Povero “soldatino”, guarda Omar quant’è bell’…
Be(l)a di più la somara in Totò che guarda questi “faraglioni”, che bella “faraona” e va condita di altre patate e “salsiccia” da cui Il ratto delle Sabine, con tanto di Sabrina e Pampanini…
Tu, invece, beccati una fig(urin)a Panini, e stai impanato da “paninaro”.
Rebel di (ba)tosta alla Chiesa, alla borghesia, a chicchessia ed evviva passar col g(i)allo di chicchirichì, mangiando arachidi da scimmia e seminando il panico fra gli scemi…
Questa è una giungla, la maggior parte delle donne so’ sceme e si smaltan le unghie. Io, da ungulato, mi “affilo” e me lo “affinano”, in quanto è tanto, lis(ci)o, e preferisco leccar l’alluce femminile alle leccatine ai duci. Duca dica!
Ché sopra la panca, la capra campa e sotto crep(it)a.
Trentatré trentini andaron a Trento, trotterellando, e il professor Zichichi è un amante di Iva Zanicchi, ché il cuore è uno zingaro e va… a cagar’? Cristo morì come Gesù, i poveri cristi crepan’ impal(l)ati, per emissione di sentenze… solo pen(os)e avrai, ebete!
Se ti ribelli, “bello” mio “trascurato”, quelli di danari ti daran del patetico. Saranno av(ar)i. Bastone di lor scopa a te bastonato. Meglio pigliarla a culo, pensa a divertirti, non ti curar di chi volle curarti, scurirti, lasciar che l’oscurità nel tuo animo puro t’annerisse al lor voler così “accertarti”, in una diagnosi accerchiarti e illividir la tua cera perché sei un “disturbato” e nessun lor cena oscena devi turbar’.
Loro vogliono sol di matte… voglie tubare, son esibizionisti da YouTube e ti ficcheranno in “preso per direttissima” nel canal… di scoli se non vorrai, come loro, usar la (mas)c(h)era e scollartela di dosso. Scop(pi)a a più non posso, (im)potente, o sarai abusato dal “potere”. Una scrollatina e, mi raccomando, stai ai comand(ant)i, non pisciar fuori dal vaso, altrimenti perderai il viso e avverrà il crollo da spacc(i)ato.
Guarda quella mignotta come se “li tira” e fa pur la spaccona oltre che la spaccata…
Ne ho visti a Bologna, di tromboni panzoni che, al Bazar Affari, bighellonarono dal lavoro, poi “comprando” un ragazzo che marinò la s(c)uola di questa scarpa(ta) di nome società, già sapendo che non poteva (s)calzarla. E che quel troion’ del Balanzone di Bologna, la grassa, di “grasso” e “lungo” avrebbe bruciato l’appena sbocc(i)ante lingua della violata giovinezza come un falò di vecchione arso vivo in mezzo a scop(piett)anti “fuochi” dell’umanità artificiale. Convenzionata alla mutua delle omertà più ammutolenti. La società che cerca subito, senza prove in mano, il suo “nano”, a onanismi sbrigativi del capro espiatorio per far felici i cap(oral)i. (E)mule! Scaricatela! Sfogo!
Ipocrisia nelle cappelle, scappellati dinanzi al cap(pi)o o impiccato sarai se non ti piegherai al conformismo deformante che rende gli uomini guidanti col cappello. Felice, (come) stai? Queste son le palle di Natale, un uomo addobbato e conciato a festa del suo Cristo. Così, Benicio Del Toro de La promessa vien immediatamente accusato solo perché è “tonto” e muto. Gioco facile, preda-vittima del solito sba(di)glio di massa anima(lizza)ta, ammazzante le coscienze indifese e “fesse” con un’altra (im)perdonabile offesa, tanto è un’altra fedina e pen(al)e della pratica “stringi stringi” s’arriva al “fallo” (in)compiuto d’archiviare un trombato, ché c’aspetta sol darsela di sì Do a gambe nel farci il “culo” del re(ato) pratico nel mangiarcela…, brindando, (ir)ridendo, condannando, (s)fottendo e finché la barca va… fai sì che in vacca sia tutta salute e farina del tuo sacco di merda a pel’ della scrotal sacca d’altri s(c)emi partoriti dalla madre dello stronzo è sempre incinta sul (t)rombar in macchine che siete, tutti “a novanta” se il capo vuole… un’altra (foto)copia delle (sotto)messe zuccherose. Vai, tutti in selle! Accavallate, cavalcatelo, non provar a scavalcarlo. Un caffettino e una nuova zoccola piena di altre zepp(ol)e, “dolce” con le zolle.
Che zuppa!
Sì, il si(ste)ma non cambia. Non agitarti, non voglion terremoti. Vogliono con fermezza che tu stia (in)fermo con le mani!
Sì, è un Inferno ma non far il 47 morto che parla. Gioca al 69. Se no, appunto, appuntatelo altrimenti l’appuntato te lo (s)punterà e, dopo tanti pugni, ti rimarrà solo una pugnetta di mosche(e). Getta la spugna e mangiati la “prugna”. Il comandante sta a prua e pure a “poppa”. Spolpando… Sì, tagliandotelo, finirai buddista, meglio comunque che musulmano con la sua moschea del cazzo.
Evviva San Francesco, ché parlava agli uccelli liberi!
(E)levati!
Stampini…, un nuovo festino, ecco Festen eppur io infesto.
In quanto mi piace esservi infausto, ché ai fasti “normali” ho sempre preferito zio Fester e ogni famiglia Addams che (non) si rispetti.
Petto in fuori, un altro crematorio for(n)o, ecco come (s)cremo.
Ecco lo scemo ed ecco il mio seme.
Meglio la serpe delle capre…
Ché la serpe ha i piedi caprini e come Klaus Kinski fotte la Caprioglio con tante capriole.
Aprendogliela anche con dell’olio.
Egli, di “codino”, alla massa non s’accoda.
Gliela… acconcia ed è tutto… che cola.
Come va? Obiettivamente… mal di (tua) pancia.
Ne hai “preso” un altro al fe(ga)to, stava nascendo e l’hai (in)castrato.
L’hai (s)fatto a polpette nel farlo “venir” come ogni pet(t)o di pol(l)o da nazista “bruciante”.
Ma io preferisco esser “mor(t)o” piuttosto che viver come te, porco e, quando sarò davvero morto…, tu lo sarai da un pezzo di salame in mio salmo. Salato, salito in uccello.
(E)saliamo?
Oh Dio “altissimo” del Cielo! Alé, è andata/o a puttane!
Ecco il salumiere che ha rubato la tua “carne”, cane, nella stessa macelleria ove appendesti la tua mortadella.
Ecco la “marmellata”.
E sopra la panca, la capra “campa”.
Meglio Capri, ove il Principe-Imperatore Totò fece bene a prendervi tutti per il popò. Che fe(l)ci azzurre, lavatevi!
Fate infatti tutti cagare, fall(it)i!
di Stefano Falotico