Posts Tagged ‘De Niro’

“Last Vegas”, Tv Spot


23 Sep

“Crazy Evening”


22 Sep

Chi è Peter Rubik? Un Sellers alla Pupkin Rupert “moderno”: Crazy Evening, cortometraggio versione falotica destinato a espandersi…

Componimento:

Folle è la sera che, prima dell’alba, bacia la Luna come un lupo s’asseta al plenilunio.
Spiragli di pace respiran beati, io son Peter Rubik, coscienza alata.
Sto qui, seduto sul divano, accavallo i miei pensieri. Nitrendo vado fiero, rammemoro mai rammaricato indistinte nostalgie al bel Tempo scivolato via.  Ma io sorvolo. Districo la noia e l’ammanto di leggiadrie come la sobria rugiada d’aurora dorata nel prim mattino colorato.
D’arcobaleni volanti è la mia anima mai straziata, scorrazza in corse nervose, aggrotto la fronte, fumo nervoso il Cielo che di fiamme arde in me, vero fra tanti morti d’arido vento gelante. Sciocco o sempre a sc(r)occar per un lido felice che si prodigherà nello schiamazzar le nebbie del Cuore. Io sono Rubik, Peter Rubik, rubin diamante, uomo non amato ma dai sospiri conturbanti. Amo l’oceano delle infelicità davvero gioiose. Quando la Luna, acuta in suo grido a me ferino, slancia le agonie di tal Mondo supino.
Oh oh!
A cui porgerò i miei dissacranti inchini.
M’inviteranno a una festa, ma che c’entro io, gatto delle innocue foreste… lindo lindo lindo questi qui arresteranno la vivacità del viv’ardor in me da Cor mai attenuato nelle lor tonalità ché tenor d’un solo e unico Sole. Io son!
Damerini viziati mi tempesteranno d’imbarazzanti domande, donne finto altolocate, truccate e tutte imbellettate a esplorarmi al fin d’affinarmi in quelle labbra così sottili e taglienti. Oh oh, acuminate. Mi state minando! Oh oh!
Ma rimarrò me stesso, col fantasma di Braccio di ferro, un sogno da barista ai piedi Los Angeles, Clint Steele lui è il gestore che distilla perle di saggezza dopo l’imbrunir del tramonto per noi girovaghi del mappamondo.
Come me, Peter Rubik il malinconico alla Frank Sinatra.
Questa festa è stolta, solita pigra mondanità. Oh, quante monotonie… inutili inezie.

Preferisco il mio eremo allegro fra le montagne della vita leggera.
Fumo, spengo una sigaretta e l’intingo nel posacenere del mai mio incenerito vivere…

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Hollywood Party (1968)
  2. Re per una notte (1983)
  3. Mulholland Drive (2001)

Da una sceneggiatura scritta assieme a un mio amico, che chissà mai se troverà spazio integralmente in forma cinematografica, le mie peripezie da Peter Rubik, personaggio alla Peter Sellers, appunto omonimo di nome, nel suo soliloquio da party hollywoodiano, girovagante in pensieri naufraganti, brillante lunatico su irrisione tranquilla e anche tormentata di un Mondo cafone, mondano, volgare e imbrillantinato. Impiastricciato e da pastrocchi. Forse cieco, anzi lo diamo per assodato. Peter ruba il suo stesso sorriso accecante, incastonandolo a viso tagliente, buffo e da pagliaccio triste, come una simbiosi al Ruper Pupkin scorsesiano-deniriano, come Buster Keaton, inespressivo eppur mille anime del suo Cuore. Ecco a voi la folle serata di Peter Rubik, cantor che ha riso, amato e pianto, sognatore da Clint Steele nella mia faloticante Hollywood come da romanzo, bianca di letterarie genialità, stranger in the night a modo voice del grande malinconico per eccellenza e antonomasie tutte, Frank Sinatra. Oggi Bob, domani Peter, e forse anche Jerry Lewis. Benvenuti nello stupefacente Mondo di Peter, un (dis)illuso. Così è giusto, è (in)sano e dissacratorio pigliar la vita per il lazo pazzissimo. Senza neppur arretrar un istante, perché la vita è istantanea e Peter la fotografa in ogni immortalato suo battito cardiaco, polmonare e a palpebre (dis)chiuse. Il resto è una (circo)stanza, inutile chiacchiericcio di ricchi fuori e poveri dentro. Insomma, il Mondo è poveretto, i provetti alla Peter conoscono intere essenze. Tessendo la Notte. Innamorati del perdigiorno. Quindi del sollazzo malinconico, oggi stranezza e ieri altre evanescenze.

Cari scemi, Peter sa. Perché, in un Mondo di apparenza, Peter incarna il man on the moon. Jim Carrey di voce e anche tenore rauco in sigarette armoniose.

Berlusconi come attore in un film con De Niro e Pacino


21 Sep

La notizia pare vera.

Da Il Corriere:

Il destino scritto in un nome. A volte capita. Quando poi anche il cognome evoca imprese fuori dall’ordinario, allora l’impressione è che non debbano esserci dubbi sulla protezione della buona sorte. Si chiama Oscar Generale. Sembra inventato. Invece è ciò che risulta all’anagrafe del paesino di Rivarolo Canavese, dove lui è nato quarantun anni fa, che è la porta spalancata sulle valli di Lanzo. Gente sobria e schiva al punto da rifiutare la logica del turismo caciarone. Lui, Oscar, è l’opposto. Chiedere informazioni a Los Angeles. Sorridono. Un esempio di eccellenza Made in Italy che, in dieci anni, è riuscito a mettere in piedi un’autentica corazzata imprenditoriale intorno alla quale ruotano i nomi più celebri del jet set artistico internazionale. E anche in Italia la famiglia Argento, padre Dario e figlia Asia, stravede per l’amico: «Un grande che purtroppo gli americani ci hanno rubato».

