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Il Full Trailer di Joy debutterà domani
Eravamo in migliaia collegati su Twitter e sui siti di Cinema per aspettare la tele-mondiale diffusione internazione del trailer di Joy, dopo aver assaggiato le prime immagini a Luglio nel teaser.
Ma le pagine di Jennifer Lawrence ci han dato, alle 15 esatte di oggi pomeriggio, ora italiana in cui il filmato inedito doveva rendersi disponibile, la triste notizia che, se tutto andrà bene, il trailer, appunto, essendo stato posticipato a sorpresa di un giorno, lo potremo ammirare soltanto domani.Tomorrow never dies!
Aspetteremo lo stesso trepidanti, anzi, più infuocati e fanatici.
Personalmente, ammetto che (non) ho un debole per la Lawrence ma per lo stagionato eppur sempiterno Bob De Niro, al quale spero diano la statuetta come Miglior Attore Non Protagonista.
di Stefano Falotico
Lo stagista inaspettato secondo BadTaste e i recensori Francesco Alò/Gabriele Niola
Chi conosce la tendenza di molto cinema americano a realizzare commedie per la terza età sa già cosa aspettarsi. E sbaglia.
Inaspettato non è certo lo stagista del titolo originale ma l’esito di questo film scritto e diretto da Nancy Meyers, vera specialista in sciape commedie senili (Tutto può succedere, È complicato), e recitato dall’attore che più di tutti in questi anni si è lasciato andare: Robert De Niro.
Invece la storia di un anziano ex dirigente d’azienda ormai in pensione, con una moglie defunta e una grande voglia di fare, che accetta il lavoro da stagista in una società di internet, completamente diversa da quella che fabbricava elenchi del telefono in cui lavorava (paradossalmente nel medesimo edificio) è una miniera di sorprese.
Solitamente in queste commedie il vecchio trionfa sul nuovo, in un’apoteosi di buonismo e implausibilità che coccolano il pubblico coetaneo dei protagonisti, Lo stagista inaspettato non fa eccezione ma in esso il confronto tra presente e passato non è solo nell’età dei personaggi coinvolti, si misura ad un livello più alto. Permea ambienti, luoghi, mode, atteggiamenti e tempistiche. Quella diNancy Meyers è una prospettiva stavolta più ampia della questione. Quei personaggi che altrove sono pretestuosamente inseriti per dare possibilità ai protagonisti di emergere hanno un guizzo in più e le relazioni che stabiliscono non sono scontate. Ciò che accade tra lo stagista fuori tempo massimo (assunto in un impeto hipster di recupero vintage) e il fondatore di una startup di moda interpretato daAnne Hathaway (come sempre impeccabile), non è scontato, prende pieghe originali e nonostante abbia come missione i sentimenti più basilari, arriva al traguardo cogliendo più di quello che era lecito aspettarsi.
Sembra incredibile poterlo scrivere ma proprio questo atterraggio con stile nella terra del miele è merito degli interpreti. E se Anne Hathaway come già scritto è una vera garanzia, attrice giovane con la solidità e l’affidabilità di una veterana (sembra fare film da decenni), la meraviglia è vedere Robert De Niro tornare ad impegnarsi sul serio. Invece che limitarsi a sfruttare con pigrizia il consueto repertorio di smorfiette note, che rievocano nello spettatore ricordi di film migliori e illudono che stia recitando, crea un uomo d’altri tempi con un’aura quasi nobile, uno stile da Sinatra unito ad un’eleganza che pare naturale. Nel creare il fascino del suo personaggio De Niro crea anche il senso di un’operazione di affiancamento di vecchio e nuovo. L’attrazione che il pubblico stesso prova per quello che il Ben di De Niro rappresenta, il suo modo di porsi, fare, pensare e concepire la vita, è il punto di Lo stagista inaspettato. Vintage e imbattibile come la 24 ore di pelle che usa, virile con classe come il fazzoletto di stoffa che ha sempre appresso, Ben non è il solito vecchietto arzillo da commedia senescente ma la personificazione del contrasto contemporaneo tra corsa al progresso e passione retro per tutto ciò che viene da un’altra epoca, il senso della nostalgia e della mancanza di qualcosa che non è mai facile identificare ma che fa rima con una dimensione esotica dei sentimenti.
