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TOO OLD TO DIE YOUNG: ne vogliamo parlare della recensione apparsa su Rolling Stone della serie di Nicolas Winding Refn? E del JOKER?


10 Aug

joker

Guardate, ogni altra parola sarebbe superflua, oserei dire pleonastica.

Colui che ha scritto tale recensione, secondo me, vista la figuraccia, non si salverà nemmeno con mille facciali plastiche.

E questo è pus underground da Nanni Moretti di Caro diario!

Copiamo-incolliamo qui tale recensione assurda in maniera integrale, senza dunque apportare editing alle virgole di cui questo recensore abusa più del minutaggio lunghissimo della suddetta serie di Refn, senza correggergli alcun errore di battitura.

Una recensione cult, più che altro scritta col culo, contro la quale anche il mitico Pino Farinotti di C’era una volta il West si deve arrendere.

Sì, dinanzi a questo campione dell’esegesi cinematografica, non possono esistere al momento rivali.

Speriamo che la maggior parte delle persone si stia approcciando a Too Old to Die Young, la serie televisiva fottutamente pulp del regista danese per Amazon Prime Video, in quanto fan o qualcosa di simile. O, per lo meno, come spettatori semi-consapevoli della sua filmografia. In bocca al lupo nel caso invece questo sia il vostro debutto nel mondo di Refn – è la peggiore introduzione possibile al suo marchio di fabbrica di noir al neon stilizzato e sotto steroidi, o la “migliore” introduzione nel peggiore dei modi possibili. Buona fortuna a chiunque sia caduto nel suo paesaggio di anti eroi stoici, violenza e ritmo lento e doloroso come la tortura dell’acqua senza una mappa.

Ma torniamo alla domanda iniziale: il vostro film preferito fa parte della trilogia di Pusher, il racconto in tre parti e a tre prospettive, che ha contribuito a lanciare Refn a livello internazionale e ha introdotto il futuro criminale Hannibal Lecter / cattivo di Bond / Mads Mikkelsen nel mondo? Oppure è Bronson, biopic incredibilmente brillante del condannato britannico Charles Bronson che vede Tom Hardy raggiungere i livelli di teatralità del kabuki? Con tutta probabilità è Drive, il riff stellare guidato da Ryan Gosling sugli autisti per la fuga; quasi sicuramente non è il film successivo del duo, Solo Dio perdona (anche se questo thriller ambientato in Thailandia è migliore di quanto la sua reputazione suggerisca). O forse è The Neon Demon, il suo benvenuto all’Inferno, una parabola sulle modelle che si mangiano da sole.

Ok, ora immaginate che il vostro film preferito duri 13 ore. Con la stessa trama però. Potrebbe essere diviso in narrazioni parallele, forse qualche deviazione extra qua e là. Ma lo stesso materiale narrativo di base. Stiracchiato. Su. 13. Ore.

A meno che non ti chiami Ken Burns o David Lynch, forse devi pensare bene se quel tempo, suddiviso in più di 10 puntate con una durata media di un’ora e 15 minuti, sia una necessità o semplicemente un’indulgenza. (Alcuni episodi durano fino a 90 minuti, l’ultimo una mezz’ora, chiamatelo coda). Specialmente se il motivo principale per lavorare a un prodotto serializzato più lungo è: “Sembra che tutti stiano facendo roba in streaming, dovrei farlo anch’io!”. Questa è stata più o meno la scusa che Refn ha accampato a Cannes, dove ha mostrato due episodi centrali, per dare uno sguardo esteso ed esistenziale sia nell’abisso che nel proprio ombelico, dove ci sono poliziotti, truffatori, cartelli e modi creativi di torturare forme di vita basate sul carbonio. Ha anche detto che questa non era tv – un mezzo che definisce “tutto reality show e notizie” – ma un lunghissimo film. Ovvio. Certo, sua maestà. La sensazione di guardare qualcosa di un autore che in qualche modo crede virtualmente di abbassare i propri standard proviene dal tuo schermo.

Cosa dipinge il nostro uomo su questa grande tela? Iniziamo con un poliziotto di nome Martin (Miles Teller), un tipo forte e silenzioso che suggerisce un blocco da sofferenza post-traumatica o una lavagna intenzionalmente vuota. Il suo partner (Lance Gross) ha la capacità di trasformare un controllo del traffico di routine in una situazione alla Cattivo tenente in un batter d’occhio. In ogni caso è sorprendente quando qualcuno si avvicina semplicemente a lui e gli spara una pallottola in testa. La tragedia fa guadagnare a Martin una promozione a detective, ma non la libertà da un gangster locale (Babs Olusanmokun), che lo costringe a ricoprire il ruolo del suo defunto partner come sicario. Né vi impedisce di essere scettici sul fatto che il protagonista frequenti una studentessa delle superiori di 17 anni (Nell Tiger Free).

Seguiamo poi chi ha sparato, Jesus (Augusto Aguilera), a sud del confine. Il poliziotto aveva ucciso sua madre, una famigerata signora della droga. Suo zio (Emiliano Díez) lo accoglie e lo introduce al cartello. Quando c’è uno slittamento di potere, Jesus e la pupilla del vecchio – una giovane di nome Yaritza (Cristina Rodlo) che ha salvato dal deserto e cresciuto come sua figlia, non senza alcune implicazioni spiacevoli – sono sposati. La coppia viene quindi mandata in America, con l’intenzione di proteggere gli interessi dell’organizzazione. Ci sono anche questioni incompiute riguardo a quell’omicidio per vendetta. Ci sono sempre. Ah, abbiamo detto che Yaritza potrebbe essere l’incarnazione di un’antica leggenda folcloristica / pilastro dei tarocchi conosciuta come l’Alta Sacerdotessa della Morte?

Altri personaggi vengono buttati nella mischia, in particolare un ex agente dell’FBI con un occhio solo (John Hawkes di Deadwood) che diventa mentore di Martin e una guaritrice New Age (Jena Malone) che assume l’ex federale per dare la caccia a criminali sessuali particolarmente efferati. Ci sono anche magnati fissati con il rape-porn, pedofili, tossici, casi di molestie da studio del #MeToo, più controfigure di Trump di quante non ne riescano a far entrare in una registrazione di Access Hollywood e, qua e là, solo ordinari stronzi. In altre parole, un sacco di mascolinità tossica – e il punto è questo. La galleria di parassiti della malavita, molestatori seriali di bambini e misogini violenti che Refn e il suo co-creatore, il fumettista fuoriclasse Ed Brubaker, hanno inventato non rappresentano solo il peggio di quella società quanto della Società del 2019, un “chi è chi” quotidiano di degenerati e miserabili. E come per il mondo in cui viviamo, molto di ciò si riduce al male che fanno gli uomini. ‘Bravi ragazzi’ qui è un ossimoro.

Ci vorrà un angelo della morte per ripulire il mondo dai maschi abusivi, ed è per questo che la serie e l’attenzione continuano a tornare a Yaritza. È il veicolo per le inclinazioni più soprannaturali e surreali del regista, che sono cresciute dai tempi di Solo Dio perdona e la sua decisione che preferirebbe essere una nuova versione di Alejandro Jodorowsky piuttosto che un povero Michael Mann. Aiuta anche che a interpretare Yaritza sia Rodlo, un’attrice che sa come tenere uno schermo, indipendentemente dalle dimensioni. È una grande osservatrice con un occhio killer per i dettagli, un’artista che sa come far sì che la calma e il tocco minimalista contino in un pasticcio splatter massimalista. Va da sé che Refn, un cineasta che non ha mai incontrato una luce colorata che non abbia amato biblicamente, e il leggendario direttore della fotografia Darius Khondji (La città perduta, Seven) immergono tutto in colori allucinogeni, ombre da notte oscurissima e atmosfera infernale da night club. Vale anche la pena sottolineare che il personaggio di Rodlo è l’unico che sembra davvero adatto al tono e alla visione dello show; nemmeno Teller, che offre la migliore imitazione di un Robert Mitchum del XXI secolo, può sincronizzare il piglio alla Raymond Chandler del suo protagonista alla narrazione. Un giorno, qualcuno realizzerà un super-montaggio delle scene di Rodlo e ci regalerà un incubo cromosomico XY di tre ore.

