Posts Tagged ‘Critica’
JOKER legge il saggio critico di FilmTv dedicato a THE IRISHMAN di MARTIN SCORSESE, che Pacino!
THE IRISHMAN, la Critica approva entusiasta ma io, da Principe Antonio de Curtis, in arte Totò, stronco gli uomini senza spirito… critico
E nel loro popò, ohibò, gliele suono, sentenzio e li stigmatizzo. Puntando loro il dito e assegnando alla loro esistenza un voto assolutamente insufficiente.
Posso permettermelo, in quanto so ironizzare su me stesso. Io sono un recensore che scrive anche romanzi erotici senza censura, io dinanzi ai loro pregiudizi non abiuro e li aborro.
Da loro già troppe fregature presi ma ora, con eloquio e mimica facciale degna d’un attore teatrale che recita monologhi ficcanti da David Mamet, corrosivi, taglienti, abrasivi e un po’ cattivi, da drammaturgo di me stesso, butto in commedia una mia vita che, indubbiamente, meritava l’Oscar ma comunque non finirà come quella di Ray Liotta di Quei bravi ragazzi.
Sì, vedo molta gente che delinque, poi si redime. Chiedendo perfino la protezione dei testimoni del loro matrimonio.
Sì, qual è il passato remoto della terza persona singolare del verbo delinquere di LEI che si fa dare del voi come esigono i Don?
Lei delinqué, delinquette, nel presente ancora delinque. Insomma è e sarà impunemente un delinquente eternamente. Inutile che provi a coniugare nel potrei, poveretto, lei è un criminale senza tempo. Senza tempie.
La finisca di darmi del deficiente.
Io invece le donne illanguidisco poiché so giocar di lingua. Da cui il gerundio illanguidendo. Di forma transitiva in lei attivo e lei con me passiva. Io illanguidisco, tu m’illanguidisci e, condividendo, compenetrando i nostri mali, assieme venendo la vita va guarendo, forse anche guaendo in quanto tu mula e io mugolo.
Eh sì, miei mongoli.
Dunque, do il voto in pagella e questi impostori che ebbero l’ardire di giudicare le scene della mia vita con troppa fretta poiché loro girano solo con le sceme.
Eh sì, ficco nel dizionario dei film delle pellicole trash da non vedere mai più.
No, non sono rivedibili. Li riformiamo subito. Anzi, questo dizionario formattiamo e li cancelliamo.
La seduta è tolta.
Adesso, andiamo a berci un altro caffè. Ovviamente macchiato caldo.
Perché ricordate…
Se date retta a chi si crede Marlon Brando ma in verità è Silvio Orlando, non avrete né Jolanda né un viso da Gioconda.
E su questa stronzata vi lascio, ammiccando.
di Stefano Falotico
JOKER & la Critica snob
Ebbene, dopo tempo immemorabile, ho comprato di nuovo la nostra rivista FilmTv.
Su suggerimento di un mio amico, mi sono precipitato in edicola.
Gli ultimi numeri da me comprati son stati quelli riguardanti gli speciali dedicati all’immane John Carpenter.
Essendo io l’autore del libro John Carpenter – Prince of Darkness, non posso esimermi dall’essere inevitabilmente attratto da tutto ciò che riguarda il maestro. Compresa, ovviamente, la super-deluxe edizione di uno dei suoi massimi capolavori, rieditata in fastoso Blu-ray di prossima uscita. Vale a dire il 31 Ottobre. Che ve lo dico a fare? La notte di Halloween.
Sebbene, debbo esservi sincero, questa festa pagana, da noi importata abusivamente, essendo noi figli della cultura ellenica-saracena limitrofa a quella mitteleuropea, non appartiene al nostro background e m’ha sempre puzzato di esterofilia peggiore di quella di Alberto Sordi di Un americano a Roma.
Ora, vi domanderete voi, che c’entra Joker con questa colorita prefazione? È stato un preambolo che, a prima vista, parrebbe poco in linea col discorso che qui, in totale umiltà, m’appresto a stilarvi, distillarvi, oserei dire a impartirvi. Che vi sia di monito come il severo cartellino giallo di un arbitro. Ché, mettendo freno alle vostre alzate di testa, ai vostri giochi più che balistici, sì, da ballisti, possa avvisarvi e avvertirvi se ancora, a causa della vostra fallacità, ah ah, commetterete sbagli clamorosi. Amputando film più potenti del sinistro del grande Bonimba, ovvero Boninsegna.