Lo stagista inaspettato è un bel film, critica alla “critica” di FilmTv.it: giunto allo sfinimento della mia vita fine, in quanto oltre-uomo, sputtanai il puttanesimo ruffiano de Il diavolo veste Prada
Una tizia, forse tozza, ha su codesto, non so se oramai desto, sito, stroncato Lo stagista inaspettato. C’era d’aspettarselo che la furbizia della Meyers fosse scambiata per sdolcinata “c(ornuc)opia” del film con la Streep, sempre con la Hathaway.
Non mi penerei, pensante assai, troppo su questa che vistosamente, dopo non avergli dato il visto, eppur visionandolo, l’ha così mal giudicato.
Fa oramai parte di una “critica” che incensa, a torto (fosse per me, meglio in faccia la torta a gente esaltata ch’è meglio vada a “sfogliar” i tortellini), un cinema “autoriale” alla Fukunaga, altro abbaglio colossale, e stronca, a ragion (non) veduta, i “filmini”, come se ora declassare il puro entertainment fosse lo spo(r)t nazionale per far carriera in redazione. Altro che Meryl Streep e De Niro che non è l’Hathaway. Questa batte non solo le redattrici più finto-eleganti ma anche le battone, e non è una battuta!
Secondo me, è solo brutta, e Lo stagista inaspettato non è brutto come Maurizio Porro, un porco che la butta sempre sulla stroncatura “carina”, altro che le carinerie intelligenti della Meyers, de “Il Corriere delle seghe”…, “sfinisce”, in definizione che mi paiono sit–com umoristiche.
C’è tempo per giudicare, c’è un tempo per la pensione e io non ho voglia che qualcuno rida di De Niro.
Datemi un fazzoletto e, dinanzi alla mia grandezza, voi, che vi spacc(i)ate per critici, conoscere il pianto della mut(u)a.
di Stefano Falotico, appunto, il Genius
Nostalgia della Hollywood classica: Lo stagista inaspettato, di Nancy Meyers
Il rapporto tra Nancy Meyers e il cinema classico è sempre stato così stretto che The Intern non ha nessun bisogno di svelarlo ulteriormente. La regista sta cercando di saldare il suo debito verso il romance e sta provando a farsi testimone di una serie di formule che ormai sono considerate sorpassate. La questione non è solo un fatto di forma narrativa ma è principalmente un problema di ribaltamento delle gerarchie tra uomo e donna. Le tipologie dei rapporti sono evidentemente cambiate ma Nancy Meyers insiste nel sottolineare un sentimento di nostalgia verso la commedia rosa del passato. Il suo cinema tenta continuamente quell’opera di persuasione che riusciva ad Eli Wallach in The Holiday del 2006. Il vecchio sceneggiatore hollywoodiano in pensione convinceva Kate Winslet della necessità intrinseca di quelle storie d’amore che aveva scritto per tutta la vita. La regista si impegna in questa operazione in modo paradigmatico e la chiave per capire la natura del suo lavoro non è soltanto nel bellissimo omaggio a Singin’ In the Rain. La scena in cui un vedovo orgoglioso come Robert De Niro si commuove davanti a Gene Kelly che canta You Were Meant For Me a Debbie Reynolds è semmai il punto di riferimento a cui umilmente sa di non poter arrivare. L’uomo ha appena sentito l’ennesimo resoconto diAnne Hathaway sul suo matrimonio complicato e l’ha consigliata sull’opportunità o meno di perdonare il marito dopo un tradimento. Il suo ruolo di secondo padre non gli impedisce di rimpiangere il suo tempo e le sue convenzioni sentimentali. L’epoca lineare in cui si era innamorato di una ragazzina di Brooklyn e avevano deciso di invecchiare insieme: lui aveva trovato lavoro e avevano tirato su famiglia.
