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La quarantena c’ha provato, stremato, forse pure scremato, tremaste tutti così come io tremai ma si deve remare e l’amore e il cuore non andranno giammai più fermati
Sai che cosa diceva quel tale? In Italia sotto i Borgia, per trent’anni, hanno avuto assassinii, guerre, terrore e massacri, ma hanno prodotto Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di pace e democrazia, e che cos’hanno prodotto? Gli orologi a cucù.
(Orson Welles ne Il terzo uomo).
Sì, mi tengo tutta la mia “pazzia”. Mi fa sentire vivo, reattivo, come devo essere. Parafrasando Al Pacino di Heat.
Una delle caratteristiche che mi contraddistinguono è la mia alterità. In passato, essa fu malvista ed erroneamente scambiata per vacuità da errabondo, per patetismo laconico di un uomo troppo falotico.
Non per risalire a questioni araldiche di nobiltà medievali ma, sinceramente, malgrado mio nonno fosse contadino o, se preferite, coltivatore diretto, è altresì vero che io sia nobile, veramente.
La nobiltà abita, non so se sia abilitata o disabitata, eh eh, nella mia anima e sono disposto a perdonare i villain, pure i villani e gli screanzati che ardirono ad ardermi vivo, desiderando cattivamente che subissi devastanti umiliazioni al fine di dimostrare, assurdamente, da fascisti menomati, non so se meno amati (usando una loro espressione che dovrebbe indurre a un’amara, tristissima risata allineata alle loro battutine coi soliti doppi sensi ambiguamente impliciti e oramai intollerabili), di distruggermi la vita.
Ridendo, beati e contenti, di avermi invalidato. Sai che divertimento da beoti e poveretti.
Mi spiace deluderli. Persero la loro stessa idiozia.
I vecchi rimbambiti mi diedero infatti del vagabondo, le persone superficiali mi stigmatizzarono e inquadrarono entro la definizione di persona cupa e solitaria, pedante, pesantissima e dunque insopportabilmente cogitabonda.
No, non fui certamente James Bond e nessun mistero è chiuso in me alla Turandot.
Insomma, mi diedero del tonto e del poco di buono. Sì, additato che fui da persone cieche nell’anima di essere lento e addirittura paranoico, fui persino accusato di andare con delle prostitute ceche, ovvero provenienti dalla Cecoslovacchia.
Ditemi voi se dovetti, per l’amor di dio, prendermi del puttaniere, gratis e poco amore, dalle madri racchie di questi ragazzi schiappe.
Poiché la gente sospettosa è avvezza a sparlare dietro le (s)palle, come dico io, inventandone tante.
Di mio, posso dichiarare in tutta onestà di essere sempre stato sveglio e mai un vigliacco.
Cacasotto è un appellativo che a me, una sorta di Michael J. Fox di Ritorno al futuro, non si dovrebbe mai dare. Come cazzo si permisero tali impostori?
Anzi, precocemente vigile e di occhio vispo, vegliai già nottetempo sulla scemenza generale anche degli uomini capoccioni e stupidamente caporali. Cosicché, m’assopii (in)volontariamente, pure da obiettore di coscienza di giudizioso servizio civile assai diligente, malgrado abbia sempre odiato i dirigenti, planando in lande più meste e contemplativamente amabili, remote dalle solite adolescenze che constano di ragazzini presuntuosi, oserei dire untori, cafoni e deficienti. Ché danno subito in escandescenza se si sbatte in faccia loro la verità più atterrente.
Minchia, signor Tenente!
Eh già, come i bambini che perdono a carte coi nonni, da loro squallidamente definiti boomer, essi ricusano la sconfitta e rigirano la frittata da totali sprovveduti oltremodo incoscienti.
Paradossalmente, sì, la mia esagerata, prematura e dunque troppo matura sveltezza nel pensiero, stando a contatto con coetanei rimasti parecchio indietro, seppur coprendosi dietro requisiti formali atti a certificare la loro mentale sanità dietro un ipocrita paravento, m’indusse a far sì che gli altri pensassero, per l’appunto frettolosamente, quindi da persone tardive e poco sensibili, che mi fossi addormentato e fossi precipitato in uno stato preoccupante di demenza, adombrandomi nella notte melanconica dei più tediosi lamenti, oscurandomi irreversibilmente nello spettro mio fantasmatico e nel diagnostico, psichiatrico specchio d’ipocondriaci tormenti, rosicando nel vedere le loro vite falsamente, ripeto, contente.
Sì, fui etichettato come persona invidiosa e gelosa, poco sessualmente golosa, diciamocela, malata di mente perfino pericolosa. Che figli di troia. Che facinorosi! Soprattutto faciloni! Dio mio, che farfalloni!
Poiché, già nauseato dalle fandonie di quell’età acerba ch’è l’adolescenza che fa rima con deficienza, ove si misura il prossimo in base a stereotipie peggiori di un’esegesi da italiano medio riguardo la poetica di Fantozzi, con estremo (dis)piacere, lasciai che tali villani assai vili inveissero su di me in modo atroce, sbattendomene altamente.
Sì, bisogna fottersene… bellamente.
Ah, allestirono assurdi deliri sul mio conto. Arrivarono perfino a credere che mi credessi Robert De Niro, il mio attore preferito di tutti i tempi.
Riuscirono addirittura a persuadere uno psichiatra forense che io fossi sofferente di disturbo delirante paranoide.
Al che, servii loro e all’handicappato che mi rifilò una diagnosi falsissima più del suo conto in banca senz’attestati… versamenti fiscali, il mio racconto Disturbo denirante.
Ci sta, secondo voi, come enorme presa pel culo sfacciata e terribilmente irriverente?
Abbastanza, nevvero?
Lottai per anni in tribunale affinché tale equivoco giudiziario nei miei riguardi, eh sì, venisse giustificato di risarcimento sacrosanto.
Nel frattempo, puntualmente, ricevetti altre missive bombardanti la mia dignità. Avendo pochissime prove in mano, reagii di nuovo scriteriatamente. Cosicché, dopo immani strazi, privazioni, osceni sacrifici e un inutile, agghiacciante calvario disumano dei più tremendi, per l’ennesima volta vinsi ogni balordaggine dettami e “attestatami”, essendo io l’unica persona al mondo dimessa, consecutivamente per ben due volte di fila, da un centro di salute mentale.
Ma io sono io. Mica una testa di cazzo qualsiasi. Insomma, questi qua furono proprio dei pazzi da manicomio. Diciamocela!
E ancora, assai presto, battaglierò in aula contro il solito criminale se non la finirà di scherzare in modo decisamente irriguardoso nei miei riguardi. Uno schifoso che mi suscita compassionevole benevolenza.
Sì, come detto, sono magnanimo e perdono questi magnaccia. Sì, questo qui, ancora infamandomi e descrivendomi come persona affetta da fobia sociale, finanche di schizofrenia ebefrenica, andando in giro, calunniandomi a iosa, dicendo a tutti, tutto ridendosela da irredento, che io sia un eunuco con un cervello piccolo quando vuole, con falsa cortesia, usare a mio danno un eufemismo tanto tenero e simpatico, invece malvagiamente offendendomi nel darmi la patente di disturbato, squilibrato e decerebrato necessitante, quanto prima, di psicofarmaci pesanti, quando gli piace e va a genio, non mio, la strafottenza più mendace, ecco… persevera a insultarmi con pusillanimità disarmante, con ingratitudine da burino lestofante.
Costui, dopo il mio volontario ibernamento esistenziale, emozionale ed anestetizzante, come poc’anzi dettovi, le mielose scemenze dei miei coetanei adolescenti, più che altro scemi, pressoché uniformemente uniformati a medietà conformiste imposte dai loro genitori all’apparenza grandi, invece castranti, quindi terribilmente arroganti, assieme a quella frigida repressa di su’ mamma, eh già, ancora insiste nel definirmi un bugiardo. Dietro una tastiera, naturalmente. Ove ogni porcata, se non opportunamente denunciata, segnalata e prestamente punita, passa gravissimamente inosservata.
Al che, liberatomi dal gravame delle infondate accuse che dal cielo mi piovvero, non ci piove che, finché tale stronzo non avrà sputato tutto il rospo, smerdandosi tutto nel vasetto, eh sì, tale bimbetto da me non sarà, per nessuna ragione al mondo, minimamente scagionato né perdonato.
Gli piace perseguitarmi, dandomi del maniaco e dell’invertito.
Vediamo invece se, unendo le forze congiuntamente coi miei attuali amici, i giochetti suoi invertiremo.
Se la sta già facendo nelle mutande?
Ah, ebbe il coraggio di dire che fui io uno che mentì a sé stesso per rifuggire una realtà che, a suo avviso, a tutt’oggi per me sarebbe inaffrontabile.
Ma per piacere, poveri pazzi e tapini rivoltanti. Sì, includo, in tale j’accuse, non solo il mentecatto, bensì tutta la sua razza di storpi e malati…
Atto accusatorio senza fronzoli!
Su’ mamma…
Oh, figliuoli, parliamo di una donna fintamente cattolica, giudaica e apostolica che sognò di essere una diva di Hollywood e si ridusse a recitare in parrocchia le sue versioni, non di latino e greco, bensì delle più leziose, francesi commediole.
Ecco come si spurga la donna bebè…
Ah, diciamo che col tempo m’indurii. Sì, fui un duro sin dapprincipio. Poi, a contatto con gente senza coglioni che mi diede del coglione, m’ammosciai in modo rude.
Ma forse sono Bruce Willis di Die Hard?
Ah, bolognesi che mi considerarono alla stregua di una negrona… ah ah, il cui unico, vero interesse culturale fu stressarmi, spacciandosi per intellettuali del cazzo.
Sì, che due marroni… gente che non conoscerà mai Gli amanti del Pont-Neuf e, soprattutto, Juliette Binoche di Cosmopolis. Ah, Juliette fu sempre donna di bellissime cosc’ da infarcire di crema dolce fuoriuscente da tali cornuti, no, da questi cornetti salati, detti mondialmente brioche.
Si sfaldano presto in bocca appena li addenti. Si sciolgono come un caldo soufflé.
Di mio, mi presero per bimbo poiché adorai i Sofficini e i Bastoncini della Findus.
