete e finalmente mi crederete.
Fra pochi giorni, ovvero sabato sera, sarà presentata a Ravenna un’importante racconta antologica.
Ovviamente, in questa raccolta è contenuto un mio racconto, intitolato Disturbo denirante.
Plateale presa per il culo agli psichiatri che, essendo ciechi, addussero, eccome se dissero che soffrii di disturbo delirante.
Gli psichiatri non sono come Freud e Jung. Questi, sì, dei veri geni e degli attendibili luminari.
Gli psichiatri odierni sono dei fascisti. Si pigliano la laurea, imparando a pappardella due teorie della minchia, eh sì, son fissati con l’Eros, dopo di che sono distruttivi delle giovinezze in divenire, applicando loro il Thanatos. Anche farmaci chiamati Prozac, Atreios (famoso figlio di Troia) e Superbos.
Non vorrei fare di tutta erba un fascio ma loro si drogano di orge da Eyes Wide Shut e criminalizzano i giovani se non si vogliono adattare alla loro visione ammorbante di questo mondo ove pare che sia importante classificare ogni anima.
Li ho annichiliti. Esausti, hanno compreso, dopo avermi represso, che i malati di mente sono loro. Sì, a forza di stare coi matti, per deformazione professionale, si sono ammalati di grave depressione.
Essendo rincoglioniti e vecchi tromboni, colpevolizzano i giovani che trombano e accusano chiunque di soffrire di qualche patologia del cazzo.
Sì, loro stanno fermi immobili dietro una scrivania, simmetricamente monomaniacali a espellere con facilità sesquipedale diagnosi allarmanti ma, nell’altra stanza, la moglie riceve il porcello, no scusate, la parcella di un cliente più in gamba…
Sì, Stephen Lack di Scanners mi fa un baffo. Se uno psichiatra vorrà ancora fare con me lo strizzacervelli, stavolta non accetterò più nessuna compressione farmacologica ma diverrò molto cattivo come Michael Ironside. E il suo cranio esploderà come il teschio ambulante del suo morto demente.
Sì, chiamate per tutti questi capoccioni l’ambulanza. Li ricoveriamo di trattamento sanitario obbligatorio in quanto codesti saranno pure ricchi ma sono altresì ignobili. E vanno educati. Peccarono di squallida arroganza.
Vomitando idiozie da schizofrenici con troppa panza.
Christopher Walken de La zona morta mi stringe la mano. Tom Stall di A History of Violence è Madre Teresa di Calcutta in confronto a me.
Da quando do retta solo al mio cuore e alla mia mente, la vita va ch’è una bellezza, grandi donne mi vogliono ma, scusate, adesso devo mettermi calmo.
Donne, vi darò un tranquillante e anche una camomilla se esagererete con le richieste. Non sono James Spader di Crash.
Insomma, son sempre stato un prodigio della natura. I miei coetanei erano invidiosi a morte. E cercarono in ogni modo di farmi incazzare perché così, se avessi dato di matto, mi avrebbero continuato a trattare come il bimbetto-enfant prodige di Maps to the Stars. Ridendosela da matti, appunto.
È sempre piacevole assistere a come ora se la fanno nelle mutande neanche se avessero visto Viggo Mortensen de La promessa dell’assassino.
Ora, in tal mondo formato perlopiù da ritardati, mi pare giusto che frequenti gente con più sale in zucca e soprattutto donne con più cervello.
Sono Birdman e un uragano come quello di uno dei pochi premi Nobel più meritati di tutti i tempi.
Sì, sono un futurista, tosto come De Niro di Taxi Driver e sexy come Colin Farrell di Miami Vice.
Se siete invidiosi, sul canale uno stasera danno un film retorico di Bertolucci e un film tristissimo di Fellini.
Se non sarete soddisfatti, curatevi.
Se vorrete darmi un freno, io allora divento pure Bruce Lee.
di Stefano Falotico
Secondo me, Leonardo DiCaprio e Matt Damon sono due gemelli eterozigoti, forse non sono neppure eterosessuali
Pensate che bestemmi? Macché. Questo succede solo quando scarto il Blu-ray di Scoprendo Forrester e scopro che nel finale c’è il cammeo di Damon.
Sì, Damon è come il prezzemolo. Peraltro, un leccaculo mai visto. Una volta che infatti lavora con un regista, in questo caso Van Sant, poi torna a lavorarci pure nei cammei. Pensiamo alle pellicole di Terry Gilliam. Terry quasi sempre deve ficcarci l’apparizione di questo Matt. Di mio, mi ficcherei Monica Bellucci de I fratelli Grimm. Ah, una donna che ti strega, ti fa impazzire come il Joker/Heath Ledger.