Ora, però, Oscar ha deciso di conferire un senso nostrano alla sua professione di manager e produttore cinematografico chiedendo e ottenendo che quattro cavalli di razza formato Actor’s Studio si trasferiscano in Italia, anche in Versilia prima e a Firenze dopo, per interpretare loro stessi in un film già definito per titolo e regista: One more time, diretto da Paul Sorvino. Stellare il cast con Dustin Hoffman, Jack Nicholson, Al Pacino e Robert De Niro insieme. Un’idea tutta di Generale con i primi ciak previsti per l’inizio del 2014 all’interno della Capannina del Forte dove il produttore è stato festeggiato alcuni giorni fa e insieme con la sua compagna Denny Mendez, «pistoiese», ex miss Italia ’96.

Per realizzare il progetto, naturalmente, oltre all’idea ci vuole anche un fisico bestiale. Lei che, fisicamente non è un gigante… «Lo sono dentro. Più adrenalina che sangue nelle mie vene. È ciò che occorre per sopravvivere in un mondo di squali come quello del Cinema. Da un mese dormo quattro ore a notte. Sempre in viaggio lungo l’Italia per definire location e firmare contratti. L’altro giorno ho chiuso anche con Gerard Depardieu che si aggiungerà al cast dei miei amici americani e ora, insieme con Sorvino, sto tentando il grande colpo. Chiedere a Silvio Berlusconi di partecipare al film, come attore. Nessuna intenzione di parodia. Un poco come fece Andreotti nel Tassinaro di Sordi. Stiamo cercando il contatto. Per il mercato americano sarebbe il top. Lui dovrebbe vestire i panni di se stesso per una storia che, con grande rispetto alla memoria di Germi e Monicelli, sarà un poco come Amici miei in chiave californiana. Del resto Hoffman, Al Pacino, Nicholson e De Niro hanno accettato soprattutto per questo motivo. Vogliono divertirsi tantissimo, lavorando insieme».

Ma lei come ha fatto a sfondare il muro della diffidenza hollywoodiana per poi entrare nelle grazie delle star americane? «Usando la semplicità del ragazzo italiano che lascia il suo Paese, dopo qualche esperienza nel mondo del marketing e dello spettacolo, e che va a cercare fortuna oltre oceano. In America credono ancora in queste cose che per noi sono solo favole e ti aiutano. Certo, devi dimostrare di valere. Ma, soprattutto, contano l’onestà intellettuale e il saper mantenere la parola data. Mi hanno messo alla prova e ho superato l’esame».

La Cattolica di Milano l’ha ingaggiata per tenere un corso di lezioni agli studenti di scrittura, linguaggio e storia del Cinema. Lei non è laureato. «Manco diplomato, se è per questo. Come si dice, la mia scuola è stata la strada. Una buona strada, naturalmente, senza trasgressioni. Tanti lavori, spesso umili, e soprattutto la volontà di ferro che ti porta ad emergere grazie alle tue idee senza fare del male agli altri. Una filosofia di vita molto apprezzata dall’americano medio».

Adesso il ritorno in Italia. In Toscana dove, oltreché a Tropea e a Venezia, si svilupperanno le vicende della tribù hollywoodiana la quale compirà un viaggio di cameratesco e puro divertimento. «Ma non sarà la Toscana solita, quella stereotipata e da cartolina illustrata con la vista sui tetti di Firenze e le spiagge per ricchi. Sarà il trionfo dei borghi e della brava gente di campagna. Una terra che al Cinema, se osservata e scavata con occhio diciamo così neorealista, può offrire una serie di opportunità incredibili e soprattutto non scontate. La cultura non è soltanto data dal fascino estetico o ambientale e dai capolavori eterni. Negli Usa sono poveri di questa cultura popolare. Conoscono l’Italia delle cartoline illustrate. Ma non sanno, per esempio, che la Versilia avrebbe tutte le carte in regola per fare a gara con la Florida, se soltanto gli amministratori locali non fossero schiavi di una burocrazia che non ha più alcun senso. Ma è tutta la Toscana ad essere ricca zeppa di angoli a misura di uomo. E nel mio film saranno anche loro i protagonisti che gli americani dovranno imparare a conoscere».

E chissà che, magari anche in corso d’opera, il casting su suo suggerimento non pensi anche ad una particina per Denny Mendez. Non per il fatto di essere la sua compagna, ma in quanto toscana doc oltreché miss di un «titolo» rifiutato dalla televisione di Stato perché non più attuale. «Lo escludo. Denny mi sarà accanto e basta. In quanto al concorso di Miss Italia, lo hanno distrutto gli stessi creatori. Sei serate e sempre le solite facce, tra presentatori e affini. È ovvio che gli sponsor siano fuggiti. Occorreva cambiare format e costruire uno spettacolo in sintonia con i tempi che prevedono ragazze non più culo-tette-duecento-denti in gara soprattutto per raccomandazione. Negli Usa è tutto diverso. Tant’è, la gente dovrebbe sapere oramai che i vari talenti italiani di successo, come quello della De Filippi, altro non sono che il frutto dei saccheggi fatti dai nostri produttori nel mercato americano. Forse è anche per questo che continuerò a vivere a Los Angeles».

