Posts Tagged ‘Claudio Baglioni’

In questo rigido clima prenatalizio, mi sento Tito, sì, come Andronico, il cognome di un mio amico, un terrone sanguigno


23 Dec

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Ecco, partiamo dal mio palazzo. Una congrega di fattucchiere, di pazzi, di stregoni, di maghi e incantatrici. Me non m’incantano. M’incantavo solo sul culo della figlia del Fiorini, un culo incantevole. Prendevamo assieme l’ascensore e io, in quel frangente ascendente, respiravo l’odore lieve del suo farmelo salire imbarazzato. Camuffavo sempre l’evidente erezione grazie al mio giubbotto lungo di pelle che arrivava quasi fino al ginocchio. Ah, gran gnocca. Era timidissima con me, io ancora di più. Me la facevo nelle mutande, ah ah. Poi, chiavavo… la porta del mio appartamento. Ah, con quella non c’era speranza. Bella era bella ma, cazzo, era una moralista bigotta con tanto di cintura di castità nel cervello. Per sprangarla, dovevi chiamare Ash de L’armata delle tenebre, sì, quello del reparto ferramenta.

Il marito della mia vicina di casa invece mi è sempre parso Bob De Niro di Nascosto nel buio. Un lupo che pare un angioletto, educatore falsissimo di sua figlia. Ha sempre temuto, da troppo premuroso qual è stato, che la sua prediletta, unica pargoletta impazzisce. E, dopo Ragioneria, anziché invogliarla a studi più affini alla sua anima strappalacrime, la inibì completamente. Codesta, dovete sapere, era una patita di Claudio Baglioni, eh sì, l’avrei vista come laureata in Scienze Pedagogiche, come futura maestrina castratrice delle voglie adolescenziali sanissime dei suoi allievi libidinosi in piena crescita ormonale, inculcando loro in testa e nei testicoli canzoni retoriche da Strada facendo e ficcandoli… a vedere Piccolo grande amore con Raoul Bova, uomo sul quale si masturba ancora segretamente, immaginando di esser bona come la Snellenburg. Suo marito è invece creaturale, tenerissimo, già, è quello de La forma dell’acqua. Ho detto tutto. Sì, non scherzo, per non annegare, travolto dalle umiliazioni poiché dalla nascita dislessico, gli son venute le branchie. Mah, adesso fa la cura dimagrante e mangia solo il formaggio Leerdammer, ideale per i panini e la carne nuda e cruda della sua cultura bovina. Ma torniamo al padre. Accortosi che la figlia non gliela poteva fare, la sbatté dietro la scrivania, raccattandole un lavoro da mezza segretaria del cazzo. Contento lui, contenta lei, contenti loro che guardano Buona Domenica.

Sì, il marito della mia vicina è De Niro del film di John Polson. Con tanto d’impermeabile giallo e lui che spunta fuori dalla cantina coi barattoli di marmellata e incesti, no, cestini di frutta. Per ipocrisie familiari psicologicamente parricide a base di vite spremute e acide come il limone.

Ah, la figlia d’estate, dopo essersi depilata le cosce, spendendo tremila Euro perché durante l’anno l’è cresciuto un muschio da addobbo dal presepe, va a Riccione con tanto di ricciolini da Teresa Mannino e mangia, sulla spiaggia, pesche lisce come la pelle delle gambe di Diane Lane dei bei tempi. Ah, Diane Lane, era da riscaldare come la lana. Da esserle frusciante lungo tutto il corpo come Tarzan con le liane.

Appena però si tuffa al largo, la ritenzione idrica mette in mostra ogni smagliatura e lei appare davvero per quel che è, senza trucco e senz’inganno. Cioè Bette Midler di Hocus Pocus.

In fondo, comunque, è una buona famiglia. Potrebbe piacere a Robert Redford, paladino delle vite dolcemente democratiche. Anche a Patrizia Rossetti, quella delle televendite. Con questi farebbe una fortuna, Patrizia. Riuscirebbe a vendere loro anche un materasso coi chiodi, dicendo a costoro: – Oh, finalmente qui potete godervela.

Sì, si son comprati il lettino della Rossetti. Convinti che erano chiodi morbidi come L’Eminflex.