Comunque, mi chiedo sempre come riuscì Ralph Fiennes, in The English Patient, a esserle così paziente.
Sì, dinanzi a un’infermiera come la Binoche, parafrasando Totò di Totò Diabolicus, siamo tutti dei pazienti che non hanno pazienza. E basta con Andrea Pazienza!
Per colpa di tali impostori, divenni Paz! Invece conoscono benissimo Apocalypse Now…
Ah ah!
Credettero che soffrissi di solitudini spaventose da Hotel paura!
Comunque, sì, lo ammetto spudoratamente, senza vergogna alcuna, divenni bergmaniano, amante perfino di Un’altra donna di Woody Allen e patii parecchio L’insostenibile leggerezza dell’essere.
Recitai, a tarda notte, pure il rosario in maniera ossessivo-compulsiva da Giovanna d’Arco della minchia.
Di mio comunque, eh sì, al Cinema di Bresson, a prescindere da Il diavolo probabilmente e dal mio essere inevitabilmente caduto in un’apatia all’epoca indubbiamente deprimente, preferii e tutt’ora prediligo Luc Besson. Anche se rimasi Milla Jovovich de Il quinto elemento.
Questa è bella, è bellissima, ah ah!
Sì, va detto. Milla è una gran figa.
E, a proposito di Bob De Niro, in Stone tradì tutti gli accordi con Edward Norton. Il quale, pur di scontare la sua pena, consegnò la patata di sua moglie, incarnata da Milla, al Bob volpone e assai porcellone.
Il quale, a sua volta, non tanto scontò il suo pene. Eppure lo scottò con lei… mica tanto da uomo perbene…
Ah, vite bruciate come la villa di Bob nel film. Povera Frances Conroy. In Stone, suo marito è un porco, in Joker, cazzo, suo figlio ce l’ha con un porcellino poiché, per colpa della politica di suo padre, Thomas Wayne, un capitalista più bastardo di Mel Brooks di Che vita da cani!, Arthur Fleck divenne un lupo mannaro americano a Gotham City…
Cazzo, roba più demenziale dell’appena succitato Brooks. Roba da John Landis!
In The Score, invece, Ed Norton pensò di essere più bravo, con metodo Actor’s Studio, di Marlon Brando e di De Niro stesso.
Sì, che bella figura… che bella fighettina…
Andiamo avanti. Al Jean Reno di La ragazza nella nebbia, preferisco mia madre. Anche se, in passato, divenne troppo religiosa. A Cose Nostre – Malavita, preferisco invece Léon.
A Natalie Porman di Heat, preferisco quella di Closer. Ragazza di ottimo culo, mica una matta sfigata poi ritrovata come ne Il cigno nero.
Ce la vogliamo dire? Il film di Aronofsky è una mezza puttanata e forse il caro Oscar dato a Natalie, eh sì, col senno di poi possiamo considerarlo davvero regalato.
Una sorta di premio simpatia nei confronti del suo personaggio di ragazza sessualmente frust(r)ata.
A quella di Thor, invece, preferisco Naomi Watts di Birdman. Ah ah.
Al Cinema di Renato De Maria e al Padre Nostro di tua sorella, sì, preferisco Gli spietati di Eastwood.
E quell’altro? Ne vogliamo parlare di Scamarcio ne Lo spietato?
Ancora rompe il cazzo a fare il malavitoso dei nostri stivali? Ma non fu da Keanu Reeves, in John Wick 2, inculato più di come la sua ex, Valeria Golino, si lasciò da lui stesso, cioè Riccardo (non tanto Cuor di Leone), tranquillamente sodomizzare?
Che poi… anche Valeria. Dovrebbe chiedere la cancellazione, dalla sua filmografia, de La puttana del re.
Tanto, basterebbero già Hot Spots! e Respiro per capire che non fu attendibile ne La guerra di Mario.
Di mio, posso dire che me ne tirai parecchie sull’ex ballerina Lorenza Mario, da anni non torno al mare e, a La Mer, celeberrima canzone melanconica per depressi oramai affogati irrecuperabilmente nell’oceano delle loro tristezze melmose da merdosi, preferisco fare un po’ la merda stupendamente odiosa.
Sì, stronzeggio quando gli altri troppo sulla mia vita cazzeggiano.
Qualche mese fa, chiesi un parere a una tizia:
– Sono di Bologna come Stefano Accorsi. Secondo te, gli assomiglio?
– Sì, sei simile a lui in Radiofreccia e in Un viaggio chiamato amore.
– Cioè, in modo cortese, mi hai appena detto che morirò suicida poiché pazzo come Dino Campana.
– In effetti, qualcosa del genere.
Ah, non dovete mai dare retta a Le fate ignoranti. Poi, uno crede davvero di avere Saturno contro. E si lascia travolgere dalle paranoie e dalle delusioni, tipici elementi che scatenano la schizofrenia apatica.
Accorsi è comunque un falso. Siamo tutti bravi a celebrare l’amore quando stiamo con Laetitia Casta.
Ma se lei ti lascia, ecco, non hai molte vie di figa, no, di fuga. Puoi mangiare le fave di Fuca, puoi diventare casto oppure leccare il culo ancora a Gabriele Muccino per rimanere tanto “Maxibon” e carino.
Infine, puoi venire, no, divenire il paziente, ricollegandoci al discorso sopra fattovi, de La stanza del figlio.
Baciami ancora? Ma che cazzo stai a di’!?
Se perderete un figlio, comunque, lasciate perdere Nanni Moretti. Non basta un barattolo gigantesco di Nutella per tappare il lutto. So io cos’è Bianca…
Lasciate anche stare film come Jack Frusciante è uscito dal gruppo. Ah ah, di Enza Negroni. Una che mai si spostò da Bologna e, anziché girare vero Cinema, girò film pseudo-educativi come Rotta per il Pilastro. Meglio il Cremlino a queste donne da Cremino.
Di mio, da piccolo m’iscrissi a Nuoto alla piscina Record del quartiere, per l’appunto, Pilastro. Imparai a nuotare da solo durante giornate piene di Sole e, piuttosto che fare la rana, preferii essere un principe del giuoco della palle come Lionel Messi. Sì, giocai a Calcio sino a diciott’anni, arrivando fino alla categoria Juniores.
Poi, mi fu chiesto di andare in prima squadra. Ancora una volta, mi buttai viai. Dovrei prendermi a calci nei testicoli? Sì, sono un testone! Alla Negroni, al Negroni, alle negrone, a Nerone, al Martini e al mojito, preferirò sempre Dolls di Takeshi Kitano e Le iene di Quentin Tarantino.
In passato, non ebbi Paura d’amare. Bensì, paura di soffrire. Allora, soffrii del tutto come il protagonista de Le onde del destino. Ecco, dopo questo scritto, ora capite bene che il Kobra non è un serpente…
Ci siete arrivati, finalmente? Di mio, non sono pazzo come il cattivo di Cobra ma non sono neppure figo come Sylvester Stallone. Infatti, sono più intelligente di entrambi. Finisco così…
Su Facebook, un tizio scrisse: Joker è una cagata pazzesca. È molto sopravvalutato.
Al che, gli risposi con questa freddura:
– Perché? Tu non lo sei?
Quindi, lui gridò, inferocito!
– Che vorresti dire? Che sono una merda d’uomo?
– No, hai frainteso.
– Ah, menomale. Perdonami se ho equivocato.
– Sì, scusami. Volevo solo dire che, per quanto mi riguarda, puoi avere anche tre lauree e due donne di nome Laura.
Ma, lasciatemelo dire, secondo me di Cinema non capisci un cazzo.
– Capisco almeno di figa? – mi chiese lui, spaesato.
– Non lo so. La tua ragazza mi disse di no.
– Che cosa? Conosci la mia ragazza?
– No, non la conosco.
– Ah, perfetto.
– La conobbi ieri sera – risposi io con sesquipedale nonchalance.
Costui rimarrà sconvolto a vita. La sua ragazza di più. Ah ah.
Per quanto mi riguarda, comunque, non sono cazzi vostri.
Intanto, sono diventato il re dei fan di Anna Falchi. Ma sì, ne andai matto.
Mi sa che abbisogno di tornare alle belle donne come la mia donna attualmente amata.
Basta coi moralismi delle bruttone e delle fallite.
E, dopo la giacca incazzosa di Drive, presto a casa arriverà a casa mia una di queste due giacchette da vero maschilista amante del piacere più verace.
Ah ah.
Se non vi sta bene, mi sa che farete la fine di Leo DiCaprio di Shutter Island. Eh già, non gliela potete fare neanche se vi reggesse il gioco un amico buono come Mark Ruffalo. A voi non basterebbe nessuna cura da Ben Kingsley.
Vi credeste grandi, puttaneggiando con Gandhi ma, onestamente, siete soltanto degli ipocriti.
Ricordate Ove the Top, miei topi.
Falco sono io. Volete affrontarmi? Ok, Poi però non piangete.
di Stefano Falotico
I critici di Cinema non sono Clint Eastwood
Le teorie cinematografiche sui critici di Cinema: tutto dipende dalla genetica? Dall’ermeneutica? Dalla cultura e dal grado (dis)informativo? Dal cosiddetto “ambientificio?”
Ora, il termine ambientificio non esiste in italiano ma gli psichiatri lo usano spesso e l’hanno coniato apposta per denominare le condizioni ambientali in cui un essere umano è nato e/o cresciuto. Potremmo associarlo, con un termine più proprio della classificazione animale e figlia delle teorie di Darwin, come habitat.
Ovvero, il luogo d’origine, di provenienza, di abitazione, per meglio dire di ubicazione in cui una persona è nata, per l’appunto, è cresciuta o convisse. Oppure ancora stia convivendo, semmai vivendo pure una non vita. Semplicemente omologata all’ambiente circostante per sopravvivere.