Con Scorsese non è successo. DiCaprio e Damon recitarono la parte di due biondini semi-imparentati. Sì, uno fa di cognome Costigan, l’altro Sullivan, siamo lì, insomma. Questione di un paio di lettere, non sottilizziamo. Due quasi parenti, uno quasi da manicomio, l’altro con la faccia da Valium, sì, da facciale paresi, un duetto gemellare fra due uomini dai capelli ariani, nonostante DiCaprio, pur avendo una criniera da leone, sia di origini crucche e italiane. Fra l’altro, una volta lo vidi sotto i faraglioni di Capri a ballare con Peppino…
Damon, in quest’occasione, guardò lo spettacolo, seduto sulla poltroncina mentre tutti i pazzi nella piazzetta, pur stando muti, furono più espressivi di questo genio ribelle…
Sì, ho rivisto e recensito Will Hunting. Will Hunting uscì nello stesso anno di Titanic. All’epoca, le teenager si divisero faziosamente tra il fanatismo per DiCaprio e quello per Damon. Queste ultime scelsero col culo da frust(r)ate. Di solito il fanatismo è tipico delle sfigate. Il sadomasochismo invece è caratteristico delle ragazze che, oltre a non essere cagate da nessun uomo, scelgono pure la persona sbagliata sul grande schermo. Contente loro…
DiCaprio, pur non essendo De Niro, rifiutò la parte da protagonista in The Good Shepherd. Al che De Niro opzionò Damon. La sua brutta copia. De Niro si riservò la parte di una spia chiamata proprio Sullivan. Ho detto tutto. Non è che sia Damon sia Leo siano stati partoriti da Uma Thurman quando De Niro stava con lei ai tempi de Lo sbirro, il boss e la bionda? Mah. Dovremmo chiederlo a Meryl Streep de Il dubbio.
Sia DiCaprio che Matt Damon hanno lavorato con Eastwood e con Brad Pitt.
Eh sì, non ci sono mai due biondi senza il terzo e senza il Biondo dei film di Sergio Leone.
Tutti e due hanno vinto l’Oscar. DiCaprio come Best Actor, Damon come miglior sceneggiatore. Damon, compresi Ford v. Ferrari di prossima uscita e le sue partecipazioni attoriali in sketch vari del Saturday Night Live, ha 82 credits all’attivo. DiCaprio invece quasi la metà, ovvero 44.
Damon ha da tempo trovato la sua dolce metà. DiCaprio sta ancora con Emma Marrone? No, Camilla Morrone?
Comunque, Leo è molto accreditato per i suoi “maroni” presso le donne. Pare che sia stato con 5000 femmine. Matt Damon invece soventemente, nei film da lui interpretati, fa la parte della femminuccia. Cioè di quello che lo prende in quel posto. Circola voce comunque che entrambi nascondano la loro omosessualità. DiCaprio è quello prestigiosamente più attivo sessualmente, Damon quello meno passivo cinematograficamente. Mi piace molto di più Leo rispetto a Damon. Ma, detta sinceramente, non è che m’inculi molto tutti e due.
Ricordate: se siete bellocci, potete ambire a Monica Bellucci.
Ve lo dice Danny DeVito, il fratello di De Niro di The Comedian.
Un anno di Cinema è oramai andato, è iniziato Cannes, non m’interessa tanto, non sono più il tipo da Croisette, aspettiamo la prossima stagione
Ora, domani esce John Wick 3. E chi se lo perde? Sono diventato un fanatico di questa serie.
Dalle critiche che ho letto, questo terzo capitolo pare pure superiore e più violento dei primi due messi assieme. Nonostante il consenso altamente positivo della Critica, però ho letto anche qualche recensione negativa. Alcuni hanno affermato che, sì, Chad Stahelski pare aver indovinato la formula vincente ma lo stile non si è rinnovato molto. E sa di ripetitivo. Due ore e mezza di botte da orbi, arti marziali, pistolettate e il solito Keanu Reeves scatenato rischiano, alla fin fine, di annoiare. E per il quarto si presuppone che ci possano essere delle varianti appetibili. Altrimenti, sarebbe meglio chiuderla qui.
Detto ciò, il film di Jarmusch, uno dei miei registi preferiti, The Dead Don’t Die, pare che sia andato molto male. Dopo un filotto di film delicatissimi e bellissimi, Jim ha toppato.
E questo film di zombi alla Romero, che voleva essere nelle intenzioni, travestite da horror demenziale, una critica sociale all’America di Trump, sembra che rimanga assai in superficie e che Jim, stavolta, abbia peccato di troppa compiaciuta autoreferenzialità.
