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Bologna HARD BOILED & L’amore ai tempi del Covid – Il carnato di una città escoriata: scende in campo il più grande attore vivente. De Niro? Daniel-Day-Lewis, Toni Servillo, Gary Oldman? Uhm, non credo


25 Jun

apocalypsenowfilmtvmartinsheenPartiamo con una freddura alla Falotico.

Uno studente del Dams sostiene una potente interrogazione su Apocalypse Now.
Il prof.: – Mi parli di questo capolavoro di Coppola, tratto da Conrad.

– Ebbene, è un grandissimo film. Vi è anche la cavalcata di VAL KILMER.

Sì, faccio ridere le persone. Ho sempre pensato di essere bruttissimo. Mi vergognavo della mia bruttezza, cioè questa.Falotico

Ora, facciamo i seri.

Avete riso? Sì, non sono Val Kilmer dei tempi dorati, neanche Alain Delon. Infatti sono meglio. Comunque, non mi prendo mai sul serio. Ora, facciamo i seri. Prima, lasciavo che tutti mi prendessero per il culo. Sì, mi piaceva. Una donna, che ne so, mi diceva che ero carino e io rispondevo che lei non era bella. Lei rispondeva che ero un coglione e io replicavo di esserlo. Al che lei pensava che fossi Val Kilmer del film A prima vista. Aveva visto giusto. Ero totalmente cieco. Anche lei però, ah ah.
Al che le persone mi domandavano: Ma ci sei o ci fai? Il tuo problema qual è?
E io: – Non vedo una mia vita.
E loro: – In che senso? Cioè, fammi capire. Anche se tu fossi ricco e miliardario, saresti depresso lo stesso?
Io: – Più depresso di prima. Gli uomini e le donne sarebbero miei amici, non solo amici, soltanto nella speranza di fottermi.

Capito questo di me, avete capito tutto.
Breve estratto del mio libro, disponibile sulle maggiori catene librarie online, nei formati cartaceo e digitale. Presto anche su Audible, ovviamente.

Il finale di True Detective è di natura cristologica.

Attenendoci puramente, no, puristicamente alle parole da Rust/McConaughey pronunciate e scandite testualmente secondo il doppiaggio effettuatogli da Adriano Giannini, udimmo quanto segue:

È questo che intendo quando parlo del tempo e della morte e della futilità. Ci sono considerazioni più ampie all’opera. Principalmente, l’idea di ciò che c’è dovuto in quanto società per le nostre reciproche illusioni…

Quello che erano… che ognuno di noi e tutto questo grande dramma non è mai stato altro che un cumulo di presunzione e ottusa volontà.

Le persone sono così deboli che preferirebbero gettare una moneta in un pozzo dei desideri che comprare la cena. Trasferimento di paure e disprezzo di sé verso un tramite autoritario, è catartico. Lui assorbe la loro paura con la sua oratoria e per questo è efficace in proporzione alla quantità di certezza che riesce a proiettare.

Alcuni antropologi linguistici pensano che la religione sia un virus del linguaggio che riscrive i percorsi nel cervello. Soffoca il pensiero critico… Almeno, io penso con la mia testa.

Tutti noi incappiamo in quello che io chiamo la trappola della vita. Questa profonda certezza che le cose saranno diverse, che ti trasferirai in un’altra città e conoscerai persone che ti saranno amiche per il resto della tua vita e che t’innamorerai e sarai realizzato. Vaffanculo alla realizzazione… e la risoluzione? No, niente finisce davvero.

Nell’episodio 2, Rust inoltre dissertò, con saggezza ammirabile e finissima dialettica, sull’inequivocabile orrore rappresentato dall’amorale gesto condannabile di mettere al mondo una vita, tante vite, le nostre dissipate esistenze già nate finite. L’errore del voler partorire, con arbitrio degno nemmeno di Dio, tale succitato errore, sì, il bieco errore nato dal perpetuarsi dell’abominazione chiamata orgoglio…

Quando muori, il guaio è che sei cresciuto. Il danno è fatto, è tardi.

Avete figli? Credo che sia da presuntuosi volersi ostinare a sottrarre un’anima alla non esistenza e relegarla nella carne. Trascinare una vita dentro questo tritatutto. E mia figlia, lei mi ha risparmiato dal peccato di essere padre…

Parole, quelle di Rust, da santo o malsane? Chissà. Sciorinate con piglio melanconico da uomo rabbuiatosi per colpa d’un mondo vacuo, futile eppur allo stesso tempo ricolmo di carne umana erosa e corrottasi alla base, macerata e bruciata in questa porca brace atroce.

Maciullati, infatti, siamo noi tutti dentro la putredine bruciante d’una società che dei nostri corpi ha inestinguibile fame. Mangiati e divorati senza pietà saremo dagli uomini e dalle donne miserabili che attenteranno alla nostra incolumità per segregarci nella prigionia d’ogni mentale sanità oramai andata a puttane. Ineluttabilmente scomparsaci e andata via. Chissà dove, chissà quando, chissà in quale nero anfratto. Infranti, affranti, eppur giammai domi, speriamo forse da illusi infanti che migliore sia e sarà il domani, però giammai saremo dormienti in un mondo addormentato e precipitato nell’insipienza, pieno zeppo di fottuti stronzi e pavidi incoscienti.

Un libro cinematografico in cui vengono citati molti film. Fra cui questi. Vi consiglio la parte partente, eh eh, da 3:08:00.
Come disse Jack Burton/Kurt Russell: basta, adesso!
In effetti, sono un minus habens, vero?shiningnicholsonkubrick Ah ah!

