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Sorvegliato Speciale, recensione, per quel che è possibile


10 Jan

Sorvegliato Speciale

Più che una vera e propria recensione, è una riflessione e constatazione onesta e giustamente derisoria

Ieri sera ridavano Sorvegliato Speciale, raro caso di scempiaggine e luoghi comuni più imbecilli.

Sì, mi trovavo a casa di un mio amico e, all’improvviso, su Rete 4, la tv dei “bellissimi”, in prima serata programmavano quest’idiozia con Stallone. Sin dalle prime immagini, reminiscenze di quando, da infante lo apprezzai, scorsero nei miei occhi, e presto la musica di Bill Conti, sì, quello di Rocky, mi trasmise un senso di tristissima nostalgia, inducendomi a pensieri suicidi. Sì, questa pellicola di tale John Flynn, uno di quegli anonimi mestieranti con cui Stallone lavorava non trovando di meglio, visto che i registi seri platealmente non lo cagavano, invoglia alla malinconia, il primo quarto d’ora sarebbe da trasmettere per educare tutte le persone depresse ad apprezzare la vita, perché è talmente patetico che una persona depressa, vedendolo, potrebbe per reazione contraria alla visione essere stimolata a disfarsi di tutte le sue inutili amarezze, dei suoi più pigri sconforti esistenziali e sapere che John Flynn girava film che stavano messi peggio di loro, che son morbosamente afflitti da malumori spesso solipsistici, un film che ti sfiducia così tanto da spronarti all’azione. Effetto “collaterale”. Sì, uomini “non a posto”, guardate questo Sorvegliato Speciale e capirete che le vostre malinconie non sono niente in confronto a quest’abominio di luoghi comuni squallidi e personaggi tagliati con l’accetta, in cui Sutherland si scordò di essere un ottimo attore e si mise al servizio di una sceneggiatura infarcita delle peggiori sconcezze, oserei dire, delle più infime standardizzazioni carcerarie, con tutto il “corollario” di secondini aguzzini, violenti, sadici, con tutta la retorica più trita del film costruito “a misura” dell’eroe sfigato e proletario per antonomasia, l’incarnazione vivente del povero Cristo disgraziato dello Stallone, al solito immarcescibilmente monolitico e d’inconfondibile labbro storto da inespressivo semi-paralitico a livello facciale, che nonostante venga sfacciatamente martoriato, senza fine angariato, infinitamente fottuto, nonostante venga ferito, scorticato nell’anima ma non abbattuto, neanche moralmente, insomma il duro che si piega ma non si spezza, alla fine esce dall’inferno e riabbraccia la sua “bella”.

Sì, e adesso mi soffermerei proprio sull’attrice che gli regge il “moccolo”, l’appena compianta Darlanne Fluegel. Eh sì, visto che la Fluegel è stata nel cast di C’era una volta in America, Stallone ha pensato bene (che fantasia…) di omaggiare il mitico Sergio Leone, dando al suo personaggio proprio il cognome di Leone. Frank Leone, un nome che è tutto un “programma”, il classico italoamericano cresciuto a base di palestra, puzza di motori e olio da officina metal-meccanica, rozzo ma “simpatico”, buono come un pezzo di pane eppure condannato a un’ingiustizia tremenda…

Sì, all’epoca, quando lo vidi per la prima volta, compresi subito che si trattava di una stronzata. Ma sapete… ai bambini piace Stallone, è il classico macho invincibile, quasi fumettistico, per cui si tifa spassionatamente e che racchiude nei suoi tratti fisiognomici la voglia di primeggiare, di lottare e non arrendersi mai. Di soffrire ma uscirne trionfatori. E i bambini vanno matti per “icone” di questo tipo.