Film imprendibili che cerca(s)te di parare. Dunque stroncare! Ma, con le vostre critiche lentissime, imbarazzanti, appari(s)te soltanto più rincoglioniti di quel buffone di Gigi Buffon. Uno che oramai ha la schiena a pezzi ma non se la sente di ritirarsi. Poiché, se lo fotografano assieme alla sua iper-scosciata Ilaria, deve ottemperare al ritratto del maschio di sana e robusta, fisica costituzione. Deve cioè apparire sempre figo poiché lei è figa. Capisc’?
Dunque, non vuole mollare la presa anche se non ne prende più una. Fu un portiere magnifico, grazie alle sue parate vincemmo il mondiale del 2006. Ma dovrebbe guardarsi adesso allo specchio e ammettere che i suoi riflessi non sono più quelli di una volta.
Inutile tirarsela… da maschione quando sei al massimo, oggigiorno, pur sempre un marcantonio ma anche un bel coglione.
Gigi, lascia perdere. Hai fatto il tuo tempo. Dedicati a una carriera da commentatore e da opinionista. Poiché, ora come ora, come portiere sei molto discutibile. E combini papere a tutt’andare.
Ecco, tale metafora lungamente calcistica voglio qui applicare a quei critici un po’ superati che, sul nuovo numero del cartaceo di FilmTv, con enorme, scandalosa supponenza liquidarono il capolavoro di Todd Phillips, appioppandogli voti alquanto bassini. Figli soltanto della loro mentalità assai retriva, per non dire leggermente cretina.
Non me ne vogliate. La mia stima nei vostri confronti non muta. Come cantava De Gregori, non è da un calcio di rigore che si giudica un giocatore, come sostenuto da Checco Zalone nei riguardi di quel matto di Cassano, invece, non è da uno sputo all’arbitro che si giudica se sei un signore. Ah ah.
Sì, Giulio, Giona e Luca, siete qui sul banco degli imputati. Si scherza, eh. Non arrabbiatevi mica.
Poiché voi, impuntandovi sul Cinema d’una volta, con i vostri voti assegnati a Joker, senz’offesa, in questa settimana vi siete un tantino sputtanati.
Voi assai celermente rifilate sgambetti scriteriati al Cinema forse troppo veloce, troppo avanti rispetto ai vostri difensivismi da coloro che, barricatisi nell’esegetica cinematografica passatista, adottano puntualmente il catenaccio più oltranzista, intollerante e, per l’appunto, troppo moderato ed equilibrista.
Stando appunto sulla difensiva, non esaltandovi più di tanto, anzi per niente, dinanzi a film che, spiazzando le vostre certezze, v’hanno colto in contropiede, mandandovi in fuorigioco.
Qui, io v’ammonisco affinché possiate seriamente meditare sul vostro sensazionale errore e tornare sui vostri passi.
Giona, dico a te, sei un critico di risma bravissimo ma, stavolta, ti sei approcciato a Joker con troppa imperdonabile superficialità. La tua erudizione non t’ha salvato dalla mia simpatica punizione. Hai peccato, insomma, di tua esaltata vanità in tal caso da trombone.
No, il tuo misero 5 manco per il cazzo ci sta. Che film hai visto? Poi, concludi la tua breve disamina, il tuo sintetico trafiletto, dicendo che è meglio Endgame.
Eh no, qui hai trollato di brutto, Giona, hai toppato.
Luca e Giulio, invece, ora dico a voi. Acclama(s)te Ad Astra, stronzata galattica, in quanto siete fidi scudieri di James Gray e mi sottovaluta(s)te con tal vostro prosopopeico fare fanfarone quest’opera immensa di Phillips?
Eh già, mi sa che dovete cambiare prospettiva. E vi dirò anche altro. Dove vsionaste questo film?
Al Festival di Venezia? Mah, a me viene il dubbio che, piratato, lo trafugaste da uno dei produttori della Warner Bros e l’abbiate perciò guardato su un televisore a dodici pollici in b/n degli anni sessanta, prima appunto dell’avvento della New Hollywood.
Se andate alla Comet, vi tirano dietro un tv al plasma della Philips. Con una sola L. Con 50 Euro in più, prendete comunque quello della Sony, è meglio. Fidatevi.
Ah ah.