Chiudiamo con una nuova super-freddura.
Un professore di Cinema mostra una foto di Francis Ford Coppola a un suo allievo (per modo di dire) e gli domanda:
– Chi è questo?
Risposta: – Un panzone.

Ecco, al che vi aspettereste che il professore abbia bocciato, semmai ingiuriando a sangue, il suo studente.
No, il professore risponde al ragazzo: – Bravo, anche io risposi così quando dovetti sostenere la mia tesi di laurea su Coppola.
Il ragazzo: – Non la bocciarono?
– No, io sono Francis Ford Coppola.
– Cavolo. Mi scusi se le ho dato del panzone. Ora lei è molto dimagrito. Ma, signor Coppola, mi tolga una curiosità. Lei sostenne la tesi di Laurea su sé stesso? (ricordiamo che non si scrive se stesso, anche se è comunemente considerato corretto e invece è reputato, erroneamente, paradossalmente sbagliato. Pregasi le insegnanti di Italiano di correggersi. Sì, nei libri troverete se stesso, quali libri?).
– Sì, negli Stati Uniti non esiste il Dams.

Morale della favola: se uno è un genio, non ha bisogno di pezzi di carta. Bensì soltanto di dimostrarlo.
Quando lo dimostra, è come trovarsi dinanzi a Marlon Brando. Tutti coloro che lo avevano deriso, piangono e piangono, piangono e piangono, piangono e piangono. Parafrasando Rust Cohle: ancora e ancora, ancora e ancora, ancora e ancora.
Per il semplice fatto che derisero un genio. Quindi, compresero di essere degli idioti.
Insomma, sarebbe come dire. Uno prende per i fondelli Orson Welles perché non lo capisce.
Pensava che fosse scemo perché non era come gli altri.
Ebbene, per la signora in prima fila, che non è Rita Hayworth, no, mi sembra sulla racchia forte, un altro giro di vodka, un valzer col cascamorto boomer e poi, domani, tribuna elettorale coi politici matusalemme alla tv.
Il mondo si divide in due categorie: chi è tonto e, in quanto tale, non capirà la vita.
E chi la capisce subito. Perciò piange, ride, soffre, ama, odia, si arrabbia, si dispera, sta bene, crolla, rinasce, balla e poi canta, dunque si ammutolisce, poi non viene capito, lui stesso non capisce sé stesso, si pone delle domande inutili, si arrovella, si scervella, dà di matto, poi si placa, è inquieto, nevrotico, irrequieto, felice e poi tristissimo.
Per forza, non è mica un imbecille. Mi spiace per gli imbecilli. Sono sempre sicuri di sapere tutto degli altri e di sé stessi.
Ne sono sicuri?
Finirei così.
Vado da un mio amico, almeno pensavo lo fosse.
– Che hai?
– Niente. Non avevo capito nulla di te. Mi perdoni?
– Di cosa dovrei perdonarti? Di avermi giudicato troppo presto?
– Sì, di questo. Ho sbagliato. Me ne vergogno dal più profondo del cuore.
– Ma io lo sapevo già. Mi hai chiamato a casa tua solo per scusarti? Scusa, ho fatto dei chilometri soltanto per ascoltare il tuo pulirti la coscienza?
– Scusami.
– Scuse (non) accettate. Tanto, sbaglierai ancora. E ancora e ancora, ancora e ancora.
– Come fai a saperlo?
– Si chiama vita. Altrimenti si chiamerebbe morte. Non lo sapevi?

truedetectivecohlemccoanugheydraculabramstokeroldmancoppola

di Stecitybytheseadenirodzundza5numeroperfettofano Faloticofilonascostodaylewis

Nicolas Cage potrebbe essere il mostro di Firenze? Macché. I mostri fanno parte del mio mestiere


14 Feb

nic cage

 

Ora, se volete, leggete quest’articolo: https://www.nme.com/film-interviews/nicolas-cage-interview-color-out-of-space-2608157

Che ovviamente tradurrò per voi. Poiché, miei pelandroni, fate tanto gli esterofili ma, in fin dei conti, credo che non abbiate manco letto un libro in perfetto italiano dalla prima all’ultima parola, arrivando sensatamente alla parola fine. No, non voglio finirla qui, voglio appena iniziare.

Non sarà un’arringa ma forse, dopo aver scritto questo mio pezzo, aprirò il frigorifero e gusterò una fredda eppur cremosa meringa. Lei invece, signora calda da balli latinoamericani, la finisca con la Merengue.

Non faccia la piaciona, lei non piacerebbe neanche a Pietro Pacciani e Mario Vanni, i quali furono denominati, dalle autorità (in)competenti, compagni di merende.

In verità vi dico che vi fu un solo mostro di Firenze, cioè Hannibal Lecter di Hannibal. E lo scrittore Thomas Harris s’ispirò non poco al tristemente celebre Monster of Florence per allestire fantasiosamente, senza nessun riferimento (eh, come no) a persone, fatti ed eventi realmente accaduti, la figura cannibalesca del celeberrimo, succitato psichiatra killer.