Nel frattempo, abbiamo questa lagna zoppicante e sgraziata che non giustifica la sua durata da maratona come qualcosa di più di una follia autocompiaciuta e durissima senza giustificazioni. Naturalmente puoi trasformare una crime story pulp in qualcosa di immoralmente magnifico dal punto di vista visivo, ammucchiando varie cose, dal costume da narco chic agli schemi visivi della Pop Art. Puoi dare al tuo gangster un tocco di stranezza facendolo diventare un fanatico dello ska vintage e puoi inscenare un inseguimento in auto ridicolmente lungo sulle note di Mandy di Barry Manilow, l’action-flick dito medio del giorno. Puoi ingaggiare Morgan Fairchild come White Privilege e dare a William Baldwin un pasto da sette portate da masticare, completo di mosse onanistiche di potere. Puoi usare l’immaginario misogino in nome dell’innalzamento della vendetta e dell’empowerment femminile, anche se ogni singola persona sulla faccia della terra vorrebbe davvero che non lo facessi. Puoi perfino usare la violenza estrema come esercizio di carneficina feticizzata. Chi non ama un cinemassacro ben fatto? O guardare un Nazista farsi sparare nel cazzo?

Ma quando ti viene data la possibilità di impegnarti in uno storytelling di lunga durata e lo traduci nel nulla, in scene che si estendano all’infinito semplicemente perché puoi farlo, o scambi il concetto di lentezza al cinema con quello di istantanea profondità, o non riesci a capire che forse “meno è meglio” quando si tratta della tua estetica art-to-grindhouse, potresti essere chiamato a risponderne. Refn ha ragione: questa non è tv. È auto-parodia. E non ci vuole una mezza giornata di visione per capire che forse stiamo diventando troppo vecchi per questa merda.

In attesa del trailer 2 di JOKER, immaginiamo Arthur Fleck al Murray Franklin Show con tutti gli altri ospiti della società (im)bandita

Sì, ecco che Robert De Niro, cotonato come Mike Bongiorno, invita in trasmissione il mezzo disgraziato, sciagurato, completamente devastato e rovinato, handicappato, scalognato, super sfigato mai visto, schizofrenico irreprimibile e not responder incallito Arthur Fleck. Sottoponendolo a delle domande da terzo grado derisorio per far ridere di gusto la platea gozzovigliante di applausi purtroppo spontanei e non telecomandati.

Sì, gente che ride dinanzi a ogni più sconcia, stolta provocazione di cattivo gusto, si scompiscia e sganascia di fronte alle sentenzianti stereotipie dei luoghi comuni espulsi malvagiamente dall’infernale orco catodico incarnato da Murray, inquisitore da Il nome della rosa con Connery, impomatato e in giacca e cravatta, in smoking impeccabile abbigliato. La gente va matta per tale tremendo mega-direttore, no, solo presentatore galattico del network di massa sparato negli occhi e nelle orecchie dei telespettatori paganti, ovvero l’uomo medio italiano, filoamericano che si beve tutte le stronzate della Rai, pagando anche il canone. Crepando di risate quando parte la donna cannone, mangiando nel frattempo, stravaccato sul divano, un cannolo.

– Ecco a voi, ladies and gentleman, signore e signori, un fenomeno della natura. Un ragazzo apparentemente anche di discreto aspetto fisico che però, ah ah, quando apre bocca pare afflitto da dislessia, epilessia, catatonia espressiva perché non si capisce un cazzo di quello che dice. Tartaglia, mugugna, si esprime come Benicio Del Toro de La promessa.

Questa sua deformità lessicale lo rende simile agli occhi della gente, oh sì, perché noi amiamo le apparenze, vero, a Joseph Merrick, elephant man, colui che soffrì della distrofica malattia muscolare denominata sindrome di Proteo. E non basterà il dottor Frankenstein per rigenerare questo Fleck, per garantirgli nell’anima una protesi, in quanto lui non è Prometeo, in verità è solo uno che si crede un poeta ermetico ma è sinceramente, obiettivamente, senza falsi inganni, senza consolatori buonismi ipocriti, senza velare nulla, un coglione plurimo. No, non dobbiamo usare con lui una piuma, se vuole però gli rimbocchiamo le lenzuola del piumino perché è paragonabile a Tom Hanks di Forrest Gump.

E io, parimenti al demone del trash contro ogni ottava meraviglia del mondo improponibile, appunto impresentabile ma strepitosamente impressionante, ah ah, ovvero Demon Killian di The Running Man, gli sarò implacabile.

Oh oh. Ah ah.

Applause!

Ma non perdiamoci in chiacchiere. Diamo subito il benvenuto al demente per antonomasia, a questo mezzo uomo auto-flagellatosi ridicolmente nella rupe, anzi nel dirupo del suo esistenziale buio ai confini del mondo? No, nel suo pozzo senza fondo da confinato, ghettizzato, emarginato ma soprattutto immoralmente linciato da noi, figli dei giganti. I quali demoralizzeranno imperituramente ogni suo ardore vitalistico. Spegnendo ogni sua ribellione che, da essere piccolo e nano qual è, s’azzarderà, vanamente e pateticamente, a scagliare contro il nostro indomito potere forzuto da fascisti rocciosi, ferrei e duri stronzi.

Ah ah.

Sì, se questo Fleck spererà di avere una seconda chance nella vita, speronandoci, gliel’arderemo… ancor prima che possa solamente sperare di rivedere una pur minima, debolissima fiammella.

Sì, se dai sepolcri della sua malinconia tristissima s’illuderà di captare un fievole eppur speranzoso bagliore della luce del giorno, anneriremo questo suo rinascente, dolcissimo, chimerico fulgore, soffocandogli anche ogni alba e tutti i crepuscoli e, più che Ugo Foscolo, lo renderemo del tutto fosco. Buttandolo ancora nel fosso.

Sì, Fleck è un fesso e noi sempre lo affosseremo. Forza. Ora lo distruggerò. Mi raccomando, coi vostri clap clap, datemi manforte. Ah ah.

Questo qui non è Prometeo di niente, non ha neanche mai visto il film Prometeus. Stasera, crede che sarà Re per una notte ma, al solo tintinnare delle sue iridi accesesi estemporaneamente dal flash dei fotografi, ah ah, io lo tratterò da straniero della società. Vivrà la sua eterna, tetrissima vita nella scura agonia dei suoi tormenti da Travis Bickle di Taxi Driver dei poveretti!

Ok, partiamo con la distruzione.

Buonasera, signor Fleck. Si accomodi. È di suo gradimento la poltroncina o forse desiderava essere al posto di quella ove è seduto a dieci metri da lei, qui sul palcoscenico, quel gran culo della modella che può vedere vicino a noi?

Scusi, riesce a vederla? Ah ah.

Partiamo con le domande. Si sente pronto? Ah, a proposito, lei qualche volta ha coscienza di essere tonto? Ah ah.

Aspetti solo un secondo. Riesce a pazientare? D’altronde, lei è dalla nascita addormentato, in un centro di salute mentale ben sedato. Dunque, sì, lei è un paziente che ha molta pazienza.

Mi lasci riflettere. Oh, ecco la domanda. Risponda, mi raccomando, solo dopo una profonda, lenta riflessione ponderata.

Lei è solo come un cane, nessuno e nessuna la ama, nemmeno sua madre, mio mammone, poiché sua madre ora è fortemente malata. Dato che nessuno la ama, lei qualche volta riesce ad apprezzare il film Paura d’amare o perlomeno sé stesso? Insomma, detta come va detta, pratica l’autoerotismo? Si fa qualche sega?

– Sì, qualche volta me la tiro.

– Avete sentito? Se la tira pure di brutto. Sei veramente il mio idolo. Ecco, tutti noi ti amiamo. Non odiarmi per questo ma, vedi, ti beatifichiamo e glorifichiamo qui tutti da morire. Vero, pubblico? Un bell’applauso caloroso per incitare un po’ il nostro Fleck.

E tutti assieme appassionatamente, al mio via, urlategli: bravissimo, sei un grandissimo!

Ha sentito, Fleck, che roba? Sono tutti qua in platea e anche in galleria per lei. Non è quello che voleva? Scusi, non mi mandi a fanculo, le ricordo che mi mandò piuttosto anche una lettera di auto-invito come fece Valerio Mastandrea, quando ancora non era famoso, per partecipare al Maurizio Costanzo Show…

Che vuole di più dalla vita? Ah, capisco. Il suono degli applausi non sono musica per le sue orecchie.