Il fatto che Nancy Meyers ci creda o meno è relativo perché per lei la cosa fondamentale è che il cinema porti avanti questa situazione come archetipo. In questo senso il momento veramente didascalico è quello in cui la protagonista rinfaccia ai suoi amici la loro scarsa virilità. Il suo personaggio gestisce un’azienda di successo e si lamenta che adesso le donne sono donne troppo presto mentre gli uomini restano ragazzi troppo a lungo. Non è un caso che davanti a sé abbia un campionario di trentenni che sembra un meltin pot tra la factory di Judd Apatow e una puntata di The Big Bang Theory. La presenza di Robert De Niro non rinuncia ai soliti e fastidiosi tocchi di autoironia che ogni volta gli impongono una rivisitazione del monologo allo specchio di Taxi Driver. L’attore si trova a suo agio con una collega che non ha problemi a declinare nel ventunesimo secolo la personalità di Katharine Hepburn. Il suo bagaglio professionale basta e avanza ad imitare quella di Spencer Tracy e a dare credibilità ad uomo che non dimentica mai di portare un fazzoletto nella giacca. Le donne prima o poi piangono sempre e la cavalleria non dovrebbe mai estinguersi: la domanda è quante siano disposte a dare ancora retta a Nancy Meyers. La risposta potrebbe dire se i suoi film sono anche efficaci oltre che ad essere piacevolmente retro.
Lo stagista inaspettato, pollice su da Comingsoon.it
Il nome della sceneggiatrice Nancy Meyers, regista di soli 6 film dal 1998 a oggi, è molto stimato a Hollywood, sia in virtù di titoli di successo come What Women Want e Tutto può succedere che dello sguardo attento con cui ha affrontato la commedia sentimentale e di relazione. Anche nel suo nuovo lavoro, Lo stagista inaspettato, tratta questi temi in una narrazione dilatata e intervallata dai consueti panorami di case, quartieri, alberi e foglie della Grande Mela nei vari periodi dell’anno, sottolineati da un’onnipresente colonna sonora. Si tratta di elementi ormai codificati in quello che ormai è diventato un genere cinematografico vero e proprio: la commedia sentimentale newyorkese con i suoi ritmi distesi e l’alternanza di divertimento e commozione, risate e riflessione.
Lo stagista inaspettato inizia con Ben, settantenne vedovo, pensionato e benestante, a cui manca la sfida quotidiana rappresentata da un lavoro da svolgere con passione. È per questo che, dopo 40 anni da dirigente in un’azienda che produceva elenchi telefonici, si presta a fare da cavia per un programma da stagista senior in una giovane startup di e–commerce specializzata in abbigliamento, la About To Fit. Lì viene assegnato alle riluttanti cure della direttrice e fondatrice dell’azienda, una giovane e stressata workaholic. Dopo essersi conquistato col suo savoir faire di altri tempi la simpatia dei giovani impiegati e l’amore di una donna matura, sarà anche fondamentale per salvare le sorti professionali e sentimentali della sua datrice di lavoro.
Ci sono film che hanno un target ben preciso e affezionato. Lo stagista inaspettato è rivolto essenzialmente a una fascia di pubblico prevalentemente femminile, forse più vicina all’età del protagonista che a quella dei suoi giovani comprimari. Sotto la forma della commedia il film ambisce ad essere sia favola che lezione di vita, con una morale espressa chiaramente sotto la cornice lieve e spiritosa: la storia mira ad infondere nuova fiducia nel futuro agli anziani e a convincere i giovani disorientati dai ritmi della vita moderna e dall’eccessivo ricorso alla tecnologia ad ascoltare chi ha vissuto in tempi più lenti e meditativi, dove più della velocità di reazione agli input informatici e al mondo virtuale contavano l’osservazione dal vivo e l’ascolto degli altri.