Ma io vi perdono e qua vi dono l’assoluzione. Per questa volta, vi do da recitare cinquanta Ave Maria e tre Pater Noster più una sberla da Don Camillo.
Alla prossima, non passa. Non transigerò.
Parola di Arthur Fleck.
Un uomo che conosce il Cinema, la vita, anche la figa migliore poiché ne passò così tante che ora se ne fotte altamente.
Sì, ne vidi di tutti i colori. Ebbi sfortune tragicomiche ma sono ancora sveglio, in palla per sapere che Joker è veramente un capolavoro e Zazie Beetz una gnocca mai vista di colore. Zazie colora le notti più cupe, malinconiche e tenebrose grazie al delizioso, eccitante tocco del suo caliente, profumato splendore.
Dio mio, tenetemi fermo. Ah ah. Le voglio saltare addosso, non si può vedere da quando è figa.
Se mi venite a dire che non è così, vi siete rimbambiti come Murray Franklin/De Niro.
Eh già. Usiamo il passato remoto!
Chi vide Joker in anteprima mondiale a Venezia seppe che Arthur Fleck/Phoenix, dopo una vita in cui lo prese platealmente in culo, trovò il coraggio di ribellarsi con furia ai tre manigoldi stronzissimi e bulli in metropolitana.
Quindi, assalito da una forza miracolosa, si precipitò ad abbracciare la sua bellissima Zazie/Sophie Dumond. Non oso pensare a cosa successe, in quella sua notte da ingordo lupo scatenato, fra lui e Zazie.
Un amplesso più devastante della bomba di Hiroshima. Chiamalo scemo… ah ah.
Da quell’orgasmo rinascente, Arthur divenne come Re Artù.
Artù fu il re, Joker è il Principe.
E ora per nessuno ce n’è.
Al momento, nella mia vita affettiva, sentimentale, forse pure sessuale… qualcuna c’è. Una o due o tre? Chissà.
Ma ancora lei, la prescelta, non ha estratto la mia spada dalla roccia.
Vediamo se ce la farà…
Quanto devo aspettare? Sto impazzendo.
Ah ah.
Morale della fav(ol)a: Arthur, dopo quella notte, superò ogni sua lentezza, venendo… no, divenendo impetuoso e uno straordinario buffone irresistibile mentre Gigi Buffon, nonostante da anni scopi Ilaria D’Amico, diventa sempre più tristo e polentone.
di Stefano Falotico
C’era una volta a Hollywood entusiasma gli statunitensi ma noi no, Tarantino deve ritirarsi a vita privata con la sua Daniella
Sì, C’era una volta a Hollywood ha lasciato assai perplessa la nostra Critica mentre negli Stati Uniti, ma anche altrove, quasi tutti sono andati in brodo di giuggiole, lanciandosi in lodi sperticate.
Dove sta la verità e dove pende l’ago della bilancia?
Pare che un maestro dell’intellighenzia nostrana, Anton Giulio Onofri, detto appunto AGO dalle sue iniziali, nella sua recensione su Close-Up, non abbia il benché minimo dubbio che l’opus numero nove del Tarantino sia un capolavoro.
Sul serio, non si può dirvi di più. Se non un’ultima cosa, questa sì: che Once Upon A Time In Hollywood, come pochissimi altri film di ogni epoca (e i primi a venire in mente sono Brigadoon di Vincente Minnelli e La Finestra Sul Cortile di Hitchcock), ‘dice’ una delle cose più belle che siano mai state dette del cinema dal cinema. Basta. Stop. Cut.
D’altronde Onofri crede fermamente che Tarantino non abbia mai sbagliato una sola pellicola. Anzi, lo magnifica, dicendo addirittura che tutte le sue opere sono indiscutibili capidopera di un Cinema sempre profetico e più avanti rispetto a quello di tutti gli altri.
Ci siamo attaccati leggermente su Facebook. Io gli ho detto che il Cinema di Tarantino m’interessa, ora come ora, assai pochino e lui mi ha definito gratuitamente uno scemino.
Riconfermando la dolce offesa con protervia da Gene Hackman de La giuria.
No, non me la sono presa. Ma non mi ha persuaso, no, per niente.
E poi avrò da dirvi in merito alle manipolazioni che, sin dalle mie prime fasi adolescenziali, ho subito da gente che si credeva più cresciuta di me.