Dunque, la persona in questione assume e introietta, spesso inconsciamente, degli stili di vita e di comportamento atti a non farsi allontanare, evitare, emarginare, estirpare, finanche evirare non solo dalla sua stirpe, bensì dalla razza ambientalistica in cui sta. Razza che, peraltro, può essere formata pure da donne animaliste oppure da uomini idealisti, addirittura ambientalisti. Oppure, una razza paradossalmente costituita da uomini e donne razzisti. O sessisti, sessuofobi, chiesastici, moralistici, ipocriti, bigotti o, di contraltare, troppo libertini, libertari, incoscienti immorali o partoriti, (in)generati e degenerati, allevati e forse già subito non alleviati da una famiglia morta dentro e fuori, quindi esistono anche gli orfani che crescono, giocoforza, in ambienti collegiali formati da suore repressive, da preti ped… li, da sagrestani con la parrucca invero più parrucconi non solo del parroco volpone, bensì di quelli che frequentano, nel proprio quartiere, la loro parrocchia. Abbiamo allora donne che vanno sempre dalla solita parrucchiera, uomini barbosi e barbuti che non si tagliano mai i peli del naso, i leziosi ed esigenti che cercano perennemente il pelo nell’uovo, abbiamo un uomo che non sa cucinarsi le uova poiché cresciuto da una madre che combinò, sin dapprincipio, a lui una frittata, facendolo impazzire anzitempo come una maionese mal mescolata, abbiamo uomini fintamente mascolini con pochi neuroni, dunque con un cervello senza muscoli. Dei coglioni? Nemmeno quello che sta in mezzo alle gambe funziona tanto cazzuto. Poiché l’eccitazione parte dall’ipofisi e, se il cervello è fottuto dalla nascita, l’uomo suddetto che n’è affetto, freddo, rimarrà al massimo un cazzone che, in palestra se la suda, in qualche balera con delle balene se la suona e se la canta ma, sinceramente, nessuno se l’incula, nemmeno sé stesso fotte poiché è talmente inconsapevole della sua stessa persona che non sa nemmanco mandarsi a fanculo da solo in masturbatori momenti autoironici.
Al che abbiamo gli esaltati innati, figli di genitori totalmente incoscienti dei propri limiti, mentali e non, che sin dai loro primissimi anni li comanderanno a bacchetta. Non saranno dei bacchettoni, anzi, peggio. Dei coglioni. Ripeto!
Poiché, credendo erroneamente di essere persone migliori delle altre, redarguiranno i figli ancora prima che da soli possano sbagliare, dunque imparare a vivere, interiorizzando da sé le emozioni, in maniera naturale e non forzata, atte a sviluppare la propria unica personalità in modo autonomamente giudizioso e critico nei confronti di una realtà perlopiù formata da idioti. Tutti assoggettati a valori che, soventemente, combaciano con la parola disvalore nell’accezione, questa sì, che va per la maggiore.
Secondo la dottrina gnostica, l’umanità si divide in tre categorie. Le conoscete? Documentatevene.
Secondo la psichiatra della minchia, che cos’è il Super-io? Stando alla generalista Wikipedia:
Con il termine Super-io (originale tedesco Über-Ich) o dalla resa in lingua latina Super-ego, secondo la teoria freudiana, si indica una delle tre istanze intrapsichiche che, insieme all’Es e all’Io, compongono il modello strutturale dell’apparato psichico ed è quella che, secondo lo stesso Freud, si origina dalla interiorizzazione dei codici di comportamento, divieti, ingiunzioni, schemi di valore (bene/male; giusto/sbagliato; buono/cattivo; gradevole/sgradevole) che il bambino attua all’interno del rapporto con la coppia dei genitori.
Inizialmente il padre della psicoanalisi aveva distinto all’interno della personalità due dimensioni: una conscia ed una inconscia; in seguito opererà una suddivisione della personalità nelle tre sfere sopra elencate.
Il Super-io è costituito da un insieme eterogeneo di modelli comportamentali, oltre che di divieti e comandi, e rappresenta un ipotetico ideale verso cui il soggetto tende con il suo comportamento. «È una sorta di censore che giudica gli atti e i desideri dell’uomo»[1].
Attraverso tale istanza si determina un meccanismo che porta alla frantumazione dell’Io ed alla sua successiva modificazione, in quanto vengono da esso assimilati modelli derivanti da imposizioni altrui. Il Super-io, infatti, scaturisce dal bagaglio culturale e formativo acquisito sin dall’infanzia dai genitori ed in seguito da altri eventuali educatori.
Se quindi, da una parte, tale sfera riveste una funzione positiva, limitando i desideri e le pulsioni umane, dall’altra, causa un senso continuo di oppressione e di non appagamento.
Ora, nel novanta per cento dei casi, spesso umani, in senso bonariamente dispregiativo, una persona non cambierà più, arrivata a una certa età. E anche la frase stupida di David Lynch, autore di Mulholland Dr., pellicola che manda a farsi fottere le istanze psichiche o che dir si voglia psichiatriche, agendo di nonsense da Strade perdute, ecco, fa pena.
Lynch infatti, in un momento d’infantile delirio d’onnipotenza, espresse una frase apodittica e assolutistica, non so se paradigmatica, onestamente poco utopistica e miracolistica, certamente dogmatica e onestamente stupida, ovvero:
le persone non cambiano, si rivelano.
È una frase stolta poiché, invero, le persone non cambiano anche quando si rivelano. Cioè, semmai appaiono veramente per ciò che, dapprima, non apparvero. Che è la stessa cosa, anche no.
Delirio! Sono le persone attorno a loro che, rimanendo scioccate e stupite, forse istupidite, dinanzi a quello che considerano uno stupefacente mutamento incredibile, essendo ottuse, poiché non possono cambiare in quanto oramai figlie del Super-io immutabile da loro sviluppato, della loro idea rimangono. Al che gli idioti la penseranno sempre allo stesso modo anche se, per educarli, li spedisci ai lavori forzati.
Oppure, un omosessuale, anche se obbligato ad accoppiarsi con una donna, finito che avrà di accontentare chi lo costrinse ad andare contro natura ed entrare in quella “radura”, non so se dando soddisfazione alla donna milf o immatura, tornerà omosessuale. Statene sicuri! Comunque, slacciate la cintura. E un ascetico, anche se spinto… nella società porcellesca, anziché omologarsi agli ilici, tornerà psichico. Che c’entra questo coi critici di Cinema? C’entra, eccome. Se un uomo, per esempio, non ama Silence o Il cavallo di Torino, significa che la sua vita è troppo incentrata su una quotidianità “normale” e frenetica per permettergli di riflettere sul senso dell’esistenza. Diciamo che è troppo preso dalle comuni istanze sociali e dalle bestiali stanze del porcile di massa. Attraverso questa mia teoria, potete identificare il modus operandi non solo di un critico ma anche di una persona cinematograficamente ignorante.
Comunque, al cavallo di Torino, preferisco Gran Torino e, a quello di Troia, quello dei pantaloni…
Sono un uomo che garantisce freddure a iosa. Sa anche regalare una rosa e indossa un golfino grigio pur rimanendo caloroso e roseo.
Uomini, non dovete scopare le mule, bensì amare The Mule.
di Stefano Falotico
La Critica pretestuosa nel Cinema e nella vita – Cento scuse false per stroncare un film o una persona
Forse il Cinema, in fondo, a essere sinceri, è morto.
La Critica non esiste poiché tutti vogliono avere ragione. Ma in verità vi dico che la ragione è mia, in quanto son illuminista profetico, raziocinante e poetico che non sbaglia un colpo come Sam Rothstein di Casinò, ah ah.
Sì, io al volo capii sempre le cose e seppi, in tempi non sospetti, che avrei indovinato tutte le mosse giuste nel tavolo verde della vita. Poiché il dado subito trassi, soprattutto quello della Knorr e presto, per via della mia sveltezza di pensiero lungimirante e troppo oltre, divenni precocemente depresso in modo smisurato, persino iracondo. Mescolando, a tarda sera, un brodino per poi bere un crodino come Spider di Cronenberg.
Rimembrando anzitempo, a mo’ di Strange Days, sui miei sogni perduti, scioltisi e liquefatti nel me oramai annegato nella perdizione d’uno spazio-tempo corroborato soltanto dalla vivacità estemporanea delle mie passate, memorabili memorie.
La gente attorno a me mi disse che non avrei dovuto fissarmi nell’imbrodarmi, per l’appunto, sulle mie prodigiose gesta eroiche della prima adolescenza, arenandomi nella nullafacente magnificazione del carisma derivatomi da un passato glorioso e felice. Poiché, ancora troppo giovane per disperarmi e celebrare, dunque, solamente i tempi migliori del mio me oramai smarritosi nella recondita reminiscenza delle mie trascorse glorie, non potevo arrendermi.
Ma mi arresi presto. Lo affermo con orgoglio totale. Non rinnegando la mia scelta esatta e impeccabile.
Oserei dire implacabile, temuta e da tutti osteggiata, combattuta e zittita con ricatti e perfino con ricoveri coatti al fine che diventassi, come quasi tutti, un gioviale e superficiale coatto e la smettessi di adombrarmi nella stupenda, incantevole topaia confortevole della mia vita da ratto, lontano/a dalle zoccole e dalle baldracche, dalle risate facete e dalle maschere d’una società a pecora più d’un formaggio sardo.
Sì, una società cieca e sorda. Brava solo a innalzare squallidi trofei sconci d’una vita tronfia, diciamocela… da stronzi.
Poiché, come sopra vi dissi, come Sam Rothstein vidi già giusto, profetizzando anche la mia rovina inenarrabile ch’eppur io qui, nelle righe seguenti, vi racconto.
Basti vedere C’era una volta a… Hollywood, una delle peggiori disgrazie del Cinema contemporaneo.
Guazzabuglio di nostalgico, patetico passatismo buono per gente oramai alla frutta che gusta i film tra il pelare le patate e leccare un sorbetto, sorbendosi questa minchiata micidiale che non darei da vedere neanche a un malato terminale nel letto d’ospedale che non può mangiare nemmeno un passato… di verdura.
Sì, è un film da flebo, liofilizzato pastrocchiato di banalità a buon mercato, un profluvio di leccate di culo allo spettatore cinquantenne pasciuto in stato contemplativo della Hollywood degli anni d’oro e dei suoi glory days oramai affievolitisi in un’esistenza monotona, grigia e imbrunita nel tedioso avanzare dei giorni tutti uguali e procedenti nella putrescenza marcescente del buonismo elegiaco e vano.