 

“The Family”, De Niro visiting the doctor


20 Sep

“One more time” con De Niro, Pacino, Hoffman e Nicholson, notizia sola


17 Sep

(AGI) – Viareggio (Lucca), 16 set. – Un kolossal girato in Italia con Dustin Hoffman, Al Pacino, Robert De Niro e Jack Nicholson. L’anticipazione arriva dal manager delle star di Hollywood, Oscar Generale, che nel weekend ha fatto visita alla Capannina di Forte dei Marmi insieme alla fidanzata Denny Mendez, ex Miss Italia, proprio per scegliere le location del film che si intitolera’ “One more time” e vedrà lavorare uno di fianco all’altro le quattro stelle del cinema americano. “Ho appena finito di girare un film con Nicolas Cage – ha spiegato Generale durante la sua apparizione nel locale versiliese – e subito mi sono lanciato verso il nuovo esaltante progetto ambientato interamente in Italia. Dustin Hoffman, Al Pacino, Robert De Niro e Jack Nicholson interpreteranno se stessi alle prese con una vacanza di relax e divertimento in giro per la penisola italiana. Le riprese cominceranno il prossimo anno per la regia di Paul Sorvino. Mia intenzione e’ quella di mettere in scena diverse citta’ italiane, facendo tappa anche alla Capannina di Forte dei Marmi. Vorremmo girare delle scene anche a Venezia, Firenze, Abruzzo e Calabria”.

Questa news mi puzza di cagata!

“Grudge Match”, il Trailer


12 Sep

Festeggio il mio compleanno con questo film già storico.

Il 13 Settembre 1979 nacque il Genius


11 Sep

Storia di un maledetto che si “denirizzò” nel neo anomalo, spuntato sulla guancia per empatie a pelle di Andolini Vito…

Meglio che suonare il mandolino!

Sì, sto assumendo un look sempre più somigliante al Bob. Ieri pomeriggio mi “rivolsi” allo specchio e notai che la lentiggine sulla guancia s’è ingigantita a forma nera, dunque deniriana, di verruca. Una mutazione “metacinematografica” da far impallidire Kakfa e Cronenberg. Ma tutto ha una “regione”. Sì, Bob veniva chiamato Milk da giovane, io sono solo Bobby con la lacrima sul viso… comunque, meglio il colorito ceruleo, pulito al “cloro” e non annerirsi nelle rughe, poi liftate con incuria, delle corali voci di massa.
La mia pubertà fu umorale a pois. Precoce di masturbazioni in solitaria, le “avvenenti” mie compagne delle medie, mediocri in termini fisici nonostante ambizioni da scienziate di Fisica (sarà stata colpa di quello “laureato” all’ISEF, un povero paraplegico che s’eccitava dinanzi a tante fiorenti “gioventù”, impartendo flessioni “ginniche” al suo senza rotelle eppur in carrozzina), un po’ me la mostravano nell’accavallar di gonnelline sotto i banchetti birichini quanto poi, “tirandomi” un affettuoso bacino, concupivano schifezze per eccellenza, leggasi bifolchi maniaci che, di “manesco”, già agitavan le “acque” appena mestruanti. Sì, tutto un mescolio di ormoni appena venuti a galla, fra galli che poi avrebbero dimenticato ogni putrefatta “prima volta” con tali gallinazze nello svoltar, previo “sviolinate” da lacchè, a impiegati col “bianco” colletto.
Sì, prima non sapevano coniugare, poi impararono a memoria la pappardella nell’adolescenza più da papaveri con le “paperine” sboccate-imboccantissime, “solari” quanto depresse ma bastava un “poco di zucchero” e andava giù… glup glup. Galoppate d’arrivisti sulle “bimbe” che emulavano, già mule, le modelle sulla copert(in)a della (ri)vista…

Fu allora che mandai tutti a farselo dar nel culo. Questi paraculi non meritavano un Travis Bickle “straniero” al porcile già avviato… M’innamorai di De Niro e scomparvi nella Notte più “allegra”. Quegli animali scopavano, cazzi che non mi riguardavano. Nessuno/ anche ora mi caga? Per fortuna? Già la mia merda basta. A bestia! Ci mancan solo le racchie, dei cessi e la coprofagia. Per quanto mi concernette, a tal “cenetta”, ho sempre prediletto farvi i “grilletti”. Polemico, asociale, contro ogni convenzione e talvolta, guidando nello “sbandare”, anche punito di contravvenzioni. Meglio di chi si punge nelle vite artificiali! Ah, per rimediar la figa, vendereste le siringhe anche a un barbone senza stringhe. Sarò stringato se non mi capite. Se sei un drogato, ti slogo. Il braccio è mio.

Non ci vedo della perversione. Ognuno ha la sua. Se la tenesse quella zoccola… sta sol che nella gatta ci cova. Altro che cicogne. Queste partoriscono già a dieci anni, previo aborto pagato dalla madre che si fa il lor teen.
Sì, un figlio di papà per minorenni e milf.

Mi terrò sempre bene, conservato di fascino al pepe di pene, al buon come il pandoro, e faccine con la “sordina” da Corleone, Brando a “venire” come miglior attore della sua generazione. Anche se Pacino lo surclassa. Va detto. Tutta la saga, non seghe mentali perché Coppola conosce i mafiosi “ipocriti” ch’eppur pregan sotto la “cappella” nel togliersi il cappello col “baciamo le mani”, è costruita su Michael.
“Puro” da proteggere così tanto che diverrà, appunto, il più cattivo.
Bacerà di Giuda suo fratello Cazale e poi lo ammazzerà! Porco…!
In Quel pomeriggio di un giorno da cani, al nostro Cazale andrà peggio.
Credeva di aver trovato un amico come un “tesoro”, leggasi “rapina” per far il bott(in)o e spartirselo ma invece, oltre che senza colpo gobbo, sarà ucciso di pallottola.
Comunque, anche Pacino ebbe molte gatte da pelare. Cazale aveva la pelata, Michael incontrò, nella vita reale, una Keaton Diane che gli succhiò le palle.
Infatti, negli anni 80, causa lo “spompamento”, Al girò soltanto Cruising, Scarface, Papà sei una frana e Seduzione pericolosa. I nomi glielo dicon “lungo”.
Cominciò a riprendersi la virilità con Profumo di donna… Vinse l’Oscar e Diane, dalla platea, applaudì commossa mentre Al la guardò come a gridarle: “Ecco, mi usasti a statuina per ingessarlo. Tieniti Woody Allen e i suoi o-nanismi, puttana!”. Ma ancora ebbe un crollo psico-sessuale-affettivo, ravvisabile in Paura d’amare.