Sì, quel Pacciani lì altri non fu che un povero cristo, altroché. Lo sa George Clooney, il quale da anni intende realizzare un film sulle macabre gesta dello Zodiac italiano. Cito apposta Zodiac poiché, così come strepitosamente descrittoci nel capolavoro omonimo di David Fincher, l’identità di questo folle tizio non fu mai scoperta. Costui, a mio avviso, in prima adolescenza avrebbe dovuto guardare Saint Seiya, ovvero I cavalieri dello Zodiaco e innamorarsi, con la testa fra le nuvole, di Martina Stella, una povera cretina abbonata sicuramente all’oroscopo Astra. Sì, sarebbe stato uno stupido qualsiasi.

Ora, chiariamoci, Ad Astra di James Gray è il suo film più brutto. Vorrebbe essere un incrocio fra 2001 di Kubrick, Apocalypse Now nello spazio e Il pianeta delle scimmie quando, nell’astronave del bell’uomo Brad Pitt, non compare un Alien di Ridley Scott ma una sorta di King Kong da Peter Jackson che sicuramente non sa che il nome della navicella del film, ovvero Nostromo, con a bordo la super figa che fu, Sigourney Weaver, donna che all’epoca poteva rendere un uomo primordiale, stimolando con le sue mutandine striminzite i più arrapati, invoglianti istinti maschili maggiormente primitivi da uomini di Neanderthal, ecco dicevo… quell’Adriano Celentano scimpanzé certamente non sa che Nostromo è anche il titolo di un libro di Joseph Conrad.

Ma che ne volete sapere voi, donne da quanto viene il pomodoro alla Conad, eh già, di Cuore di tenebra?

Vi credete sexy come Eva Mendes de I padroni della notte ma, a mio avviso, non solo non cuccherete mai Joaquin Phoenix e Mark Wahlberg ma non vi fila neppure l’oramai matusalemme Robert Duvall.

Insomma, siete donne che fanno venire solo du’ pall’. Invece io, non soltanto adoro Heart of Darkness ma anche Wild at Heart. Ed eccoci dunque arrivati a Nicholas Kim Coppola, sì, il nipote più famoso del mondo.

Altro che il folle tenente colonnello Bill Kilgore interpretato, per l’appunto, da Robert Duvall nell’opera magna coppoliana.

Nic Cage batte tutti i più grandi matti della storia. Che sia lui il mostro di Firenze? Mah, potrebbe pure essere.

Sì, Nic venne in Italia a girare quella schifezza di trasposizione tratta da Ennio Flaiano, diretta da un moscissimo Giuliano Montaldo, Tempo di uccidere.

Sì, è Nic il mostro di Firenze mai catturato.

Adesso, a parte gli scherzi, traduciamo il pazzo, no, il pezzo:

dopo una salita al potere, diciamo, da meteora durante la metà degli anni novanta, che include anche il suo Oscar nel 1996, Cage divenne una caricatura (di è stesso?). Rinnovatosi come animale da party e per aver dilapidato le sue fortune (o sua fortuna) in ogni cosa (o dappertutto), dalle teste rimpicciolite sino alla casa dei fantasmi di un serial killer a New Orleans.

 

Ah, vedete che ho ragione allora io? È Nic il mostro di Firenze, nascostosi a New Orleans ove girò pure Il cattivo tenente di Werner Herzog.

Nic è comunque un grandissimo. L’unico attore della storia del Cinema capace di passare da un film di Scorsese a Mandy.

Molti di voi, invece, a forza di seguire quel matto di Salvini, fate oramai discorsi di questo tipo:

– Stefano, l’altra sera ho fatto l’amore con un’extracomunitaria. Sono malato.

– Perché mai? Fu una prostituta che non usò precauzioni?

– No, una brava ragazza mulatta incontrata in un pub. Adesso, dopo il nostro incontro pubico nel bagno di quel locale pubblico, credo di essere stato contagiato. Sono malato, ho la malaria.

– Perché mai?

– Le donne di un altro colore sono delle lebbrose.

– Veramente? Da quando in qua?

– Anzi, Stefano, ti dirò di più. Gira voce che tu sia malato di mente e paranoico.

– E questo chi te l’ha detto? Una scema o una scimmia?

– Non me l’ha detto nessuno. Nei tuoi video fai delle strane smorfie.

– Ah, solo per questo? Quindi, a tuo avviso, sono ebefrenico-schizofrenico e forse pure malato di fobia sociale, giusto?

Non è invece che tu sei ritardato, vero?

– Perché dici questo?

– Sai, assomigli a un tizio che incontrai, per mia sfortuna, molti anni fa.

– Ah sì? E questo che fece?

– Ecco, di punto in bianco mi disse una cosa mostruosa. Facendomi credere che l’avesse detta altra gente?

– E quindi? Che vuoi dire invece tu?

– Ecco, questo qui aveva e ha ancora un allevamento di cani. Una sera, appena uscii dal mio stabile, tale instabile si presentò sotto la mia casa con un alano. Dicendomi che se non avessi scopato e non mi fossi laureato, mi avrebbe fatto sbranare dal suo mastino. Io entrai in psicosi.

– Invece tu sei ascetico come John Rambo e John Wick. Ora, vuoi vendicarti.

– No, stai sbagliando. Lo perdonai. Anzi, devo ringraziarlo. Involontariamente m’illuminò.

– Continuo a non capire.

– Sai perché il novanta per cento degli assassini seriali non vengono acciuffati? Perché anche i commissari e i poliziotti possiedono una cosiddetta vita normale. Sono troppo presi dai figli, dall’arrivare a fine mese, semmai hanno anche delle segreti amanti.

Io sono una delle poche persone al mondo che, sbattendosene altamente, può essere Matthew McConaughey di True Detective.