Tralasciando il mio palazzo, assisteremo ancora alle infuriate di Vittorio Sgarbi, l’unico uomo di cultura che, ogni tre frasi, urla vai a dar via il culo come neanche un camionista puttaniere del comune denuclearizzato di una cittadina lombarda.

Dal primo gennaio va in pensione. In manicomio, no? Non è che Vittorio farà la fine di Jeremy Irons in Die Hard – Duri a morire con Aldo Busi nella parte di Bruce Willis?

Con Vittorio che gli urla capra, capra, capra e Busi che gli dà del mentecatto e chiama la neuro?

Di mio, sono ancora Macaulay Culkin di Mamma, ho perso l’aereo. I ladri e gli adulti porci vogliono derubarmi, soprattutto l’anima, ma li fotto io e mi guardo pure i vecchi noir.

Sì, fra l’altro, non so se avete notato, in quei film gialli ci son sempre delle fighe pazzesche. Rita Hayworth, Ingrid Bergman, Greta Garbo, Scarlett Johansson di Black Dahlia, storie di uomini duri e di donne coi reggicalze. Di prostitute ambite, di regine maledette, di femme fatales impertinenti.

Sì, sì, ce lo spariamo questo filmetto… perché, in questa notte buia e tempestosa, come si suol dire, ho bisogno di una vicenda contorta e di una passera solitaria un po’ puttana.

La gente è sempre stata preoccupata per me. Diceva… ah, ma stando Home Alone, tal Falotico diventerà scemo. Perché mai?

Da soli, senza rotture di coglioni, puoi scoparti chi vuoi, virtualmente e non, quando lo desideri e non devi timbrare neanche il cartellino per tirar su famiglia e semmai una figlia sciroccata, depressa, sciocca e demente.

Buon Natale a tutti gli scemi del villaggio, a chi a fine 2018 guarda C’è posta per te, a chi ascolta Giorgia che stupra Una storia importante di Ramazzotti in radio, a chi si crede intenditore di Cinema, recitando a pappardella le sinossi di FilmTv.it, e soprattutto agli idioti che dicono al prossimo di soffrire di disturbi psichici e dal cielo, di giustizia divina, gli è arrivata una mazzata che neanche un fuoricampo di Joe DiMaggio.

Lezione di vita numero quattro, dopo le prime tre di Ronin.

E dopo il Decalogo di Krzysztof Kieślowski.

Sono uno stronzo fuori di testa, cinico e porco? Magari, sarei ricco e invece spero che mi assuma la donna delle pulizie, appunto, del mio palazzo. È l’unica che salvo di questo stabile. Non sa leggere ma sa detergere… sì, come scopa lei, nessuna. E dovreste vederla, da dietro, come pulisce con lo strofinaccio le scale. Sì, lei è lì, chinata a novanta sulle scale e io, prima di pigliare l’ascensore, di occhio indiscreto della fotocamera, scatto impunemente un selfie che può sempre servire nel caso dovessero licenziarla. Ah ah.

È molto buona questa delle pulizie. Io di più. Ah ah.

La gente non ha avuto alcun rispetto delle mie passate, potentissime sofferenze fisiche e psicologiche. Sì, non ho vergogna a confessare delle mie paure e delle mie giuste angosce di anni e anni or sono. Anzi, se mi ammazzavo o mi sedavano come un cavallo, se tutta la mia rabbia, dovuta ad anni di menzogne, raggiramenti, prese in giro invalidanti, suggestioni sferzate senza sprezzo del pudore, attacchi alla sessualità e altre orripilanti bassezze simili, se in seguito a offese animalesche, mi fossi ribellato, come infatti furiosamente è avvenuto tragicamente, la gente, delittuosa e criminale, tanto criminale che, inducendomi a reazioni così scellerate, volle far passare me per delinquente, sarebbe andata a festeggiare, a brindare perché un coglione in meno s’era tolto dalle palle. E, mentre loro tracannavo come maiali, io me ne stavo solo al freddo come Kinski di Nosferatu. Con in mano solo le foto della donna delle pulizie. Ah ah.

E mentre loro ridevano, ballavano, si ubriacavano, scherzavano, io dovevo star accorto a zittirmi, imprigionato nella falsità e nella loro vigliacca omertà.

