Sì, per me il sesso reale ha coinciso col totale disfacimento esistenziale, con l’impazzimento totale, con la perdita di ogni contenzione morale, con la lascivia più nichilista, screanzata, provocatoria, col vuoto più abissale.
Di solito, accade il contrario. Un ragazzo vergine, al concretizzarsi della copulazione, spesso agognata durante un’adolescenza tormentata, improvvisamente sorride alla vita e con grande nonchalance non vede l’ora di cibarsi ancora… d’intessere il suo corpo, ignudo e proteso all’accoppiamento, con vivo ardore e slanciato nitore. Fottendosene…
L’uomo, sì, arrivato a questo punto fatale della sua inoppugnabile vita escrementizia, dimentica ogni metafisica e, semplicemente, diviene un animale, mascherato in un sembiante umano, che vive per la figa. E, per procurarsela, s’impegna con abnegazione in un lavoro il più possibile redditizio che gli permetta, visti i competitivi canoni occidentali, di presentarsi a essa ottimamente e in garbato stile. Per non apparire scalognato e infinitamente miserabile, gioendo a trentadue denti e fauci spalancate della carne della sua stessa fame divorante.
A me invece è accaduto l’inverso. Allo scricchiolare delle mie pudiche barriere, allo sventolare del mio fringuello avidamente bramato dalla mia bella, succhiato, snocciolato, incuneato e duramente nel suo (di)letto ammorbidito, mi sciolsi nel senso letterale del termine. Mi squagliai, pietrificato da tanto putrescente, sessual fetore.
Al che, gli amici mi apparvero delle arpie, dagli sguardi cupidi e lestofanti, ammiccanti e provocanti, a invogliarmi a essere un “grande”. Grande, nella nostra società, significa essere un figo, un trivellatore, un puttaniere di classe, uno che non va certo a puttane ma sa vendere bene la sua immagine e la offre, bellamente pimpante, alle donne che ne fruiscono con smaliziata maturità troia andante…
E ciò mi sconvolse. No, non dovete compassionevolmente intenerirvi dinanzi alla mia sfacciata sincerità. Per me, la vita sessuale, lo ammetto, mi avete scoperto, trombato e inculato a sangue, è qualcosa di terrificante. D’incenerente e puzzolente.
Vedo donne sfilare in tacchi per le strade che dicono d’insegnare ai bambini autistici la via dell’apprendimento, curatrici dei loro deficit, che poi alla sera corteggiano la loro stessa prostituita bellezza, mercificandola al direttore della Ferrari.
E vedo uomini, un tempo sognatori, che si son dati al più bieco porcile dei loro cuori traviati. Sbudellati dall’ineludibile necessità di scopare come cavalli. Ben azzimati, profumati e, io vi dico, intimamente spappolati, spogliati di ogni decoroso contegno. In una parola insuperbiti e decadenti. Totalmente deficienti. Offrono immagini estremamente dignitose di sé, parlano forbiti e sono sempre aggiornati sull’ultimo film del regista israeliano-curdo-islamico, ma amano tinteggiare le loro noie con gli stuzzichini e gli aperitivi, sbirciando i piedi femminili da feticisti dei loro festini.
Sì, sono indubbiamente malato. E amo rallegrarmi nel mio desertico viaggiare senza meta, fra un umore felice e un altro disincanto magnifico.
Per molto tempo ho frequentato gente a posto, normale, salvo poi addivenire che queste persone erano solo traditrici, pronte a cornificarmi con derisioni degne delle più basse meretrici.
Quindi, mi son affiancato a dei veri pazzi. Ma nemmeno con quelli sono andato d’accordo. Perché, in quanto pazzi, non avevano coscienza della realtà e contentamente brindavano da mattina a sera con le pezze al culo. Lagnandosi oggi e ridendo domani, in un mare d’inconsapevolezza spaventosa.
Invece, ahimè, io ho sempre saputo qual è la verità.
Ed è una tragedia.
Nella vita, c’è la depressione se sei un cesso, ma c’è anche la fine se, miracolosamente, hai successo.
Fidatevi…
Adesso, vado a ordinare un panino col bacon perché ho voglia di carne.
di Stefano Falotico