Io non l’ho visto, non posso esprimermi dunque giudiziosamente. Mi attengo, per ora, a quello che mi dite voi che l’avete visionato a Cannes.
Detto ciò, è periodo di fiacca. Il Cinema andrà presto in vacanza.
Quindi, tralasciando qualche ultimo colpo dell’ultima ora, quali sono stati a conti fatti i film migliori di quest’annata 2018/19?
Al primo posto della mia personalissima classifica, ovviamente The Mule di Clint Eastwood.
Un film che, come ho scritto nella mia recensione, parte maluccio, sembra un b movie becero e persino volgare. Poi, nell’ultima mezz’ora, Eastwood compie un prodigio da maestro numero uno.
Ribalta totalmente ogni prospettiva.data per assodata. E The Mule diventa un film emozionantissimo, commovente come pochi.
Ce la vogliamo dire? Un capolavoro. Forse non all’altezza delle massime opere di Clint, quali sono Gli spietati o Gran Torino, ma ricordate: un film apparentemente minore di Eastwood, come possono essere stati Debito di sangue e Fino a prova contraria, vale mille film dei cazzoni che vanno ora di moda oggigiorno. Film girati col culo e interpretati da attori di merda.
Al secondo posto, Green Book. Oscar sostanzialmente meritato. Molto retorico ma di una retorica che sa il fatto suo. La storia di due sfigati, di due esclusi. Di un buttafuori cafonissimo, un italoamericano non educato alle buone maniere, e di un nero, un genio della musica però emarginato non solo dai bianchi, bensì persino dagli stessi neri che dovrebbero accettarlo e invece lo sfruttano solamente per il suo talento, fregandosene della sua anima.
Alla fine, il personaggio di Mahershala torna a casa e saluta con altezzosità il suo amico. Si accorge che è ricco, servito e riverito dal maggiordomo ma è anche solo come un cane.
E forse è meglio quel suo amico ignorantone rispetto a tanti illustri, altolocati stronzi che, sì, lo riempiono di soldi ma non gli danno niente a livello umano.
Anche qui siamo dalle parti del capolavoro, a mio avviso.
Dunque, Benvenuti a Marwen, il film più sottovalutato probabilmente di tutti i tempi. Film magnifico con un grande Steve Carell. Un film tristissimo ma, come i due precedenti succitati, umanissimo.
E quale sarà il film migliore del prossimo anno?
Voi avete dei dubbi? Martin Scorsese torna a lavorare con Bob De Niro e, per la prima volta in vita sua, vi è Al Pacino in una sua pellicola.
Ho tanta paura che non sarà il capolavoro assoluto che noi tutti ci aspettiamo.
Ma invece lo sarà.
Ah ah.
di Stefano Falotico
La famigliola di parenti serpenti nel Cinema, dal Padrino a Ti presento i miei, da La Famiglia Addams ai Tenenbaum
Sì, la famiglia è fra i primi posti nella gerarchia dei valori italici.
Quasi tutti gli uomini e le donne non si offendono quasi mai, a meno che non siano dei permalosi incendiari, se subiscono provocazioni goliardiche. Anche se vengono apertamente derisi, arrivati all’età della ragione, in seguito a queste smodate offese, non si scompongono più e, appunto, non sragionano.
Se le offese sono meritate e non gratuite, se le critiche non sono figlie dell’invidia, dell’ipocrisia oppure generate per malevolenza calunniosa, un uomo maturo sa che deve accettarle. Fanno parte del gioco della vita. Non si può pretendere di essere affascinanti come Marlon Brando di Un tram che si chiama desiderio se madre natura invece ci ha reso Rick Moranis.
Detto questo, se invece si va a toccare la famiglia, ecco che sia gli uomini che le donne s’infoiano bestialmente e danno libero sfogo a tutto il peggio di loro stessi, arrivando a bassezze incredibili:
– Che cosa? Come ti sei permesso di dare della puttana a mia moglie? Io ti accido!
E voi donne la dovreste per una buona volta finire d’insultare la signora Monica Bellucci. Sputandole addosso infamie e cattiverie inusitate. Bona è bona, fa veramente schifo da quanto è ancora bona nonostante l’età non più giovanissima. Che poi sia un’attrice del cazzo è un altro discorso.
Ma sfido qualsiasi uomo a non voler giacere con lei. Semmai, dopo una tiepida, intima cena al Ristorante Trattoria Peppone il pepato e forse il pippaiolo.
