Posts Tagged ‘Clint Eastwood’

Il western esiste ancora? Killers of the Flower Moon lo dimostrerà. Voglio solo Buster Scruggs di qualità!


15 Feb

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Non voglio più sentire baggianate. Perché guardate i film in maniera prevenuta e oramai non sapete più distinguere un film bello da uno brutto.

Ribadisco, a costo che mi crocefiggiate in piazza con la gente accalorata da un odio bestiale a scagliarmi pietre appuntite, Bohemian Rhapsody è un bel film. Perché, al di là della sceneggiatura un po’ infantile, delle puerili sviste anacronistiche, Rami Malek è stato davvero grande. E, ripeto, chi l’ha considerato una macchietta, ah ah, è meglio che badi a non fallire per colpa delle sue fallaci idiozie, altrimenti, poco fallico ma effeminato da una totale coartazione dei suoi pochi spiccioli, ridotto in mutande, conciato come Freddie Mercury, troverà solo un lavoro come badante nella magione di un pornoattore, cantando I Want to Break Free a palla, soprattutto a sue trucidate palle. Scopando come la ragazza dell’est del mio stabile. Che, comunque, considerando le potenzialità del suo culo, credo che scopi bene anche in senso carnalmente spolverante tutti i tamarri che la corteggiano il sabato sera. Mentre costui spazzerà via anche il godimento di ogni residuo acaro del suo cervello auto-inchiappettato che, a forza di stroncare tutto, ha in particolar modo troncato l’arbusto sensibile del suo underground del cazzo.

Sì, Malek vincerà l’Oscar è glielo spazzerà, no, piazzerà nel culetto in maniera non macchiettistica bensì smacchiante, ficcante.

Perché We Are the Champions e hanno veramente scassato i coglioni questi coglioncelli che inneggiano soltanto al Cinema brutale e cinico. E poi invece, nel privato, so’ più sentimentali di Heidi.

Basta, davvero. Tutto per loro dev’essere pessimistico.

No, no e no.

In questo Malek ho intravisto visto echi del Nosferatu/Kinski di Herzog. Un uomo solo, innamorato da sempre della sua bionda. Quella Adjani era mora. Fa lo stesso. Sempre una bella passerina. Praticamente Falotico. Ve l’ho detto che io ho avuto un solo, imbattibile amore nella vita? Biondissima. Anche buonissima. Tanto buona che non m’ha mai cagato. Da quella delusione immane, la mia (s)figa ha vagato nell’interzona burroughsiana di deliri e fantasie. E diventai De Niro per molto tempo. Soprattutto quello di Taxi Driver. Guidando nelle intermittenze dei miei bui e del mio laconico sbattermene.

Poi, tutti hanno cercato d’incularmi, di dissuadermi dal mio romanticismo ante litteram, volendomi (in)castrare nella contemporaneità masturbatoria dei cazzi loro. Fra sodomizzazioni a raffica, prese per il culo smodate, smaniose indagini alla mia anima, sbudellamenti, trivellamenti vari e bisturi scappellanti il mio prepuzio per colpa di zie manipolatrici poco malleabili ad accettare un “diverso” straordinario come me che se n’è sempre fottuto.

Basta, un calcio piazzato bene con tanto di punizione alla Mariolino Corso sotto l’incrocio dei loro peli, delle loro pellicce e di codeste consigliere fraudolente che volevano deflorare e dunque defraudare le mie ferite esistenziali con buonismi e penicilline, trattandomi da Pollicino. Pollice giù a queste e pollice a smanettarle, fregandole.

Dico a tutti voi. Beccatevi questa video-recensione e ammutolitevi!

Adesso, da qualche mese a questa parte, abbiamo anche il vegliardo Roberto Leoni col suo canale YouTube fuori tempo massimo. Con tal vecchione da San Silvestro che mette sullo sfondo tomi da topo da biblioteca che secondo me manco ha letto ma li ficca tanto per darsi un tono da intellettuale.

Le sue pronunce dei nomi degli attori sono di un inglese perfetto come quello di Ignazio La Russa. Ah ah. Sì, Leoni e Ignazio assomigliano a questi…

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State veramente molto, molto male.

Attendo The Irishman come un bambino che aspetta Babbo Natale. E a fine anno Scorsese girerà Killers in the Flower Moon.

Sono un Devil in the White City?

Anche un angel in the black cat.

E ho detto tutto.

Via da questa casa le zoccole. Andassero nelle cantine dove ci siete voi che le tracannate!

 

di Stefano Falotico

THE MULE: tra Fabrizio Corona e Jerry Lewis, scelgo Michael J. Fox di Ritorno al futuro 3


05 Feb

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BACK TO THE FUTURE III, Michael J. Fox, 1990.

BACK TO THE FUTURE III, Michael J. Fox, 1990.

 

Sono il Joker Marino, uomo che non ha bisogno di truccarsi per essere sé stesso, nonostante sia pirandelliano, uno, nessuno e centomila, forse un mezzo uomo o un superuomo. Magari… Il giudizio sul mio valore umano spetterà al mio specchio dirmelo quando finalmente ne comprerò uno deformante, al fine che possa davvero osservare davanti a me un man distorto. Credo di essere abbastanza retto, un tipo straight, sin troppo dritto tant’è che la gente, spesso addormentata e lobotomizzata, pensa che sia io a farmi un tranquillo pisolino.

Al massimo vivo in dormiveglia. E comunque vaglio, pagando le bollette e i postali vaglia. Non sempre…

Oggi, vaglierò con oculatezza, di attenta disamina quello che considero uno dei film più grandiosi di tutti i tempi, ovvero Gli spietati (Unforgiven).

Chiariamoci, sono abbastanza di parte. Ho scritto un libricino intitolato Ghiaccio arcano di romantici occhi, che ha venduto otto copie perché le persone sono fintamente buone ma più spesso, soprattutto, brutte e cattive. Ah ah.

Ma in particolar modo, qualche anno fa, ho inaugurato una saga letteraria che va dal Cavaliere di Alcatraz a quello di Madrid. E in quest’ultimo la copertina è eastwoodiana al mille per mille, con tanto di Clint che cammina per un vicolo buio. Via da me i gatti neri. Sì, sono un Joker che caccia il malocchio col potere iridescente delle mie iridi cupe. In quanto uomo notturno che però non è mai stato a Castel Volturno. E che forse, nonostante sia stato molte volte tordo, tornò, è tornato come il revenant Eastwood, William Munny de Gli spietati.

Sì, basta con un’esistenza appartata e taciturna. Parliamo, mostriamoci, mostriamovi la mia analisi di Unforgiven.

Partiamo ovviamente con la messa in scena. Da non confondere mai con la messa in cena. Quella è stata l’ultima predica di Cristo prima di scatenare il cristianesimo e di conseguenza tutte le successive messe.

Di mio, spero di non essere mai messo… sulla croce. E nemmeno in una certa posizione a pecora.

Ecco invece la mia ideologica posizione sulla messinscena. Una posizione non a novanta ma credo a 360 gradi.

Eastwood, nei titoli di coda, ringrazia i suoi maestri Sergio Leone e Don Siegel. Ma Eastwood ha sempre saputo di essere un regista la cui poetica cinematografica è unica, indissolubile, inconfondibile.

Ne Gli Spietati non abbiamo retoriche leoniane né iperboli stilistiche da Siegel.

Eastwood non è Scorsese, non adotta cioè molti dolly, carrellate interminabili e zoomate, né in colonna sonora è postmodernista. Questo è western purissimo. Classico al top. E non al pop.