Mereghetti giustamente ha scritto questo: «Ne vale la pena? Senza esitazioni rispondo “no”, con buona pace dei tarantiniani pronti ad applaudire comunque, ovunque e semprunque il loro idolo». Secondo Mereghetti, «Tarantino si è concesso il lusso (onanistico?) di rifare intere sequenze dei suoi amati film di serie B» e ha scritto che gran parte di quel che c’è nel film serve solo a costruire «l’auto-monumento di un regista convinto di potersi permettere qualsiasi cosa a cominciare da una cosa che arriva solo nell’ultima mezz’ora, e che cerca una complicità a senso unico: quella dell’adoratore muto e devoto».
La parola SEMPRUNQUE non è male. Mereghetti ha assegnato una misera stelletta e mezzo al film di Tarantino e io invece do un voto di simpatia, stavolta a Paolo. Il quale per una buona volta si è lasciato andare a un’espressione da mangia-spaghetti, non so se western. Visto che non gli piace Sergio Leone.
Pure Natalia Aspesi ha definito il film di Tarantino una boiata. Odiandolo per il suo efferato maschilismo.
Molti anni fa io invece dissi: Natalia Aspesi è donna che va ogni mattina a far la spesa. Poi tira su di pesi e pensa: quanto m’è pesata questa fatica ma i soldi ben spesi rendono la donna meno sospesa.
No, non soppesai molto la presa per il culo.
Di mio, che posso dirvi?
Tarantino si fa oramai le seghe e s’imbroda. Tanto s’è sposato con questa Daniella. Un mezzo cesso. Meglio tirarsela…
Intanto, qualcuno su YouTube cerca ancora di farmi capire come si sta al mondo, cacciandomi pistolotti moralistici degni della peggiore Inquisizione. Gli do ragione, dicendomi che incontrerò una brava ragazza con cui stare abbracciato e poi, cinque minuti dopo, mi guardo un porno.
Sì, non mi lascio più condizionare dai capoccia. E ora prendo la macchina e gigioneggio nel traffico.
Se volete fare le donnette, vi guardo così:
Mi farete il culo ma me ne fotto.
Sì, una volta una era innamorata di me:
– Stronzo di merda, secondo me tu mi hai tradito con quella lì, vero?
– No, non è vero.
– Ah, scusami. Avevo pensato male.
– Infatti, non ti ho tradito con quella. Ti ho tradito con tutte quelle dentro questo locale.
di Stefano Falotico
Il nuovo spettatore, o pseudo tale, cinematografico… è aberrante, terrificante, mortificante, accendiamo un altro falò!
Sì, con lo spopolare della democrazia data a chi non ne conosce neppure il significato, spadroneggiano i tuttologi. Gente che perde ore a inanellare disamine campate per aria su questo e quell’altro argomento, sfoggiando una sfacciataggine abominevole, degna, dunque indegna della nuova evoluzione involutiva dell’uomo moderno troglodita, uomo sempre a cazzo duro coi neuroni di pastafrolla, e della donna contemporanea inauditamente fottuta, allineata allo sgambettante mostrarsi brillante con tre chili di rimmel soprattutto nelle mutande del suo cervello più annacquato di una pornostar cretina ed esuberante.
In questo putiferio di massa ove ognuno espone la sua contrabbandata merce, io dico avariata già dalla nascita, in questo movimento “stellare” di populisti ignorantissimi, di banalità assortite vendute al mercato planetario dell’omologazione plebiscitaria ove, per essere notato, basta che spari la stronzata migliore e più “figa”, ogni becero beota sta diventando un dio, assecondato da un gregge di pecore altrettanto stordite e perse se non più cafone di lui.
Al grido, acclamato, inneggiato, in trionfo issato, dell’idiot savant elevato a guru.
Allora, abbiamo lo studentello del DAMS, laureatosi dopo aver imparato la pappardella scritta su un libro redatto da uno più stupido di lui, acculturatosi, si fa per dire, alla stessa maniera sbrigativa e ruba-voti di J-Ax, che non ha mai visto un film di Kubrick ma scrive che è un genio perché è giusto e corretto dire che lo sia stato. Che lo sia stato, credo di sì, ma dirlo senza aver visto nulla di suo mi pare quantomeno screanzato!
Appena ricevuta la laurea del cazzo in mano, dopo l’alloro in testa, vive appunto sugli allori, iniziando prosopopeico ogni frase sua declamatoria con Allora… parliamo di questo film.
Ma che vuole parlare? Ma che vuole dire? Dice che il film voleva dire e non l’ha neanche sentito. Perché non ha l’anima per leggerlo.
