LOS ANGELES — «Si può uscire dalla violenza della criminalità? Questa è la domanda cruciale del mio nuovo film». A 70 anni Robert De Niro dopo averci regalato un’immensa galleria di personaggi sembra divertirsi nel tornare ad essere un mafioso. In fondo, don Vito Corleone non solo gli ha dato uno dei due Oscar: Il Padrino ha in qualche modo segnato l’eclettica carriera del grande Bob. In The Family è un pentito, deciso a ricostruire la sua vita con la moglie (Michelle Pfeiffer) e i due figli adolescenti. «Mi era piaciuto il copione (dal libro Malavita di Tonino Benacquista). Con Michelle ci eravamo già incontrati in film corali ma mai avevamo recitato fianco a fianco». De Niro interpreta l’italoamericano Giovanni Manzoni. Sottoposto a un programma di protezione, l’ex capoclan si nasconde in Normandia con il falso nome di Fred Blake. «Ha la mia età, è un attento padre di famiglia e cerca un nuovo inizio». Ma le abitudini radicate non si possono cancellare, i metodi «vecchi» legati al mondo dei gangster tornano prepotentemente alla ribalta.
Michelle Pfeiffer si è molto impegnata nel lancio del film, da sei settimane sugli schermi americani. È esplicita nel delineare il senso della storia diretta da Luc Besson: «Non si esce dalla mafia, sembra suggerire il film. Il crimine resta un’attitudine, una ragnatela che ovunque ti invischia. La mia Maggie Blake, che molte ne ha passate, è complice del marito. Cerca, sapendo che sarà arduo, di dimenticare le vecchie radici. La famiglia, non quella della mafia, ma quella vera è ciò che conta per i due protagonisti. E le relazioni tra genitori e figli, in un mondo diverso e lontanissimo da Brooklyn, rappresentano il senso vero di questo impegno».
La commedia dai toni dark, venata di malinconia, uscirà presto in Italia distribuita da Eagle con il titolo Cose Nostre-Malavita. «In tutti i film che ho interpretato sulla mafia ho voluto motivare, non legittimare, le azioni dei mafiosi», spiega ancora De Niro. Una risposta indiretta alle vecchie polemiche di alcune associazioni Usa che lo accusavano di alimentare pregiudizi contro gli italo-americani. «Ci sono moralità e amoralità nel film di Besson. Il mio personaggio, fingendosi scrittore, scrive davvero le sue memorie di lontane cose nostre, prova con decisione a vivere in modo normale… Abbiamo molto lavorato con studiosi di mafia e giornalisti, per dare verità a ogni momento della famiglia del mio Giovanni, che vuole scrivere un libro su ciò che aveva fatto, su come Cosa Nostra aveva condizionato e divorato la sua vita».
In gran parte girato in Normandia, il film tocca anche il tema dei rapporti non sempre facili tra Francia e America. «Ma in toni scherzosi — sottolinea De Niro —. Vorrei molto che in Europa questa commedia divertisse nel modo giusto anche negli accenni a un certo antiamericanismo che traspare soprattutto nella vita quotidiana dei due ragazzi».
Sempre legato a Martin Scorsese, che infatti è produttore esecutivo di Cose Nostre-Malavita, l’attore è attento ai rapporti del cinema americano con quello europeo. «Da anni mi divido tra questi due mondi. Esattamente come tra gli studios e produzioni indipendenti. Il film di Besson è un esempio di come sia possibile collaborare con autori francesi. In fondo, come la famiglia di Manzoni-Blake, il cinema deve continuamente cercare strade».
Quelle di De Niro sono tante e variegate. L’attore sarà presto impegnato nel lancio di Last Vegas in cui ritorna con gli amici Morgan Freeman, Michael Douglas e Kevin Kline nella città dalle mille luci nel deserto per un bachelor party; nei cinema Usa appare già nel trailer di Grudge Match in cui è un pugile al fianco di Stallone; è nel cast di American Hustle accanto a Christian Bale e Jennifer Lawrence. E pensa già al prossimo Tribeca, il Festival da lui creato a New York.