Eastwood non è Kubrick, è altrettanto geometrico e freddo nelle inquadrature ma al contempo sa infondervi spasmodica armonia romantica nella sua glacialità visiva e secchissima.

Si passa dai grandangoli del pestaggio di Bill Daggett ai danni di Bob l’inglese a primi piani fermissimi sui volti dei protagonisti. Eastwood ama gli spazi (s)confinati, il crepuscolarismo e assistiamo a scene ambientate a mezzogiorni di fuoco ad altre immerse nella notte più livida, profonda e tempestosa.

La messa in scena di Eastwood è magistrale, è come se avesse girato un noir, un semi-poliziesco in mezzo ai saloon, alle bettole da prostitute, alle stelle di latta di sceriffi stronzi.

Non ha bisogno di grossi effetti, è appunto millimetricamente spietato nell’uso sapiente della macchina da presa. Che c’è ma è come se non la vedessimo. Al che inquadra lui e Anna Levine vicini a un casolare come fosse un 70mm e invece è normalissimo Panavision 35. Che occhio di lince, che aquila!

Ciò andrebbe detto a Tarantino. Il cui The Hateful Eight mal tollero.

Una messa in scena prospettica che espande la focalità del campo ristretto d’azione e si dilata nei dettagli di una natura libera e selvaggia.

Prima abbiamo appunto la natura brulla ma selvatica del West e quindi negli ultimi dieci minuti ecco che veniamo soffocati claustrofobicamente nel covo di Big Whiskey. Come fosse un horror kammerspiel, addirittura!

Quindi, la ballata scritta dallo stesso Eastwood che, come nell’incipit, sigilla cimiteriale la fine di un’epoca e la fine di questa storia arrabbiata e cinica.

Eastwood è come se avesse scattato qui un dipinto in movimento a tramonto tombale del suo antieroe.

Messa in scena, dunque, 10 e lode.

 

Personaggi: è un film invero con due personaggi base, il William Munny di Eastwood e il memorabile Bill Daggett di Hackman, premiato giustamente con l’Oscar.

Ma altrettanto importanti e affatto secondarie sono le figure di Ned (Morgan Freeman), di English Bob (Richard Harris), perfino della prostituta interpretata dalla “sfregiata” Anna Levine.

Partiamo innanzitutto da William Munny.

Munny è un pistolero figlio di puttana che, dopo essersi sposato, ha voluto dimenticare il suo passato mostruoso. Perché era uno scellerato uomo senz’alcun scrupolo morale che ha ucciso donne e bambini.

E si è ritirato nella sua casetta in campagna coi due figli piccoli, ove fa ora l’allevatore di maiali.

Munny è un diavolo, un fantasma con la sua precisa etica da samurai.

Appena Kid gli propone di dar la caccia ai due uomini, Munny, allettato dall’idea di poter fare soldi per garantire un miglior futuro ai suoi pargoletti, che vuole preservare dal male del mondo, che lui conosce benissimo e del quale è stato schiavo, ritorna pian piano a ridiventare l’animale che aveva sepolto nella sua coscienza. Non si scappa mai dal proprio infimo passato e Munny, purtroppo, n’è perfettamente cosciente.

Al che, una donna gli dice che il suo amico Ned è stato macellato da Bill. Lui accoglie la notizia senza far una piega, al massimo corruccia la fronte e il suo sguardo s’indurisce all’improvviso. Ma dentro di lui ribolle il ribelle Munny dei suoi ripudiati anni giovanili e si vendicherà biblicamente.

Voto: 10.

Bill Daggett. Un attimo, per favore. Gene Hackman, pur essendo coetaneo di Eastwood, pur avendo già interpretato molti film, più o meno celebri, prima del suo Oscar per Il braccio violento della legge, ha ottenuto davvero popolare successo soltanto negli anni settanta. Ma a differenza di attori, un po’ più giovani di lui, esplosi in quel periodo, vedi Pacino e De Niro (fra l’altro, gli unici due della loro generazione a non aver mai interpretato un western), Hackman non è mai stato figlio del Metodo. Al contrario di Al e Bob, che son divenuti i personaggi che hanno interpretato, Hackman è sempre stato Hackman. Come disse un critico americano, del quale mi perdonerete se adesso non ricordo il nome, non è mai Hackman a trasfondersi nel personaggio da lui incarnato. È semmai l’inverso. È il personaggio che si adatta ad Hackman e Hackman, anche quando interpreta parti assai diverse fra loro, rimane sempre Hackman.

Bill Daggett non fa eccezione. Daggett diventa Gene Hackman. Con la sua celeberrima risatina sadica e strafottente, i suoi modi burberi e maneschi, la sua posa tronfia e cafona. Uno che è difficile fregare con le chiacchiere.

Hackman è sempre stato grande. Bill Daggett è un grande personaggio e in questo film Hackman sembra più grande di quello che è invero anche in film brutti come Boxe.

Voto dunque al personaggio ma di conseguenza ad Hackman che ne fa un suo personaggio: 9.

Ned: Morgan Freeman è uno che ha girato tre film con Eastwood. Questo Gli spietati, Million Dollar Baby e Invictus nei panni di Nelson Mandela. Per Million Dollar Baby si è beccato l’Oscar, per Invictus ci è andato vicinissimo.

Ecco, basterebbero questi soli tre personaggi per considerare Freeman un grandissimo. Ho detto tutto.

Ned è un poveraccio, uno che si crede chissà chi e invece si lascia massacrare come una femminuccia.

Uno che dà consigli di vita a Kid, che lui prende sempre per il culo, è uno che sbeffeggia bonariamente Munny ma che non ha fatto i conti mai davvero con la pura cattiveria di questo nostro mondo merdoso.

Sì, in mezzo a questa pura cattiveria, Ned è un puro. Nonostante l’apparenza da duro. Altro personaggio indimenticabile.

Voto: 8.

Bob l’inglese. Altra presenza impossibile da dimenticare. Richard Harris era già molto vecchio, qui. Incanutito a dismisura, grinzoso, coi capelli sfibratissimi. Eppure titanico nonostante compaia una ventina di minuti e basta. Lui è il baro della morte, anzi, il barone della morte. Uno che millanta di essere stato e di essere ancora, nonostante l’età, il bounty killer più veloce del West, e forse ciò era ed è pure vero, ma Daggett lo sputtana di brutto e lo tratta da pagliaccio cretino. Lo smonta in pochi secondi.

E, con la coda fra le gambe, Bob, spogliato di tutto, rimedia una figura da fesso colossale. Povero Bob.

Che classe, Richard Harris.

Voto: 8.

Anna Levine la prostituta: bella, bellissima, una che svolge il mestiere più antico del mondo e il più “sporco”. Eppure, dal suo viso, sfregiato, più che dalle cicatrici, dal dolore della sua anima infranta, traspare l’angelica rinomanza di una donna volitiva, in cerca di giustizia. Che dolcezza. Io me la sposerei.

Anche in questo caso, gli (riferito al personaggio), le (riferito a lei) diamo voto molto alto, 7 e mezzo.