Ché poi… ecco, sì, abbiamo quelli che non leggono un quotidiano neanche in Internet, da dieci anni non hanno aperto neanche il libro con la favola bignami di Biancaneve, rubacchiano le frasi dai critici valenti o fantomatici tale, e fanno un pot–pourri di loro personalissime recensioni a culo, infarcite di luoghi comuni, estratti dei loro emisferi cerebrali totalmente bruciati nel calore d’una siccità ideologica lor impersonalissima capace di essere più ardente e cocente del sole all’equatore allo zenit del suo mezzogiorno focosamente deficiente.
Sì, come potete pretendere di saper leggere e interpretare un film se non vi degnate, da tempo immemorabile, di sfogliare, almeno quello, tre pagine di un libro? Guardate che non costano molto. La Newton Compton vende tutto Dostoevkskij a meno di dieci Euro.
Come farete a comprendere la complessità e l’intelaiatura fine e variegata di una sceneggiatura ottimamente congegnata, se sapete solo urlare: Lynch, un genio, delirio immaginifico, sognante, Cinema altro. Mi fa sborrare!
Ma che state a di’? Dove le avete pescate queste superficiali esaminazioni di un’opera d’arte? Al massimo vi siete fidati e affidati alla sciocchezza scolastica più disarmante. Io, onestamente, vi darei in affidamento.
Sì, con un cagnolino fido a controllare che non latriate, dalla vostra latrina, altre ignobili manfrine. Fidatevi, vi serve un cane e forse anche una donna cagna. No, non una di queste lamentose tremende che aprono bocca su tutto. E sul significato, anche significante di “tutto”, in senso lato, su e già, avanti e indietro, avrei io da dirvene. Eh sì.
E a proposito di sesso e di tutto… ciò che non avete mai osato chiedere.
Ecco l’altro. Woody Allen non si tocca. Sempre oltre. Sì, infatti ha più di ottant’anni e presto, e comunque me ne dispiaccio, sarà sottoterra. I suoi film non si toccano, qualcuno sì, però. Woody sarebbe da stimare soltanto perché da sempre fautore della tesi che poi argomenterò, ovvero la masturbazione, mentale e non. Idolatra dell’onanismo totale.
Un intoccabile amante delle toccatine.
Eh sì. Vedete le donne come l’hanno combinato? L’hanno accusato di molestie e non esce più… A Rainy Day in New York. Che tristezza, che giornate uggiose. Che malinconia, ragazzi.
Tripudio d’imbecillità si susseguono in un’agguerrita deflagrazione di patetiche vanità sbandierate, fra zotiche che si credono attrici solo perché hanno un bel culo, sì, quello non glielo togliamo, sì, si togliessero le mutande e ce lo mostrassero più espressivo di Meryl Streep, e scemi del villaggio talmente scemi da credersi più intelligenti poiché al di là della scemenza generale.
Loro hanno capito tutti. Quelli in gamba sono dementi perché invece loro, non credendo oramai a niente, hanno capito che la vita è un inganno e poveri i fessi!
Loro sanno come inchiappettarsi la gnocca più prelibata grazie a due attestati di rinomato incularla nel prenderla per il culo dietro la maschera della referenza più sodomizzante, e sanno che sanno senza sapere che non hanno mai saputo.
In mezzo a tanta sapienza, sventolo bandiera bianca. E ricordate: il fazzoletto è bianco, lo sarà ancor di più dopo un’altra mia masturbazione pallida.
Ah, io non me la tiro affatto! Ah ah.
La mia vita è sempre migliore delle vostre. Spinge di più, diciamo.
È più saporita, più autentica, più candidamente meno spocchiosa, più sofficemente granulosa, morbida e cremosa, leggiadramente son ancora puro come la tua rosa.
È così come dici tu? Non è così.
È come dico io? No, perché non sono presuntuoso e non faccio il maestrino.
Carpenter è un maestro? Molte volte lo è stato, The Ward fa cagare. Fidatevi. L’ho pure scritto nel mio libro. Roba per cui bisogna aver le palle, roba che un fanatico di Carpenter ti sbatterebbe in manicomio col dottorino più matto di lui. Sì, credo d’averlo scritto apposta. Mi sbatteranno nel nosocomio e lì mi sbatterò Amber Heard. Butta via… sì, questa è una falsa pazza, questa ti strapazza.