Sì, Peppone è uomo comunista che se ne frega dei puritanesimi di Don Camillo. E, oltre a far il sindaco, insindacabilmente nel tempo libero prepara primi piatti alla puttanesca conditi con olio piccante, serviti ai clienti infreddolitisi per colpa del rigido inverno ma già scaldati nell’afrodisiaco lor gustarsi di sguardi assai roventi, come dico io, ardenti e al dente come il buco dell’ozono e anche di qualcos’altro.
Ah, si leccano i baffi…
Peppone, sposato a Peppina, è uno stalinista dello zoccolo tosto che dà all’uomo una felicità robusta e culinaria in senso lato anche b del termine.
Ecco, ma non dilunghiamoci nelle sognanti, fumanti notti impossibili con Monica Bellucci, miei bellocci.
Qui si parla di famiglia. Io per Monica, sì, rinuncerei a ogni sogno di gloria, sposandola, pure spossandola e lavorando duro… come un negro pur di metter su con lei una generazione matriarcale. Sì, rinunzierei a ogni ambizione artistica se mi chiedesse di stare con lei finché morte non ci separi.
O ci spari nel caso in cui Monica s’innamorasse di Al Pacino di The Godfather poiché sarebbero cazzi miei se mi opponessi da bravo, non so se goodfella, alla promessa sposa del siculo re dei mafiosi.
Un vero Don Rodrigo, un cafone signorotto che vuole fottere tutti e tutte.
Sì, Michael Corleone mi griderebbe:
– Monica deve accavallare le gambe solo per me. Altrimenti taglio la testa al toro della tua sessualità da cavallo. Cioè ti amputo i testicoli, testone! Caprone, zuccone.
Provate a replicargli che vostra moglie, presto sua futura consorte, non gli farà manco un pompino e le funebri pompe vi aspetteranno dopo tre secondi netti.
No, se la pigliasse pure. Ci tengo alle mie palle.
Ma, a parte gli scherzi, sì, la famiglia del Padrino è tremenda. Se uno nasce in una famiglia così, sì, potrà avere la strada spianata per la ricchezza ma pure la reputazione rovinata anche se dovesse diventare il nuovo redentore e sua figlia divenisse Madre Teresa di Calcutta.
– Chi? Non ci crede nessuno che quello sia un santo e sua figlia una missionaria. Quella è una famiglia di ladri, assassini, di criminali incalliti e imperdonabili.
Sì, ecco la gente mafiosa che spettegola sui figli pentiti dei mafiosi impuniti. E questa gente non si pente!
Dio mio! Solo pene… linciaggi e sentimenti melodrammatici da tragedia napoletana si mischiano fra tarallucci e vino.
Dunque, se nascete in una famiglia di questo tipo, fatevi subito il segno della croce come Paul Vitti di Terapia e pallottole e, se non siete nell’animo dei gangster, sparatevi in testa.
Ma quale famiglia?
La famiglia dice peste e corna, di richieste t’impesta e tuo fratello è geloso come De Niro di Toro scatenato, come Pacino di Scarface.
Insomma, non si salva nessuno. Il principe Carlo è figlio di una a cui credono solo gli inglesi mentre noi italiani lo consideriamo un babbeo.
In Italia nessuno vuole lavorare. Nemmeno in Inghilterra. A dirla tutta, da nessuna parte, qualcuno ama il lavoro. Mettiamo però per ipotesi che a Carlo venisse voglia di lavorare, cazzo, gli darebbero ancora di più del coglione. Quest’uomo è spacciato per colpa della sua dinastia nobile della minchia.
I figli de La famiglia Addams amano il Cinema di Tim Burton, i figli di Berlusconi amano pure le Escort con cui è stato il padre. Come no?
Un gran puttanaio, diciamocela.
Ah ah! Siamo tutti, chi più chi meno, rovinati.
I figli degli avvocati se decidono di fare gli operai vengono diseredati, i figli degli operai se vogliono fare gli avvocati penalisti vengono considerati degli stronzi dai parenti che urlano loro:
– E tu guadagni un mucchio di soldi, condannando un cristiano del cantiere popolare che ha dieci figli? Vergognati! Adesso andremo da tutti i muratori della città a dire loro che devono murarti vivo!
Le figlie delle zoccole diventano più mignotte delle madri, i figli dei gastroenterologi curano semmai tutti ma non riescono ad alleviare il mal di panza loro perché la moglie, una modella analfabeta, li ha traditi con un disoccupato malato terminale che, in quel momento, aveva bisogno di un’ultima botta.
Davvero, è tutto uno schifo. Una merda collettiva.
E gli infermieri dove stanno? Chiamate il pronto soccorso!
È una società impazzita.
Ma io ballo, sculettando.
Io so come va il mondo… figli miei. Ah ah.
di Stefano Falotico