E dire che Michelle Pfeiffer conobbe un Tony Montana che la montava… Heat significa calore ma Diane Venora chiese il divorzio ad Hanna. Che casino! Pure Natalie Portman che si taglia le vene prima de Il cigno nero!

Ora, che c’entra De Niro? De Niro c’entra eccome. Venerdì uscirà Malavita in America.

Finalmente, una bona Michelle, seppur un po’ invecchiata e scialba. Per la serie: dopo due volte senza neanche una (s)cena assieme, leggi Stardust e Capodanno a New York, Bob fotte Michelle.

Ce la vogliamo dire?

Come vi prendo per il popò io, neanche il padrino.

Venerdì 13 del 1979


11 Sep

Venerdì 13… compio gli an(n)i. E non ci son più cazzi. Speriamo nel “mio”, alive e vivo, anche se talvolta vegeta. Non so dov’è eppur mi ama… in questo “viavai!”

Venerdì, dico a voi, amici e nemici, compio gli anni. E sarà Venerdì 13.
Ah ah, io combatto la iattura, da patenti sfigate talora (im)potenti, essendopirandellianoUno, nessuno e centomila. Festeggerò con pochi eletti per poi darmi a più amene intimità. Non intimidito dai detrattori, se mi va, guido pure il trattore come Farnsworth lynchiano. Ma ammonisco mio fratello di sangue. Invero, son figlio unico. Quindi, non ho nessuno a cui ricongiungermi. In quanto Travis Bickle del mio viaggio al termine della Notte. Orsù, in alto le candeline. Illumineranno il buio. E voglio tutta la torta, compresa la ciliegina di tua sorella, dolce e cremosa, per rimpinguarla di soave cioccolato, denso e fondente, forse un tiramisù o mi butterà, senza burro, giù dalla scarpata. Io non uso maschere, mangerò con la scarpetta anche a carponi per leccar i tacchi delle donn(ol)e, in quanto mascarpone di Savoiardo, “scivolante” a valle…
Son savio biscottone mica un Monaco principino. Ah ah! Ardiamo i monarchi!
Vai, arcieri! Poi, bruciate le lor cere nei bracieri! Che braciole di maiali!
Ce la vogliamo dire? Esemplifico, spesso senza fighe, un film romantico “ a pelle”. Da guardar mentre addenti uno “spezzatino”. Talvolta, indosso il giubbotto, spesso prendo molte “botte” e varie sportellate. Al che apro l’ombrello e, in umido, balla sotto la pioggia…
Sì, piango a dirotto perché innamorato cronico di tutte le donne.
Tutte, senza esclusione di colpi… sì, “incarno”, scarnissimo e scannato, la versione Elvis Presley di Bloodsport. Sì, immaginate Elvis di corde vocali armoniose su addominali nervosi. Insomma, uno da fegato macerato. Elvis doveva rimanere Elvis.
Che furon quelle mosse marziali perché di droga s’ammazzasse?
Ah, farò come Elvis. Morirò per colpa del movimento pelvico. Penicillina, no, Silvio Pellico! Sì, m’imprigionarono!
Quando codeste m’afferraron ferree di calci “sguazzanti” nell’aria su gridolino…, un po’ da spaccata e quindi “spappolante”, “come” Van Damme. Di posa plastica soprattutto quando avvicino una, mi schiena senza “toccarmi col guanto”, e lancio una sfida “imbattibile”.
Cioè, i miei occhi duellanti, già tendenti al languido, sgorgan senza “darlo a vedere e mai il mio ne toccherà molte eppur di più ne vedrà, già, basta connettersi a YouPorn”, s’impietriscono ma continuo a buttarla… sui muscoli per rinforzare l’evirazione.
Un’irraggiungibile crisi mistica mastica “ardente”… il dentro mio che, “coraggioso”, per nuovo (intra)prenderle…, s’accartoccia in lagrimanti corrosioni d’emorragia. Al che, “ascendendo paradisiaco”, mi do al cerebral intellettuale con molte “frecce ad arco”. Da cui la mia arcata gengivale di spalancata bocca aperta nella tagliente ferit(oi)a inguaribile di un più a(r)mato(re)
Eppure, sempre sanguigna, la perdita è incolmabile. Neanche le trasfusioni di una pornoattrice, che fa sangue appunto, placherebbero la morte agonizzante. Quella mora è però attizzante, tutti aizza nei rizzi. Rabbit, ex JessicaRizzo o sono io il coniglio? M’hanno rapito!
Assatanatatissima per sete a infiammarli mentre io, oltre che di “fame”, sto schiattando d’assenze soffocanti, le femmine diffamanti. Lei… non “chatta” con me. Fottiti, chiatta! Chiatti Laura è anoressica!
Lei arcua il bacino perché sia imbucata d’altri dardi (es)tratti che, penetrandola, un po’ fuoriescono “rientranti” al ventre suo bollentissimo e raggiante, mentre io congelo e non “cola”. Diedi le lettere di “dimissioni” dopo la prima volta che lo (o)misi. Da cui peggiorai di stima. Nonostante i distinti saluti. Mah. Epistolari lettere di “puro” e distillato amore, liquidato in mail che non si dica. E non la dà.
Lei era una misera, io a quei tempi er(t)o, oggi spezzato d’arto ad artico mio membro che può sol rimembrar Silvia. Artù, pensaci tu. Un Tempo, la mia spada era “lucente”, Excalibur dove sei sparita? Che fai? Stai esalando il respir fatale da Napoleone!  Siete dei pezzi di Manzo(ni)! Chiamate Perceval, a Venezia vince Sacro GRA, ci vuol un avventuriero da Indiana Jones e l’ultima crociata per l’eternità della mia “gru”.
Sta andando giù! Chi lo tirerà su?
Nonostante “tutto”, credo nell’amore. Momenti indimenticabili che, alle volte, vorrei dimenticare. Come si suol “dare”, la teoria fallimentar del “Vuoi ma non puoi, mio uomo, cucina le uova ché la fritta(ta) della gallina sarà strapazzata da un gallo di cedrata, ecco la tua cenetta senza sbottonar le cerniera, cena gustosa da intinger il pene nel rosso tuorlo mentre lui è torello ai suoi orli vicino ai for(n)elli”. Sono un debole, una moll(ic)a davvero “elastica”. Sono propenso a incazzarmi, tanto loro quanto scazzan quelli altrui dopo che li han inculati con lo “schizzo!”. Che cozze!  E che cazzo, basta! Ogni donnetta è Paese. Tutto il Mondo lo sa.
Le donne tedesche usan a incrociarmelo con la svastica, quelle italiane raschian anche l’ormai teschio senza carne del mio volto “magro” come lor su(or)ine. Quelle francesi son dei cessi, troppo “eleganti”, quelle spagnole adorano il “Sole”. Quindi con me, che son Mister inglesino “color” malinconie, non posson che rendermi un crisantemo da orticarie e ad altri la dan solari nelle vie delle cagne. Evviva chi sogna senza “glassa!”: Non avrò classe ma c’è la galassia!
Basta con Claudia Galanti! Sarò “galante” al suo uomo “croccante!”.
Ricordo quest’aforisma: chi fa da sé, forse è un uomo col tè.
“Famoso detto” dell’englishman come me, “lunghissimo”, che la vede “lunga”. “Di mano” per sue gambe chilometriche a metrica d’uno di trenta centimetri. Egli l’accoglie da maître mentre io, da gobbo di Notre-Dame, passo le notti sotto la metropolitana di Parigi. Cambiando città!
Ma, nel frattempo, Johnny Depp è “barbone” con Amber Heard vicino a Montmartre.
Sì, sono un martire, un miserabile da Victor Hugo…
Un Cabret caprone, pausa di Scorsese da DiCaprio, “orfano” del rimaner in “stazione”. Remiamo a Venezia. Ove Romeo e Giulietta furon sospiranti di Shakespeare! Mah. Finiranno entrambi fregati. Non mi fregherete.
Sì, non vedo un cazzo io ma quella sì, eccome… osservo col telescopio mentre scopa con l’antennista del “cavo”. Orgasmi stroboscopici! La sogno di grande “schermo”. Mi schernisce anche dal “nero” con pixel di pizzetti a (s)granata bombardarla. Meglio una pizzetta. Fidati.
Quando, finita la “proiezione”, lei è titolo di coda per un “montatore” col codino “testicolante”, tu sarai alla Bionda, birra per digerire. Ecco Babilonia!
Ah ah. Sono un giocherellone, un matto gaglioffo. Insomma, con me non arruffan il pelo eppur (s)tiro… in quanto “nato con la camicia”. Di buon manico, infatti è evaporato e tutto di pieghe b(r)uc(i)ato.
A parte il mio “ferro”… era comunque da battere finché poteva esser caldo, adesso mi sbatton di “stiratura” rovente a un altro più da “battiscopa”.
Al Mattia Pascal preferisco una matta che con un altro si scalda. Scopriranno che è stata una cazzata. La mia matita è matador! Oh Dio, però leggendo le mie opere, quanto dolore! La mia anima è tormentata!
La nostra vita?
Sì, meglio coltivar il proprio orticello e ber di vino a vite non a queste avvitate.
Grazie, offrimi un altro bicchiere.
Voglio ubriacarmi davanti a quella che ancor ne ubriacherà.
Sì, tutti avvinazza e beve le mie amarezze.
La verità? Sono un romantico?
Guardo Innamorarsi e mi commuovo.
Se poi, “ficcano”… questa, son già andato…