Perfetto. Maestro, dedichi al nostro Fleck il celeberrimo ritornello di Jovanotti:

sono un ragazzo fortunato perché m’hanno regalato un sogno. Sono fortunato perché non c’è niente che ho bisogno e quando viene sera e tornerò da te… è andata com’è andata, la fortuna è d’incontrarci ancora. Sei bella come il sole. A me mi fai impazzire…

all’inferno delle verità,

io mento col sorriso…

Sentito, mio bel giovanotto?

Mi tolga una curiosità. Riesce a vedere almeno, seduta al suo fianco, Eleonora Giorgi? La saluti, forza. Che fa? Le pare il modo di starsene impalato vicino a una signora?

Lei usa come Carlo Verdone il Borotalco? Non è che mi farà la fine invece, coi suoi auto-inganni, di Paolo Villaggio de Il volpone?

No, sa, è per chiedere. Lei è davvero Troppo forteUn sacco bello.

– Signor Franklin/De Niro. Potrei cortesemente farle io una domanda, adesso?

– Ma certo. Non vedevo l’ora. Voleva chiedermi se potessi essere il suo unico amico come il ragioniere Filini? Ah ah. Mi dichi! Ah ah.

– No, se gentilmente mi permette, vorrei farle una domanda alla Tom Cruise di Collateral.

– Ah be’. Mi pare ovvio che lei s’identifichi con Tom Cruise. Visto che, da tempo immemorabile, sogna la sua Mission: Impossible. Ah ah, comunque chieda pure.

– Da giovane, la soprannominavano Bobby Milk per via della sua carnagione molto chiara, per via del suo pallore latteo. Giusto?

– Sì, è vero. Quindi?

– Lei ha dichiarato, nelle sue interviste, che è sempre stata una persona molto timida nella vita di tutti i giorni. Tant’è che, appunto, da giovane, l’affibbiatole nomignolo Milk forse si riferiva anche al fatto che qualche bullo, lì, nel Bronx o a Little Italy, deve avergliele suonate molte volte, cantandole pure… fatti mandare dalla mamma a prendere il latte di Gianni Morandi.

– Non capisco, signor Fleck. Che razza di domanda è mai questa?

– Infatti, questa era solo l’introduzione. La domanda è:

come mai lei nella sua vita sentimentale-sessuale ha sempre avuto una predilezione per le donne nere, per anni considerate diverse in base alla segregazione razziale che imperò negli Stati Uniti dai tempi di Amistad e non si è invece mai accorto che il suo famoso neo nero sulla guancia la rende unico?

Ecco, se ora io glielo strappassi, lei rimarrebbe sempre Robert De Niro, uno dei più grandi attori della storia.

Ma avrebbe perso la sua unicità. E sarebbe uguale a tutte le facce di merda omologate e fatte con lo stampino.

L’è piaciuta la domanda?

 

di Stefano Falotico

Non sopporto Scamarcio, la cricca romana, Claudia Gerini la ricca e i girini di questi romanacci padrini, poco parigini


08 May

vacanze romane locandina

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sì, ho visto John Wick 2.

Riconosco a Chad Stahelski un’indubbia classe elegante nell’aver filmato le scene a Roma in maniera elegantemente adrenalinica. Nonostante qualche banale svolazzo cartolinesco sul Colosseo al tramonto, all’alba, qualche inquadratura turistica al Monumento nazionale a Vittorio Emanuele II, detto comunemente Altare della Patria, qualche lunga ripresa notturna ai fori imperiali, Stahelski è riuscito nel difficile compito di non essere del tutto convenzionale.

Di solito, se non si è Fellini, Roma diventa cinematograficamente lo sfondo per riprese paesaggistiche al motto di… crea i tuoi viaggi su misura con Expedia e risparmia prenotando volo e hotel insieme.

Visto che posto meraviglioso? C’è anche il Papa e forza lupi!

Ah ah.

Col senno di poi, ho sminuito molte opere perfino di Paolo Sorrentino. La grande bellezza non riuscirò mai a capire se sia un capolavoro oppure un film pretenzioso, noioso, logorroico, cucinato per l’Oscar come Miglior Film Straniero puntualmente arrivato come da copione. In ogni senso, copione.

Prendete anche la locandina di Vacanze romane. Quanti luoghi comuni…

E di Fellini lo spettatore medio cosa ricorda, sostanzialmente? Anita Ekberg a poppe mezze fuori nella celeberrima, appunto, scena di lei immersa voluttuosamente nella Fontana di Trevi de La dolce vita?

Sì, Roma è poco adatta al Cinema. Può apparire paradossale, vero? Pensate allo scempio che ha combinato perfino il re di Manhattan, Woody Allen. Girando il suo film peggiore proprio nella nostra capitale, To Rome with Love. Una cagata immonda.

Sì, Woody, quando è nella sua città natale, è un dio. E New York si presta sempre comunque benissimo alla Settima Arte. Che sia Harlem, il Bronx, il sotto-borgo Hell’s Kitchen e via discorrendo, anzi, correndo per I ragazzi della 56ª strada che non mi ricordo ove sia ambientato. È Los Angeles? O un quartiere scalcagnato dei ricordi migliori del grande Coppola? No, Tulsa, Oklahoma.

Arancia meccanica è stato filmato a Londra e nelle campagne circostanti? Mah, non ha ubicazione precisa. Se io esco di casa, qui dalle mie parti, in via Zanardi e filmo in notturna i palazzi adiacenti, secondo me ne viene fuori un pamphlet distopico pure migliore.

Non scherzo, lo farò e capirete che Kubrick era un povero misantropo mezzo idiota.

Sì, tornando invece ad Allen. Oh, cazzo, tutte le altre capitali gli sono venute benissimo. A proposito di Londra, il trittico inglese da lui girato è figo.

Vicky Cristina Barcelona, invece, una stronzata ma ha filmato benissimo la città spagnola seconda solo a Madrid.

Ah, poi con Scarlett e la Cruz vengono delle spagnole con tanto di pen, no, pan di Spagna. E Bardem è un matador.

Comunque, se siete invece tipi timidi alla Owen Wilson e non toreri machi da Prosciutto, prosciutto, e al sesso preferite il surrealismo alla Salvador Dalí, a Parigi di notte vi troverete a sognare ad occhi aperti. Midnight in Paris, appunto, docet.

E anche in questo caso Allen ha filmato la Torre Eiffel e le cattedrali gotiche varie con classe, appunto, francese.

Ah, le strade.

A me piace guidare. Specie di notte quando non c’è un cazzo di nessuno e puoi girovagare come in Taxi Driver, in pura zona Fuori orario. Fermarti a un bar e berti tutta la cameriera con tanto di bionda…

Queste ti mandano in paradiso. Altro che andare ad Amsterdam, vero?

Ma non sopporto una cosa quando guido. Cioè la gente che non rispetta i segnali?

No, quando la strada è libera e trovi davanti a te un impedito che non sa guidare e va ai due all’ora.

Semmai hai fretta, devi andare presto a defecare e urinare, te la stai facendo nelle mutande e questo ti costringe a usare il clacson perché lo mandi subito a cagare in quanto non si toglie dai coglioni.

Ma ciò che non tollero davvero nella vita sono i romani.

Sono la peggiore stirpe. Una massa di ruffiani.

Sabrina Ferilli. L’unica capace di essere la co-protagonista, appunto, di un film da Oscar dopo aver fatto lo spogliarello allo scudetto della MAGGGICA ROMA con tanto di Antonello Venditti a incitare il circo di questi girotondini eccitati dinanzi a tale giunonica Anna Magnani più bona ma molto più povera a livello recitativo.

Un culo magnifico, almeno all’epoca, bellissimo come la Cappella Sistina. Niente da obiettare in merito. Sì, siamo pure obiettivi. Un lato b che non ti serve una Nikon per diventare il fotografo più ricercato sul mercato…

Ma che buzzicona. Che cafona, che ignorantona!

Lei e tutti quei compagni di scuola di Verdone, la compagnia dei ciociari e dei caciaroni, ovvero Massimo Ghini, Nancy Brilli, ovviamente Christian De Sica.

Ecco, John Wick 2.

L’apparizione di Franco Nero ci sta. Franco, seppur invecchiato, ha carisma. Tant’è vero che è sposato a Vanessa Redgrave.

Ma ne vogliamo parlare invece di Claudia Gerini?

È assolutamente imbarazzante.

Sì, dopo Gianni Boncompagni è stata con Verdone.

E vai di raccomandazioni poi a gigolò, no, gogò.

È un’attrice pessima, dunque non è un’attrice.