Sì, a dire il vero non ero poi neanche tanto bambino. Frequentavo le scuole medie, mi trovavo a lezione di Educazione Artistica, e una mia compagna di classe, tale burrosa Corigliano (una che adesso, dopo mille burini che si è scopata nelle periferie degradate e da drogati, amerà i film d’amore zuccherosi che la consolano dagli stronzi che l’hanno “usata”, e che sognerà il principe azzurro che la conduca a vedere un film della Disney… ho detto tutto) entrò in ritardo in aula, entusiasmata, sì, era lunedì mattina e, interrompendo la lezione, gridò che era rimasta incantata dal “grande” Stallone di questa minchiata. Al che, si sa, a quell’età si è facilmente condizionabili, e vuoi anche per il fatto che, come detto, Stallone era uno dei miei idoli, anch’io mi precipitai a vederlo. Immediatamente non mi convinse affatto ma, cazzo, Stallone era quello di Rambo, e quindi non poteva essere brutto e, mentendo a me stesso, me lo feci piacere.

Me lo feci… piacere, ma era solo fece, in poche parole una mastodontica cagata.

Se vi devo essere sincero, mi aspettavo che Stallone mostrasse i suoi muscoli e, invece, a dispetto (eh sì, i pettorali, ah ah) di una scena in cui esibisce i bicipiti “incorniciati” da una canottiera bianchissima (la locandina docet) in opposizione al clima poco immacolato della vicenda, Stallone nel film rimane quasi sempre vestito, nonostante della sua dignità lo spoglino e resti perennemente nudo nell’anima, disarmato…

Sì, ancora nel 2018 danno in tv questa schifezza, un’immondizia bieca, il classico “veicolo” stalloniano che utilizza a pretesto una trama che poteva essere sfruttata meglio per far “rilucere” come sempre proprio lo scontatissimo, prevedibilissimo Sly, l’emblema dell’uomo patibolare, sfortunato eppur intattamente “puro”.

Al che, stamattina sono andato al bar e in tv passava il “molleggiato”, Celentano con la sua “intramontabile” Prisencolinensinainciusol, e ho compreso che, se due ritardati come Sylvester e Adriano sono diventati miliardari, sì, io non lo diverrò mai perché non sono un cretino.

Sono un uomo antipatico e stronzo per essere malato di troppa arguzia e intelligenza, è una “condanna” senza fine.

 

Su questa frase ermetica, poi neanche tanto, cinicamente falotica, vado a prepararmi un altro caffè.

 

Sì, sono un uomo inevitabilmente sciagurato, fortunatamente non ancora sfigurato e in senso affatto figurato so di essere un genio giammai inculato. Ah, miei spacciati e spacciatori, vorreste spacciarmi per altro, ma io spacco.

Ah ah.

 

 

di Stefano Falotico

Morì Darlanne Fluegel di C’era una volta in America e domani sera, ai Golden Globe, tifo De Niro!