E sarebbe bello, semmai facendo rivivere il defunto Harris con la computer graphics, un sequel de Gli spietati, con Eastwood, Harris e la Levine diventata donna matura, con Eastwood oramai novantenne che accende il fuoco, Harris che si pettina i pochi capelli allo specchio e la Levine che prepara i tortellini, sì, loro sono gli unici sopravvissuti nella pellicola. Sarebbe altrettanto stupendo un prequel in cui si racconta la vita dello sceriffo-carpentiere Daggett prima della sua ascesa, appunto, a sceriffo. Che cazzo faceva quando aveva quindici anni? Sì, Bill Daggett scopriamo che in realtà è Biff Tannen della trilogia Ritorno al futuro e legge l’almanacco delle scommesse sulle corse dei cavalli, fa soldi con quest’imbroglio, al che si candida, visto il potere pecuniario acquisito, come sceriffo di Big Whiskey. La gente è terrorizzata. Messa in soggezione da quest’uomo potentissimo e pieno di money, lo elegge appunto capo della cittadina. Arriva in città anche Michael J. Fox di Ritorno al futuro 3 e si presenta come Clint, Clint Eastwood. Al che Bill, non Biff, pensa: ma quanti cazzo di Eastwood vogliono farmi il culo?

Meglio. Questo Eastwood mi ha fatto vincere l’Oscar, battendo Al Pacino di Americani, in Potere assoluto invece ho interpretato la parte sognata da ogni americano: quella del Presidente degli Stati Uniti che non fa un cazzo da mattina a sera, eccetto raccontare stronzate e frottole alla gente, e si tromba pure una gnocca della madonna.

 

Coinvolgimento… un film che dura quasi due ore ed è come se durasse invece 10 min. Ipnotico, senza un attimo di tregua. Che semmai ti scappa, mentre lo stai vedendo, di andare a pisciare ma ti fai scoppiare la vescica perché non puoi interromperne la magia che t’ha avvolto.

Uno dei film più appassionanti di sempre.

Voto: 11.

 

Morale: Eastwood non è mai retorico. E la morale de Gli spietati è quella secondo la quale, invero, il mondo non ha morale. Il mondo è amorale. Così fu, così è, così sarà. E così sia scritto. Amen.

Munny, così come tutti gli altri, è una merda d’uomo, non certo uno stinco di santo. Sebbene sia romanticissimo e non vuole tradire sua moglie con qualche “anticipo”.

Daggett è un porco, Bob l’inglese un bugiardo azzimato, Ned un coglione mezzo maniaco sessuale. Ah ah, sì, lo è. Fa battutine sconce, senza sconti e gl’interessa sapere se il suo amico Munny, dopo la morte della moglie, si fa le seghe o va a puttane.

La morale è che gli eroi non esistono, non sono mai esistiti, non esiste bianco o nero, siamo tutti, chi più chi meno, dei falliti, dei luridi vermi. Siamo tutti fregati!

Voto: 9 e mezzo.

 

Epicità: stesso discorso di prima. Gli spietati è uno dei film più epici della storia proprio per il fatto che di epico in questa pellicola non c’è nulla. Anche il finale vendicativo non appartiene all’epica, alla leggendarietà, bensì alla funeraria dissoluzione di ogni finto sogno americano.

Un film epicissimo. Superlativo, in ogni senso, assoluto.

Voto: 10 -. Il meno sta ironicamente a significare che è il massimo dell’epicità nonostante in quanto a epica non siamo proprio al massimo. Anzi, siamo allo zero assoluto.

Epicità super più di lineetta “negativa”. Ah ah.

 

E questo è quanto.

Adesso, scusate, anche il Joker deve mangiare fagioli…

 

di Stefano Falotico

Il personaggio letterato da Charles Dickens che mai ti saresti aspettato, un campione eastwoodiano vero


01 Feb

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(L-r) Director CLINT EASTWOOD and CÉCILE de FRANCE on the set of Warner Bros. Pictures’ drama “HEREAFTER,” a Warner Bros. Pictures release.

(L-r) Director CLINT EASTWOOD and CÉCILE de FRANCE on the set of Warner Bros. Pictures’ drama “HEREAFTER,” a Warner Bros. Pictures release.

Uff, ancora con queste reprimende. Ancora con questi assurdi, balzani controlli insensati e, oserei dire, scellerati. Ancora insistiamo ottusamente, pedantemente, pedagogicamente, catechisticamente, in maniera demente a battagliare con indagini psicologiche, con terzi gradi assolutamente vergognosi, con disamine per voler sviscerare il Falotico. Essere non acchiappabile, sgusciante, alle volte farneticante ma assai aitante.

Il Falotico non è accomunabile alla massa volgare ed è sempre più urtato, turbato, mortificato nel vedere personaggi come Berlusconi che vanno puntualmente a parare pecorecci sul sesso, ficcandoselo in bocca dappertutto. Ficcandosele tutte. Come quando (e potete vedere il video su YouTube) Inzaghi era allenatore del suo Milan e Silvio, sfacciato e stronzissimo, scherzò pesantemente e oscenamente sulle signore altrui, da volpone marpionissimo qual è sempre, ahinoi, stato. Rovinando non solo lo Stato italico ma i nostri stati mentali e non, deturpando l’Italia con la sua telecrazia improntata alla frivolezza da vallette scosciate e altre amenità, come dico io, di sorca.

Illudendo i buontemponi e i fessi, facendo credere a tutti che la felicità si ottenga coi soldi e la gloria più porca, invero moralmente povera.

Veramente uno scandalo, uno schifo. E voi gli avete creduto, abdicando al porcile.

Ed è per questo che gente come il Falotico viene presa a pesci in faccia e i troioni ipocriti sguazzano nelle bugie e nelle puttan(at)e più tremende. Spacciandosi per grandi uomini.

Un ribaltamento agghiacciante, incredibile, da lasciare tramortiti.

Il Falotico non necessita di un mondo ove per essere qualcuno devi fregare il prossimo e venderti. Incularlo e lasciarlo con una “pugnetta” di mosche. Come dice lui, cioè il sottoscritto.

Sì, a forza di credere a questi mentecatti coi loro troiai, viviamo quasi in una topaia e abbiamo cambiato varie zanzariere per non farci avvelenare da tutte queste cicale del cazzo.

Il Falotico quando ironizza sul sesso, e lo fa peraltro spesso, sa sempre dosare le parole con classe impari, provocando con occhiolini e ammiccamenti sobri, moderati, elegantemente distillati che lasciano (in)tendere ma sottintendendo quel che va (sot)teso. Perché, come dice il Falotico, sotto le tende è meglio, vi è maggiore intimità e non c’è bisogno di esibizionismi da pagliacci da tendoni qual siete in questo circo degli orchi e degli orrori. Falotico getta il sasso, sì, il sasso sul sesso ma giammai la spugna poiché asciuga i suoi sudori con dell’acqua piovana davvero purissima e non con salviette detergenti, egli terge e lo erge da sé senza mai osare più del dovuto, conservando estremo rispetto dell’eventuale interlocutore e azzardando solamente quando è pienamente cosciente che non può spingersi oltre il consentito, rispettando i pudori altrui e non lanciando banali allusioni figlie della scempiaggine di cui, ahimè, voi sovente abusate. Perché siete ossessionati dal desiderio alquanto raccapricciante di voler sapere chi è il prossimo quando in verità vi dico che dovreste, innanzitutto, badare a voi stessi e anche provvedere al fabbisogno giornaliero della vostra badante. Donna che vi serve e riverisce col cornetto, da voi rifilato alla moglie tradita, e alla quale, tutto liscio, so che lo offrite ben zuccherato, gustando la sua panna nella montata lattea. E, montandola, la testa vi montate e siete invero sol dei montanari.

Ah ah.