Film da vedere, stravaccati sul divano col vino in mano.
Ah, vite orrende s’allineano e assiepano nella mestizia della loro sconsolatezza immonda.
Giornate scandite dalla tristizia alternata alla finta allegria di facce contentamente false di gentaglia che, dopo aver timbrato il cartellino, soprattutto d’una vita opaca, mestamente nella noia più soporifera scivolata, tristamente ci s’adagia sul divano, per l’appunto, in maniera non più scanzonata come il panzone Homer Simpson, stanco pure della moglie che prepara soltanto l’insalata, azionando il tasto play del lettore Blu-ray del cazzo. Che promana tale immane cagata tanto orridamente da molti incensata, da poco in home video distribuita e sfornata.
Sì, un polpettone indigesto che non manderei giù nemmeno con l’amaro Montenegro dal sapore vero.
Per fortuna, questa pellicola da voltastomaco fu poco oscarizzata.
La carriera di Tarantino, checché se ne dica, terminò con Jackie Brown. Salvo qualche scena del dittico Kill Bill, comunque altro minestrone d’aria fritta condito con wuxia e la tuta, non fuxia, bensì gialla della bionda Thurman Uma, donna per l’occasione dimagrita quasi in modo anoressico, malgrado il muscolo tirato a lucido soprattutto dello spettatore in là con l’età che spara, onanisticamente, le ultime cartucce nell’ammirare le pose plastiche dei movimenti pelvici di Uma come un maniaco bavoso alla David Carradine senza vergogna. Sperando che, fra una mise e l’altra, Uma indossi finalmente, come si confà a una donna, un’eccitante gonna.
Poiché Roberto Vecchioni docet… voglio una donna… prendila tu la signorina Rambo…
Sì, l’ammiratore di Kill Bill è un uomo âgée che fa il guardone marpione nella speranza che Uma, nel suo farlo… incazzare, no, focosamente arrapandolo, no, potentemente arrabbiandosi, mostri un po’ più il décolleté e si svesta lestamente di déshabillé. Ma questo viene, no, non avviene manco per il cazzo e sono solamente contro cazzi da Eddie Bunker/Mr. Blue de Le iene.
Un uomo, Edward, che in carcere s’indurì tantissimo ma, a differenza di molti ex detenuti che, ritornati alla vita normale, furono inteneriti da chi ancor di più, già dapprima stigmatizzandoli, li rese poi emarginati, seppe mantenere un profilo di estrema dignità, riciclandosi come scrittore hard, sì, boiled, di pregevole qualità.
Senza disconoscere le sue colpe, proseguì per il suo percorso, fottendosene dell’orgoglio.
Eddie si recò spesso in yogurteria a tarda sera, ordinando un gelato all’amarena. Leccandosi in baffetti con aria furbetta. Quindi, finito di sgranocchiare il cono, tornò a casa. Succhiandosi i polpastrelli e poi digitando su una tastiera della Olivetti da Bukowski della situazione poco cremosa.
Poiché lo sa Marsellus Wallace di Pulp Fiction… mettiglielo tu nel culo.
Per il resto, i film di Tarantino sono merdaccia da ripulire nel bidet.
Basta, bando alle ciance. Il Cinema non è fatto solo di dialoghi da Bastardi senza gloria, di Christoph Waltz ispirati e di Brad Pitt coi capelli svolazzanti nel vento dell’ebrezza, anche ebbrezza, dei sogni perduti e, come detto, oramai svaniti nella magra consolazione di malinconiche celebrazioni alla bona come Margot Robbie, no, alla buona come il suo finale buttato via e girato malissimo.
Per l’amor di dio, sì, Dio vi scampi anche da The Hateful Eight. Un film che vorrebbe essere Rapina a mano armata, già ispiratore di Reservoir Dogs, in salsa western pasticciata. Con tutte le incongruenti analessi incorporate e attori onestamente lessi. Un film ove tutti fanno la figura dei fessi, compresi i sopravvissuti alla fine poiché non bisogna magnificare Abramo Lincoln, anche lui non esente da colpe inequivocabili, bensì accarezzare, sotto un camino caldo, il vostro cane Lassie.
Io ben lessi, cinematograficamente parlando, questo filmaccio? Sì. Onestamente, Tarantino non saprebbe e non saprà mai scrivere come Shakespeare poiché potenzialmente potrebbe ma mette troppa carne al fuoco ed esagera col gore nei suoi film da scoppiato, chissà se poi davvero dalla Thurman scopato, tanto da renderli quasi degli horror, degli splatter insipidi più del finale bruciante di Once Upon…
Che quella Jennifer Jason Leigh, sì, quella lì, si sciacquasse il viso col sapon’. È proprio una zoticon’.
Lungo il mio cammino da Richard Gere de Gli invisibili, grande film che si mangia tutte le stronzate recenti di Quentin col solo pauperismo della verità più assoluta e schiacciante, un film che non è un giocattolino alla Tarantino, bensì uno squarcio esistenziale amarissimo eppur onestissimo su un uomo oramai irreversibilmente irrecuperabile e impazzito, sì, lungo la mia strada incrociai persone ingrate, completamente irriconoscenti e integralmente incoscienti.
Su Facebook avvengono episodi, oserei dire, di efferatezza grottesca da lasciarmi rabbrividito e sempre più costernato.
Gente con cui la sera prima andasti bere una bionda, ti cancella inopinatamente dalle amicizie solo perché avesti l’ardire, in merito di Cinema o di Politica, di contraddirla.
Poiché questi qui, anti-democratici, desiderano sempre avere ragione. Diventando dunque come Sam Rothstein, ah ah.
Qualche sera fa, oh sì, ve lo dico… una ragazza, la quale ancora campeggia trionfante sulla cover di un mio libro noir con qualche passaggio indubbiamente piccante, io m’avvidi che mi tolse da FB in maniera inusitata e inopportunamente fetida.
Le chiesi, tramite mail, la motivazione di tale sua decisione sconsideratamente bastarda.
Lei mi disse che, malgrado sia entusiasta di essere la protagonista della mia copertina, col senno di poi pensò che la gente avrebbe potuto credere che fra me e lei poté esservi stato o esservi qualcosa di più intimamente ficcante di un rapporto professionale decisamente disinteressato.
– Perché l’hai fatto? Non abbiamo avuto un rapporto an… e.
– Sì, non abbiamo avuto mai nessun rapporto. Sinceramente, ho solo intascato i soldi dei diritti d’immagine.
Complimenti, continuiamo così.
Ogni pretesto è buono per non ammettere il vero. Il vero è che queste persone meritano soltanto una lezione.
Così come Tom Hanks di Philadelphia non fu licenziato poiché poco efficiente sul lavoro, bensì malato, queste persone elidono gli altri solamente perché sei troppo grande per loro, sotto ogni punto di vista.
E vogliono solo ridere e ballare come idioti, godendosela da matti alla faccia dei coglioni che, dopo la loro morte, lasceranno qualcosa.
Che sia brutto o bello, i poeti, dunque i matti, non vissero solo di chiacchiere e di trombate, di pasta asciutta e di du’ spaghi.
Ed è per questo che, secondo me, Clint Eastwood è il più grande.
Poiché, anche quando leggermente retorico o troppo classicista, smaschera ogni ipocrisia con indubbia raffinatezza da signore d’alto stile che se ne fotte di queste oscene, fradicie lotte fratricide fatte di corna, gelosie e invidie.
Sarebbe, in effetti, come dire che Blade Runner non sia un capolavoro perché derivativo di Metropolis.
Allo stesso modo, sarebbe come affermare che Joker non sia un masterpiece poiché copia da Taxi Driver e da Re per una notte.
E che Todd Phillips sia solo il regista di buone commedie lontane anni luce dai primi capolavori di Tarantino.
Dunque, la Critica, la cosiddetta intellighenzia di scemi e leccaculo, eh già, aprioristicamente già decise che Phillips non sarà mai Tarantino.
Infatti, è meglio. Attualmente.
Tarantino ha stufato.
Il Cinema lo conosco meglio di lui e, in tutta franchezza, le sue trovate antistoriche non mi paiono affatto geniali o stoiche. Bensì delle agiografie dei cazzi suoi.
Meglio essere aristotelici, anche aristocratici.
Così è, il verdetto è emesso.
Così sentenzio Dante Alighieri, no, come disse Salvo de Il grande fratello, il giudice Sante Licheri.
Di mio, che posso dirvi?
Non lavorerò mai, statalmente e comunemente parlando. Scriverò libri e recensirò film, avendo pienamente ragione sulla Storia e sulla mia vicenda incredibile, giudicando con severità i cretini e gli ignoranti, soprattutto in fatto di anime altrui, vivificandomi nel vento e rivivendo una volta che sarà finito questo coronavirus maledetto.
E camminerò con nonchalance, cazzeggiando a destra e a manca.
Se non vi sto simpatico, noleggiatevi un film di Muccino e date da mangiare alla gattina.
Poi, signor Leo DiCaprio, cos’è questa panza qui?
Ah ah.
Sì, dicasi panza di un attore oramai imbarcato. Eh già, guarda che yacht. Guarda anche che nuova mignotta.
Sì, Camilla Morrone. Ma vi sembra che Rick Dalton debba stare assieme a questa rompicoglioni della minchia? E, su questa freddura finale, vi lascio e proseguo nella quarantena.
Ripeto, per me non è un problema.
Dalla nascita, vivo in quarantena.
A voi, invece, poveri ilici, se tolgono il vostro aperitivo il sabato sera, vi viene lo sturbo.
Scusate il disturbo. Finita la quarantena, potrete continuare a prendermi per il culo. Perseverando, ottusamente, a dirmi che dovrei crescere e andare a puttane come tutti.
Siete accomodati. Chi è il primo? Si faccia avanti.
Non vorrei però che, con sua somma sorpresa, non avesse capito che ora sono più cattivo di Cliff Booth e Charles Manson mischiato alla crudeltà di Polanski. E potrebbe, quindi, farsi molto, molto male.
Sì, non sono cambiato. Almeno prima ero felice nella mia pazzia sana. Adesso non ho neanche più quella.
Sì, sono l’unica persona al mondo dimessa per ben due volte consecutive da un centro di salute mentale.