Sì, lo contesto quasi tutto anche se io non faccio testo, io qui lo attesto e ti prendo pure a testate, giornalistiche e non.
Questo mio scritto è follia? È genialità?
No, non è nulla.
Insomma, la gente ti dice… non preoccuparti, non è niente, mica tanto.
Quel film, caro, l’hai visto? Com’è? Mah, non un granché.
Quella lì, seduta vicino al camino, ci sta? Dovrebbe spostarsi dal camino e, incamminandosi, scottarsi nel tuo fuochino fatuo. Per una grigliata di carne abbrustolita, ben rosolata. Sì sì.
Si è presa una cotta?
Non lo so. Potrò saperlo se ci proverò? Non lo saprò neanche se me la darà. Sì, quella è una donna che sa unire al fuoco della passione bagnata e sgocciolante la detonazione orgasmica scrosciante. Sì, è umida come una vogliosa terragna. Prima l’acqua, poi fuochino, fuocherello, fuochissimo e, zac, tutto ritto e liscio, nella sua ventosa sventola e, finito il pompaggio, si dà ancora delle arie. Ah ah. Sventolona!
Sì, questo è un casino perché ogni uomo e ogni donna non sanno un beneamato cazzo anche quando sembra tutto bello, goduto, soddisfacente. Tranquillo e asciutto.
Su questo ne sono sicuro. Sul resto, anche sul Cinema, io vaglio, giammai raglio eppur non ci do un taglio.
Oggi mi piace, fra un anno no, oggi sì, domani forse. È la vita. Va così.
Una stronzata. Come un film ritenuto capolavoro.
Dunque, evviva un falò e fanculo a chi non vuole bruciarsi con me.
Tuffiamoci nei sogni, sprofondiamo al centro gravitazionale di ogni ficcarcene fottutamente.
Sì, Tarkovskij fu regista spaziale ma mi son rotto le palle delle metafisiche depressive, meglio le super fighe passive.
Ma voi, toglietemi una curiosità, credete davvero a tutte le minchiate che vi rifilo?
Sì, lei signora mi crede? Ottimo, allora mi rifili la sua puttanata. Sì, condividiamo puttanate alla penombra.
Sì sì.
di Stefano Falotico
Video cult: Francesco Alò e Federico Frusciante a confronto
Federico Frusciante, che io sa che stimo molto e seguo sempre appassionatamente nelle sue cinefile scorribande ribalde, non lo definirei un “fenomeno”. Ché pare quasi spregiativo delinearlo e imbrigliarlo sbrigativamente in questo superficiale, limitante appellativo, come fosse un personaggio da tendone del circo. Questa definizione lo sminuisce perché, per quanto simpaticamente affibbiatagli, lo depriva della sua importante personalità. Fede è un uomo malato di coerenza, nel senso tanto ampio del termine da sconfinare nel radicalismo esasperato, anti-istituzionale e anti-democratico, al contempo umanissimo nella sua folle, quasi donchisciottesca virtù pregevole di perseverare a rotta di collo nei suoi ideali forse utopistici, irrealizzabili, perfino anacronistici. Perciò Alò lo accusa di passatismo e retriva adesione a una visione del Cinema forse troppo legata alla nostalgica magnificazione di quel che è stupendamente stato e purtroppo, travolto dal mercantilismo di massa, sta scomparendo, si sta tristemente estinguendo. Quindi Fede incarna tutto e il contrario di tutto nella sua accezione più positiva, perfino principesca, da autarchico che, ogni giorno, da quando si è lanciato senza sprezzo del pericolo in questa sua sorta di missione istruttiva, naturalissima e viscerale, si deve giocoforza scontrare con chi, semmai laureato al DAMS o cattedratico, sussiegoso e boriosamente certificato che sia un critico, persino lo deride e lo provoca. Ed è per questo che la gente, da me il primo, oramai quasi si fida più di lui che di un critico “attestato” tale. Con tanto di attestati e curriculum vitae noiosi e inutili. Perché, un po’ come faccio io nel mio canale e nelle mie recensioni online su vari siti, non è legato a logiche editoriali, non deve compiacere nessuno e non vien pagato per dire che un film è bello anche se non lo pensa. Nella sua ruvida, talvolta anche indisponente, ruspante schiettezza esplosiva senza filtri, arriva direttamente al cuore di ogni spettatore, dal più colto e competente a quello alle prime armi che, incantato dalla sua vistosa mimica esuberante e quasi strafottente, rimane piacevolmente ipnotizzato dalla sua toscanità verace e tonante, addirittura volgare nel suo significato (mi raccomando, non fraintendetemi) più calorosamente popolaresco, un uomo animato da una sconfinata, onestissima passione pulsante, ai limiti dell’imbarazzante per quanto è grandiosamente sentita e, appunto, non veicolata da interessi e logiche di mercato, da affaristici compromessi, da leccate di culo. Il suo percorso, per così dire formativo, no, non è stato canonico, cinematograficamente scolarizzato, universitario e dunque spesso solamente improntato al bisogno di fare il critico per essere critico col titolo. Non è un percorso che cerca la gloria o a scopo di lucro. Lui ha zigzagato da autodidatta onnivoro, ha letto mille libri e ha visto più film di Tarantino, a livello formale non può dimostrarlo, non ha niente che lo acclari, diciamo così, e quindi come un temerario continua nella sua avventura ammirabilissima, guidato dal fervore vero e anche romanticamente arrabbiato di un selvaggio cuore straordinariamente puro. Un intrepido.