Per anni, durati un tempo infinito, sì, a molti non è importato un cazzo di me. Assolutamente. Ero solo l’autista, il diverso che diverso non è affatto, anzi è decisamente meglio, il pagliaccio da deridere perché accusato di superbia, il burattino con cui giochicchiare negli attimi di noia, il genio malato da mutilare, dimezzare, castrare e demoralizzare, da non cagar di striscio e al quale in faccia compassionevolmente sogghignare dietro le spalle, anzi, come dico io, per le loro fottute palle. E a nessuno è mai fregato nulla di quello che provavo, sentivo, se ero innamorato, se ero incapricciato, perfino, se ero appunto folle o se mi straziavo nella malinconia, se leggevo mille libri e fantasticavo da sublime poeta, se mi arrabbiavo, tenendo tutto dentro, o mi frustravo nel mutismo più avvilente e impotente. Nessuno, nella maniera più totale, sconcertante, agghiacciante, nessuno che sia venuto a casa mia a risollevarmi. No, nessuno.

A nessuno è mai, fra l’altro, diciamocelo, importato se mi piaceva Shannon Tweed. Oh, Shannon era una zoccola da avere.

Anzi, appena mi sono mostrato, appena ho avuto il coraggio di confessare il mio animo, giù di altre infamie, di altre porcate, di altre recisioni alla coscienza. Di altre superficialità, idiozie, banalità e amenità. Di altre scorribande vili e turpi perché da dietro un pc, con un ottimo profilo falso, si può sparare a zero e poi aspettare che il fesso di turno, in tal caso il sottoscritto, s’infuochi per addebitargli così qualche mentale disturbo. E continuare a ridere da matti. Uh ah, ah ah, che divertimento! Che festone!

E dunque, dinanzi ai loro mali, per quanto devastanti e orribili, non m’impietosisco. Di certo non gioisco ma nemmeno piango. Al massimo, rifletto.

Rifletto e soffro anche. Sono partecipe del loro dolore.

È anche il mio. Così è.

Parola del Signore.

Parola del Punitore.  Dei suoi sbagli.

Sì, in verità ho punito solo me stesso. Pensate, dopo esser venuto sulla foto di quella delle pulizie, andavo dal prete a dirgli che questa qui era il demone Pazuzu de L’esorcista. Cristo! Questa delle mie pulizie, pensate, mi ha posseduto totalmente.

Tant’è che, da una vita non ascoltavo più Zucchero e il suo album Oro, incenso e birra, mentre l’altro giorno, totalmente schizzato… ho cantato a squarciagola Diavolo in me!

Parola del Salvatore, cara società schizofrenica di merda.

Parola del più forte di tutti. Sì, qualche volta. Quando me la tiro… e me ne sbatto.

Del più immensamente cattivo. Del più autenticamente buono e che ha persino concesso il perdono.

Sì, sono cattivissimo. Mando le mie foto alle modelle troie da tanti uccelli su Instagram per ricordare loro che c’è un cazzone in più.

Del più spietato, del più bravo, del più veloce, del più vero.

Oddio mio, oh, Gesù!

Oh, Madonna santissima!

Parola dell’angelo sterminatore! Soprattutto di sé stesso. Scusate, ora devo mangiare un torroncino.

Questa vita è stata una tragedia. Come quella di tutti. Era meglio se Dio, anziché creare il mondo, se ne fosse rimasto ficcato nel suo buco nero. Ma non quello della Vergine Maria. Pensate, la maggior parte delle persone a Natale festeggia uno che pensano che sia nato per inseminazione spaziale. Sì, Christopher Nolan, con la storia dell’inseminazione in vitro per Via Lattea, potrebbe girare una puttanata fantascientifica più figa di Anne Hathaway. Sì, tanto la gente si beve tutto. E abbocca alla favoletta di un mulatto della Palestina che si è fatto uomo perché così i centri commerciali vanno a nozze di spese, regalini e puttanate varie.

Ho detto tutto. Insomma, festeggiamo pure come sempre questo Natale. Se pensate che a Natale siamo uomini migliori e più buoni, non è così, se pensate che a Natale le lasagne sono più buone è così.

E sapete perché? Perché la domenica tua madre le fa tanto per farle, a Natale non vuole fare brutta figura coi parenti.

di Stefano Falotico

 

Il genio e l’artista devono essere folli, lontano dalla folla


07 Feb

Fuori orario

Col passare del tempo, capisci che la vita è una tribolazione. Non che prima non lo fosse stata. Insomma, si comincia da quando ti tolgono il ciuccio e ti dicono subito di non far la femminuccia.