Ma, oltre alla quarantena innata, ho anche quarant’anni e pure il Cinema non mi piace più. O forse di più poiché la vita reale, sociale come direste voi che scambiate la socialità per animalità, non fa per me e mi pare sacrosanto che sia libero di vivere dei miei sogni, reali o no,
Una delle più grosse tragedie che la storia ebbe mai. Al cui confronto, lo stupro a Sharon Tate fu una barzelletta.
Ed è quello che certe persone si meritarono con la loro arroganza, la loro supponenza, la loro tracotanza e con le loro panze da sapientoni che, sottolineo ancora, non combinarono niente di buono.
Se non passare il tempo a sentenziare in modo illecito e cattivo. Ma, in tutta onestà, non sono neppure cattivi come Sentenza/Lee Van Cleef.
Almeno lui ebbe carisma da vendere. Questi oramai sono da manicomio.
E mi pare anche sanissimo che ora soffrano come cani.
di Stefano Falotico
Compagni di scuola – Recensione del film (?) di Carlo Verdone
Ebbene, m’accingo qui a distillare la verità assoluta e incontrovertibile riguardo Compagni di scuola.
Film lontano anni luce dalla visione mesmerica e trascendente, onirica e cupa della mia esistenza non ancora caduta o perduta, bensì certamente caduca.
Provocato involontariamente da un mio contatto Facebook, il quale l’altra sera postò nella sua bacheca un frame di tale inguardabile e indigeribile pellicola di Carlo Verdone, magnificandola e incensandola in forma del tutto poco necessaria e, a mio avviso, totalmente fallace, intendo nelle prossime righe sentenziare in merito a questa cagata bestiale.
Tale mia apparente scurrilità dovete subito perdonare poiché trattasi indubbiamente di un film che fa, senza se e senza ma, oggettivamente cagare. Una diarreica galleria di attori, perlopiù natii di Roma, figli d’arte o di papà, probabilmente (mal)educati in licei classici capitolini da bravi, si fa per dire, signorini della borghesia agiata stazionante non a Termini, bensì forse già (s)terminata nell’aver perso il binario dalla nascita.
Vi ricordate, in Bianco, rosso e verdone, Pasquale, emigrato che ritornò in Italia per le politiche elezioni nazionali?
Egli, deluso dal Belpaese, scappò in Germania ove scopò e sposò una valchiria.
I crucchi, perfino nelle camere degli alberghi, non hanno il bidet. Il mio ultimo, sì, ultimo dell’anno lo passai a Monaco di Baviera e posso garantirvi che i tedeschi, detti anche germanici, sono intransigenti per quanto concerne il rispetto dell’ordine pubblico vigilato da una severa, freddissima polizia di Stato, ma non sono affatto igienici in fatto di pulizia, non solo pubica.
Pasquale, lungo l’autostrada di ritorno, ascoltò dall’autoradio l’immensa Binario di Claudio Villa.
Vecchio casellante che fermo te ne stai
Dimmi come mai ?!
Non vedi che il mio amore fuggia via lontano (fuggiva da Foggia?)
E lo inseguo invano
Ferma tu quel treno che muoio di dolore
Fallo per favore
Fa che io possa rivederla ancor
Binario, triste e solitario
Tu che portasti via col treno dell’amore
La giovinezza mia
Odo ancora lo stringere del freno
Ora vedo allontanarsi il treno
Con lei che se ne va
Binario, fredde parallele della vita
Per me è finita
Per recarmi a Monaco, io presi l’aereo, comunque.
Torniamo ora agli interpreti merdosi di questo film schifoso. Da alcuni definito persino Il grande freddo alla romana.
Sì, Lawrence Kasdan guarderebbe in faccia chi ebbe la sfrontatezza di associarlo al suo film e, con spietatezza da Clint Eastwood de Il buono, il brutto, il cattivo, lo ghiaccerebbe subito con tale freddura micidiale:
– No, non giochiamo di cinematografici duelli, neppure di un triello, mio uomo da Un sacco bello. In cui vi fu Mario Brega. Sergio Leone raccomandò Carlo Verdone ma qui stiamo parlando di saltimbanchi come Nancy Brilli e Massimo Ghini. Cioè di pagliacci-magnaccia d’avanspettacolo che se avessero davanti a loro, in posizione orizzontale, Claudia Cardinale e il compianto Indio/Gian Maria Volonté, neppure con la massima volontà, applicandosi da diligentissimi studenti del Ginnasio, ripeto, dirimpetto a due così, non finirebbero di sentirsi dei born loser come Noodles di C’era una volta in America.
Personaggini che, grazie a spinte e potenti raccomandazioni, fattisi strada non presso il litorale di Ostia, ove Pasolini fu assassinato e omaggiato da Nanni Moretti nel primo episodio di Caro diario, riuscirono a cenare molte volte assieme in qualche ristorante chic della metropoli caput mundi.
Anche oggi, invecchiati più di Fabio Traversa/Fabris, da nostalgici Amici miei alla Monicelli con tanto di toscanacci, a tavola come Alessandro Benvenuti e Athina Cenci senza però Francesco Nuti, adesso malato gravemente e non più Ad ovest di Paperino, bensì col pappagallo in ospedale a leggere, flebo permettendo, Topolino, ecco, anche ora tale congrega di uomini e donne partoriti da una canzone à La grande bellezza di Antonello Venditti, fra un primo, un secondo, un prosecco e il dessert intonerebbero, in memoria delle loro giovinezze viziose su pizza Capricciosa, il Tommaso Paradiso de I nostri anni.
Di cover, al pianobar, messa su dal duetto formato dal volgarissimo Christian De Sica e da Natasha Hovey, donna anche lei oramai non più da Borotalco.
De Sica, il quale qui interpreta la parte di Ciardulli, also known as come er mitico Tony Brando. Brando, omaggio a Marlon, nome di battesimo del nipote di Vittorio De Sica, peraltro. Avuto da Christian con la moglie Silvia, sorella del Verdone.
E vai di tricolore, semmai invitando come guest star pure Sabrina Ferilli, Francesco Totti e l’ospite inatteso non romano, anche se d’adozione, spesso sì. Ovvero Calogero Alessandro Augusto Calà, in “arte” detto Jerry.
Protagonista, insieme alla Ferillona, di Diario di un vizio e idolo di Vacanze di natale. Il quale, fra un piatto di fusilli e un bis di bucatini all’amatriciana, in versione spumeggiante, inciterà tutta la combriccola di avvinazzati marci a non mollare…
Alzando il ritmo degli sbronzi fradici con la leggendaria Maracaibo!
Al che, nel locale, come ne La maschera della morte rossa di Edgar Allan Poe, fa irruzione il fantasma dell’opera, vale a dire il Falotico.
Dicendo agli avventori e astanti:
– Mi sa che sono stufo del vostro Cinema relativistico, ristretto fra le vostre pareti anguste da ruffiani. Un Cinema provinciale, più asfittico de Il pozzo e il pendolo.
Ora, chiariamoci molto bene. Perdiamoci di vista, subito.
Mi scambiaste per una ragazza schizofrenica come Asia Argento. Non è che di me molto, eh, capiste.
Ne Il bambino e il poliziotto vi fu Barbara Cupisti. Attrice di Opera di Dario Argento.
– Ah, quindi tu…
– Sì, non sai quante me ne sparai su Barbara.
Carlo Verdone, scioccato, al che mi urla da nevrotico qual è:
– Maledetto il giorno che t’ho incontrato! E dire che pensai che tu fossi Acqua e sapone come Silvio Muccino.
Ma che colpa abbiamo noi? Scusaci, pensavamo che tu fossi Zora la vampira e Gallo cedrone. Insomma, uno storico coglione.
Invece fosti tu a coglionarci, oddio, sei Il volpone. Sei proprio Il mio miglior nemico.
E ora tutti fuori.
Al lupo al lupo!
A parte gli scherzi, un Cinema cucinato su misura per una generazione già fallita all’epoca, figuriamoci ora.
Cinema alla frutta. Soprattutto secca. Di donne e uomini strafatti e sfattissimi non secchioni ma onestamente con la panza piena già, nemmeno quarantenni, più acidi dei settantenni.
Che tristezza. Lo squallore italico nella sua patetica reminiscenza di mai sbocciate adolescenze in fiore neppure davvero iniziate ma solo interrotte e/o rimandate. Già inaridite prima di ogni esame di maturità, già imbolsite, imborghesite, appesantite, scolarizzate in una visione liceale perennemente incurabile da battutine scontate come quelle fra due ragazzine che, dopo un orale su Ovidio, si nascosero nel bagnetto per sparlare di Livio. Spettegolando su Linda, amante sia di Lando che di Armando, sognando in due di lasciar perdere Quinto Curzio Rufo e anche Ponzio Pilato, dandosi invece solo a Renzo, lo sfigato forse pure leggermente pelato. Ma quali Promessi sposi! Ma quale Manzoni! Ma quale Leopardi! Queste, dopo il diploma, vollero il visone con la pelle di ghepardo e il visetto con ogni epidermide strappata ove la gatta va al lardo e ci lascia lo zampino, pure il ritocchino.
Cinema già al bivio, Cinema per niente bello, non piace nemmeno al più analfabeta bidello.
Cinema davvero piccino adatto solamente ai poveri bambini mai cresciuti nel cervellino.
I quali pensano, purtroppo, che basti una laureetta per essere Carmelo Bene o Woody Allen. Entrambi, peraltro, non laureati.
E mi pare giusto. Non si fotterono con le lodi e con le leccate da pasciuti ben appagati, solamente già amareggiati. Dunque, futuri padri retorici e falsi educatori per tramandare soltanto tale immane limitatezza da Italia in miniatura.
Vanno nanizzati.
Ridimensionat, stroncati. In una parola, trombati.
di Stefano Falotico
La top ten dei miei film preferiti dello scorso anno: siamo sicuri che sia così insuperabile il Cinema orientale? Mah, forse sì
Premettendo che ancora non vidi (sì, uso il passato remoto apposta) Parasite, domenica scorsa assistetti al colorato discorso di Federico Frusciante su Tetsuo di Tsukamoto. Che è giapponese come Takeshi Kitano. Fuori dal Mikasa Club, ove si tenne la sua presentazione cinematografica, gli accennai brevemente proprio in merito a Kitano. Chiedendogli espressamente se consideri Achille e la tartaruga un grande film. Lui mi rispose:
– Be’, è Arte pura.