Insomma, Falotico non è uno sconnesso e depauperato nella mente, semmai un pauperista che ama far il papero in quanto oggi povero, domani papavero e dopodomani rosato, arrossito quando intimidito, freddo in questi giorni di fine inverno. Caldo in quanto, se esiste il nome Aldo, perché non metterci una c di culo davanti e dietro?

E fu sera e fu mattina. Per voi solo notte. Perché i vostri cervelli, e non credo quelli e basta, da tempo sono oscurati, fottuti. Fidatevi.

E all’ottavo giorno nacque l’uomo che fa un baffo a Dickens in quanto Falotico non ha soltanto i baffetti ma una barbetta incolta da uomo coltissimo.

Così sia. Stringetevi un segno di pace e lasciatemi bere una limonata.

Grazie. Prego. No, sono ateo.

Io non sono nessuno. Non sarò mai Berlusconi.

Per fortuna.

Sia lodato Cristo.

Ma soprattutto… Se Sylvester Stallone è nato per essere Rocky e Rambo, se Jon Bernthal è nato per essere The Punisher, Ben Barnes per essere Billy Russo, Amber Rose Revah per essere Madani, perché Falotico non può essere il cinefilo per eccellenza, il poeta maudit e invece volete che sia un idiota come tutti?

 

La vita non è un gioco di scacchi e cacche, di merde e false dame, ma un dar a te se tu dai a me.

 

Dai, dai. E ricordate: io do sol col re. Da cui do re mi fa sol la si do. Sì, do, do, do, no, no, non diamo un cazzo.

 

 

di Stefano Falotico

I 5 film più sopravvalutati di sempre secondo un mio amico e secondo me… e l’atroce Creed II al primo posto degli incassi!


29 Jan

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C2_17699_RActor Sylvester Stallone, director Steven Caple Jr. and actor Michael B. Jordan on the set of CREED II, a Metro Goldwyn Mayer Pictures film. Credit: Barry Wetcher / Metro Goldwyn Mayer Pictures© 2018 Metro-Goldwyn-Mayer Pictures Inc. All Rights Reserved.

C2_17699_RActor Sylvester Stallone, director Steven Caple Jr. and actor Michael B. Jordan
on the set of CREED II, a Metro Goldwyn Mayer Pictures film.
Credit: Barry Wetcher / Metro Goldwyn Mayer Pictures© 2018 Metro-Goldwyn-Mayer Pictures Inc. All Rights Reserved.

 

Stamattina, mi son svegliato con un forte subbuglio nello stomaco.

Dopo essermi sparato la puntata numero 8 della seconda stagione di The Punisher, serie che mi sta entusiasmando quanto se non più della prima tranche, anzi, mi sta esaltando e sto cadendo in trance, serie per la quale devo porgere i miei più sentiti complimenti naturalmente a Jon Bernthal, nato per questo ruolo, ma soprattutto elargire vivi e sentiti applausi a un sempre sorprendente Ben Barnes, davvero notevolissimo, un Dorian Gray frankensteniano, e a Josh Stewart, versione “psichiatrica” di Robert Mitchum de La morte corre sul fiume, ecco, leggo su Facebook questa “sparata” di Anton Giulio Onofri, uomo come me eastwoodiano e cronenberghiano, che stila questa brevissima classifica di sopravvalutati.

Fra i cinque titoli, a suo avviso, più sovrastimati di sempre, vi sono C’era una volta in America e Titanic.

Su Tre manifesti a Ebbing, Missouri, non perderei tempo. È un buon film che, a quasi un anno di distanza dall’Oscar un po’ immeritato a Frances McDormand, ovviamente premiata perché è la moglie del Coen ed è racchia e pazza, dunque si sa che le sfigate ottengono la benevolenza dei premi “simpatia”, vedi Luciana Littizzetto e la Sconsolata, ah ah, dicevo… oramai questo discreto movie non lo ricorda già più nessuno. Nemmeno chi, all’epoca della sua anteprima al Festival di Venezia, l’aveva magnificato.

E, col senno di poi, mi auguro che l’abbia ridimensionato. E non poco.

Woody Harrelson crepa suicida dopo mezz’ora di film e si è cuccato una nomination assurda, Sam Rockwell sembra un mio “amico” di quando giocavo a Calcio, Preci, un simpatico “scugnizzo” grottesco che combinava puttanate e, parimenti alla McDormand, caro Sam, hai vinto un Oscar davvero regalato.

Passiamo invece al Titanic. Sapete, l’ho visto soltanto una volta in vita mia. Quando uscì al cinema nel lontano 1997. Da allora, non l’ho mai più rivisto, neppure nelle varie versione rimasterizzate e 4K di tua sorella.

Io mi son sempre chiesto? Ecco, al di là del vento in poppa, no, in prugna, no, in prua dell’allora gnoccolona Kate Winslet (Holy Smoke docet), adesso diventata una matrona da La ruota delle meraviglie, una sorta di comare del meridione pugliese in cerca di giovincelli vogliosi e capricciosi per consolarsi dalla malinconia di un matrimonio col giostraio fratello del blues brother, una che sicuramente legge sia Moccia che Shakespeare a mo’ di compensazione e a seconda di dove tira il vento e soprattutto a discrezione della sua figa depressa e rancida, dicevo… come potete considerare capolavoro questo Titanic?

Insomma, la gente com’è ridotta? Aspetta tre ore, infarcite di melensi baci da Muccino, per godersi la tragedia immane. Adesso capisco perché Francesco Schettino sostiene tuttora che non è colpa sua se la Costa Concordia ha fatto la fine della nave di Speed 2.

Lui, dal carcere, continua a difendersi così:

– La gente ama le tragedie, la grandeur di uno spettacolo orribile, poi per un anno abbondante ho permesso a Bruno Vespa di lucrare a sbafo su questo dramma incredibile. Bruno non vede l’ora che succeda qualche oscenità, vedi anche la storia di quelli di Cogne e della Franzoni, per portar a casa la pagnotta. È uno sciacallo! Adora gli scandali, gli inciuci, le storie da True Detective, i misteri irrisolvibili. Irrisolti.

Direi irrisori! Tanto non sarà lui a tornare indietro nel tempo e a sistemare le cose.

Perché mi tenete qui dentro fra le sbarre? Ho alzato le quotazioni della RAI, gli ascolti sono andati alle stelle, altro che Milly Carlucci e i suoi balletti. Sapete… La gente ha una vita mediocre, patetica. Va a lavorare, svolgendo un lavoro che odia e provoca la gastrite e irreparabili infezioni intestinali. Deve sobbarcarsi le invidie dei colleghi, digerire le urla della moglie frustrata, arrabbiata perché il sugo della Barilla è scaduto, e le schizofrenie dei figli adolescenti, fuori di testa perché quella del primo b(r)anco, anziché innamorarsi dei loro idealismi poetici, ieri sera s’è fatta inculare da un minorenne Fabrizio Corona “fighissimo” che adora Rocky IV.

Io ho ravvivato un po’ la situazione. Ho movimentato la noia quotidiana.

Volete farmene una croce?

 

Ah ah.

 

Invece, per quanto concerne C’era una volta in America. Se il mio amico Onofri va a dire a Ilaria Feole che è sopravvalutato, credo scatterà la rissa.

Mereghetti invece ne sarebbe contentissimo.

Ora, non scherziamo. Addirittura paragonare l’epopea gangesterica di Leone a una miniserie tv mi pare scabroso! Allucinante!