Non a caso Meyers ha scelto di ambientare il film in un sito e-commerce, che ha sede nello splendido loft dove prima si trovava l’azienda di Ben, che permetteva alle persone di comunicare pubblicando i loro numeri di telefono in giganteschi volumi. Il nuovo ha preso letteralmente il posto del vecchio, ma – ci chiede la regista – siamo sicuri che fosse tutto da buttare?
Il personaggio di Ben è una specie di jolly, il contenitore di tutte le doti dei bei tempi andati, che è pero straordinariamente in sintonia col mondo e coi giovani di oggi. Ci sembra però che quello di Nancy Meyers sia più che altro un wishful thinking: forse questo può essere vero e tutto può ancora accadere se parliamo di uomini benestanti, ricchi e in salute che hanno a disposizione i mezzi per imporsi e farsi ascoltare, senza farsi lasciare indietro da un mondo che corre. Ma in un paese come il nostro, dove all’età del personaggio di Robert De Niro è più probabile che una persona debba lavorare ancora dieci anni per avere la remota speranza di ottenere una pensione minima, che di essersi ritirata da 8 anni dalla cosiddetta vita attiva, l’assunto del film è più favolistico/fantascientifico che realistico. È ovvio che stiamo parlando di una commedia e di una storia di fantasia, ma gli elementi concreti immessi dall’autrice sono tanti e tali da indurci a fare dei paragoni del genere.
Al posto di Robert De Niro ci è venuto spontaneo immaginare Robin Williams, perché quello di Ben potrebbe essere uno dei suoi personaggi magici ed amabilmente eccentrici, capaci di diventare il centro di convergenza ed equilibrio di un mondo caotico e incapace di ascoltare. Al di là delle inevitabili nostalgie va comunque detto che De Niro è qui misurato e perfetto sia nella commedia fisica che nelle espressioni buffe o commosse richieste di volta in volta dal ruolo di un distinto signore di altri tempi che non alza mai la voce, porta il fazzoletto in tasca per offrirlo alle signore che prima o poi hanno bisogno di usarlo e si adatta con curiosità ed entusiasmo a situazioni che farebbero scappar la pazienza alla maggior parte di noi.
A seconda delle esigenze fattorino, consigliere, autista, ladro, babysitter e figura paterna, Ben è l’essere fatato che tutti sogneremmo di incontrare una volta nella vita, pur di essere abbastanza fortunati da riconoscerlo. C’è una buona sintonia tra De Niro ed Anne Hathaway, esagitata ma insicura donna in carriera, un po’ sprecata Rene Russo nel ruolo della “fidanzata”, e buono il cast di attori poco noti che li affiancano in una commedia che nonostante le tematiche attuali è davvero d’altri tempi, nostalgica di un mondo in cui Gene Kelly in Singin’ in the Rain intonava per Debbie Reynolds la dolcissima “You Were Meant For me” e le coppie restavano sposate per sempre, nonostante crisi e tradimenti.
The Fan, Mattia Destro del Bologna Football Club, se ci sei, batti un “goal”
Come volevasi dimostrare, non che ci volesse un genio, quale comunque sono, per profetizzare la tosta sconfitta del Bologna contro la Juventus, ieri previdi (voce del verbo prevedere) la débâcle più triste, oggettiva e amara, con constatazione “amichevole” che il nostro “centravanti di sfondamento”, Mattia Destro, pagato un occhio della testa (“ve-n-desi”, voce del verbo stra-vedere, il contratto quinquennale!, da quasi 2 milioni di Euro “bisestili”), dopo 7 gare è rimasto a quota zero reti. Quel che è più preoccupante è che, a fine campionato, credo che la cifra non aumenterà non solo di molto ma di niente, 0 assoluto.
Al che, devo correre, più dei felsinei, ai “pali”, no, ai ripari, e trasformarmi nel “grande” Gil Renard, “uccidendo” Mounier…, rivale di Destro che gli sta rubando la s-cena.
di Stefano Falotico