La mia mente è fredda, analitica. E, priva di distrazioni, può seriamente concentrarsi su ciò che altri non possono. O forse non ne hanno il tempo.

 

di Stefano Falotico

Attrici bollite: Diane Keaton, vive di rendita per essere stata la musa di Woody Allen?


29 May

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 Oggi voglio parlarvi di un’attrice a me particolarmente antipatica, anche se ne riconosco l’indubbia bravura, o forse no. Ovvero Diane Keaton, nata a Santa Ana il 5 Gennaio del 1946.

Un’attrice che, a rigor di logica e filmografia alla mano degli ultimi vent’anni, probabilmente anche di più, possiamo considerare non solo bollita ma frittissima.

Prima di diventare famosissima, si dà a esibizioni canore, ma non ottiene grande successo. Comincia a recitare a Broadway, al che inizia in maniera sfavillante nel Cinema, dopo tutta una serie di lavori per la televisione. Incontra due pigmalioni, Woody Allen, che diverrà per molto tempo, fra alti e bassi, anche suo compagno nella vita, e col quale instaurerà una chimica irresistibile sul grande schermo, diventando protagonista assoluta di otto suoi film, e Francis Ford Coppola che la vuole a tutti i costi per la saga de Il padrino.

Al che, dopo un paio di nomination ai Golden Globe, arriva la meritata statuetta per la sua epocale interpretazione in Io e Annie, il cui titolo originale è Annie Hall. Hall, che è il vero cognome all’anagrafe della Keaton.

Woody Allen… dicevamo. Sì, a parte Coppola, la Keaton deve praticamente tutto al genio newyorkese. Con lui come detto gira pellicole importantissime, nell’ordine Provaci ancora, SamIl dormiglioneAmore e guerra, il succitato, celeberrimo Io e AnnieInteriorsManhattanRadio Days e Misterioso omicidio a Manhattan.

E in mezzo a questa roba? Soltanto robetta, se si esclude Reds di Warren Beatty e gli hit commerciali di Baby Boom e Il Padre della sposa con tanto di seguito.

Quindi, Diane Keaton vive di rendita per essere stata la musa di Woody Allen, ottiene un’altra candidatura agli Academy Award per la sua intensa prova ne La stanza di Marvin, recitato assieme a Meryl Streep e a un giovanissimo Leonardo DiCaprio, e una ai Golden Globe per Tutto può succedere di Nancy Meyers con Jack Nicholson.

Ma ne vogliamo parlare invece di film come Amori in città… e tradimenti in campagnaPerché te lo dice mamma3 donne al verdeMamma ho perso il lavoroBig WeddingMai così vicini?

Solo Paolo Sorrentino la redime col ruolo di Sorella Mary nella serie The Young Pope.

Anche il suo prossimo Book Club, con le altrettanto bollitissime Jane Fonda e Candice Bergen, e i bollitoni Don Johnson e Andy Garcia, sembra promettere alquanto, stando alla Critica oltreoceano. Poteva essere puro garbage, come dicono gli americani, un film che sulla carta aveva tutti i crismi della commediola scialba per settantenni frustrate, invece pare che funzioni e sia godibilmente scanzonato. Ma questo non credo possa salvarla.

Lei è comunque l’intoccabile Diane Keaton.

Vabbe’.

 

 

di Stefano Falotico

Lo statista aspettato: come, à la De Niro, (s)fottei una signorina “tu mi stufi” alla Hathaway, ridendo poi da Dracula/Oldman


19 Jun

Non avendo un cazzo da fare tutto il giorno, compreso il mio, che da tempo non “pilucco”, stasera verso le “calende” ho provocato “gratuitamente” una donna su Twitter, “confutando” la sua scrittura a mio avviso “sgrammaticata” e poco italian(izzat)a.

Sì, secondo me non si scrive à la ma alla, for example si dice un neo alla De Niro e non à la Bob.

Lei, essendo io intervenuto in modo rozzo e molto informatico, m’accusò di essere ignorante e poco “informato” riguardo le espressioni francese ereditate dal nostro linguaggio “parlato”, webwriterizzato.

Infatti, con tanto di “cornice”, si permette di dedicarmi circa tre minuti netti della sua vita in(f)etta per “crittografarmi” in un retweet. Con far astioso, quantomeno permaloso, osò provocarmi a sua (s)volta, “abbellendo” la bacheca di questa sua “uscita” che si crede(tte) intelligentona.

alla

 

Ecco, io, in tutta (ris)posta, “glielo” posi in maniera altrettanto irriverente, e partì la chat “scontrosa” e scont(r)ata:

– Ora che rispondi, babbeo?

– Ho sempre sostenuto che, a proposito di Barbara, è sempre meglio per gli uomini “viaggiare” a dorso di mule…

– Bella battuta.

– No, è una battona. Sono un genio. Credo sia inconfutabile. Non lo confuti. Non obietti, non si dimostri abietta, sii/a obiettiva.

– Bel gioco di parole ma sei un mentecatto.

Ah, pensavo di poter “mendicare” nella tua gatta.

– Anche volgare. Scrittore dei miei baffi!!!

– Dei miei stivali, semmai. Come il gatto della fava, no, scusa della fiaba.

 

Stringi stingendomi, codesta non me la diede e io rimango alla De Niro di Taxi Driver con l’inconveniente di essere poco adatto al mondo, in stile bambina di Danny Collins, e qui c’entra Pacino, con l’uccello di Cannavale Bobby. Ché credo sia notevole come i suoi occhi strabici.