È giusto che sia un “carcassone”. È un sogno, un sogno proustiano. Il sogno di un loser, di un romantico stupratore stronzo più del suo amico puttaniere, Max, e come ogni sogno è la sua versione dei fatti.

Non dev’essere coerente. I sogni non lo sono. I sogni sono personali, sono una rielaborazione inconscia della vita diurna e senziente. Dunque, può essere kitsch, volgare, sconclusionato, folle, pazzo.

È questo il film. Non perdiamoci in sofismi. E aveva ragione Burt Young, a proposito di Rocky. E Cogne. No, cognati. Ribadisco. L’assicurazione più importante è quella dù caz’.

È così, non si discute.

E la finisse quella vecchia in radio di recitare… Adonis, figlio di Apollo, combatte contro il figlio di Ivan Drago.

Sì, cosa deve pur fare una povera donna per arrivare a fine mese. Leggere e registrare puttanate del genere.

Intanto, lo Stallone italiano si compra un’altra Ferrari.

 

Detto ciò, ce lo spariamo questo Corriere del Clint? Dai, dai.

E ricordate: come Balboa… non ho mai visto un uomo prenderne così tante. Davvero tante.

Eppure è ancora lì e non va mai giù. Deve avere davvero una forza sovrumana.

Altro che Creed uno due e dieci. Rocky è Rocky. Il primo è imbattibile. Tu chiamale se vuoi emozioni.

di Stefano Falotico

Discorso di Santo Stefano, dovremmo conservare la festa del Natale ma abolire tutti i falsi sacramenti, aborrire i battesimi, i matrimoni e anche i funerali…


26 Dec

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Sì, ieri son stato da mio cugino, a Prato. Quest’amena, buffa città dell’entroterra toscano, poco distante da Firenze. Che ha combattuto per tantissimo tempo al fine di diventare provincia e soltanto nel 1992 è diventata un capoluogo.

Sì, credo di avere imparato ciò da poco. E da altre parti, in tempi assai recenti, ho scritto che non è affatto provincia. Sì, sono sbadato, è la mia caratteristica. Ero rimasto indietro. Io sono del ’79 e, quando da piccolo spesso me ne recavo, Prato non era provincia di niente. Da bambino ci vivevo perfino. Mia madre, laureatasi in Biologia a Firenze, aveva trovato lavoro, non ancora di ruolo, da quelle parti e girava da un paesino all’altro ove insegnava alle scuole medie. Che vita eccezionale… di continui viaggi spossanti e quasi mai un attimo di riposo. E manco scopava molto perché, appunto, mio padre non c’era. E, semmai, mio padre nel frattempo si rallegrava da solo, guardando le vallette di qualche varietà in tv. Sì, credo che gli piacesse Milly Carlucci. E ho detto tutto.

Molti miei parenti materni stavano e stanno tutt’ora a Prato. In prima linea, i genitori di mia madre, ovvero i miei nonni. Mio nonno è morto una decina d’anni fa, mia madre due anni or sono. Forse tre. Non ha molta importanza. Dopo che l’hanno malcurata al cuore. Poteva vivere ancora ma i medici, omertosi e bugiardi, la operarono scelleratamente e, sbrigativamente, ricucendo tutto alla buona come il chirurgo Totò di Totò Diabolicus, quando mia nonna schiattò dopo giorni di sofferenza estrema, preferirono oscenamente glissare, sussurrando… abbiamo fatto il possibile ma comunque era già molto anziana, è morta oggi ma, anche se fossimo stati meticolosamente scrupolosi, non le restava molto da vivere.

Bello schifo. Inutile tentare cause in questi casi. I medici hanno sempre il cosiddetto coltello, anzi, bisturi dalla parte del manico.

Ecco, mia nonna, quando io neppure frequentavo le elementari, mi teneva a casa sua perché mia madre era al lavoro. E mio padre a sua volta lavorava intanto a Bologna. Ma questo l’ho già detto o accennato.

Così ho fatto l’asilo a Prato. E, ogni volta che mio nonno tornava dal lavoro nella pausa pranzo per poi riprendere nel pomeriggio a far la guardia in banca, io, già tornato dall’asilo, gli urlavo dal balcone… hai portato i soldi e da mangiare? Ah ah.

A Prato vivono anche alcuni parenti di mio padre.

Sì, i miei genitori, come i miei parenti, sono del meridione ma quasi tutti sono emigrati al nord in cerca di maggiore fortuna. E quest’emigrazione, questa specie di esodo biblico si è spaccato in due tronconi. Fra quelli che si son stabiliti e stabilizzati a Prato e altri, non tantissimi invero, che son venuti a Bologna, ove io sono nato. All’ospedale Sant’Orsola.

Di tanto in tanto, quasi mai a essere sinceri, torno appunto a Prato, soprattutto nei giorni delle festività comandate, come Natale o Pasqua, date pressoché inderogabili. Che palle…

Ma torno solo da mia zia e mio cugino. Mio zio, il padre di mio cugino, è morto assai prematuramente dopo che si era già separato ufficiosamente da mia zia, sebbene divorziati a livello legale non lo siano mai stati.

E mio cugino ora abita dalle parti di Siena assieme alla sua compagna con la quale convive.

Ma, ovviamente, nel giorno di Natale, va a far visita a sua madre e pure io, a mia volta, faccio visita a loro.

Quando sono a Prato, mi sembra di essere precipitato in una realtà da Frittole, sì, l’immaginaria cittadina medioevale di Non ci resta che piangere.

– Ma veramente siamo nel 1400?

– Eh, quasi mille e 5.

Non che Prato, al di là delle sue costruzioni appunto medievali, non si sia modernizzata. Anzi, tutt’altro. È ora una delle città dalla cultura più fiorentina, no, fiorente. Culla di menti geniali, di fumettisti creativi, di artisti sopraffini.

Ma basterebbe il suo duomo, la sua cattedrale, ad attestare che Prato è figlia di un’altra epoca.

La cattedrale di Prato è stata eretta secoli fa ed è una delle costruzioni più antiche d’Italia. Pieve di Santo Stefano…

E la gente, nonostante oggi si sia globalizzata e internettizzata, ha conservato quel ruspante modo di fare schietto, alle volte anche fastidioso e troppo invadente, da amiconi, sì, un po’ alla Amici miei.

E tutti, a Natale, si abbracciano come fossero amanti, si salutano calorosamente, bevono e si ubriacano da compagnoni.

Una realtà ben diversa da quella bolognese. A Bologna, la gente è molto fredda. Forse più raffinata o forse solo più ipocrita. Non lo so…

Mio zio defunto, il padre di mio cugino, si chiamava Piero. Io avrei dovuto chiamarmi Pietro. Sapete bene che un’usanza tipica del meridione è quella di affibbiare lo stesso nome del nonno paterno al primo nipote maschio.

Dunque, mio nonno paterno, chiamandosi Pietro, anche lui morto oramai da un pezzo, ci rimase malissimo quando mia madre decise di chiamarmi Stefano. Distruggendo le tradizioni di famiglia… Pietro proprio non le piaceva. Ma, per dare il contentino a mio nonno, come secondo nome all’anagrafe mi diede Piero, sì, come il mio ex zio. Doppia presa per il culo, ah ah.

Sì, la Toscana si è sempre professata portavoce e detentrice della Lingua italiana, è stata la patria del Dolce Stil Novo.

Quindi, Piero, come Piero della Francesca, facevamo molto Santo Stefano rinascimentale. Ah ah.