Poi, rimanga fra di noi, ha delle ottime gambe ma mi è parsa sempre una volgare popolana come la sua Jessica di Viaggi di nozze.

Ma non sarebbe niente a confronto del De Niro pugliese, ovvero Riccardo Scamarcio.

Ricordo che nel 2005 stavo con una tizia a Milano.

E lei andava matta per Riccardo.

Io:

– Mah, pare un vecchio già a quest’età. Senti che roba. Ha la voce impostata da Tiziano Ferro che scopa Valeria Golino.

– Guarda che Riccardo è del ’79 come te. Ed è perfino di due mesi più giovane. Tu sei nato a Settembre, lui a Novembre.

– Appunto.

 

Sì, all’epoca non era ancora uscita Giusy Ferreri, la quale è la versione femminile di Riccardo.

Sì, avete sentito che gola profonda che ha Giusy? Sembra un trans della complanare.

Invece è palermitana.

Una sicula, come i ruoli da mafioso che ora danno a Riccardo.

Sì, in John Wick 2 fa però il camorrista, cioè un Santino di nome e poco di fatto, uno della Sacra corona unita, tremenda organizzazione criminale delle Puglie, appunto, la sua regione d’origine.

Ma la sua carriera, negli ultimi anni, è costellata di personaggi appartenenti a tutta questa mafia, della ’ndrangheta. Che pappone.

Sì, Riccardo è passato dalle commedie per sceme alla Moccia da Tre metri sopra il cielo a Loro…

Se fossi stato in voi, io non avrei mai scherzato contro colui che viene lodato dal Bergoglio ogni domenica.

Il creatore?

No, io.

Ah ah.

E su questo scritto, pari al genio di Michelangelo, me ne sto ora a suonare e cantarmela come Tim Roth de La leggenda del pianista sull’oceano.

Ho detto tutto.

Chi ha orecchie per intendere, intenda.

Chi non mi crede, è ateo?

Una volta mi dissero:

– Ehi, pagliaccio, togliti la maschera.

 

E dire che non avrei mai voluto farlo. L’unico che stimo di Roma è Sergio Leone. Infatti, Clint Eastwood è il mio regista preferito.

Ma soprattutto che ci faccio ancora in questo posto di burini, di mangia-spaghetti, di ultrà, di urlatori, di falsi puritani, in un posto che crede ancora agli iettatori, ai cornetti, un posto di cornuti, di giovani urlatori che ridono sguaiatamente e, se sei giù, ti rispondono… tromba di più?

Sapete che vi dico? Come direbbe appunto il De Sica? Ma perché non ve lo annate a pigliare tutti Inter culo? Cazzo, abbiamo pure gli juventini.

Insomma, spesso si parte in quinta solo per colpa di una cagna, di una lupa. Molto rumore per nulla!

Tragedia shakespeariana è stata ma pure il John Wick che non avreste mai immaginato.

Che cosa? Scamarcio sarà il protagonista del nuovo film di Nanni Moretti?

La nostra strada?

Va bene, addio.

 

di Stefano Falotico

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Che Casinò: il primo Maggio è la festa dei lavoratori, forse negli altri Stati, non solo lavorativi, evviva Iron Man!


01 May

casino pesci

Sì, il primo maggio. Festa dei lavoratori. Ma lavoratori di che?

I lavoratori sono pochissimi oramai, la classe operaia è stata asfaltata dalle officine d’una borghesia metalmeccanica. Gente robotica che, più che umana, è diventata un Android.

Come Rutger Hauer di Blade Runner? No come i loro cellulari della Huawei, protesi cronenberghiane di (s)collegati cervelli vuoti.

Almeno Hauer/Roy Batty scaricò preste le batterie vitali poiché sentiva troppo il fuoco dell’esistenza. E il suo cuore elettronico bruciò in fretta come quello di Jim Morrison.

Questi invece sono eterni. Sì, immortalano le loro facce da culo in tremila selfie al giorno in memoria dei loro poster edonistici.

Che modello hai comprato? Il nuovo della Samsung? No, me stesso con tanto di optional.

Sì, una società di manichini, di gente senz’anima, di gente che ha proprio una bella faccia da culo, appunto. Sì, le modelle di Instagram lavorano parecchio coi glutei in palestra per ottenere tre ville al mare.

Quando si dice: ah, per arrivare lì, te lo sei fatto!

Gli unici che lavorano sono quelli che non hanno mai lavorato. Cioè gli impiegati statali. Il cui stress maggiore, durante la giornata, è il traffico cittadino di prima mattina. Poi, una volta in ufficio, quando timbrano il cartellino alle nove, aspettano otto ore per smettere di lavorare.

Come diceva Rocco Barbaro, sì, è un ottimo lavoro. Mi pagano per mettere due timbri. Non capisco però perché fra un timbro e l’altro devo aspettare otto ore.

Ah, ci sono anche alcuni dipendenti eccezionali che fanno gli straordinari, cioè fanno passare un’altra ora, leggendo la gazzetta sportiva per cui s’è consumata carta e disboscato dunque alberi dell’Amazzonia per stampare le prodezze dei miliardari dell’Ajax, squadra che forse arriverà in finale di Champions League.

La Coppa dei Campioni! Dico, mica pizza e fichi. Ammazza! E i giocatori giocano pure con le palle assieme alle loro amazzoni.

Sulle pizze presto qui vi dirò, sui fichi vi go già parlato.

Sì, poi questi adocchiano la nuova foto scabrosa, si fa per dire, della Belena Rodriguez. Una che so io dove ha lavorato duro.

Già, questa è la tipologia di lavoro medio. Lavoro che davvero nobilita l’uomo e non lo rende Jack Torrance di Shining. Vero?

I pizzaioli, artigiani della pastella ben infornata e lievitata, condita con prelibatezze gustose, si pigliano pure le pizze in faccia da parte di una cliente capricciosa di nome Margherita.

Lei voleva un kebab e invece si è accorta di vivere nel calzone italiano che premia a Sanremo la canzone di un cazzone.

Altri uomini sono alla Marinara, non pagano alla Romana, aspettano che siano sempre gli altri a pagarli. Non la pagano mai!

Come quei farabutti che si dichiarano invalidi psichici e invero sono più dotati, in ogni senso, di un coglione qualunque.

Sì, tempo fa frequentai, per bislacche, sciagurate circostanze di questa mia vita imprevedibile e contorta, un topo, no, un tipo che si lamentava di essere perennemente senza soldi.

Lo Stato gli passava la pensione d’invalidità, altri danari li prendeva dai genitori divorziati, costretti a elargirgli 300 Euro cadauno, a testa cioè, in totale 600 mensili, più otteneva quegli spiccioli grossi che racimolava assai con le scommesse, appunto, calcistiche.

Un uomo balistico, non c’è che dire. Un ballista, più che altro.

Cioè, fra una cosa e l’altra, senza fare un cazzo da mattina a sera, questo guadagnava, credo guadagni ancora, forse anche di più, eh sì, gli avranno alzato la percentuale d’invalidità viste le sue assillanti richieste d’asilo, più di mia madre in un mese ai tempi nei quali insegnava. Che doveva fare la spola da una città all’altra quando non era di ruolo. Più di centochilometri al giorno, anzi duecento, considerando il pendolarismo andata e ritorno. Più i biglietti del treno.

Questo invece, fumando canne dai primi canti del gallo a notte fonda, stando spaparanzato sul divano a masturbarsi sulle galline della tv, incassa lautamente una cifra non indifferente. Tirandosele, no, tirandosela da povero malato di mente con tanto di macchina, autonomia completa, casa perfino compratagli dai genitori, seratine in campagna e compagnia allegra con birra, vinello e poi puliamo il tinello ché abbiamo fatto, in casina, un gran casino!

No, certamente non un riccone ma un bel furbacchione, questo sì.

Insomma, con 1000 Euro e passa al mese, anzi, passati dallo Stato, io sarei andato a donne ventiquattr’ore su 24, invece questo schiamazzava pure perché si riteneva un santo ed era sessuofobo.

Adesso come sarà? Ah, avrà chiesto, oltre alla pensione, pure i voti religiosi. Ah ah!

Ma cose da matti!

Infatti, per pazzo passa, anzi per tale si spaccia quando gli fa comodo e invece inneggia alla guerra civile quando gli torna utile far il profeta mistico e rivoluzionario poiché nessuno lo caga, giustamente.

Charles Bukowski detestava il lavoro ma almeno era un gran poeta. Sì, lo era.

Disse… ci vuole cervello per cavarsela senza lavorare.