E me la rodo, no, rido alla Dracula di Coppola.

 

Firmato il Genius

Dracula le manda a far in culo


23 Jul

di Stefano Falotico

Dracula cercò sangue di vergine e morì sia di sete che di fame in ogni sen(s)o

La “grande bellezza” di tal società falsa come una donna dai facili costumi ma “laureata” in “lettere” e lo(r)data nei (di)letti

Le donne sono pazze totalmente. A “(dis)cap(it)o” di tal (non) mia Mina (vagante), a capitombolo d’aver capito tutto, vi scrivo questo racconto, ed evviva Dracula, il Conte(nto) mica tanto che vive nella sua “gola profonda”.

Mi rivolgo a una, credo molto unta da parecchio tempo e da molti monta(n)ti dentro (bis)unti, come lei, esaltata montatissima, poco alla panna, e le chiedo scusa perché, per via della sua enorme bellezza, la presi per il culo, an(n)i fa.

– Ti ho già scusato. Prenditi cura di te stesso, “fallo” anche per me. E abbi cura anche degli altri, ognuno soffre per qualcosa ed è giusto che tu rispetti questo. Altrimenti, nessun (ris)petto. Solo pollo.

– Ah ok, una risposta un po’ altezzosa, ma ognuno risponde alla vita come crede. Sì, tutti soffrono di qualcosa, c’è anche chi soffre della bellezza di essere sé stesso/a. E legge sempre a (de)formazione delle sue (in)certezze. Sì, credo sia la risposta migliore alla vita e alle (s)fighe.

Come dire, insomma, molto tristemente, che a ognuno del prossimo non frega un cazzo.

Che grande bellezza, eh?

Posto” tal supponente donna su Facebook, riportando la conversazione sì (s)fatta.

Sì, forse per “digerire” questa, sarebbe meglio una (sup)posta senza “ricevuta” del “mittente”.

Un mio amico legge e dice: “Bello, ma cos’è? A che ti riferisci?”.

Gli spiego la puttan(at)a:

ah, nulla di che. Neanche “Nutella”, figurarsi se si mostrò nuda ma è una “mostra”. È solo, solissimo, un mio pensiero di oggi. Si pen(s)a… con citazione sorrentiniana. Sì, meglio Cheeta a questa donna di “c(l)asse” come la scimmia (s)pelata da fare “cassa”, eh sì, ne (in)castrò molti, altri ne “incasserà”, che cazzo fa(rà)? Sono deluso dal sesso opposto. Anni fa, scrissi a una giornalista dei commenti (s)garbati, per modo di dire, in privato. Commenti alla Vittorio Sgarbi. Uno che fa tanto il gentile e poi s’incazza perché (in)giustamente non apprezzano la sua “(p)arte”. E lei celò il fatto che per mesi ci appartammo e parlammo in chat anche di cose diciamo intime, appena si accorse che qualche suo collega aveva rinvenuto tali messaggi compromettenti nella sua messaggeria. Insomma, sarebbe stato scandaloso che una donna cotanto “prestigiosa”, soprattutto di co(nta)nti, nutrisse interesse nei miei confronti. Mah. Lei sostenne che le incasinai la vita e decise di non parlarmi più. Ho sempre avuto il dubbio che, in effetti, gestisse un casino. La notte porterà con(s)iglio? La scorsa settimana, le scrivo per scusarmi ad anni di distanza, anche se non dovrei scusarmi proprio di un cazzo…

Erano messaggi personali assolutamente normali, lei dovrebbe vergognarsi semmai di aver fatto il doppio gioco, sputtanando me. Una bara… Al che, per tagliar la testa al toro, è il caso di dirlo, le regalo un paio di miei libri. Continua a rispondere con tale indifferenza da mettere i brividi, poco caldi. Sarebbe da denuncia per la sua altezzosità. E per scrivermi che si può permettere di far la stronza perché è ricca sfondata e tanto alla mia versione non crederebbe nessuno. Così, ho romanzato in tale post la presa di cosc(i)e(nza), come dico io, delle mie (s)fighe. Mondo triste, assai.

Fatto sta che non mi devon far… incazzare, se no sanno bene che, se sarò (non) “morto”, si troveranno impal(l)ati. A memoria lo imparassero, cari pallini e car, carissime e poco carine, donne con le palle. Ecco il tributo dei vostri attributi ché dovete pagare di palate, mie patatine fritte. Che aff(l)itto o saran a te fitte e molto ritto a cuor aperto? Non vorrei essere un “rubacuori” di pal(ett)o al contrario di livor d’(av)or(i)o.

Eppur si lavora “duro”.

Fammi firmare il cont(r)atto. Altrimenti, con tutte queste bollite e bollette, mi tolgono il riscaldamento.

E mi ridurrò pelle e ossa.