Non è impeccabile, ci mancherebbe, per quanto, se leggerà questo mio pensiero, potrà adirarsi, certo, anche lui prende delle cantonate pazzesche e sbaglia clamorosamente su molti film, ha delle fisse incurabili e forse è troppo manicheo nel suddividere semplicisticamente il mondo fra comunisti contro fascisti.
Ma è comunque lodabile, anzi, forse ancora di più, proprio perché fermamente convinto che il Cinema, l’Arte e la Cultura non passino obbligatoriamente dalla via “principale” di un giornale “importante”, ma siano alla portata di chiunque voglia giustamente cimentarsi, senza presunzioni e superflui nozionismi sterili con la sua magia, e che ogni persona abbia il diritto, per quanto discutibile e opinabile, di dire la sua, di spararle anche grosse senza il bisogno squallido di mercificarsi o, appunto, istituzionalizzarsi per farsi, per crescere in lui.
Il Cinema è di tutti. E, pur con le sue inevitabili ingenuità, sorretto da un cuore magmatico e bruciante, Federico Frusciante insiste coraggiosamente, al pari di un personaggio di un’altra epoca e allo stesso tempo di un personaggio imprescindibile della nostra contemporaneità. Che, come lui, è piena di contraddizioni amabilissime.
Quando sostiene che lui non si emoziona perché, se si emozionasse alla prima visione di un film, il film lo avrebbe fregato furbescamente, in maniera ricattatoria, mente spudoratamente. E allo stesso modo dice il vero. Se non si emozionasse, non starebbe a guardare film da mattina a sera e a parlare di Cinema. Forse, avrebbe partecipato al Grande Fratello o si sarebbe candidato come futuro Presidente del Consiglio.
Il Cinema, invero, lo emoziona parecchio. Vive per quello. Però io ho capito benissimo cosa voleva dire. Anche voi. Cioè, Fede non è un tipo manipolabile che si lascia fottere. Più coerenti di così, si muore.
di Stefano Falotico
Una critica molto negativa fa sempre “paciere” col mio Clint
Ora, chi ha letto i miei romanzi sa che Clint è un personaggio cardine imprescindibile della mia filosofia di vita, un uomo “spetezzante” e anche spezzettante che vive di sue declamazioni e spesso, rabbioso, contrasta polemicamente un mondo infausto, un mondo in cui bisognerebbe essere come Faust perché, (non) vendendo l’anima al diavolo, si trova la bellezza delle piccole cose. Ecco, oggi Clint, cioè me stesso, ha trovato una recensione negativa di uno dei suoi libri e qui copio-incollo. Una recensione che fa rabbrividire e induce alla “calma” riflessione, induce a placarsi come Paul Vitti di Terapia e pallottole e poi “sparare”.
Commento:
Ci sono libri che adoro e che riesco a leggere nonostante la quantità di pagine. Penso dipenda dall’autore, perché se per leggere Io sono leggenda di Matheson ho impiegato due giorni, non si può dire per L’orrore di Dunwich, nonostante adori entrambe le opere alla stessa maniera. Poi ci sono libri brevi per cui impiego addirittura un mese come Fantasmi Principeschi di Stefano Falotico ma il motivo per cui perdo tanto tempo a leggere un’opera così breve non è da ricercare nel desiderio di volersi gustare un capolavoro bensì nel costatare che si tratta semplicemente di un brutto libro. Non godo nello stroncare gli autori emergenti e prima di dare un giudizio così negativo cerco sempre di trovare dei punti positivi. Fantasmi Principeschi, purtroppo, non ne ha.