Comunque, delle mie amanti non vi svelerò proprio un cazzo.
Sì, a volte temo siano degli uomini.
Tutte s’invaghiscono di me, poi mi fanno il culo.
Ma si “tira” a campare. Gli altri le “comprano”, da cui i paraculi. Con una “laurea” guadagnano la “risata aurea”. Rimango povero “in canna”.
Insomma, io ho una teoria sulla vita: se una ti rifiuta, il fiuto rimane, un po’ con le mani in mano, oh mio “man”, gli anni per per recuperare il “purè”, semmai con una del Perù, non ti mancano! E i soldi? Senza un soldo, neanche un “saldo” per vestire senza “nudo”.
Mica la (s)figa ti rende monco! Siamo sicuri?
E quindi: evviva la minchia(ta)!
Perché Totò diceva: la testa deve stare al solito posto, cioè sul collo.

E il “mio” sul ca(va)llo.
Sì, a caval Donato non si guarda in bocca!

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. I mercenari 3 – The Expendables (2014)
  2. All’ultimo pugno (2013)
  3. Una storia vera (1999)


“Cose nostre – Malavita”, “Director’s Cut” Red Band Trailer


10 Sep

Affascina sempre più questo nuovo Luc Besson. Qui, tagliato proprio dal regista, per uno straordinario trailer R rated. Che abbina action improvvisa a virate comiche di umorismo nero. Il tutto mescolato a citazioni da Goodfellas, come da esecutivo produttore, che non a caso è Martin Scorsese, e di altrettanta novella, da cui è tratto il film. Ma i ben informati san già tutto. Mi pare inutile ribadirlo.