Enrico Ghezzi su “Apocalypse Now”


28 May

L’Apocalisse, adesso, è solo un film, più che mai un film, un film solo. Il fallimento di Coppola: aver prodotto in fondo un solo film, nient’altro che un film. I motivi per cui questo fallimento è entusiasmante sono gli stessi per cui l’impresa è fallita. 
Può esistere oggi un kolossal che non sia Terremoto o 007 o Guerre stellari o la stessa guerra del Vietnam trasmessa per anni alla televisione? Il coinvolgimento e la “disperazione” di Coppola nel girare il film sono più che mai comprensibili, sono affascinanti; e il film per questo piace (o non piace) prima di essere visto. Piace per l’ambizione, per la mania di realismo, per gli anni nelle Filippine: mi piace perché le decine di miliardi non impediscono al film di essere dilettantesco, personale, quasi da superottimista come “concezione complessiva”. Vediamo.
Dopo le interminabili riprese, Coppola si ritrova con giorni di materiale girato. Per giocare di più – e più elettronicamente – al montaggio, lo riversa in ampex, lo monta e lo rimonta senza mai giungere a una versione definitiva; fino alle due-tre versioni circolanti oggi, con finali differenti. È un segno ammirevolmente manifesto dell’ambiguità generalizzata su cui si fonda la “nuova Hollywood”, proprio in quanto il film di Coppola è atipico e mostra scopertamente le proprie contraddizioni. Un film che costa quanto un piano d’aiuti ai terremotati, che si promette smisurato, che utilizza risorse tecniche e sceniche straordinarie; e nello stesso tempo un film “privato”, e ancora una volta (per Coppola) quasi da clan familiare. Fare il film più costoso e industriale, e poi non saper concludere – letteralmente – la propria regia. Modernità di accorgersi, in qualche modo, di essere da meno del proprio film, di non poterlo decidere: perdere la scommessa, inventando il primo grande esempio di film “incompiuto”, il cui finale non conta. La chiusa, questo momento narrativo decisivo, questa “morte” che condiziona la struttura vitale di ogni prodotto che si narri, è qui letteralmente indifferente: nel finale si taglia la testa al toro, ma nessuno dei finali taglia la testa al toro.
Da un punto di vista classico, si vede bene cosa significa tutto questo: il film rischia di non esistere. Ed è proprio così: più avanzato dei Wenders, Duras, Rohmer, Coppola, perdendo tutte le sue scommesse (quella cultural-antropologica, quella goffamente umanistica, quella letteraria con Conrad), fa un film che non esiste, che si impone e incassa forse perché affascinante e gonfiato è il “racconto” del progetto e della realizzazione di esso. 
Personalmente, ho amato e difeso Apocalisse prima di vederlo. Vedendolo, non c’è quasi una scena che non deluda, rispetto al racconto che se ne poteva avere o immaginare prima. Eppure il film non delude, non può deludere. Appunto perché non esiste. Neanche come kolossal, si diceva. Chiunque abbia visto più di cinquanta film resta infatti colpito qui non tanto dall’esibizione (tipica dei kolossal), quanto dallo spreco che si manifesta in ogni minimo dettaglio. L’Attore ultrapagato compare solo alla fine, e dietro ogni immagine si avvertono le altre mille immagini e inquadrature che sono state girate e non scelte, si intuisce uno spreco enorme di lavoro, di pellicola, di tempo, di 70 mm eccetera. Anzi, “si sa” che è così: ma solo perché Coppola lo ha gridato ai quattro venti, lo ha urlato nelle conferenze stampa, non potendo mai fino in fondo sperare di mostrarlo nel film.
Quanti film ci sono nel cassetto di Coppola? Potrebbe vivere montando e rimontando un Apocalisse ogni due anni. E sarebbe più giusto. Ma Apocalisse è un film onesto e ingiusto. Mostra tutta la sua insensatezza, fino a far ridere. Rimane spietatamente solo Cinema. Ha la gratuità di ogni film, moltiplicata per ogni fotogramma. È un film ricco che sembra povero cineamatoriale. Un film di guerra intimista.

 