Il che significa tutto e significa al contempo nulla. Vi fu un tempo in cui Kitano fu un regista indiscutibile.
Ci furono però annate, prima della sua sottovalutata trilogia di Outrage, in cui molti dubitarono della sua genialità. Poiché, sebbene largamente apprezzate, pellicole troppo personali come Takeshis’ e Zatôichi, più che Arte pura, apparvero sinceramente coma masturbazione mentale impura, nel senso non di atto impuro, bensì di opere imperfette e/o irrisolte.
Forse, concettualmente geniali ma talmente, per l’appunto, ermeticamente agganciate alla sua poetica soggettiva che, agli occhi anche dei suoi fan più sfegatati, sembrarono di primo acchito, più che figlie del genio, partorite semplicemente da un neuronale blob kitaniano di matrice ghezziana.
Infatti, al caro Enrico Ghezzi piacquero da morire e, più del dovuto, le magnificò ed eresse, forse erse, ah, i dubbi da Hermann Hesse, in auge.
Ora, chiariamoci. Non è vero, a differenza di come, in tal caso non semplicemente, bensì un po’ semplicisticamente, generalizzò Frusciante, ma lo capisco, fu costretto per brevità a eccedere di sbrigatività, che i film provenienti dall’Oriente siano superiori a quelli occidentali per il semplice fatto che, nelle terre del Sol Levante, non s’è avvezzi all’italiota manicheismo e al più becero qualunquismo. Spesso relativistico.
Dobbiamo dirci la verità senza farci prendere e assalire da esterofilie e orientali manie connotate di semplicismo e superficiale esaltazione anti-patriottica. Non facciamo i leninisti, sì, è vero, basta coi vetusti latinismi ma dovremmo smetterla anche col dire che, a proposito de L’insostenibile leggerezza dell’essere, l’ex stupenda modella tedesca Tatjana Patitz, solo perché diretta da Philip Kaufman in Rising Sun con Sean Connery e Wesley Snipes, sia meno affascinante di Céline Tran, in arte, qui eccome se impura, ribattezzata Katsuni.
Nel lontano 2006, per esempio, chiesi a un mio amico di Monselice, del quale già vi parlai innumerevoli volte, perché mai considerò Katsuni più sensuale delle super statunitensi attrici altrettanto non geografiche ma solo pornografiche.
– Perché mai – gli domandai, infatti – Katsuni ti piace di più delle sorelle Ashley e Angel Long?
La sua risposta fu questa:
– Perché sono un uomo da Tokyo Fist e da Tokyo Decadence. Sto anche scrivendo un libro intitolato Tokyo nera in cui parto da Paperino della Disney per arrivare a un delirio e trip visivo-letterario da Cinema di Takashi Miike.
Gli replicai così:
– Non è che invece, più che uomo da Sonatine, sei già molto suonato e, più che amante della bellezza non solo femminile, bensì artistica e in senso lato, non intendo quello b, inoltre più che essere tu un esistenzialista malinconico alla Hana-bi, sei invece in fin dei conti il miglior amico del Beat de L’estate di Kikujiro?
– Che vorresti dire, Stefano? Che sono un bambino?
– Voglio dire che la bellezza non ha confini erotici, no, esotici. È bona Katsuni ed è molto buono il romanticissimo Dolls, però sono buone anche le sorelle Long.
– Ah, Stefano, tu la sai lunga…
Ecco, detto ciò, dopo questa mia spiritosaggine, più che da Philip Kaufman, da Jim Carrey di Man on the Moon, cioè Andy Kaufman, a essere proprio sinceri, i film di Ki-duk Kim sono noiosi non perché noi siamo italiani e quindi fatichiamo a capirli. No, non è per questo. I film di Chan-wook Park sono decisamente più belli. Ed entrambi, guardate bene, sono cineasti sudcoreani.
Ora, in Italia abbiamo quella merda del Festival di Sanremo, le polemiche su Morgan, i cachet esagerati a Benigni da Zio Paperone, l’esagerata e plastificata, esaltata Diletta Leotta (comunque una carina Minnie con grosse minne per ogni Mickey Mouse che si crede un latin lover come il Mickey Rourke che fu), abbiamo gli improponibili Gabriele Muccino, troppi cappuccini e quella Nonna Papera, che si crede pure figa, di Paola Cortellesi.
Dobbiamo però anche dire che l’Italia e il nostro Cinema possono vantare film, sebbene pochissimi, che riuscirebbero benissimo, già peraltro alla grande riuscirono, a rivaleggiare nelle maggiori competizioni perfino coi migliori film cinesi, thailandesi, nipponici e via dicendo.
Per esempio, Lo chiamavano Jeeg Robot, solo perché fu scritto da un guaglione dal cognome Guaglianone, non potrebbe battere, secondo voi, in un solo colpo da Ken il guerriero, maestro della sacra scuola e disciplina di Okuto, Ronin di John Frankenheimer? In effetti, no. Ah ah.
Ecco, ciò per dire che esistono i grandi capolavori della Settima Arte orientale ma non è vero che il Cinema migliore sia soltanto quello oltre i nostrani confini e quelli statunitensi.
Non facciamo di tutta erba un fascio, amico Frusciante.
Ecco comunque la mia top ten in ordine sparso:
Joker di Todd Phillips: quando Arthur Fleck, poco prima di ammazzare sua madre, cammina con l’impermeabile in stile Unbreakable sotto la pioggia notturna, la fotografia acquosa e molto piovigginosa, su luci al neon fluorescenti e melanconiche, batte ogni frame di tutte le pellicole di Kar-Wai Wong.
Dunque Richard Jewell di Clint Eastwood. Con tutto il bene che voglio a Scorsese e a Tarantino, il film di Eastwood è più struggente, in una parola, più bello di The Irishman e più tragico di C’era una volta a… Hollywood.
Ecco, finita la top ten.
– Che cosa? E gli altri otto film dove li hai messi?
– Ecco, ragazzo, conosci il dialogo finale di Per qualche dollaro in più?
Colonnello Mortimer: Che succede ragazzo? Il Monco: Niente vecchio, non mi tornavano i conti. Ne mancava uno.
– Qui ne mancano otto, però. Stai scherzando, vero Biondo… tu… mi vuoi fare uno scherzo, eh?
– Non è uno scherzo, è una corda. Su, avanti, mettici dentro il collo, Tuco.
Insomma, Il buono, il brutto, il cattivo è onestamente più bello de La tigre e il dragone.
– Ma che risposta è, amico? Che pensi di essere il più bello?
– No, figurati. Non lo penso affatto. Ci mancherebbe. Lo sono.
Toglimi però una curiosità. Davvero tu pensi che ogni film orientale, anche il più trash, sia sempre inappellabilmente meglio di ogni altro film di un altro continente?
– Sì, credo proprio di sì. Perché sono più intelligente degli altri e questa è la verità.
– Perfetto, apposto. Dunque, sei più scemo di quello che pensavo.
Spesso, amico, assomigli a Kitano. Non come regista ché non si discute. Per quanto invece riguarda la sua recitazione come attore, eh sì, è più espressiva la facciata di una stampante degli anni novanta.
– Ma che ne vuoi sapere tu di Cinema orientale?!
– Mi ricordo che vidi Exiled del grande Johnnie To al Festival di Venezia del lontano 2006. Magnifica storia d’amicizia girata con riprese alla Michael Mann e un finale tarantiniano alla Sergio Leone.
Amico, invece che ne pensi di Windtalkers di John Woo? A me ha sempre commosso la scena nella quale Joe Enders/Nicolas Cage osserva, stupito e incredulo, Ben Yahzee/Adam Beach che prega il suo dio. Insomma, due culture agli antipodi che d’empatia si compenetrano. Poiché forse l’amicizia e l’umanità, l’amore e il dolore della condizione umana sono un libro di Yoshimoto Banana.
– E noi due invece chi siamo? Jean Rochefort e Johnny Halliday de L’uomo del treno (L’homme du train) di Patrice Leconte?
– Mah, amico, a me dicono che sia un bimbo favolista da Fantaghirò. Detta come va detta, Alessandra Martines, la donna del Leconte, m’ha sempre eccitato oltre ogni Racconto dei racconti da Garrone.
Quindi, vedi di non farmi girare i coglioni perché, altrimenti, potrei diventare Johnny Halliday di Vendicami.
– Ah, certo che tu ne sai di Cinema. Comunque, è meglio Ryan Gosling di Solo dio perdona.
– Può essere, non lo so. Adesso, ficca nel lettore dvd il film Brother.
– Ah, te la tiri da Alain Delon di Frank Costello faccia d’angelo, invero sei solo un coglioncello.
– Invero, Alain annunciò il suo ritiro ma dovrebbe invece presto girare il nuovo film del Leconte con Juliette Binoche.
– Che vuoi dire?
– Che Juliette è bella.
di Stefano Falotico
I miei registi preferiti, ovvero quelli (s)oggettivamente più grandi e che dunque appartengono alla poetica della mia anima non da tal dei tali, mi pare ovvio
A proposito di body horror, di deliri lynchiani e di De Niro, di mutazioni cronenberghiane…
Qui sotto potete vedere colui che, a forza di guardare tutti i film con De Niro, si trasmutò in lui.
Indubbiamente, la somiglianza è impressionante. Perché Netflix spese un sacco di soldi per ringiovanire male De Niro in The Irishman?
Introduzione spiritosa
– Allora, signor Falotico, lei sostiene che i suoi registi preferiti siano Cronenberg, Lynch, Scorsese ed Eastwood.
– Sì, confermo. Perché mi state interrogando?
– Non riusciamo a capire come sia possibile che lei, in effetti, ami i registi migliori quando, in realtà, non è che la sua vita sia delle migliori, detta come va detta. Dunque, siamo stati incaricati dagli agenti governativi che presiedono l’area 51 per testare se lei sia una persona normale o un alieno.
– Va bene. Avete delle domande da farmi?
– Certamente. Si sieda, comodamente. Vuole che le portiamo qualcosa da bere?
