Eccoci, intraprendenti e intrepidi mozzi del nostro galeone “pirata”, alla nuova “rotta” della nostra avventura esplorativa.
Oggi, ve ne avevo accennato “poc’anzi”, conosceremo più da vicino M Valdemar, avatar di lynchiano “nano” che riflette il Misterio della sua stanza mentale, mesmerica.
Immancabile nel suo cervello fantasmagorico la visione di questo Marc Webb di Andrew Garfield in tutina da Peter Parker.
Ebbene, orsù, leggiamo e sentiamo le sue parole in merito.
The Amazing Spider-Man di Marc Webb
Da un grande potere derivano grandi fesserie: The Amazing Spider-Man.
Un reboot da ributtare nei bidoni della spazzatura “creativa” dei potentissimi e (inci)vili creatori/produttori di questa ingorda operazione commerciale, frutto di una politica scellerata e pericolosa.
Cioè: facciamo finta di niente? Non è di “ieri” la stimata trilogia targata Sam Raimi?
Solo chi ha meno di dodici/tredici anni può apprezzare la “novità”, per tutti gli altri si tratta di una continua, insinuante, ronzante, assillante, poco simpatica sensazione di déjà vu.
Dopo dieci minuti pensi: “Questo film l’ho già visto”.
Dopo venti minuti sei sicuro: “Quella scena mi ricorda troooppo qualcosa”.
Dopo mezzora profetizzi: “Sì, va beh, mo’ succede che…”.
Alla fine sbotti: “Tutto qua?!”.
Ebbene sì: tanto rumore (in tutti i sensi) per nulla. Nulla di nuovo, nulla di eccitante, nulla di non già visto/sentito/assimilato (e non solo dalla precedente saga), nulla di che.
Non un film orrendo, s’intende, poiché appartiene alla codificata ed estremamente professionale combriccola blockbusteriana, di derivazione fumettistica, e pertanto legittima portatrice di collaudati meccanismi narrativi e fascinazioni visive e sonore. Un “giochetto” (arci)noto, dagli effetti limitati e precisamente misurabili (la durata del film stesso); infine, dunque, sterile e facilmente espellibile. In pratica un’eiaculazione precoce con partner a pagamento: l’effimero e fiacco, quasi forzato, piacere scompare, e non resta pressoché niente.
Se poi si aggiungono il fiato corto, affannoso, l’umorismo di riporto modesto e saltuario, lunghe fasi di stanca, e diversi passaggi scritti e risolti sbrigativamente, senza sufficiente capacità di spiegare, interagire, “ingannare” (a mero titolo esemplificativo: come e dove, e quando, e con quali mezzi, Peter Parker si procura le iperchilometriche, fortissime, e all’avanguardia “ragnatele?”. E com’è che in cinque minuti si costruisce degli aggeggi sofisticati e superefficienti per “spararle” a distanza che alla Nasa ci impiegherebbero anni?), allora è ben comprensibile il fastidio. Alimentato, inoltre, da una non decisa ed efficace descrizione di caratteri e personaggi, le cui relazioni in alcuni casi cambiano in maniera troppo repentina e incongruente, come a voler a tutti i costi accelerare verso l’epico scontro finale, non curandosi di fornire adeguato approfondimento alle azioni e motivazioni delle figure in campo, anzi perlopiù definite per mezzo di schemi e metafore elementari, tracciabili su un semplicistico e monotematico piano dal quale, per puro apparir affrancati dall’ingombrante ombra raimiana, viene evitato il celeberrimo motto sui poteri e responsabilità, comunque declinato banalmente in altra forma.
Per poi tornare appunto: impossibile fingere di non ricordare il passato recentissimo… alle situazioni e scene già bagaglio della memoria collettiva: l’amore scolastico, i bulli, la tragica morte dello zio, la scoperta del “dono”, i sensi di colpa, la volontà di porre rimedio, le responsabilità, il cattivone da affrontare. Tutto già filmato e rimirato, e qui rappresentato in modo più o meno differente. Eppure uguale, copia conforme di un atto riuscito e precursore.
Per quanto ogni singolo componente possa dirsi certo non scarso, tutt’altro: musiche ficcanti e precise, “giuste” (pure troppo), messa in scena senza sbavature, effetti speciali buoni (con un 3D ottimo in un paio di sequenze), montaggio frenetico e puntuale, recitazione discreta.
Ecco, proprio sul protagonista erano ovviamente concentrati i riflettori: Andrew Garfield fornisce una buona prova, anche se dal confronto con Tobey Maguire ne esce sconfitto per via di una minor abilità espressiva nel sostenere i mutamenti del personaggio. Ma tutti gli attori si dimostrano bravi, compreso un inedito Rhys Ifans nel ruolo del Dr. Connors, il villain di turno, e naturalmente Emma Stone, la quale però, se non fosse per i suoi occhioni verde smeraldo e l’innato talento (soprattutto brillante, e qui non sfruttato), passerebbe per una biondina/bella della scuola qualunque. Ritorna rossa, please!
Sicuramente ritorna il secondo capitolo del “nuovo” Spider-Man, come annunciato durante i titoli di coda.
Decisamente un film già visto.
Un post di Stefano Falotico