Tant’è che la trama più affascinante resta quella delle fotografie dei nastri registrati che separano l’apparizione di Brando: ciò che avrebbe potuto essere girato con il budget della Conversazione. Tant’è che il film risulta anche tecnicamente “non montabile”, e Coppola ricorre sistematicamente alla dissolvenza, e alla sovraimpressione, dando già all’inizio la cifra finale di tutto il film, con la straordinaria serie di dissolvenze e sovrimpressioni triple (e più) accompagnate dalla non meno straordinaria This is the End dei Doors. E proprio vedendo La conversazione in televisione si capiscono – per associazione – altre due cose che concorrono alla modernità paradigmatica di Apocalisse. La gratuità formale televisiva, e la quasi totale dipendenza dal suono, dalla stereofonia, dal dolby, dalle dieci, cento, mille piste.
Senza Wagner, a orecchi chiusi, anche l’assalto degli elicotteri di Duvall alla baia del surf risulta piatto, girato così e così. Parecchi spettatori di “provincia” – senza 70 mm, ma soprattutto obbligati a un sonoro appiattito – sono rimasti poco interessati. E la trovata più geniale del film è la nave dei folli del rock, il trip alla radiolina in cui si trova immerso Martin Sheen.
Nel rollio continuo della barcaccia, si ritrova la musica degli stadi, degli appartamenti, delle discoteche, l’insoddisfazione Rolling, la cultura totalmente spezzettata ricomposta solo dalla radio-televisione. Per il resto, le decine di elicotteri inquadrati sono semmai l’implosione del concetto di kolossal. Il kolossal si autodistrugge con l’accumulazione di sé, dopo aver già distrutto tramite il catastrofico il genere “realtà” (del disastro; lo mostra in questi giorni la spaventosa facilità con cui ci si è abituati dall’oggi al domani all’ipotesi di guerre su vasta scala). Gli elicotteri non fanno più impressione di un drappello di cavalleggeri in un film di Ford. 
Di certo, l’ingenuità apocalittica di Coppola è la vera fine: è il Vietnam del Cinema, sconvolto in una serie di contraddizioni. Un kolossal da discoteca, da radio, da televisione, che mostra la linea d’ombra su cui si muove tutto il Cinema americano “di successo”: il quasi totale affidare alla forza (poco controllata) del sonoro, immagini sempre più lavorate e elaborate fotograficamente (luci, colori, valori plastici delle “cose” riprese) ma sempre meno curate e necessitate dal punto di vista compositivo e strutturale complessivo. È così nel film da “laboratorio” di Lucas e Spielberg, figuriamoci se poteva non esser così in mezzo alla giungla (ma Cimino?).
In questo tornare a essere pura realtà, proprio mentre si vuol fare del cinema quasi “maledetto” e da artista, è il fascino definitivo di Apocalisse, e il suo porsi come definizione catastrofica della modernità del Cinema d’oggi in perfetta opposizione col film-cardine degli anni settanta, il Barry Lyndon in cui Kubrick tenta di controllare gli stessi elementi che Coppola si limita a mettere in gioco. 
Per coerenza (gratuita forse, o se vogliamo, poco costosa), Coppola dovrebbe ora sul serio continuare a giocare. Ha già speso, in riprese e pubblicità. Ha già fatto l’uso più sensato che si può fare di un esercito e di una forza militare (farne un film). Dopo questa produzione geniale, potrebbe dar da montare le sue decine di ore di produzione a cinque, sei, otto registi diversi, far fare tanti altri film diversi e possibili e plausibili (con slogan vietnamitico: uno dieci mille apocalissi). Capire che non sono sue, come suo non è il finale. Compiere l’operazione ultima e definitiva, per un regista autore non scevro da ambizioni: offrirsi come repertorio, darsi da montare. 
Forse dentro ogni kolossal possono annidarsi tanti piccoli film: anche nei film più personali, anche in un Novecento di Bertolucci (che intanto fu l’occasione per i film di Giuseppe Bertolucci e di Amelio). Permettere a altri di aggirarsi tra gli sguardi e gli accadimenti che – spesso imprevisti – succedono sul set e si nascondono nelle immagini finché un altro montaggio non riannoda o inventa. Forse, sarebbe l’unico modo per superare le manie piccolo-borghesi (fino allo spreco superomistico) che si aggirano in tutto il Cinema americano di oggi. Coppola compreso. E insomma: amo le dieci apocalissi che si nascondono oltre la piccola Apocalisse coppoliana.

[Il Patologo, 3, 1981]

(Enrico Ghezzi, “Paura e desiderio”, Bologna, Bompiani editore, 1995, pp. 136 – 138)

Capolavori horror di Settima Arte metacinema


10 May

L’orrore è nella società a ogni angolo che svoltate. Si leggon di storie macabre, di pestaggi e ragazze insanguinate, d’orchi famelici a predarle, d’appiedati disoccupati (e qui v’è il marcio più spaventoso…), di licenziamenti in tronco e di filmoni stroncati che, col senno di poi “postumo” inalberato, emergon con cadavere vampiristico nei fascini agli afflati del sottovalutato-sotterrato fu(nebre) sulle radici, sradicato ed evirazioni

Innovazione, aviazioni, levitaction!

Per anni, la Universal fu fucina di talenti, con esposizioni di Bela Lugosi e figlio, di Karloff Boris e Christopher Lee prima dell’avvento del colore o “Technicolor”.

Che ci fucilò.

Quindi, periodo di “magra” nei 70, quando forse solo De Palma trasse uno dei primi King di nevrosi adolescenziali esplosive in Carriesatanica.

Da Shining, incubo “velato” da intellettuale con metafore a tutt’andare di bambino-“triciclo” ma oltreTempo, ecco il Sam Raimi che rinverdisce i fasti, affastellando carrellate e piani sequenza tra foreste Necronomicon, memori sia delle haunted houses sia di Romero.

Armato di tenebra, s’ottenebrò tristemente nel blockbuster “fumettizzante” e, dalle ragnatele spiritate, a Peter Parker di Maguire “rassicurante”. Solo il Green Goblin del Dafoe salvò di grand guignol al fosco che fu.

Ma qui avete scordato altri.

Oggi, chi abbiamo? Rob Zombie, appunto? Un nome che è un programma di Moon (ah, Sheri, come me la farei quando cala… il “plenilunio” dell’ululato…)

Ne cito setteCapitali! Anzi, quattro perché Seven di David Fincher è un thriller.

Asso. Poker!

Sbanco, sbraniamo. Il tavolo verde si tinge di “rossa”.
Storie lugubri di decapitazioni, impermeabili col “cappotto”, d’accapponar la pellaccia.

Mischiate al sangue “nitrato” di cavalli nitrenti, di giugulari “incipienti”, di cavalcate arroganti, di diavoli inchiappettanti.

Da paura, rabbrividite? No, meritano l’applauso.