Eh, mica travestirsi da dementi soltanto perché idioti del genere in vita loro hanno letto solamente Io speriamo che me la cavo di Marcello D’Orta.

Ah, insegnanti buoni come Paolo Villaggio dell’omonimo film di Lina Wertmüller?

No, nemmeno fantozziani. Sono gli scemi del Villaggio de Il volpone.

Bukowski non è mai andato in giro a elemosinare compassione in atteggiamenti pietistici. Questi non sanno che cos’è manco La Pietà di Michelangelo!

Nino D’Angelo aveva dignità. Questi invece fanno la parte dei finti angeli e si fanno mantenere dai nonni.

Bukowski era una testa di cazzo, sì, ma sapeva di non essere tanto a posto, si vezzeggiava e imbrodava nel suo dolce far nulla. Di questo però ne era totalmente consapevole, anzi davvero sofferente.

Il suo era un modo fintamente strafottente per ridere e sdrammatizzare delle sue quotidiane sfighe con acume e autoironia immensa. E tra una sfiga e l’altra, eh sì, s’ingroppava pure qualche figotta. Ho detto figotta, non figona. La figotta è una che sta a mezza via, mentre vedo molte super gnocche che stanno in quella strada lì.

Un beone gran bevitore, mica un beota farfallone e porcone. Che rigira le frittate a piacimento quando s’accorge che non piace agli altri e allora, da cretino di guerra, da coniglio fugge dinanzi ai suoi limiti e sta in trincea. Distillando consigli da papa? Da pappone, no?

Almeno, ci scherzasse sopra, sarebbe quantomeno accettabile e credibile. No, ripeto, gente/persone così vuole anche che si dedichi loro un monumento in piazza con la scritta oserei dire lungamente epigrafica e graffiante:

qui giace il nobile condottiero della sua battaglia da Don Chisciotte, uomo stoico, soprattutto a prendersi per il culo da solo, storico perché fuori dal tempo, in particolar mondo, no, modo da sé stesso, rinnegato alla nascita nonostante l’anagrafe attesti che sia esistito. Un uomo che ha combattuto la Resistenza, da lui chiamata cialtronescamente psicologica resilienza, in quanto capace di far niente, rimanendo deficiente malgrado lo Stato gli regalò da vivere gratis in modo più che sufficiente.

Ecco, per il primo Maggio, Netflix ha fatto un regalo a tutti i suoi abbonati. Ha messo su dei gran film tutti in una volta. Fra cui The Judge col grande Robert Downey Jr. Filmone.

Robert Downey Jr. è un genio. Sino a vent’anni fa lo davano per morto. Non soltanto a livello cinematografico.

Era cascato in brutti giri, lo arrestarono varie volte e finì in clinica.

È ringiovanito, oggi è Iron Man e rimane uno degli attori più bravi di sempre.

D’altronde, se a soli ventisette anni vieni candidato all’Oscar per Charlot e sei battuto per un soffio soltanto da Al Pacino di Scent of a Woman, devi essere un monello che sa il fallo, no, fatto suo.

Come il mitico Monsieur Verdoux.

Uno che era rimasto al verde e poi invece… ho detto tutto.

Insomma, andate a pigliarvelo tutti in culo. Sì, questa vita è fottuta, è tutto un gran fottio. Dunque, fottetevene.

E qua sono anche come Carlo Verdone.

 

di Stefano Falotico

casino de niro pesci downey the judge

JOKER with Joaquin Phoenix: C’est la vie, Life is a KILLING JOKE, uno scherzo del destino e del delfino


26 Apr

58419319_10213517754401103_2948840583117930496_nIl Joker in carne, pelle(r)ossa…

Molti attori invecchiano male, io sono un caso Falotico da Benjamin Button, più invecchio più ringiovanisco

Uno dei massimi aforismi del grande John Belushi è stato questo:

I miei personaggi dicono che essere incasinati va bene. La gente non deve necessariamente essere perfetta. Non deve essere intelligentissima. Non deve seguire le regole. Può divertirsi. La maggior parte dei film di oggi fa sentire la gente inadeguata. Io no.

Sì, la gente con me si è sentita sempre a suo agio. Talmente a suo agio da mettermi a disagio. Paradossale, no?

Sì, la gente, entrando in contatto con me, pensa immediatamente: possibile che questo sia così libero e non venga sfiorato minimamente dalla visione moralistica, pedante, meritocratica, oserei dire fascista, sessista, razzista e segregazionistica a cui noi invece, non essendo nietzschiani, abbiamo paurosamente abdicato? Sbriciolandoci nel marciume più becero?

Abiurando allo squallore quotidiano, prostituendoci alle meschine trivialità per simpatizzare col prossimo in un carnaio fintamente goliardico, invece cupissimo ove, tra sfottò, derisioni da Amici miei, scherzetti crudeli, ci contentiamo di prendere tutto alla leggera poiché oramai siamo avviliti, scoraggiati e delusi da tutto. Inneggiando al folclore più edonisticamente mendace?

Ma questo cosa vuol fare nella vita? È un uomo utopistico, anacronistico, giammai solipsistico, a differenza di noi che siamo egoisti, egotisti e abbiamo pure le gote che emanano una mestizia espressiva paragonabile a quella delle sfingi?

Sì, viviamo in maniera faraonica, ci addolciamo con le nostre faraone, cioè quelle donne rugose e noiose che adorano i manicaretti più oleosi e quel piatto culinario apprezzato per la prelibata, rosolata sua carne cucinata per giornate festose. Ove tutti falsamente ridono, seduti a tavola, gozzovigliando avidi e porcelleschi e, nei loro cuori, umidi, oramai asciugati da ogni pura emozione, quindi putridi, son stati cannibalizzati nei loro sentimenti più veri. Compiacendosi, disgustosamente, del fetido, freddo cibo esistenziale, oserei dire da animali?

Eh sì, ci vorrebbe un Tito Andronico per dar sangue a quest’umanità spolpata, dissanguata, questa realtà antropofagica come ne Il silenzio degli innocenti.

Una società ove tutti voglio essere bellissimi, in formissima e, invece, in tal tripudio oscenamente volgare, da best looking men son diventati il peggio dei dementi?

Immagino il povero Val Kilmer, adesso putrefatto dal Cancro, e molto me ne dispiaccio, colui che è stato Cristo, no, Chris in Real Genius e anche Chris in Heat, un uomo insomma Top Gun che, a mo’ del suo personaggio nell’appena citato, eccitante capolavoro di Michael Mann, sconsolato perché tirava brutta aria con Ashley Judd, una molto più figa della Sconsolata, cioè a lui per questa tira ancor di brutto ma lei l’ha stirato forse per uno meno bello, domanda a colui che ha incarnato God’s lonely man di Taxi Driver, ovvero Bob De Niro, se è solo.

E Bob, con aplomb da gentleman, con signorilità invidiabile e soffice sussurrio melodico da ieratico imbattibile, gli risponde che è un solitario ma non è una persona sola.

Ho letto proprio oggi un articolo sulla solitudine sul sito aprilamente.info in cui si afferma che è meglio stare soli piuttosto che in compagnia di gente che ti fa sentire sola.

Ah, questi qua hanno fatto la scoperta dell’acqua calda.

Ecco, all’articolista di questo post, sì, credo sia una donna, direi ciò:

– Ecco, vede. Lei è una psicologa, giusto? Per arrivare a questa conclusione, a cui io ero arrivato già a 14 anni, per laurearsi dunque in psicologia, deve aver sofferto molto di aridità e di mai sanate psicopatologie, no?

Più che aprire la mente, direi che è giunta l’ora, signora cara, di aprire qualcos’altro.

E scoprirà acqua rovente.

 

Ah ah.

Sì, dovreste fare rewind come l’omonima canzone “scandalosa” di Vasco Rossi per azzerare e riscaldare tutti i vostri finti pudori polarizzatisi nelle depressioni bipolari. Che raffreddamento, mio dio, propongo una vita all’aria aperta. Prenderete il raffreddore e qualche uccello che vi cagherà in testa, cioè qualche stronzo che non v’inculerà, ma comunque sarà una boccata salubre.

Altrimenti, vi ridurrete come una Mummia alla Brendan Fraser, avrete fisici palestrati e tartarughe magnifiche ma uno sguardo da pirla, vuoto come in George re della giungla…

Ah, La febbre del sabato sera non scorre più nelle vostre vene. Adesso, pur di rimanere a galla, economicamente parlando, centellinate avarissimi ogni vostra magnanimità emozionale, siete venali, avete i parrucchini sopra i portafogli in quanto avete paura di mostrare la vostra ricchezza apparente e orrendamente appariscente, vi camuffate nelle chirurgie facciali per oscurare le vostre anime di plastica.

