Carlo Lizzani muore suicida come Mario Monicelli: i suicidi in età avanzata sono una sorta di auto-eutanasia coraggiosa?
Ascolto al solito banalità quand’accadono questi eventi tristissimi e tragici. Persino chi “ridacchia” con frasi disgustose del tipo: “Se era ridotto come una carcassa, è lodabile che abbia adempiuto al rispetto per se stesso, cancellandosi dignitosamente nell’ultimo, (e)sal(t)ante respiro”.
Insomma, frasi da fiotto in gola, che lascian stupefatti e c’impongono una seria riflessione. Dinanzi a ogni morte, il silenzio è d’obbligo. In particolar modo quando a farla finita è un nome, che piaccia, sia piaciuto o meno del Cinema italiano.
Si rimane con un senso angoscioso di disagio ad ascoltare certe notizie. E non è retorica. La retorica è proprio ricamarci sopra con appunto memoriali che “liquidano” una morte “strana”, anzi a illanguidirla di più retrogusto dolciastro fine a se stesso e al giornalismo spicciolo del servizietto… telegiornalistico “lapidario”, orrido d’italico, falso pianto al coccodrillo ad “Eterno Riposo”… ché poi è Sabato sera e di Lizzani non frega niente a nessuno.
Questo sì che è amaro. Tutti a stordirsi col bicchierino, vai giù di aperitivi e un altro bel culetto a mandar a culo. Sì, sono cinico? No, è il contrario. Sono “realista” come Lizzani, di cui ammetto d’essere, in merito alla sua filmografia, abbastanza ignorante, avendo visto pochi suoi film. E quindi giustamente non mi pronuncerò in tal termini. Che sian gli “esperti storiografici” a esaminarlo di retrospettiva e “autopsia” monografica.
Una morte “anziana” per suicidio, che mi addolorò molto, fu quella del grande Richard Farnsworth di Una storia vera.
Il resto è una chiacchiera del the show must go on.
Doveroso minuto di raccoglimento.