L’idea è interessante: impersonare come fantasmi personaggi reali e di fantasia e raccontare in prima persona il fardello che essi portano. Peccato che il modo in cui esso venga raccontato sia pessimo, sia per quel che riguarda lo stile di scrittura che per la mancanza d’interesse che donano le storie.
Cominciamo intanto dalla forma, principale motivo per cui cercherò di cancellare il ricordo di quest’esperienza al più presto. In tutto il libro viene fatto un uso smodato delle parentesi per dare un doppio significato ai termini. Per esempio, la frase pur stando chiuso nel suo guscio di cuculo diventa pur stando chiuso nel suo (g)uscio di cu(cu)lo. Potrebbe sembrare una cosa interessante, ma il continuo utilizzo di tale tecnica di scrittura inizia presto a infastidire, principalmente quando si utilizza:
– negli avverbi: (non) vi cago;
– più volte nella stessa parola: tetrissimo e avvilente fe(re)t(r)o;
– troppo spesso nella stessa frase: di pet(t)i di freddo pol(l)o o in f(u)ori;
– separare le sillabe per creare due parole: (di)vino;
– per sottolineare che, togliendo un prefisso, la parola avrebbe un significato diverso: (dis)armante.
Provate a immaginare un intero libro scritto così, dove questa “tecnica” viene usata persino nei titoli dei capitoli!
Riguardo alle trame non sono rimasto per niente colpito. Se riuscite miracolosamente a sopravvivere alle parentesi, vi ritrovate a leggere storie di poche pagine che non hanno nulla di epico e che, per la loro banalità, non lasciano nulla al lettore.
Prendiamo per esempio uno dei nostri fantasmi, Dario Argento, il modo in cui viene presentato sembra quello di un commesso alle prime armi di un videonoleggio. Riporto il passo proprio come viene presentato nel libro, comprensivo del corsivo e del grassetto utilizzato
Perché io sono immortale anche se ancor (non) morto, sono il regista di Profondo Rosso, io sono Dario Argento. Della paura il maestro per eccellenza, la suspense (s)carnificata dei vostri terrori più profondi.
Prima di scrivere questa recensione ho dato un’occhiata a quelle scritte da altri siti e ho trovato voti positivi, gente che vanta questo piccolo tomo (cinquanta pagine scritte con caratteri enormi) come se fosse un’opera d’arte. Ho provato a rileggere alcuni capitoli, ma ancora non riesco a capacitarmi di come possa piacere un libro simile.
Mi dispiace per l’autore, ma ho trovato il suo libro insopportabile. Non ho mai compreso il bisogno di alcuni autori di voler creare stili e tecniche di scrittura nuove. L’originalità, quando non è presente nella trama, va cercata nel modo nella scelta dello stile di scrittura non nella creazione di uno completamente nuovo. Tra le altre cose, non possiamo prendercela nemmeno con la casa editrice visto che Fantasmi Principeschi è stato stampato con un servizio a pagamento.
Indubbiamente, il mio uso smodato delle parentesi, lontane comunque dai serpenti parenti e anche dal “cinema” di Neri, può spazientire e disgustare il lettore medio che, non sapendosi raccapezzare nel mare d’incisi, mio “escluso”, inclusi(oni) e uomini (non) al quadr(at)o, troverà difficile, ostica la lettura e dunque irascibile scaraventerà i miei tomi per aria, anzi per l’aia, intesa/o come spazio del cortile e anche come dolore psicofisico. Ecco, non voglio spacciarmi per genio-innovatore, anche se dovrei, essendolo e di lodi tessendomi, ma ribadisco la mia scelta dell’auto-pubblicazione ché permette creatività a non finire e non “burocratizza” lo scrivere nelle regole “manichee” di ciò che sarebbe (pubblica)bile e ciò che andrebbe (o)messo.
In fondo, è una pubblicità in più e mi vanto di queste stroncature, perché rendono onore al mio uomo perturbato, alle volte “sovraccaricato”. Non è stato un “caro” ma di offese “carico”, comunque sia è stato un avaro. E io son sempre più (br)avo.
di Stefano Falotico