Un tempo eravate amabili Friends. Poi vi siete montati il cervello. Quindi, dopo aver montato un paio di belle donne, spompati ed esaltati, siete entrati in rehab come Matthew Perry.

Afflitti dal vostro mal di vivere e di pancia incurabile, siete adesso bolsi. E indagate sulle vite altrui come Perry Mason.

Pensate a Marilyn Manson, ad esempio. Un tempo era gagliardo, tosto, incazzato. Adesso pare il cioccolatino Lindt, l’ovetto pasquale bianchissimo che mi son pappato nel giorno della resurrezione di nostro Signore il salvatore, miei peccatori.

Una schifezza. Si è rincoglionito.

Ingannevole è il cuore più di ogni cosa… e invece è palese oramai ogni goccia di Valium che Manson ha preso in faccia.

Uno mi ha scritto che morirò segato. Alludendo al fallo, fatto che, odiando quest’umanità di fighette, creperò nelle mie masturbazioni non solo mentali. Poiché pretendo sempre una vita fighissima invero impossibile.

Gli ho risposto che è meglio morire segato piuttosto che trombato e anche trombone.

Ci è rimasto, appunto, come un coglione:

– Che vorresti dire?

– Quello che ho detto.

 

Sì, vi siete ridotti come nel più patetico film di Carlo Verdone, Compagni di scuola.

Mentre io sono l’unico uomo che riesce a essere questi tre personaggi agli antipodi in un batter d’occhio.

Questo può anche non piacervi ma, se dite, voi donne, che non è piacente, fatemi il piacere.

 

 

 

di Stefano Faloticogreen book viggo

This image released by Universal Pictures shows Mahershala Ali in a scene from "Green Book." (Universal Pictures via AP)

This image released by Universal Pictures shows Mahershala Ali in a scene from “Green Book.” (Universal Pictures via AP)

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Compagni di scuola, anche di suola, adesso parlo io, come il grande Al Pacino di Scent of a Woman


24 Mar

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Sì, la mia vita è stata proprio un Ritorno al futuro, un viavai di smemoratezze, di amnesie, d’ipocondrie, di melanconie, di lascivie, di ragazze con lo sci che facevano lo slalom gigante attorno ai miei ormoni nevosi, spesso nervosi, irrequieti e ghiacciati.

Di pattinatrici che ho amato, spesso da solo, alla follia. Ah, che onanismi deliziosi. Ad esempio, la prima volta che vidi Ronin col grande Robert De Niro (e poi sul Bob, ah ah, ci torneremo sopra, con tanto di giubbotto di pelle per resistere al freddo polare di questa mia depressione invernale, oh oh), persi le rotelle.

Sì, la testa andò a farsi fottere. Anche qualcos’altro. Scusate, l’avete presente? Katarina Witt che pattina sulle note di Andrea Bocelli. Bellissima, donna magnifica, dalle forme perfette. Scivolava dolcemente e basculante come una soave musica melodiosa all’interno dei miei turbamenti adolescenziali, raschiandomi il cuore. E invogliando il mio saliscendi ardente.

Che donna stupenda. Cominciai a prendere informazioni su Katarina. Sì, la sognavo di notte, non prendevo sonno, immaginandola caldissima, avvolta nella valanga del mio uomo non tanto roccioso, bensì friabilissimo. Sì, con lei avrei acceso un falò in uno chalet accogliente…

Togliendole delicatamente lo scialle nell’odorarle i feromoni delle sue profumatissime ascelle.

Katarina, all’epoca, era veramente la donna più sexy del mondo.

Sì, debbo ammettere che anche Carolina Kostner non scherzava. No, anche lei m’innervava e volevo innevarla…

Sì, avere con lei un amore selvaggio come quello di Kevin Costner in Balla coi lupi con la sua indiana.

Invece, sempre solo, afflitto da una grave malinconia incurabile, leccavo… solamente il gelato Indianino e tutti mi chiamavano Stefanino. Eppur la penna, come dicono qui a Bologna, a proposito di quella, mi attizzava.

La mia depressione fu enormemente fraintesa. E, anziché essere accettata, venne apertamente derisa. Io nella follia svenni e per niente venni!

E fui scambiato per Forrest Gump con tanto di piuma d’una vita persa fra le nuvole così come nella famosa scena d’apertura e di chiusura dell’omonimo film di Robert Zemeckis su musica triste ma speranzosa del mitico Alan Sorrenti. No, questo è quello di Figli delle stelle.

Volevo dire Alan Silvestri.

Sì, sognavo con Katarina e Carolina amori rupestri, oserei dire campestri da vivace capriolo, sì, ove potessi morbidamente scivolar fra le collinette delle loro maestose rotondità svettanti come le più alte montagne, per scalare ogni parete liscia dei loro corpi granitici e giocar anche di capriole. Arrampicandomi in ogni cavità, in ogni loro aiuola…

No, non feci mai il “bagnoschiuma” con Katarina, nemmeno con Carolina e mi consolavo, mica tanto, massaggiandomi le scapole da vero scapolo col pino silvestre.

Ah, e dire che ci fu un tempo in cui ero uno Stallone. Proprio come Sylvester. Poi, rimasi solo pure nella notte di San Silvestro.

Il mio primo amore, come detto, si chiamava Tiziana, ribattezzata da tutti Titti.

A proposito di gatte e, appunto, Gatto Silvestro, non riuscivo mai ad acchiapparla, con lei fu soltanto uno stupendo amore platonico. Fu solo un’inchiappettata… Diciamocela!

Uno struggimento, oserei dire, daltonico. La pensavo e penavo. Non capendo più niente. Sì, ne risentì la vista. Da quella delusione d’amore immane, non mi ripresi mai più. Fidatevi.

Tiziana era un angelo biondo. Come Philip K. Dick, sublimai la realtà amara, mangiando spaghetti alla marinara, sì, marinai tutto e mi diedi a una vita rustica e favolistica.

Cybill Shepherd di Taxi Driver e Penelope Ann Miller di Carlito’s Way mi parevano Tiziana. E idealizzai il mio amore fantascientifico, credendomi rispettivamente Robert De Niro e Al Pacino.

Ma da Tiziana ottenni solo compassionevoli bacini. Ah, però aveva un gran culo, che bacino!

Peraltro, pure a questi machi andò malissimo. Travis Bickle/De Niro, in un impeto del suo “orgasmizzarsi” schietto, senza peli sulla lingua, portò da “bestia” la bella a vedere un porno.

Lei, troppo sofisticata e piena di sovrastrutture, anziché venir… emozionata da un uomo tanto puro, lo mandò a fanculo.

Alla fine, dopo la missione salvifica di Travis, eh sì, lei gli avrebbe dato eccome la figa. Aspettava solo che lui si lanciasse, finalmente. Che s’infiammasse…

Ma Travis era proprio schizofrenico.

Lui le disse: – Lei non mi deve niente.

 

E si perse in un’altra notte in bianco fra le luci fluorescenti di Michael Chapman.

In Carlito… invece, quel Brigante di Charlie non aveva avuto problemi di quella topa, no, di quel tipo. Prima che lo sbattessero in carcere, si era eccome sbattuto quella gnoccona di Penelope come Ulisse prima che la sua vita andasse lontano dalla sua Troia. E, una volta uscito, le entrò ancora.

Alla fine, vorrebbero entrambi felicemente convolare e virare verso una meta idilliaca. Ma il destino bastardo aspettò Carlito e lui fu ammazzato per colpa di un traditore.

Così, anche lui perse un’altra volta il treno.

Voglio però, dopo tanti patimenti e tristizie, rassicurare voi tutti e augurarvi davvero, dal più profondo del cuore, una vita piena di gioie e calore.

Sì, miei ex compagni di scuola, vi ricordate l’omonimo film di Carlo Verdone?

In questo film sono tutti diventati tristi, patetici, passatisti. Tutti più brutti, soprattutto nell’anima. Alcuni, come Massimo Ghini, si son corrotti, altri la prendono alla Amici miei, combinando ancora porcate e zingarate, altri forse si son ridotti a guardare Zingaretti de Il commissario Montalbano, sognando la sua donna, attrice pessima ma altra femmina infinita, Luisa Ranieri. Che dio ti benedica. Che figa!