Mah, la Lingua italiana è una balla che sia stata inventata dai toscani e dal Petrarca. Noi abbiamo origini latine, greco-romane, arabe, sicule, la dovreste finire con questi (capo)luoghi comuni.

Ché poi avrei da dirvene anche sul Petrarca. Sì, non il celeberrimo poeta del cazzo, bensì uno psichiatra da cui andavo, che aveva appunto lo studio a Firenze. Di me, come tutti, non capì una minchia e mi prescriveva farmaci totalmente sbagliati.

Mah, devo esservi sincero. Ho un’amica su Facebook, con la quale vorrei stringere qualcosa che vada oltre la semplice amicizia, con cui curarmi, ah ah, che si chiama M… a Petracca. Sì, Petracca, non Petrarca. E nemmeno patriarca! Secondo me, è molto più brava del Petrarca, ma soprattutto più bona… Che figa la Petracca, sono anni che cerco di scoparmela. Diciamocela! Ah ah.

Lei mi riempie di apprezzamenti ma ancora non si sente in grado, aggradata diciamo, di essere da me riempita di un duro appezzamento… Ah ah.

Sì, con questa salirei… di molti gradi ma devo procedere gradualmente. Ah ah.

Fatto sta che, nei giorni di festa, mi sento sempre infelice. E mi son pure riguardato Changeling, uno dei film più cupi del mondo. Vi è John Malkovich. Non so se lo sapete. Malkovich, che ha aperto vari atelier di moda, si è comprato una casa a Prato, davanti al Duomo. Sì, Prato è famosa anche per essere all’avanguardia nelle industrie tessili. E, tra un film e l’altro, John va a Prato. Adesso, pare che sia a Roma a girare The New Pope del Sorrentino. Sì, vorrei essere John Cusack di Essere John Malkovich, per sapere che cazzo c’è nella testa di uno che, come il Cusack, fa John di nome e Malkovich di viso anomalo…

Malkovich ha sempre avuto la faccia dello psicopatico pedofilo. E gli hanno dato spesso parti da cattivo maniaco come Nel centro del mirino…

Invece, in Changeling, fa la parte di un prete che salva la Jolie dal manicomio e assieme a lei combatte affinché venga punito in maniera esemplare un pedofilo assassino.

Quindi, l’altro luogo comune secondo il quale dalla faccia di una persona capisci tutto… è una stronzata monumentale. Andate a dirlo a quel morto di fame del Lombroso. Secondo le sue teorie psichiatriche di merda, se uno aveva una faccia da lupo, era socialmente pericoloso… Per fortuna è crepato questo porco.

Insomma, dobbiamo evolverci. Perciò, facciamola finita pure coi battesimi e tutto il resto.

Un bambino non ha coscienza e invece i genitori lo battezzano, obbligandolo sin dapprincipio a diventare un cristiano. Lo portano a catechismo e lo indottrinano.

I musulmani, d’altro canto e di contraltare, ah ah, credono a quell’Allah e poi si radicalizzano, divengono fondamentalisti e abbiamo il terrorismo.

I buddisti sono poi quelli peggiori. Visto che, avendo creduto a Cristo, l’hanno preso in quel posto per essere stati troppo buoni, disconoscono il cristianesimo e si danno alla contemplazione. Ma andassero a dar via il culo.

Io abolirei pure il matrimonio. Ché poi, appunto, come mia zia e mio zio, si litiga e il divorzio costa un occhio della testa. E a rimetterci sono i figli.

E finiamola anche coi funerali. Il dolore è qualcosa di pudicamente privato.

Sono orribili i funerali. Muore un tuo caro, la persona a te proprio più cara e, anziché potertene star tranquillo a soffrire in silenzio, devi svolgere i preparativi per la messa, comprare la bara, contattate le pompe funebri e persino sorbirti parenti e amici falsissimi nel giorno dell’ultimo addio.

Sì, i parenti non si scelgono. Gli amici, sì. Le donne, anche. Sì, sono terrificanti i funerali.

Arrivano a farti le condoglianze delle persone a te apparentate solo per albero genealogico con le quali non hai mai avuto niente da spartire.

Che ne so, tu sei un prete come Malkovich e invece un tuo parente è un troione che fa turismo sessuale.

Ecco, vediamo di finirla con questi rituali, con queste falsità.

Di mio, ho appena ordinato l’unica copia rimasta in Blu-ray di Changeling. Edizione inglese con audio in italiano perché in Italia, un Paese d’idioti, il Blu-ray non esiste.

Qui da noi esistono e hanno successo soltanto le idiozie, le banalità, le festicciole, le scemenze.

E ho detto tutto… Ecco, dopo tutte le batoste che ho ricevuto, abiuro?

Io non abiuro manco per la Petracca. Grande figa, la Petracca. Ah ah.

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Annuario di FilmTV e il mio video promozionale su Clint Eastwood


12 Dec

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The Mule di Eastwood dura quanto Gran Torino. Cominciamo molto bene


10 Dec

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Clint Eastwood è proprio un mule. Come me, incarnazione del fascino superbo della nichilistica arroganza


07 Dec

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Eh sì, ieri alle candidature dei Golden Globe Awards, son state commesse due gravi dimenticanze, a mio avviso.

Aver innanzitutto trascurato vergognosamente la performance di Ethan Hawke in First Reformed. Film, come detto, dal finale assai discutibile, ma Ethan ha sfoderato nella suddetta pellicola forse la sua migliore interpretazione in assoluto. E dunque, ripeto, mi par alquanto scandaloso averlo messo in disparte. Speriamo negli Screen Actors… e naturalmente negli Oscar.

E poi ovviamente Clint Eastwood di The Mule. Il film non l’ho ancora visto. Da noi uscirà soltanto a Febbraio. Ma credo, in tutta onestà, che neppure i giurati dei Globes l’abbiano minimamente guardato.

Perché basterebbe questa clip, a prescindere dal valore ultimo, definitivo, complessivo dell’opera, per poter attestare che Eastwood, fosse solo per la sua commovente faccia raggrinzita, tenera e dolcissima, avrebbe meritato la menzione speciale…

Sì, devo confidarvi quanto segue, carissimi e anche acerrimi nemici (in)validissimi.

Io, da tempo immemorabile, mi son appartato, molto schivo, refrattario alla vita sociale, in una sorta di eremitica, perciò virtuosa, vita iper-coscienziosa al di sopra delle squallide piccinerie, oltre le regole falsamente basiche di un mondo ipocrita e pusillanime. E tengo a distanza le chiacchiere, le possibili calunnie che, inevitabilmente, proprio a ragione di questa mia anomala, bellissima scelta esistenziale, mi attiro addosso. Cattiverie inaudite sputate da vomitevoli bocche stomachevoli. Ché m’han stancato, quindi stomacato, disgustato, in una parola stufato. Anche nauseato.

Beceri luoghi comuni atti a prescrivermi istruzioni per l’uso… di questa vita. Come se la vita fosse un casellario, un questionario, un quiz a crocette, una battaglia crociata di rigidi percorsi a tappe per non venir sbattuti al tappeto. A cui adattarsi, improntarsi conformemente remissivi senza battere ciglio, senz’opporci con la nostra, vivaddio, unica, personalissima anima, perfino impura, masturbatoria in ogni senso, autoreferenziale, ombelicale. E semmai omologarci a narcisistici, morettiani precetti malati di solipsismo.