(Stefano Falotico)

De Niro about James Gandolfini death and not only


07 Sep

DE NIRO DEFINED

Just as the famously reserved actor turns 70, Robert De Niro finally lets the outside world in. For once, he’s talking to you

BY ANTHONY DECURTIS
PHOTOGRAPHED BY ROBBIE FIMMANO
STYLED BY KAREN KAISER

Robert De Niro wants to know where I live.

Or, more precisely, where I used to live. We are talking about the New York City neighborhood where De Niro was born and raised, Greenwich Village, and, specifically, the public pool that runs nearly a block from St. Luke’s Place to Clarkson Street, just west of Seventh Avenue South. Apart from its legitimate use during the day, the pool provided a welcome respite from the summer heat when kids like De Niro climbed the black wrought-iron fence that enclosed it and swam until the cops came to chase them away.

Growing up in the same neighborhood less than a decade after De Niro, I took those night swims in Carmine Pool and, more disturbingly, experienced the same complicated contrast between the tough Italian-American street environment and the alternative bohemian culture that suffused the Village in the 1960s and 1970s. Crime, reform school and prison loomed menacingly in the shadows of the artistic life that made the neighborhood known to the larger world around us. The child of painters who divorced when he was three, De Niro straddled the two realms precariously. Running with the toughs, he became known on the street as “Bobby Milk” because of his pale complexion.

As we explore those dynamics, De Niro has a question. “You grew up on 10th and Bleecker?” he asks. “Which corner?”

It’s his trademark obsession with detail, the attention to authenticity that has informed his acting for 40 years, since he played the small-time thug Johnny Boy in Mean Streets (1973), the first of eight films he has made with Martin Scorsese. “I was in the street thing, and then I just realized that I’m not going to get anywhere if I do this,” De Niro says. “I remember telling my friends I wanted to be an actor. Some of them were responsive. Some of them were nonplussed. They didn’t know what to think about it. Actually we shot Mean Streets right on the block I used to hang out on. We used some of the guys I used to know in the film, and Marty used some of the guys he knew too.”

For anyone who grew up in that world, Mean Streets was a revelation, not because of what it told you about yourself but because of what it told everyone else in America about you. As Bruce Springsteen did for the rudderless working-class kids on the Jersey Shore, De Niro and his friend Scorsese found meaning and beauty in lives that had never before been deemed worthy of artistic treatment. In film after film—in The Godfather: Part II, Taxi DriverThe Deer HunterRaging BullGoodfellasCape Fear and Casino—De Niro embodied characters for whom violence roiled within their inner lives. Each was a tinderbox that a wrong word, a thoughtless gesture, an unconsidered act would inevitably ignite. As a viewer you carried that awareness as you watched him in every scene. He never signaled it, and he never needed to. It was with him every step that he took.

In De Niro’s new film, The Family, his relationship with violence takes on another compelling dimension. He plays Giovanni Manzon, a mobster who flees America with his wife, played by Michelle Pfeiffer, and two children to France as part of the witness protection program. In one scene, the renamed “Fred Blake” is grilling meat at a cookout organized in their village. Fred does his best to behave himself, but as his guests begin to display the casually condescending rudeness at which the French excel, director Luc Besson (La Femme Nikita,Taken) allows us glimpses into Fred’s fantasy life. As Fred grins and mumbles cordial responses, he imagines grabbing one of his interlocutors by the scruff of his neck, slamming his face against the burning-hot grill and holding it there.

That contrast between an explosive past in which such assaults would have routinely taken place and, at least theoretically, a more sedate present encapsulates the struggle Fred contends with—and in some metaphoric sense it’s De Niro’s struggle as well. Everything he does at this stage of his career is inevitably compared with his groundbreaking performances of the past. But what sense do roles like those make for a man who has just turned 70?

On a summer afternoon I arrive at De Niro’s Tribeca production office to interview him about The Family. Meeting him is a thrilling prospect but a bit scary, as if I were meeting someone whom I’d somehow known my whole life. He’s earned a reputation as a notoriously difficult interview, so I had no certainty that my personal identification with him would help at all. I remember seeing De Niro at a press conference with Scorsese in New York in 1990 to discussGoodfellas with a group of reporters. Seated on a dais, he writhed in agony even when asked the most innocuous questions. He stammered and gestured helplessly, his eyes pleading for the ever-voluble Scorsese to bail him out. As recently as 2010, a television appearance with Dustin Hoffman on Late Show with David Letterman to promoteLittle Fockers once again found De Niro so taciturn—and Letterman so thoroughly unsettled—that Hoffman described himself as “the De Niro whisperer” and offered to answer any of the questions Letterman intended for his fellow guest.

De Niro’s office is spacious and airy but at the same time lived-in. It’s obvious that a real human being actually works here, and the books, DVDs, magazines and movie posters all reflect his interests. The shyness that everyone who knows him immediately mentions is evident but so is an easy graciousness. Dressed in khaki pants and a white shirt, he’s very much a gentleman in the old-world sense.

I offer him a book I worked on with Clive Davis, and he thanks me, saying, “I was interested in this book,” and then, “Did you inscribe it?”

“I didn’t, but I certainly would be happy to.”

“Do that,” De Niro says. “And date it.”

I do so, but not before silently working out if there were some way I could wrangle a week or so to figure out what I might actually want to say to Robert De Niro in such a context. I settle on “For Robert De Niro, an inspiration.” He reads it and, once again, thanks me. Until I determine where I would be most comfortable in his office, De Niro does not sit down. Then we start talking. It’s a sacred tenet of media training that interview subjects should politely listen to questions but then say whatever they want to say in response with no regard for what was asked. De Niro is nothing like that. He refuses clichés, and there is nothing glib about him. He won’t just rattle answers off the top of his head.