Evviva il pino silvestre. Ma anche Pino Daniele!

Luisa, così liscia, con cui esserle liso, una che non dovrebbe aprire bocca… È una donna dalle gambe mozzafiato ma, per piacere, non recitasse più. Aprisse quelle, appunto, paradiso ove ogni uomo vorrebbe salire… un’ascensione come l’ascensore che fa su e giù, poi pigia… alt, ah, Carol Alt, fatemi riprendere fiato.

Katarina, Carolina, Carol, donne per cui anche l’ex Wojtyła Karol avrebbe perso la fede…

Ecco, io ne vidi davvero delle brutte. Fui preda di manie suicide, crisi allucinanti, sofferenze psicologiche che non garantisco nemmeno al mio peggior nemico.

Anzi, a essere sincero, in quel periodo non ne vidi… proprio.

Ma, come sostiene la mia ex amica, Silvia, e non è quella di Leopardi, bensì onestamente un’altra donna bella da morire, ero il più bravo di tutti.

Sapete qual è la cosa più tragicomica di questa storia tanto strana che è stata la mia vita?

Sono ancora il più bravo. E sono persino, quando voglio, più in gamba e carismatico di Robert De Niro.

Anche di Al Pacino. AH AH.

E allora perché tanti anni fa mi dovettero fermare?

Perché, all’ennesima provocazione fuori luogo, ebbi una reazione simile a questa. Soltanto mille volte più potente.

Ma ora avete finito di fare i potenti, no, prepotenti! Poveri stronzi deficienti!

Di mio, cazzeggio e cammino, tirandomela…

E, come Checco Zalone, altro che pazzo e cieco. Come dice Checco, io ci vedo perfettamente…

Siete voi che non vedete un cazzo. Per forza, a forza di effeminarvi, siete diventati pure delle lesbiche.

E non tanto puri.

Be’, prepariamo questo purè.

 

 

di Stefano Falotico

Credersi Montgomery Clift e Gregory Peck e scoprire che sei uguale a Mel Brooks e Carlo Verdone


23 Mar

monty clift

Sì, di mio, son sempre stato un uomo di poche parole. Taciturno, come si suol dire. Talmente impeccabile e serioso da indurre il prossimo perennemente a credere che fossi tonto.

E che navigassi nei sogni utopici con le mie folli chimere da spadaccino di mie incurabili ipocondrie da visione della vita distorta e distopica da topo, nel fronteggiare soprattutto la desolazione delle mie aridità e delle desolanti mie alienazioni per proteggermi da un mondo di continue, a me disturbanti feste e ilarità che mi son sempre parse sconsolanti e sconcertanti.

Un uomo cupo, ombroso, enigmatico, indecifrabile perfino per il mio riflesso allo specchio. Che m’ha puntualmente rimandato un’immagine amabile, altamente stimabile della mia persona.

Sì, io non ero avvezzo a specchiarmi molto perché, quando ciò accadeva, era solo per pettinarmi e lavarmi i denti, per sciacquarmi il viso e per tagliarmi la barba. Tutte situazioni in cui un uomo, tenendo alla sua salute fisica, alla sua composta presentabilità elegante e distinta, non è quasi mai smorfioso in selfie elogiatori di sé stesso.

Ma usa, appunto, lo specchio solo per migliorare la già nobile sua raffinatezza. Per aggiustare e rassettare la sua indole innatamente, se non perfetta, almeno ambiziosa e slanciata verso un modello alto di perfezione estetica, lontana da ogni sciatteria e da ogni disgustosa repellenza del proprio io, remota dalla trascuratezza e protesa a un insistito miglioramento della propria apparenza esterna da far combaciare il più possibile, maggiormente alla propria interiorità romantica, oserei dire ottima. Inappuntabile.

Sì, il mio specchio è stato uno dei miei amici migliori. Sapeva dirmi, senza pronunciare una sola parola ma soltanto emanandomi, con la sua smerigliata superficie diffondente, la mia parvenza, che non era certo quella di un deficiente o di un brutto uomo del volgo.

E io, in segno di stima, accarezzavo e lustravo il mio specchio, donandogli baci soffici delle mie labbra appena disinfettate col dentifricio più cremoso ed elargendogli la brillantezza che non avevo poiché, come detto, all’epoca ero melanconico.

Al che, andavo in sala e accendevo lo stereo, infilando uno dopo l’altro tutti i cd di Sergio Cammariere.

Grande artista lunatico da non confondere però con quel fornaio di Nicolas Cage/Ronny Cammareri in Stregata dalla luna.

Ci rendiamo conto? Raramente ho visto e vedrò in vita mia uno zotico come Cage in questo film.

Il quale, senza battere ciglio, s’innamora di Cher, del suo rimmel e delle sue sopracciglia. E, cafone agghiacciante, con tanto di petto villoso da scimmione, all’improvviso l’afferra da manigoldo e quindi la inforna.

Lei s’innamora. Hai capito le donne?

Io son stato invece talmente rispettoso dei pudori e delle sensibilità del gentil sesso da passare per femminuccia, anzi, per asessuato.

Timidissimo, ai limiti del patologico, chiuso in me stesso. Un uomo che adocchiava, sapeva ma troppo titubante si poneva. Patendo sofferenze inaudite di deliri d’amore raramente concretizzatisi.

Un uomo però che, con enorme dignità, indossava ogni suo fallimento esistenziale e sentimentale con uno charme da far invidia ad Alain Delon.

Tant’è che la gente, vedendomi così apparentemente impassibile, prima su di me spettegolava e poi sbottava:

– Ma è impossibile! Possibile insomma che questo continui a ricevere delusioni a raffica e non gli fa né caldo né freddo? Cos’è di marmo? Cos’ha al posto del cuore? Un iceberg?

 

No, come vi ho detto e come sanno gli uomini malinconici e ora perciò malconci, noi di questa razza psicologicamente un po’ anomala, poco chiassosa, non esterniamo quasi mai i nostri dolori. Teniamo tutto dentro nel cuore.

Eppure, dai oggi e non me la dà domani, la maschera del lord si scioglie e la società bavosa ti lorda con le sue porcate. L’infima pusillanimità della gente mediocre ti combina brutti scherzi perché, mal tollerando la tua principesca elevatezza, vorrebbe che fossi un comune stronzo come tutti.

E succede che, abdicando ai ricatti più mendaci, anche tu ti sporchi e cadi preda delle tentazioni più indegne del tuo nome. Del tuo uomo.

Però, anziché diventare appunto uno qualsiasi che ride, lavora per tirare a campare, si diverte come uno scemo e prende tutto come viene senza porsi problemi, il tuo cuore non può mentire. No, devi starlo a sentire.

Fingi una felicità e un’allegria che non ti appartiene. E allora, alla pari di tutti i grandi geni tragicomici, per non sprofondare nella collettiva demenza, ti dai al demenziale.

Così, può accadere che diventi più stronzo di uno psichiatra, come nella celeberrima scena di Alta tensione…

– Sono curioso. Qual è l’esatta percentuale di guarigione dei pazienti, qui all’istituto?

– La percentuale di guarigione? Glielo dico immediatamente. Una ogni morte di papa.

– Una ogni morte di papa. Uhummm…

 

Ora, cosa voglio dire con questo? No, il papa non è morto. Anzi, mi sta simpatico il Bergoglio e spero che possa campare ancora a lungo.

E io non sono guarito da un bel niente.

Come Mel Brooks e come Monty, ho sempre avuto semplicemente più classe e più pudore. Così grande da esser preso per un imbranato… e un sempliciotto.

Questa come la vedete?

Se oggi ho un lavoro?

E che se ne fa Mel Brooks di uno squallido lavoretto da quattro soldi?

Lui è davvero il più ricco di tutti. E sapete dove.

Che peccato insomma non essere diventato Gregory Peck così come avevo sognato.

Ma sarebbe stata in fondo noiosa una vita da gentile, amabile signore.

Meglio essere come Mel. Un genio spaventoso, almeno secondo Mel, no, secondo me.

Sicuramente non secondo a te. Ho detto a te, sì, a te.

E non secondo il modo di vivere falso della maggioranza.

 

mel brooks vita da cani

 

 

di Stefano Falotico

Troppo forte: perché essere Rambo quando posso essere un rombo e anche un quadrato, un quadrilatero e un esagono? Mie teste di cono?