Sì, è stato immenso Goffredo Fofi quando ha bellamente, sottilmente sputtanato Nanni Moretti e il suo accalorato pubblico di pecoroni finti sinistroidi. Personaggini da CGIL che pendevano dalle labbra di quest’autarchico post-sessantottino e hanno sempre aspettato i suoi mediocri, blandi filmetti come fossero irrinunciabili appuntamenti da concerto di Woodstock. E si scompisciavano dinanzi alle sue battute, alle sue tirate d’orecchie, ai suoi “girotondi” in Vespa, a questa sua magnificazione della piccola borghesia apparentemente schierata politicamente ma invero più fascista della maggioranza del sistema da costoro aspramente criticato, osteggiato ma in realtà accettato, a cui sono stati i primi ad abdicare, celandosi dietro ribellioni di maniera, retorici discorsi pazzi in piazza e sventolio di bandiere rosse, dietro trasgressioni fasulle da uomini insinceri, tristi, appagati, facendosela sotto nella facciata tediosamente intellettualistica di una vanagloria ancora più pericolosa e barbosa della Destra più facinorosa.

Sì, so bene io chi è Moretti. Non fatevi ingannare. È uno che, memore delle scopate che aveva con Bianca, ha ficcato… Laura Morante ne La stanza del figlio solo per succhiarle di nuovo il seno. Con la scusa della scena empaticamente coniugale. E ficcò… il cammeo di Jennifer Beals in Caro diario perché, fanatico delle sue cosce in Flashdance, sperava di corromperla per uno stress da vampiro da Campbell Scott di Roger Dodger. Non poteva esserle franco? Che ne so? Andare da Jennifer e presentarsi così:

 

– Sai, Jennifer, dopo il tuo momento di gloria, a Hollywood non ti cagano molto. Io sono Moretti. Un regista molto cazzuto, portato su un piatto d’argento in Italia. Sai, vorrei sbattertelo di Strange Days perché sei una strafiga. Ci stai? Poi posso darti anche una particina… in Aprile, per farti rifiorire come in una maledetta primavera da Loretta Goggi.

 

Insomma, una merda. Ne ho viste tante. Sono quelle ex professorine, ora in pensione e mi auguro presto seppellite, che guardavano tutti i programmi “culturali” di Serena Dandini, strofinandosi la figa marcia con la mortadella di un marito pasciuto alla Gianfranco Funari. Donne dunque più volgari, classiste e cafone delle troie che odiavano. Disprezzavano e volevano bruciare, mettere al rogo. Delle streghe!

Ma cosa insegnavano ai loro studenti? A adempiere al fighetto inculare il prossimo col potere ricattatorio di un pezzo di carta per pulirsi il deretano?

Sì, secondo queste megere vacche, ogni ragazzo che non frequentava il Classico sarebbe stato estromesso dalla società che “conta”. Perché non aveva formato, anzi, io direi formalizzato la forma mentis del cazzo.

In parole poverette come codeste, donnette che avevano figli come Silvio Muccino di Come te nessuno mai, a loro volta pubescenti idolatri di Tarantino e poi cresciuti a moralismi peggiori dell’inquisizione de Il nome della rosa.

Eh sì, dopo averli indotti e indottrinati al Classico, tal mentecatte hanno indirizzato i figli agli studi da Umberto Eco, obbligandoli a non andare allo stadio, ah, roba da sottoproletari orribili, bensì  inducendoli a mentali stadi da “tribuna elettorale”, sì, ficcandoli psicologicamente, oserei dire in modus ermeneutico, semanticamente semiologico a studiare le teorie illogiche di tal fervido, abietto fautore di una delle più grosse stronzate “sintattiche” della cultura oscenamente “giornalistica”, ovvero Scienze delle comunicazioni, facoltà per futuri imbecilli come il “bot”(taniere) Montemagno.

Ove t’insegnano a comunicare per farci capire. Capire che? Come se un articolo di un giornale fosse un graffito preistorico ove, per far comprendere al tuo simile che non sei vegetariano e sei inserito… al vertice della gerarchica scala alimentare, col sangue di porco dipingi di murale un maiale scannato offerto in sacrificio per Natale al popolino come fosse un grasso, lardoso zampone con le lenticchie…

Sì, l’altro giorno, un tale Frattini mi ha attaccato su Facebook. Luogo in cui avevo condiviso la mia video-recensione de L’avvocato del diavolo. Costui, spregevolmente vigliacco, probabilmente di profilo fake senza foto e “credenziali”, ha messo in guardia, ah ah, i futuri fruitori del mio dissacrante video coltissimo, chiedendo loro di non dar retta a un personaggio come me, da tale idiota definito un clown d’avanspettacolo, un poveraccio senz’arte né parte, un guitto imbarazzante, un misero omuncolo che, a suo (ar)dire, non possederebbe la sensibilità artistica, il tatto, il gusto e la culturale perspicacia per addentrarsi in esegesi e disamine che, sempre a sua detta, esulerebbero dalla mia limitata comprensione della realtà e di conseguenza della sua raffigurazione, neorealistica o meno, surreale o visionaria, il Cinema.

Oddio, sto morendo. Frattini. Uno che, ammesso che sia un profilo vero e non un falsario alla Totò de La banda degli onesti, visionando la sua bacheca, pare un morto di fame che posta solo manifesti politicanti, ridicolmente politicizzati più dei peggiori film di Oliver Stone, inveendo contro tutti, sbertucciando l’Italietta unta e bisunta e poi melensamente glorificando i suoi musicali cantanti giovanili. Per un patetico, senile, pensionistico giovanilismo anacronistico da messia ante litteram poco letterato ed erudito, qualunquista e stupidamente partenopeo, floridamente incattivito nell’odio più oscurantistico.

Frattini, sì, la parodia di sé stesso da vignetta di Giorgio Forattini.

Insomma, in tre secondi netti, rispondendogli in chat, l’ho fatto piangere. Credo che al momento sia ricoverato in qualche clinica psichiatrica di Napoli. Città nella quale dice di aver doverosamente svolto il lavoro di direttore di banca, tifando il Maradona dei bei tempi e drogandosi da mattina a sera di seratine “dolci” come il liquore del suo babà. Ah ah.

Sì, uno che non voleva essere un sempliciotto come il compianto, suo concittadino Troisi ma che, a mio parere, trattava tutti come fosse il direttore del circo Massimo, rimanendo ideologicamente al minimo storico. Simpatica bestiolina questo Frattini. Un frustrato che giustamente frustai.

 

Sì, volevano che rinnegassi le mie scelte e ripartissi daccapo. Mortificando il mio io interiore affinché m’immiserissi nel porcile di massa, mercantile e spaventoso.

Vollero che mi curassi per alleviare le mie pene…

Sì, pene, gliel’ho messo in quel posto, ancora una volta.

Perché sono un colorito, armonioso fiorellino.

 

E al mio mulo non piace la gente che ride…0001_100784 rev-1-MUL-01355r_High_Res_JPEG

 

di Stefano Falotico

Preferirò sempre Clint Eastwood a Bertolucci. Ce la vogliamo dire? Bernardo non era un granché


29 Nov

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Sì, ecco che la sparo grossissima.

Bernardo Bertolucci è stato sopravvalutato.

Un uomo di Parma, ove mangiava già il prosciutto crudo e, tra un affettato e l’altro, aveva sviluppato un carattere affettatissimo, con tanto di r moscia da commendatore. Quindi, approdò a Roma, ove si esibì come poeta e scrisse per Sergio Leone, tra una matriciana e l’altra, una matrona e una fontana di Trevi, la sceneggiatura di C’era una volta il West, alleggerendo la rustica poetica leoniana nel magnificare liricamente le forme di Claudia Cardinale con una penna deliziosamente delicata.