06 Jan

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Eh sì, la cara Darlanne io la conosco bene. So che a molti il suo nome non dice e non disse nulla, ma io conosco il Cinema meglio delle tasche di Zio Paperone e le sue poche ma ottime interpretazioni, il suo viso sottile e nevrotico, la sua femminilità quasi “virile” son cos(c)e che mai scorderò. È morta a solo 64 anni, per l’Alzheimer, una forma precoce di Alzheimer che le diagnosticarono già negli anni novanta, quando di anni ne aveva decisamente meno, e che l’ha debilitata parecchio, tanto da far sì che se ne andasse angelicamente evanescente eppur in modo commovente. Invero, la notizia ufficiale è stata diramata solo un paio di giorni fa, ma era già deceduta lo scorso 15 Dicembre. Poi, i parenti hanno dato il triste, inevitabile annuncio. Ho letto che il suo ruolo più famoso è quello della femme fatale fidanzata del personaggio di De Niro in C’era una volta in America. Invero, questa è la versione “politicamente corretta”. Perché, se non ricordo male, e come potrei, nel film diventa la fidanzata di James Woods, e da De Niro invece viene “brutalizzata” quando lui e la sua combriccola di gangster rapinano il negozio di gioielli. Ah no, era Tuesday Weld. Scusate. Su questo film appunto memorabile, epocale, ne son state dette tante. E se Mereghetti è convinto che, nonostante tutto, non sia quel capolavoro assoluto che tutti dicono, perché a suo avviso è troppo “triviale” e, paradossalmente, non riesce a essere un’elegia romantica riuscita per la sua aridità (?) di sentimenti, per la secchezza irrisolta della psicologia dei suoi protagonisti, a tutt’oggi la definizione più pertinente è quella del compianto Morandini, perché Once Upon a Time in America è esattamente, splendidamente riassumibile nelle sue testuali parole: il presente non esiste: è una sfilata di fantasmi nello spazio incantato della memoria. Alle sconnessioni temporali corrispondono le dilatazioni dello spazio: con sapienti incastri tra esterni autentici ed esterni ricostruiti in teatro, Leone accompagna lo spettatore in un viaggio attraverso l’America metropolitana (e la storia del cinema su quell’America) che è reale e favoloso, archeologico e rituale. Sono spazi dilatati e trasfigurati dalla cinepresa; spazi anche sonori e musicali, riempiti dalla musica di E. Morricone e da motivi famosi: “Amapola”, “Summertime”, “Night and Day”, “Yesterday”. È un film di morte, iniquità, violenza, piombo, sangue, paura, amicizia virile, tradimenti. E di sesso. In questa fiaba di maschi violenti le donne sono maltrattate; la pulsione sessuale è legata all’analità, alla golosità, alla morte, soprattutto alla violenza. È l’America vista come un mondo di bambini. Piccolo gangster senza gloria, Noodles diventa vero protagonista nell’epilogo quando si rifiuta di uccidere l’ex amico Max. Soltanto allora, ormai vecchio, è diventato uomo.

Sì, è un film “sporco”, volgare, proustiano, misogino, irruento, immenso, e poco c’importa se De Niro/Noodles sia un uomo rozzo, pieno di contraddizioni, violento, carnale e poi eccezionalmente metafisico e, nel finale, purissimo e ambiguo. Proprio in quest’ambiguità consiste il fascino senza tempo di un masterpiece inscalfibile e titanico.

Ma, tornando alla Fluegel, io la ricorderò certamente anche per un altro capolavoro, il feroce Vivere e morire a Los Angeles di Friedkin, anche in quel caso nei panni di una bella pupa contesa dai due protagonisti.

Ed è stata anche la donna di Stallone in Sorvegliato speciale. La donna innamorata che rischia di essere violentata (un’altra volta!?) dalle guardie carcerarie aguzzine e che sosterrà da lontano, moralmente, quel Sylvester ingiustissimamente vessato e angariato dal tremendo, sadico Sutherland. Non un grande film, a dir il vero, ma Darlanne, sebbene compaia poco, è una presenza forte e di valore.

Ora, invece andiamo a parare nuovamente su De Niro. Domani è il favorito ai Golden Globe per la sua interpretazione di Bernie Madoff in Wizard of Lies. Una prova egregia, quieta, compassata ma al contempo carismatica e potente. Anche se, a ben vedere, chi meriterebbe davvero è il magnifico Kyle MacLachlan di Twin Peaks. Fra i due litiganti i “terzi” potrebbero fregarli, cioè Jude Law di The Young Pope ed Ewan McGregor di Fargo.

Di mio, sono un joker spesso malinconico, un’incarnazione del male, no, Mare dentro… e sono il globo d’oro delle mie emozioni dorate. Insomma, a-doratemi.

Non mi mostro molto in giro ma dovrebbero farmi santo, perché sono il più sano. Anche se spesso mento di lungo naso ma dico la verità incontrovertibile, e sono dunque sia mentitore che dei mie fan amabile mentore, ho una gran mente.

The Young Pope Darlanne Fluegel

 

di Stefano Falotico

Genius-Pop

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