– Solo un po’ d’acqua minerale.
– Lei dunque beve, come tutti, l’acqua?
– Circa due litri al giorno.
– Va anche a pisciare, quindi?
– Anche a cagare.
– Bene. Andiamo avanti. Lei va in bagno solo per pisciare e cagare?
– No, anche per pulirmi il viso e farmi la doccia.
-Perfetto. Sin qui, mi pare che il quadro clinico corrisponda a quello di una persona normalissima. Solo una curiosità. Lei è mai andato nei bagni delle discoteche a fare qualcos’altro?
– Per tirare di coca o tirarlo a una?
– Esatto. Risponda, non tergiversi.
– Mi ricordo che, una volta, andai nel bagno di una multisala e scoprii due che stavano scopando nella toilette riservata alle persone con la sedia a rotelle.
– E lei che ci faceva nel bagno dei paraplegici?
– Sapete, fu un periodo in cui mi muovevo poco. Volevo vedere se riuscivo a pisciare lo stesso in un bagno pubblico.
– Cos’è una battuta? Non faccia lo spiritoso. Sia serio. Che ci faceva, lì?
– Accompagnai uno sulla sedia a rotelle.
– Ah, perfetto. Allora si spiega tutto. Ci perdoni se abbiamo dubitato. Andiamo avanti. Lei, leggendo questo fascicolo, sostiene di aver scopato tutte le più belle attrici di Hollywood. Ce lo potrebbe dimostrare?
– Sì, questo è l’hard disk del mio computer. Le salvai tutte in HD.
– Che significa?
– Significa che con la mente le scopai tutte. Non specificai, scusatemi.
– Ok. A proposito, possiamo fare il backup personale di questi salvataggi? Non si sa mai, vogliamo averne delle copie. Potrebbero servire anche a noi.
– Prego. Fate pure, anzi, fate tutto.
– Andiamo avanti. Lei nutre anche attrazione sessuale per gli attori di Hollywood? Dica la verità.
– Nutro forte ammirazione nei confronti di Bob De Niro, Al Pacino e Clint Eastwood.
– Si tratta solo di ammirazione?
– Certo, perché?
– Non è che sogna di scoparseli o di essere scopato da loro?
– Guardate, i tre signori succitati hanno la loro età. Figuratevi se stanno a pensare a me.
– Però lei potrebbe pensare a loro. Per esempio, perquisendo la sua casa, abbiamo trovato tutti i dvd dei loro film più belli. Come ce lo spiega, questo?
– Avete anche rinvenuto i dvd delle maggiori pornoattrici americane?
– Sì, ovvio.
– E questo cosa vi dice?
– Ci dice che ci faremo una copia pure di queste, no, di questi. Ultima domanda, poi avremo finito. Fra Jodie Foster de Il silenzio degli innocenti e Julianne Moore di Hannibal, chi scoperebbe?
– Tutte e due.
– Sì, ma Jodie Foster è lesbica.
– Io no, però.
– Benissimo. Finito il test. Lei caccia anche delle freddure alla Eastwood. Lei è ora una persona libera. Perfino normalissima.
– Voi no, però.
Ora, mi costringete sempre a ripetermi. Dovreste oramai conoscere i miei gusti cinematografici e non.
Negli scorsi giorni, cazzeggiai parecchio, celebrando la goliardia del sesso ma sostanzialmente, dietro questi miei exploit apparentemente goderecci, celai nuovamente, invero, la mia indole nottambula da Lili Taylor di The Addiction.
A scanso di equivoci, Abel Ferrara è un grande regista ma non appartiene ai miei preferiti. Sebbene adori le sue disperazioni struggenti de Il cattivo tenente, alcune torbide atmosfere oniriche e metafisiche di New Rose Hotel, malgrado in King of New York vi sia un Christopher Walken titanico e inarrivabile e nonostante Fratelli sia un film superiore a The Irishman ma non fu candidato a nessun Oscar.
Da tempo, Abel ciondola e, da quando Nicholas St. John non scrive più sceneggiature per lui, Abel è diventato, più che altro, Manuel Ferrara, ovvero il famoso pornoattore.
Mary, per esempio, è una troiata sopravvalutata, Go Go Tales, un’esibizione di cani con la lingua arrapata, Pasolini non lo vidi mai anche se sono praticamente uguale a Pier Paolo e poco a Willem Dafoe, ah ah.
Bene, il mio regista preferito non è Scorsese. Lo fu, tantissimi anni fa, quando comprai magazine come Premiere solo per vedere, prima dell’avvento d’Internet, le foto rubate dal set di Al di là della vita. L’ultimo suo vero capolavoro, fra l’altro. Eh sì.
Furono notti, le mie, da Fuori orario nelle quali, insonne come Travis Bickle di Taxi Driver, non prendendo sonno, col pigiamino colorato, mi recavo in bagno e, dinanzi allo specchio, recitavo a bassa voce degli sketch comici da Rupert Pupkin di Re per una notte. Non rideva, ovviamente, nessuno. Tantomeno il sottoscritto. Ché conservava una seriosità malinconica e impeccabilmente rigorosa da Daniel Day-Lewis.
Sì, Daniel Day-Lewis non interpretò mai un film comico. Io faccio, invece, ridere gli altri perché sono, questa volta sì, Willem Dafoe de L’ultima tentazione di Cristo ma fui scambiato per DiCaprio di Shutter Island e per quello di The Aviator.
Sì, vissi stati di agitazione psicomotoria al cui confronto le nevrosi energiche e arrabbiate, sadomasochistiche di di Johnny Boy/De Niro di Mean Streets e di Toro scatenato appaiono irreligiose e blasfeme nei riguardi del tormento passionale di Andrew Garfield di Silence.
Per anni, le istituzioni, tipo FBI, mi sottoposero a un terzo grado scandaloso, simile a quello subito da Richard Jewell.
Sì, a differenza degli agenti del finale di The Irishman che chiedono ossessivamente a Frank Sheeran/De Niro se fu lui ad ammazzare Jimmy Hoffa/Pacino, a me chiesero perché non volessi vivere. Uccidendo me stesso nella depressione più trascendente da Paul Schrader. Ah ah.
Sì, credo che in giovanissima età non mi sarei mai dovuto innamorare della mia Ginger/Sharon Stone di Casinò.
Lei, come Sharon, era bionda, stupenda, ammaliante, più dea di Cybill Shepherd. Dentro di me, seppi sin dall’inizio che la idealizzai e altri non fu ed è che una zoccola d’alto bordo.
Mentre io infatti mi “orgasmizzai” di fantasie su di lei, vagheggiandola e immaginando di trascorrere con lei una vita piena di romanticismi selvaggi da Mick Jagger di Shine a Light, lei fu interessata solamente al Colore dei soldi.
Comunque, a Marzo, Scorsese girerà Killers of the Flower Moon in una riserva indiana dell’Oklahoma.
Potrei mandare una mail all’ufficio casting per chiedere se posso esser assunto come comparsa da Piccolo grande uomo.
Ma quale Arthur Penn e Sean Penn di Lupo solitario.
In questo film v’è Viggo Mortensen. Eccolo lì, lo sapevo, cazzo.
Sì, uno dei miei registi preferiti di sempre è David Cronenberg. Sono Tom Stall di A History of Violence.
Sì, un mio “amico” alla Ed Harris non è mai convinto che io sia un tipo dolce da torte di mele.
Puntualmente, a scadenze (ir)regolari, torna a provocarmi, dicendomi:
– Non fare quello che ascolta Ed Sheeran perché io non ti credo. Tu rimuovesti tutto dalla memoria per stare sereno. Sei un coglione e una testa di cazzo come tutti. Sii sincero.
Non tirartela da bell’uomo come Robert Pattinson e finiscila di crederti Keira Knightley di A Dangerous Method.
Tu non soffri di nulla. Finiscila anche col dire che sei un uomo come Jeff Goldblum de La mosca che, in seguito a esperimenti sbagliati, ora s’è elevato e vive oltre la comune realtà da Jude Law di eXistenZ.
Non fare l’M. Butterfly. So che la farfallina di Deborah Kara Unger di Crash ti piace e ameresti con lei assaggiare tutto Il pasto nudo.
Dunque, finiscila anche di frequentare psichiatri, pediatri, biologi, geriatri e non frequentare quello lì. Che di cognome fa Geraci.
Tu e lui, ultimamente, state diventando Inseparabili. Ora, spero che non te lo dia nel culo ma, certamente, ti sta fottendo il cervello come Michael Ironside di Scanners.
Ti parla solo di stronzate. Sei un tipo sofisticato come Cronenberg, lascia pure che Geraci faccia il barista nelle carrozze dei treni, urlando:
– Ecco, sono Geraci. Gelati, patatine e bibite!
Ho scritto un libro su John Carpenter ma non sono Starman. Mi piace da morire anche David Lynch ma forse, di più, Laura Elena Harring. Sì, Lynch è un genio. Assieme a Cronenberg, il più grande.
Non fatemi più vedere Paola Cortellesi, Zalone, De Sica e altri sciocchini del genere.
Poi, diciamocela, bambini. Quentin Tarantino, ultimamente, si sta dimostrando solamente un cazzoncino.
Di mio, ora ordino un altro caffettino e mi faccio una fumatina.
Sono un uomo (s)fumante, dal carattere fumantino, forse sono il dottor Fu Manchu.
A essere sinceri, le crepuscolari malinconie di Clint Eastwood non sono niente in confronto alla mia tragedia da Hilary Swank di Million Dollar Baby.
E ho detto tutto.
di Stefano Falotico
Richard Jewell è un grande film, mi ha commosso: Clint Eastwood è un mito, il Falò invece riuscì a fare qualcosa di impossibile
In realtà, Kathy Bates vinse il suo Oscar nel 1991, Al Pacino nello stesso anno in cui gareggiò contro Eastwood. Ma Kathy Bates applaudì quando vinse Al.
Voglio veramente scusarmi con tutti se, in passato, in preda a forti turbolenze emotive, vi arrecai danno. Mi successe qualcosa che la scienza non è capace di spiegare. Dovevate comprendermi.
Al che, avvenne qualcosa di molto brutto alla mia vita.
Sono enormemente costernato che abbiate sofferto voi e che abbia sofferto anche io.