23 Jun

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Sì, nel 1986 usciva uno dei film più brutti e maldestri di Carlo Verdone. L’altro pomeriggio, su YouTube, ho visto una sua intervista in cui, nostalgicamente esaltato dalle sue memorie, ha rimembrato questo film, lodandone l’inizio, quando il suo burino entra in un bar e gioca col flipper come se fosse un amplesso. Verdone, soggiogato dalla lacrimuccia, dice che è un grande inizio. Invece io lo reputo osceno, esagerato, patetico. Sì, era l’epoca di Rambo e di Born in the Usa di Springsteen e allora Oscar Pettinari, affiliandosi e attingendo a questi due modelli culturali che andavano per la maggiore, si barcamenava come comparsa, fregiandosi di essere un attore di (ca)risma. Fra aneddoti di scene rocambolesche e mitizzazioni di sé stesso, un ignoto, insulso figuro romanaccio finito nei guai e salvato per il rotto della cuffia dallo scalcagnato avvocaticchio, malato di amnesie, interpretato da Alberto Sordi. Un film a cui mise mano anche Sergio Leone, ai suoi minimi storici. Uno che credeva sconfinatamente in Carlo Verdone, tanto da finanziargli i suoi primi film. Sì, Verdone andava sempre a casa di Sergio e gli cucinava delle ottime fettuccine, pulendogli col bavaglio anche il labbro sporco di sugo. Cosa non si farebbe per farsi raccomandare? Troppo forte è un film un ch’era già impresentabile all’epoca ma questo tipo di commediole all’italiana andavano, appunto, fortissime. E non c’è da stupirsi che, col beneplacito del popolino, incassavano cifre da capogiro. È un Cinema piccolo piccolo, da periferia, già stanco e privo d’idee, un ininterrotto flusso di sketch tragicomici da cabaret. Una zozzeria che non fa nemmeno tanto ridere, sguaiata, sbrindellata, goffa e modaiola. Il tipico Cinema italiota, beota e stronzo, leccaculo e volgarotto. Macchiettistico nell’accezione peggiore del termine, limitatissimo. Roba che con una Super 8 filmi un lungometraggio veramente superiore e da Oscar, rispetto a questo Pettinari. La pinetina… “teribile”. Con una r. E basta con quel romanesco strascicato da “irriducibile”. Che palle! Quell’anno l’Oscar lo vinse La mia Africa. Nemmeno questo un capolavoro ma in confronto a Troppo forte… Poi, ci chiediamo perché in Italia siamo sempre dei sognatori… sognatori e basta, ed è capace che magnifichiamo anche Vincenzo Salemme, e la frittata è fatta. Di mio, son stanco dei giochetti adolescenziali del pigliare a modelli le stelle di Hollywood. Mi guardo allo specchio e ho il fascino dell’uomo che è orgoglioso di specchiarsi. Perché De Niro, nonostante tutto, rimane il mio attore preferito? Scusate, non si vede che classe che ha a indossare la cravatta? Tempo previsto per oggi: caldo, probabilmente asciutto come me.

 

 

di Stefano Falotico

Come gatti in tangenziale, siamo afflitti da queste macchiette alla Cortellesi e dalle benedette follie di Verdone


03 Jan

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Non me ne vogliate, in modo anche acceso e con estrema burbanza, da vero del Cinema amante, conservo il mio spirito birbante e per molte donne sono conturbantissimo, poiché il mio sguardo profondamente già in loro “invischiante” le rende turbate e io provo lo sturbo quando, essendo così “bellamente”, troppo sinceramente ammiccante e ammaliante, pecco di troppo esser loro scioccamente piccante e questo mio pormi in maniera troppo peccante mi rende d’offese inusitate travolto, sebbene esse ammettano che sia travolgente. Ma io rimango “evanescente” e loro in bianco di un “assorbente” che poteva inumidirsi in modo, diciamo, più corposamente “tangente”.

Da circa quindici anni a questa parte, c’è un’attrice, almeno lei sostiene di esserlo, e ciò già mi altera nel volerla insultare in maniera “esuberante”, che davvero, sì, mi turba. Ed è un turbamento assolutamente negativo. Ella risponde al nome di Paola Cortellesi, donna, o presunta tale, che riassume fisiognomicamente il concetto stesso di antipatia, sebbene a tantissimi risulti “molto” simpatica.

Appare indefessamente in ogni stronzata, si “trastulla” in maniera alimentare di film in filmetto senza vergogna, e ogni volta ripropone il suo campionario di smorfie e moine, battibeccando sempre con un partner che le regge la particina. Stavolta è toccato ad Albanese, e pare che questo film per cerebrolesi stia piacendo molto, tanto da aver raggiunto la vetta degli incassi del weekend, su cui un giorno scriverò un saggio “diagrammatico” per constatare, “prove” alla mano, che l’imbecillità del pubblico italiota medio non fa mai un passo in avanti. Dai all’italiano un piatto di spaghetti, un bel paio di tette e uno stipendietto da mezza calzetta, e lo Stivale rimane sempre superficiale e puttanesco, l’Italia è un borgataro che va a mignotte e poi, dopo i boc… i “finissimi”, ah ah, fa il saputello come fosse uscito dalla Bocconi.

Ma soprassediamo e lasciamo tal Paola alle sue pose “birichine”. Peraltro, si ostina a far la figa quando, senza trucco, è un cesso che non vorrebbe neanche un barbone incontinente…

Adesso, direi di spostare l’attenzione su un’altra macchietta vivente, Carlo Verdone. Lasciando stare i suoi esordi, davvero divertenti, in cui con gusto e puntiglio quasi antropologico ritraeva appunto macchiette del malcostume “folcloristico” nostrano, col tempo si è preso troppo sul serio e ora gira commediole finto-nevrotiche in cui, facendo ridere soltanto i romanacci più frustrati che lui stesso deride, ricicla sconsideratamente tutte le gag del passato, in film che non sono film ma sketch sciatti e banalotti incentrati sulle sue imbranataggini e sulla sua pelata canuta-tinta di pancetta munita su battutacce “stronzine”.

Siamo messi male.

An vedi…

Di mio, invece sono come Romeo, er gatto più bello der Colosseo! Ah ah!

Siamo afflitti da questi cani, mie oche!

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di Stefano Falotico

Sognai di fare il centravanti della Nazionale, rimasi un “centrale”, soprattutto nelle “palle”


13 May

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Da piccolo ero un talento in erba, anche se i campi erano sterrati e le gambe mi “stiracchiavano”. Poi, verso la metà della mia adolescenza quanto mai impervia, inquieta, ansiogena, forse anche sessuofoba, giocai mezz’ala destra, servendo palloni ai centravanti. In allenamento facevo sempre rete, dunque quella testa di cazzo del mio allenatore decise una domenica, anzi era un sabato pomeriggio piovoso e incerto, di schierarmi appunto centravanti di “sfondamento”. Il mio fisico, all’epoca gracile e macilento, oggi appesantito da antidepressivi pesanti e asfissianti, si prestava bene per il ruolo scattante, ma fu un’illusione che durò solo un’ora e mezza. Disputai la peggior partita della mia vita, ne fui provato e da allora mai più in quella (im)posizione mi provarono. Eppur potevo essere un centravanti provetto, ma son rimasto mezzo poveretto. Ricevo molti colpi bassi e le donne mi deridono con guascona “euforia” delle lor cosc(s)e inseminate da qualche “goleador” più redditizio. Si sa, le donne cercano i figli e la famiglia, mentre io poco mi allatto, no, adatto a questa situazione “mestruante”. Oggi, ho bevuto dopo pranzo un caffettino amaro-dolce al Bar Centrale di Castenaso e, all’uscita, uno gridava che hanno acchiappato il lupo. Il lupo sarebbe Igor, il ricercato omicida di “Budrio”. Una notizia falsa, infatti non l’hanno beccato. Igor sgattaiola e dorme, latrando, nelle latrine. Mentre io mi scolo, tutto solo, un’altra lattina. Sognando la Via Lattea. Non sono un poppante né un furfante, sono emblematicamente faloticante.

Di mio, comunque, vado a “segno”. Più che altro a seghe.

Meglio che essere un lupo o un porco. Di mio, non sono neanche frocio, forse procione. Sì, i proci.

Evviva Belotti, detto il gallo. Evviva i cedroni. Anche la limonata, detta cedrata.

di Stefano Falotico

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Bello & ballo, brutto e (imb)ratto, imbranato ma sa il Falò suo


06 Sep

Genius-Pop

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