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1. Dracula di Bram Stoker (1992)
    Coppola recupera il Mito del Nosferatu, incarnandolo nel volto d’un Old… man. Ringiovanendo tutto!Lo svecchia a bobina che rammemora il Cinematografo innamorato di Mina.Apparizioni, sparizioni, eclissi, una Ryder Winona d’affissione. Mi “crocifiggerei” per il seno debordante della sua fanciullezza a me di “castello” distante, di mostruosi pipistrelli. Perché, ove c’è il lago della Transilvania, l’Uomo della Notte si tuffa nel Giordano della sua “redenzione”, urlando a suo seno il Dio “maledetto” che la benedica.
  2. Frankenstein di Mary Shelley (1994)
    De Niro monstre, soprattutto perché è strepitoso anche se (s)coperto dal trucco (in)visibile. Tragico Branagh d’uno Shakespeare Zoetrope, memore del Bram Stoker di Francis.Altro che Era mio padre di Sam Mendes!Chi vuol intendere, intenda. In medias res, m’imbattei nella selva oscura del “ricrear(mi)”.Nel bel mezzo delle cose, avreste da offrirmi una bona Bonham Carter di affinità elettive di “cosce?”.Tim Burton sa quanto può essere freak Helena…
  3. La casa dei 1000 corpi (2003)
    Capostipite della stronzata altissima e purulenta di polente al sugo, dunque masterpiece scatologico d’escrementizia antropofagia eleva a beltà. Bestie, a bestia!Picture show, donne dipinte, bisce metallare, cazzi sparati, vaffanculo gratuiti, una figa della Madonna.Manca solo Tim Curry è quest’oggetto misterioso sarebbe stato perfetto It.
  4. Eccezzziunale… veramente (1982)
    Rimane un po’ così terrone, ma ce lo mangiamo tutto.Torrone del tor nel torreggiar!Donna, dammi la mela, partì l’Inferno in Terra dalla tua Eva non mielosa con Adamo, a cui il demiurgo tagliò il pomo e anche spruzzarti di “potato”.Donna, vai a sbucciar le “patate”, vogliamo abbellirti dalla scorie e piangerai di cicoria.Questo è (Abatan)tuono che spacca tutto. Orripilante “cotonato” di carisma ove neanche Al Pacino di Dick Tracy.Puro pus undeground, altro che Moretti!Qui si sfiorano vette incontaminate di totale schifezza.

    Dunque, d’annoverare, senza niente invidiare, agli altri tre sopra.

    Vogliamo mettere un Vanzina formato Diego contro Le streghe di Salem(me)?

     

Batman alato e “armato” di “rubin” atrocità


22 Jul

 

Nell’anima della montagna, nei bagliori boreali della neve, le artiche viscere echeggiaron d’arcana, efferatissima, cruenta e “barbarica” brutalità

Nel Sol mattutino odierno, in questo diurno “taciturnissimo” che asperse le urne dei vostri cimiteri, un Uomo, di maschere meno camuffate delle vostre buffe abbuffate di menzognera, carnascialesca, agonica “virtuosità”, nelle “irrequietezze” tensive, d’eleganza ferina e implacabile, del suo Cuor scolpito nel “marmo” caparbio delle sue luciferine tenebre, zampillerà, a fior di “pelliccia”, nell’addobbar la festa d’una esangue, pittoresca “vivacità”.

Il mostro delle “vergini”, “agghindato” di lagrime soffocanti di crematorio rimorso dai mordaci tormenti, dietro la pacata dolcezza dei miei occhi neri, sondò il mio crudo, ludico fiammeggiargli nell’anima sua scorticata d’agghiacciante lama furente.

Nella sua effigie pura e invincibilissima da ordo draconis, Io, il Conte Vlad, d’eretta, vessillifera vendetta sulle note del “Danubio blu“, “impalerà” i nemici sventolandoli nelle lapidi “commemorative” prostrate, di lor stessa micidial truculenza sanguinosa alle loro assassine, villiche ignoranze, ché saccheggiaron il regno di Cristo con immonda deturpazione.
Egli, il figlio del Diavolo, Drăculea, ammantato d’alabardata, perlacea, “rosea” furia principesca, dissoterrerà l’ascia di guerra intingendola nelle putride spietatezze bestiali nel suppliziarle d’una supplica a cui, la sua ferocissima ira, non perdonerà le patetiche pietà.

Parola di Dio.
(“Vangelo secondo Satana”).

«Wiener seid froh! Oho, wie so? No so blickt nur um!
I bitt, warum? Ein Schlimmer des Lichts. Wir seh’n noch nichts,
Ei, Fasching ist da! Ah so, na ja! Drum trotzet der Zeit,
O Gott, die Zeit. Der Trübseligkeit. Ah! das wär g’scheidt!
Was nutzt das Bedauern. Das Trauern. Drum froh und lustig seid»-
«Viennese sii felice! Oho, perche? Basta guardarsi intorno!
Vi chiedo, perché? C’è un barlume di luce. Ma non vediamo ancora niente,
Ah, Carnevale è qui! Ah, bene bene, anzi! Sfidiamo questi tempi,
Cielo, questa età. Buio della depressione. Ah questa sarebbe la cosa migliore da fare!
A cosa servono i rimpianti. I lutti. Meglio essere felici e stare allegri».

«Ehrt das Faschingsrecht, Wenn auch noch so schlecht. Die Finanzen,
Laßt uns tanzen; Heut zu Tag schwitzt, Wer im Zimmer sitzt,
So wie der Tänzer-Schwall auf in Ball!».
«Onora la legge del Carnevale, sono altre le cose cattive. Le finanze,
Balliamo, in questi giorni si suda, come a stare seduti nella propria camera,
Come si fa sulla pista affollata durante un ballo!».

Firmato il Genius
(Stefano Falotico)

  1.  Rambo (1982)
  2.  Dracula di Bram Stoker (1992)
  3.  Rosemary’s Baby (1968)
  4. Il Cavaliere Oscuro – Il ritorno (2012)

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