Il 2019, per me, fu un anno straordinario. Grazie ai miei saggi monografici e alle mie collaborazioni giornalistiche per Daruma View Cinema, sedetti nella stessa sala ove, al Festival di Venezia, furono presenti i maggiori critici del mondo.
Trascorsi una nottata insonne. Mi sentii come Rocky Balboa alla vigilia del match con Apollo Creed.
E chiamai alcuni amici al telefono. Mi rincuorarono. Mi dissero che, sì, mi sarei trovato nella stessa sala assieme a uno, che ne so, del New York Times. Roba da farsela nelle mutande, ragazzi, credetemi. Mi disse anche:
– Sono molto bravi ma anche tu lo sei, non scordarlo. Anzi, tu scrivi con il cuore. Loro invece scrivono, spesso, solo perché pagati molto più di te.
Un anno meraviglioso. A Venezia, vidi in anteprima mondiale Joker.
Alla fine della proiezione, tutti i maggiori critici si alzarono in piedi. Dunque, se lo ritenete un film infantile, del Cinema e della vita non avete capito un cazzo.
Nella notte di San Silvestro, fui a Monaco di Baviera. Altra emozione grandissima. Marienplatz era stracolma di gente.
Perdonatemi se ancora, qualche volta, assalito dalla rabbia, vi gridi in faccia.
Ma che movide che ci sono in certi locali, fratelli e sorelle. Ce la vogliamo dire? Ci sono delle ottime fighe. Secondo me, sì.
E mi spiace, però, qui deludervi. Sono ancora molto giovane.
Secondo alcuni studiosi, io sono un genio. Una persona che arrivò laddove neppure Freud si avvicinò. Poiché lui teorizzò, io confutai ogni sua regola e la abbattei totalmente.
Non voglio dare retta a stronzate e magnificazioni di me. Io, al massimo, fumo le sigarette, neppure il sigaro.
Ma, come dice David Carradine di Kill Bill, io sono io.
Balliamo la macarena?
di Stefano Falotico
Ma che bel film che è Richard Jewell, praticamente la storia della mia vita: per fortuna non sono diventato Jon Hamm e Olivia Wilde
Ebbene, ieri pomeriggio mi recai allo Space Cinema di Bologna, multisala che non è male, al primo spettacolo pomeridiano, ovvero alle 16.45, inclusi i venticinque minuti di pubblicità.
Arrivando io con un po’ d’anticipo, oltre a fare il biglietto, adocchiai la bigliettaia ma capii che era troppo brutta per farmela e deglutii l’amarezza, ordinando un caffè. Zuccherandolo mestamente con cucchiaiate oserei dire crepuscolari come il Cinema meglio miscelato di Clint Eastwood.
Un uomo che invecchia come il buon vino. Insomma, ora ha quasi novant’anni, è un vino molto stagionato però giammai scaduto.
Sì, Clint non è un uomo normale. Trovatemi un altro uomo capace alla sua età di possedere ancora una così forte, compattissima lucidità, in grado di dirigere un robustissimo film di due ore e un quarto circa, coordinando magistralmente una scena di massa con tanto di Macarena.
Prima di gustarmi il film in totale souplesse, in gradevolissima solitudine con tanto di gamba accavallata, sedendomi su un posto non assegnatomi tanto in sala v’era quasi nessuno, dovetti però sorbirmi i promo pubblicitari, detti più comunemente trailer, della nuova elegia dolceamara di Gabriele Muccino, Gli anni più belli.
Sì, con un Kim Rossi Stuart incartapecorito e non più bello come una volta e una Micaela Ramazzotti che, a forza di leccarlo a Paolo Virzì, è ora prosciugata, cioè pelle e ossa. Con un Favino diverso anni luce dal suo Bettino Craxi, forse pure con un sospetto parrucchino e liftato più di Al Pacino.
Gabriele Muccino, uno a cui non offrirei da bere neanche un cappuccino poiché idiota totemico di quel tipo di cinematografia ruffiana, melensa e precocemente nostalgica da Cinema formato pasticcino.
Sì, i pasticcini sono buoni, grondando di cremosa delizia da trangugiare e mandare giù come un buon tiramisù.
Ma risultano poi stomachevoli.
I pasticcini, dunque anche Gabriele Muccino, sono come Olivia Wilde. La vedi e vorresti subito impiastricciarla di panna montata per un amore al profiterole.
Quindi, capisci che è una zoccola ammuffita e dà il voltastomaco.
Sì, la Wilde è tutto ciò che non fu Shelley Duvall, donna invece timida e pudica, povera moglie di Jack Torrance/Nicholson di Shining e Olivia, appunto, del Popeye di Robert Altman.
Sì, un uomo vede la Wilde e non gli pompano i bicipiti come Braccio di Ferro, bensì (gli) diventa duro come Jon Hamm. Ah, un omone con molti ormoni questo Hamm. Uomo che, assieme a Hugh Jackman, le donne accoglierebbero dentro le loro coscione come un vero bambagione. Un uomo lupo, un mutante da strappa mutande.
Sì, nel film di Eastwood, la Wilde lo seduce al bar. Lui vi casca come un coglione, forse con entrambi i coglioni. E, pur di darle lo scoop, si sputtana e la scopa da lurido marpione, insomma, un bellissimo puttanone. Altro che investigatore dell’FBI. Hamm vuole solamente vedervi lì chiaro, in maniera profonda.
Sì, una ragazza riesce a trombarsi Hamm. Lui però è uno stronzo e lei, al mattino dopo, canta già Albachiara.
La Wilde se la tira presso la redazione del suo giornale come l’Alba Parietti nazionale, esibendosi in sorrisi autocompiaciuti più fieramente sfrontati di Brandi Love, l’attrice porno più rifatta della storia, dunque dandola a vedere senz’alcuna vergogna per l’applauso scrosciante di tutti i colleghi suoi maschi che pendono dalle sue gonfiate labbra soprattutto quando cammina su tacchi a spillo molto alti e cavalcata arrapante assai scosciante.
Olivia è un po’ come Luisa Ranieri. Luisa è bella ma non apprenderebbe l’italiano nemmeno se imparasse a memoria tutto lo Zingaretti…
Olivia, invece, ha un vocabolario d’attrice che va dalla chirurgia facciale mono-espressiva alla mastoplastica della sua recitazione come il culo.
Olivia Wilde è una che, infatti, se lo fece fare pur di arrivare… Mica come la grande Kathy Bates, una che invece se lo fece e basta.
Donna grassoccia, la Bates. La quale, a forza di passare le nottate in bianco, prese sempre più chili poiché, insonne e bulimica, svuotò tutto il frigorifero. Soprattutto della sua voglia di qualcosa di buono…
Legò al letto, in Misery non deve morire, pure James Caan, famoso ex puttaniere e abituale frequentatore della manson di Hugh Hefner. Sì, un playboy davvero Rollerball.
Kathy si spogliò dinanzi a James. James, divenuto paraplegico a causa dell’incidente in macchina, non riuscì a muovere un solo muscolo, figurarsi se avesse potuto muovere quello per Il gioco di Gerald.
Oddio, se sopra di lui si fosse trovato Carla Gugino, pur con molti sforzi, credo che si sarebbero eccitati i suoi cuginetti.
Ma con Kathy non poté fargliela manco ficcandole sul viso un cuscinetto.
Comunque, la Bates vinse l’Oscar nello stesso anno in cui anche Al Pacino lo vinse. Per Scent of a Woman. Ah ah, ho detto tutto. Poi, la Bates si sparò… il viaggio… con Jack Nicholson di A proposito di Schmidt. E ho detto tutto un’altra volta. Ah ah.
Comunque, meglio il lupo che perse il pelo ma non il vizio, appunto Jack Torrance, piuttosto che Dermot Mulroney.
In Nonno scatenato non è manco tonto, si fa inculare sia dal figlio che dal padre.
Kathy, comunque, se ne sbatte. E sa di essere una Mia Martini a cui nessun George Clooney offrirà la sua Olivia, no, olivine. Al massimo, Kathy è donna che, prima di andare a letto, si fa un altro quartino di vino.
Richard Jewell invece non vuole né la botte piena né la moglie ubriaca. Allora, fottendosene pure del complesso di Edipo, fa l’addetto alla sicurezza.
Sì, mentre gli altri si sbronzano e ballano, si baciano e sbattono, lui deve stare attento che nessuna coppia scoppi, no, nessuno faccia esplodere una cazzo di bomba sexy? No, bomba e basta.
Ah, torniamo a Olivia. Sì, uomini, chiamate gli artificieri appena vedete Olivia. Dovete disinnescare subito l’ordigno della vostra eiaculatio praecox da imbarazzanti fuochi pirotecnici. Ah ah.
Di mio, sono come Sam Rockwell. Sì, v’assomiglio non solo fisicamente. Olivia Wilde entra di soppiatto nella mia macchina e posa il suo sedere stupendo sul posteriore.
Io la mando a fare in culo, subito. Ma che volete farmi? Fui per anni Nicolas Cage di Matchstick Men.
Sì, che può venire con una così? Guardate, ragazzi, fidatevi. Preferisco che mi seghiate piuttosto che pigliare lo scolo da questa malafemmina.
Sì, anni fa subii una diagnosi psichiatrica. Dissi al perito che soffrii di disturbo ossessivo-compulsivo misto a depressione bipolare.
E che, a causa del mio disturbo da Jack Nicholson, però di Qualcosa è cambiato, molti bastardi attentarono alla mia vita.
Fui indagato e sottoposto a un processo sommario, anzi, da somari della minchia.
Sono sfregiato come Anna Levine de Gli spietati.
Ma rimango sempre William Munny e Walt Kowalski.
Quindi, ciccino, andate a dirlo a quella bagascia di vostra madre, cioè Olivia Wilde.
Ho vinto io…
Ah, dite pure all’Indio, che sono anche Lee Van Cleef di Per qualche dollaro in più.
– Colonnello, prova con questa…
Indio, non è che adesso te la fai sotto?
Eh già, mi sa che sono più bravo di te.
L’hai sempre saputo.
Oh, non farti una sciolta.
Non voglio un finale per te piagnucoloso come un film di Muccino.
di Stefano Falotico