Mah, questo Bernardo, in più di cinquant’anni di carriera, non è che poi abbia diretto tantissimi film, eh.

Alcuni dei quali sono sovrastimati in maniera pazzesca.

Sì, visto che erano periodi in cui fermentava l’anticonformismo, ovviamente un film come Il conformista poteva essere molto amato.

Quindi, Ultimo tango… film sul maledettismo, con molti cliché un po’ vecchiotti. Con quest’innominato Marlon semipelato che la pela alla Schneider, ottima patata per i canoni dell’epoca.

Sì, mio padre sostiene che a quei tempi tutti i maschi andarono a vederlo perché non potevano usufruire, a differenza di quel che avviene e “viene” oggi, del porno catodico-internettiano. E solo qualche an(n)o dopo sarebbe andata di moda e di monta Edwige Fenech.

Erano tempi di repressione sessuale immane. Tempi nei quali si aspettava che Laura Antonelli salisse sulla scala per far salire qualcos’altro di malizia…

Capirai che roba…

Sì, gli uomini di quell’era ipocritissima avrebbero poi tutti vissuto tragedie da uomini ridicoli. Strozzati e castrati dal matrimonio e poi negli anni novanta a idolatrare, col linguino di fuori, le vallette di Berlusconi, in un’apoteosi farisea di peccati carnali mai confessati ma solo televisivamente, fantozzianamente sognati. Sogni mostruosamente proibiti…

L’ultimo imperatore è un polpettone interminabile dieci volte peggio di Kundun e Silence.

Sì, appena giravi un colossal “epico”, ti davano l’Oscar. Un film che fa venire due palle enormi, altro film filocomunista abbastanza didascalico, più di Novecento, film della durata di cinque ore e diciassette minuti che, se resisti alla sua visione integrale, ti fanno piccolo Buddha.

Ne vogliamo parlare poi di Io ballo da sola? Con Liv Tyler, la figlia del cantante degli Aerosmith.

Sì, se una ragazza, al pari di Liv, soffriva di strabismo di Venere, l’ottica Avanzi le regalava in omaggio, dopo che costei pagava gli occhiali per allineare la convergenza-divergenza dei bulbi oculari, il film Un corpo da reato. Film nel quale davvero Liv Tyler è bona forte e rese tutti gli uomini ciechi… sì, l’ottica Avanzi è come se, con questo dono, avesse detto alla ragazza a cui fu elargito: non saranno un paio di lenti a renderti bollente come Liv, stai in occhio quando i ragazzi ti schiveranno perché induci loro a farti i malocchi.

Sì, anche John Malkovich è strabico ma ci vide molto bene quando Debra Winger, ne il Tè nel deserto, le offrì la sua “bevanda calda” molto liquida…

John strabuzzò la vista e, arrapato al massimo, adottò una strategia del ragno.

No, Bernardo non era un regista di ampie prospettive visive. Era solo ossessionato dal pavoneggiarsi come contestatore pur avendo più soldi di Benetton.

Molto meglio Clint Eastwood, un texano dagli occhi di ghiaccio.

Sì, lassù Bernardo, assieme a Marlon Brando, leggerà questa mia stronzata. Lui e Marlon si guarderanno in faccia e penseranno: questo Falotico è proprio uno spasso. Ah ah.

 

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di Stefano Falotico

I film da (non) vedere nei prossimi mesi


28 Oct
Rami Malek as the rock icon Freddie Mercury in the upcoming 20th Century Fox/New Regency film "BOHEMIAN RHAPSODY."

Rami Malek as the rock icon Freddie Mercury in the upcoming 20th Century Fox/New Regency film “BOHEMIAN RHAPSODY.”

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Ora, partiamo col dire che l’iper-pubblicizzato Bohemian Rhapsody non m’interessa granché. A parte il fatto che negli Stati Uniti ha ricevuto critiche assai contrastanti ma i biopic sulle rockstar sono in gran parte fallimentari. Non si può pressoché mai sintetizzare la vita di un cantante-mito in due ore e mezza. Prendete The Doors di Oliver Stone. Un brutto film, forse il peggiore di Stone. Innanzitutto, Jim Morrison era molto magro, diafano ed efebico, mentre Val Kilmer ha degli zigomi che paiono quelli di uno che ha preso tanti pugni sul ring. E ha una corporatura ben più robusta di quella di Jim. E vi parlo di quasi trent’anni fa. Adesso, dopo il Cancro, Val è come una mucca da Vallelata della buonanima di mio nonno Pietro. E poi questa pellicola è una celebrazione del maledettismo più bieco e falso, con tanto di scopata selvaggia fra Jim e la giornalista arrapata. E la scena del pompino, pessima, in ascensore con Nico (Christina Fulton, ex figa di Nicolas Cage). Per finire, c’è Meg Ryan, una che non sopporto.

Voi dite ch’è carina. Mah, a me sembra più carina quella dell’autolavaggio di Trastevere. Una bionda che sa come farti sgommare di smorfie meno pneumatiche dell’inespressiva, riccioluta Meg.

I biopic sono quasi tutti agiografici, romanzati, pateticamente nostalgici.

E Rami Malek è ancora un ragazzino. Per quanto fosse omosessuale, Freddie Mercury ha sempre posseduto una faccia da omaccione alla Cruising. Malek invece sembra appena spuntato dall’oratorio, dopo averle prese dal parroco che non ha gradito che Rami adocchiasse suor Aquilina.

Bryan Singer? Singer uguale cantante…

Roma. Il film di Fellini è una mezza boiata, diciamocelo. Perché mai Alfonso, pur ambientando la storia in Messico, dovrebbe aver fatto meglio? Leone d’oro a Venezia? I Leoni come molti Oscar sono inattendibili. E questo mi pare un pastone girato in bianco e nero per spacciarlo come arty sociologica.

Se la strada potesse parlare di Barry Jenkins? Ti manderebbe a fanculo. Meglio, molto meglio Spike Lee con BlacKkKlansman.

A proposito, il tanto da voi amato Adam Driver con le sue orecchie a sventola perché non è stato assunto da Tim Burton per il suo remake liveaction del suddetto, omonimo film della Disney? Tim avrebbe risparmiato in effetti speciali.

A Star is Born? Non ne avevamo abbastanza delle melensaggini di Muccino? Adesso anche Lady Gaga in versione Laura Chiatti? Mah. La Germanotta è più chiatta.

Il primo uomo. Mah, e dire che pensavo che il miglior attore della storia a interpretare parti da autistico fosse Dustin Hoffman. Invece, negli ultimi anni mi son ricreduto. È Ryan Gosling. L’unico demente capace di scoparsi Eva Mendes.

Boy Erased? Ora mi pare che i gay stiano esagerando. Un altro pistolotto sulla cattiva educazione genitoriale. Il padre è Russell Crowe, il buttafuori di L.A. Confidential e Massimo de Il gladiatore. Sempre più identico a Bud Spencer. Ma Spencer faceva ridere i bambini, Russell, ridotto così, fa piangere.

In una sua canzone, Russell disse che voleva diventare come Marlon Brando. Sì, ci è riuscito. Pesa più lui adesso di Marlon quando ha girato The Score.

Credo che l’unico film che m’interessi, a feel good movie, sia Green Book.

Anche The Mule di Eastwood.

 

 

di Stefano Falotico

 

Genius-Pop

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