Da lì inizia l’opera di svezzamento, che è tremendamente violenta, agisce a livello psicologico e sei preda, schiavo, vittima dei condizionamenti esterni. Si parte con l’asilo, ed è già un assillo, quindi con la scuola che ti fa studiare l’ABC dell’imbecillità e delle induzioni più manichee, inducendoti dapprincipio a falsi buonismi figli di maestre fallite, uscite dalle magistrali perché il loro piccolo cervello era irreggimentato nelle volenterose pedagogie da ragazzine tristi e adolescenti problematiche che, raggiungendo quel diploma “giusto”, si erano illuse di aver risolto i loro conflitti e anche, spesso, le loro disarmoniche forme sgraziate da bruttine schiacciate da un’età acerba spropositatamente faceta e scioccherella.

Quindi, ci sono i laureati, categoria da starci lontano. Altre persone estremamente disturbate che si sono illuse attraverso il pezzo di carta “autorevole” di aver appianato ogni cosa, seppellendola sotto la coltre di credenziali boriose e cattedratiche. Accademici solo del bel parlare sciolto e del saper dottamente argomentare, ma raffreddatisi nelle emozioni vere e veraci, oramai impigritisi in lavori impiegatizi, mercantilmente agganciati a una cultura di massa di apparenze stolte e “sagge” frivolezze. Scherzosamente antipatici, così li definirei.

Ecco, l’artista, e io naturalmente, senz’ombra di dubbio lo sono, è un tipo di persona assolutamente fuori da ogni schema, imprevedibile, umorale, caratterialmente “ingombrante” e ostico, difficile per via della sua complessa, sfaccettata emozionalità sempre suscettibile di dubbi. L’artista s’interroga sulla realtà e, prima di giudicare il prossimo, passa al vaglio tutte le opzioni possibili, senza lanciare sentenze affrettate. Mentre oggi siamo invasi da invasati, da tuttologi delle anime altrui, da classificatori delle genetiche, da idolatri del viver “corretto” che dunque, dall’alto presuntuoso delle loro saccenterie superficiali, eseguono “diagnosi”, anche psichiatriche, sul primo che incontrano per strada, perché non hanno tempo per approfondire, per entrarvi davvero in vivo, sentito, empatico contatto. E, in questa fiera delle tracotanti immodestie, ecco che trionfa la boria più vanesia e ciarliera, vince il pettegolezzo più atroce e abominevole da club delle prime mogli, e allora via col guardare culi e donnette discinte all’Isola dei Famosi, le cosce vellutate delle più sceme formose e burrose, odiose, già deformate in bellezze plastificate e televisive, e adesso puntualmente ci ammorbano con questa tradizione “popolare”, nel senso peggiore più credulone e tonto, del festival di Sanremo, sagra paesana trasmessa in diretta nazionale, con un Baglioni tanto “figo” da essere la controfigura di un manichino squagliato nella chirurgia più depravatamente, sì lo è, “cremosa”. Sì un cremino che sgocciola di pezzi di pelle tenuti su con l’Attack.

L’artista è un “cretino”, un idiota dostoevskjiano, uno che non ha capito un cazzo della vita e rischia, sbanda, caracolla, sente, patisce, poi euforicamente gioisce, quindi in maniera repentina, con mentali serpentine degne di uno Slalom Gigante, s’immalinconisce, si deprime, si abbatte, si penalizza da solo, quindi si rialza, ha delle strane idee che gli frullan in testa e allora ecco che spunta il colpo di genio che non ti aspetti, lo “svignarsela” nella creatività, la fuga vulcanica in una realtà da uomo del sottosuolo, che inghiotte il mondo nei suoi orrori e nella sua fantasia lo ricrea, in esso trasmuta, mutevole trasla le ovvietà in voli pindarici di estasiante meraviglia. Allietando le menti ottuse, assopitesi nella carnascialesca vacuità, nello squallore mortale, moralmente inappetibile per la sua mente da pasto nudo devastante.

Sì, è necessario un atto di forza!

Sì, il genio è sfigato, sfuocato, inculato e dunque alato.

Lasciamo pure che i “normali” s’imputridiscano e nella putrescenza riverberino le loro finte, rifatte facce da “beautiful”.

 

 

di Stefano Falotico

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