When asked about how he dealt with the violence in making Taxi Driver—perhaps his most iconic film but also his most graphic—De Niro says, “When we were shooting the last scene, the shootout in the hallway and all that, we would always make jokes between takes because it’s such a gruesome thing. You hear about surgeons who are doing these sort of gruesome triages on soldiers and they’re joking as they do it, because what else can you do? It’s not going to change the situation. It makes it easier for you, and at the same time, you’re getting the job done.”

Another striking aspect of De Niro is his support of other actors and directors. He says of both of his co-stars in The Family, Michelle Pfeiffer and Tommy Lee Jones, that he was “lucky” they agreed to appear in the film and praised Pfeiffer’s depiction of a mob wife as “terrific.” Such generosity is extended to James Gandolfini, who had died at age 51 a few days before our interview. Gandolfini’s role as a mob boss in The Sopranos has been compared to De Niro’s work, but De Niro shows no hint of competitiveness. Instead, he praised the late actor’s performance in the Broadway play God of Carnage and says, “It’s terrible. He was too young. I wish that he had been more maybe proactive about his health. I don’t know what he did about that, but I wish he had been. It shouldn’t have happened.”

Working as an actor his entire life means that De Niro sees everything through that lens. In describing his steadfast support for Barack Obama, he compares the president’s challenges to a filmmaker’s. “He’s a good person, period,” he says. “He’s trying his best. He’s going to do things that people feel are not right or violating one right or another. But at the end of the day, he represents, I think, the best of the type of people that I would like to see running the government. He has to play that game, the political game. They all do. They make statements they can’t honor because they’re impossible to honor. Once you get into that Washington machinery, you’ve just got to figure it out and swim against the current and grab onto this rock and that, and just try to maintain your course.

“You know, it’s one thing to be a critic,” he continues. “It’s another thing to be directly involved. It’s like directing a movie and you edit the film and then someone will give you a suggestion: ‘You could do this, you could do that.’ You look and you say, ‘Yeah, but the reason I can’t do that is because I don’t have that shot, and if I use this shot that’s better here, it impacts on this one and it’s a story point.’ In other words, it can’t be done. You have to make these choices with the government, and you’re going to be criticized. If you took the time to explain it all to the public, they’d say, ‘OK, I get it.’ Can you explain to everybody? No. You just have to say, ‘I made this choice because I felt it was the right choice.’ ”

 

Mean Streets was not De Niro’s first acting gig. At the age of 10 he played the Cowardly Lion in a Saturday stage production of The Wizard of Oz in New York City: “I was a kid and they gave me that part to do.”

His knowledge of the city’s cultural life is encyclopedic, beginning with the stage and movie theaters he haunted as a teenager. “In those days, you had the Loews Sheridan and you’d see the double bill,” De Niro says. “You had Suddenly, Last Summer. Then On the Waterfront… A Place in the Sun and all the movies that really affected me, if you will.”

Reminiscing, he says, “Did you ever know the Elgin Theater on Eighth Avenue? There was another theater up the street that also had old films, not like the Loews with the first run, but on the east side, like in the low 20s—off 23rd Street. Then there was the Waverly, which used to have great art films. The audiences would laugh at things that a typical audience wouldn’t laugh at. It’s interesting.”

The favored places of his youth made appearances in his movies, such as the Carmine pool he broke into at night. Locals of De Niro’s vintage invariably refer to it as Leroy Street Pool, though, in typical downtown New York City fashion it is located neither on Carmine nor Leroy street. No matter what it’s called, the pool was in a crucial scene in Raging Bull. De Niro’s character, boxer Jake LaMotta, meets his soon-to-be-wife, Vickie, played by the beautiful Cathy Moriarty, as she sits on the edge of the crowded public pool, cooling her feet in the water. It’s a rare lyrical moment in an otherwise brutally violent film. “That’s why we shot it there,” he says, of his personal connection to the Greenwich Village pool.

High-end boutiques and cupcakeries have replaced the grocery stores, junk shops, butchers and vegetable stands that lined the neighborhood’s streets. “That whole world has changed, you know, over by Little Italy—totally changed,” he says. “And Bleecker, I pass it every day taking my kids over to school. Mulberry Street—totally different world.”

But De Niro always adapts. The Tribeca Film Festival, which he launched as a means of reviving downtown Manhattan after September 11, is thriving, as is his TriBeCa production company. He was living in the neighborhood at the time of the attacks and has a vivid recollection of them. “I had two huge windows, so I saw everything right out my window,” he says. “I saw first the north tower go down, then the south. I couldn’t believe it. I was looking at it, and I had to look at the television to confirm what I was seeing with my own eyes.”

His efforts on behalf of the city have gone well beyond the world of film. His investments include the Greenwich Hotel and the restaurants Tribeca Grill, Locanda Verde and Nobu. The restaurants and the hotel showcase the paintings of De Niro’s father, Robert De Niro Sr., whose estate he oversees. De Niro and his wife, Grace Hightower, have two children, and he has four children from a previous marriage and another relationship.

A great deal is happening with his film career. Just last year he received an Oscar nomination (his seventh) for his deeply affecting performance as an overbearing father obsessed with the Philadelphia Eagles in Silver Linings Playbook. As for The Family, viewers looking for the easy Mafia yuks of Analyze This will be stunned by the film’s unflinching, unapologetic violence. And anyone hoping forGoodfellas II—the English title of the Tonino Benacquista novel on which the film is based is Badfellas—will be surprised by the sweetness of De Niro and Pfeiffer’s relationship and the humor, domestic and otherwise, that earns the film its punning title and its billing as a comedy.

That tonal complexity is part of what De Niro likes best about The Family. “The movie is, what would you call it? Is it a comedy?” he asks as he leans back on a black couch in his office. “I’m not sure. It kind of reminds me of the Italian comedies. There’s definitely a European feel to it, which is not a surprise from someone like Luc.”

Lightness of touch is a central theme in De Niro’s conversation. As for so many artistic masters, his decades of experience haven’t led him to bravura performances but to a quiet internal understanding of how to determine exactly what needs to be done and then doing just that and no more. That approach was evident on the set of The Family, Pfeiffer says. “What is amazing about watching him work when you’re there with him on the set is that it seems like he’s doing so little,” she recalls. “And then you see it on the screen and he just has all of these dimensions that you didn’t pick up on. You’re like, ‘Damn, how does he do that?’ He never forces it. It’s a lesson that all actors can take.”

That restraint is essential, De Niro believes, particularly in a film likeThe Family, where both the violence and the comedy could easily topple into parody. “You can’t do any more than is asked of you to do,” he explains. “There’s a delicate balance of how far to push it and how far to pull back. Not to try to show the feeling and the texture of the scene but to let it happen and unfold and trust that the texture will be there. What the scene is about will come out more easily than you think.”

The prospect of directing De Niro was especially enticing for Besson. “I saw Mean Streets and Taxi Driver when I was 15,” the director says, “so to be able to work with Robert was a big privilege for me. At the same time, after a couple of minutes you just have to roll up your sleeves and get to work. What’s the point of having Robert De Niro aboard if you do nothing special with him? He’s a hard worker. He’d be calling me on the phone, asking me questions all the time.”

It’s that attention to detail again. He builds his characters from the outside as well as from the inside. Nothing is superfluous; everything is telling, even crucial. He took outward transformation to extremes with Raging Bull, when he gained 60 pounds to play Jake LaMotta in his decline. He could have worn a fat suit, but that was not the way he did things.

In fact, it was LaMotta’s weight that first intrigued De Niro and made him want to tell his story. “I ran into Jake LaMotta when I was in my late teens,” he says. “I was going down Broadway and I saw him working as a bouncer in a kind of gentleman’s club. He was heavy.” De Niro holds his hands in front of him to convey LaMotta’s girth. “It was like, ‘Jesus, he was a fighter and now he’s here and he’s so heavy.’ It was just interesting to me, the whole thing.”

Jump forward to the mid-1970s, and De Niro was in Italy, shooting 1900 with Bernardo Bertolucci, when he read the memoir co-written by the middleweight champion boxer, called Raging Bull: My Story. “I called Marty and said, ‘You should read this. It’s not a great book, but there’s something about it. It’s got a lot of heart’…I thought maybe I could do it as a play, like a one-man, stand-up play.”

Instead, De Niro and Scorsese took a screenplay that Paul Schrader had written and shaped it to their own ends. Scorsese has described making Raging Bull as “kamikaze filmmaking.” “I threw everything into it,” he said, “and if it meant the end of my career, then it would have to be the end of my career.” The film today is considered one of the most powerful ever made and won De Niro the Academy Award for best actor.

Ten years later, De Niro played a real-life person from another book, the Irish-American mobster Jimmy Burke depicted in Nicholas Pileggi’s Wiseguy. Burke is believed to have engineered the Lufthansa heist, an infamous robbery at John F. Kennedy Airport. The book and the movie Goodfellas center on Henry Hill, who worked for Burke before turning informant. Hill recalls De Niro relentlessly grilling him about every aspect of Burke’s life. The actor would be “on the fuckin’ phone constantly,” Hill states in a 2006 documentary about his life. “I mean, like fuckin’ seven, eight times a day. He wouldn’t leave his fuckin’ trailer without talking to me twice. ‘How did Jimmy hold his cigarette?’ I thought he was a fuckin’ nut job.”

In his 90-plus films, Robert De Niro has portrayed a Jesuit missionary, an architect, a soldier in Vietnam, an oncologist, a retired CIA officer and many, many other characters. But he is perhaps most closely associated with organized-crime figures. Asked what people find so compelling about their gory tales, De Niro says, “Well, for me as an actor, they’re all fascinating characters. I did feel with something like The Godfather that the reason it was so popular is that that was a time the country was in a lot of discord. So the family actually had more of a code of ethics than the outside world, which was going crazy with demonstrations and the Vietnam War and all that. It had a finality to it, a code of ‘You did wrong, you paid for it.’ You didn’t, you were rewarded. It was a romantic idea, but there were many truths in essence about what people feel and want to aspire to.” In a way, The Family adheres to a similar code in a thoroughly complicated time. Ultimately, the film is about a marriage and a family that has stuck together through impossibly difficult circumstances, sometimes of their own making. They’re scarred and they’re hardly perfect, but they have survived.

In addition to The Family, De Niro has the comedy Last Vegas, in which he stars with Michael Douglas, Morgan Freeman and Kevin Kline, coming out soon. He’s also working on a stage musical version of A Bronx Tale, the first film he directed. “I probably shouldn’t say that,” he says about the project, “because something always comes up and then it doesn’t happen. But we’ve been working on it, and it’s been going well. It’s coming along.”

So De Niro is working as hard as he ever has. No one takes filmmaking more seriously. Who, other than Robert De Niro, could publicly confront Jay-Z at a party for not returning his calls? It seems that Jay had agreed to give De Niro a song for a project and then went missing, despite De Niro’s attempts to contact him. At a birthday party for Leonardo DiCaprio last November, De Niro let the rapper know in no uncertain terms that he was not happy about getting blown off. It was a matter of respect between two Kings of New York, and not something De Niro was going to let pass without speaking his mind.

“When I was 17, the head of the dramatic workshop I was in asked me, ‘Why do you want to be an actor?’ ” De Niro recalls. “I said, ‘I just want to be an actor.’ I really didn’t know what acting was. And he said, ‘To express yourself.’ And I thought, ‘Yeah, that’s right.’ And that was it.”

 

Genius-Pop

Just another WordPress site (il mio sito cinematograficamente geniale)