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A volte, anzi spesso, penso di essere Robert De Niro e Spike Lee, un mio video che vi lascerà esterrefatti


26 Mar

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Ora sento parecchie castronerie.

Ad esempio, sento dire che Adam Driver e Timothée Chalamet sono gli eredi di Robert De Niro e Al Pacino.

Sì, Driver e Chalamet sono molto giovani e indubbiamente molto bravi.

Poi, il signor Driver sta azzeccando un film dopo l’altro. Un’incetta di grandi pellicole.

Ieri sera, ad esempio, essendomelo perso al cinema, ho visto finalmente BlacKkKlansman.

Non so se sia un capolavoro ma Spike Lee, dopo qualche anno di appannamento, ha veramente indovinato comunque un filmone.

Cattivo, che ha il coraggio della verità. E aggira tutte le trappole delle retorica per inscenare un film che, sotto l’apparenza di un thriller molto divertente e scanzonato, diventa una chiarissima denuncia e una potentissima requisitoria, senza mezzi termini, contro il razzismo e ogni forma di linciaggio psicologico.

Driver è stato ottimo. Tant’è vero che si è cuccato la nomination all’Oscar.

A proposito, il signor Lee deve odiare molto Donald Trump che sta a Washington, alla Casa “Bianca”.

Però, dopo essersi affiliato per anni con Denzel Washington, ah, adesso ha beccato John David Washington. Va be’… ah ah. In effetti è il figlio.

Oh, il razzismo è brutto, orribile.

E questo film di Lee è anche contro il nazismo, soprattutto ideologico. Infatti, Driver interpreta la parte di un ebreo.

Davvero complimenti Mr. Lee. Se non ci fosse lei con la sua sana cattiveria giusta sempre sbattuta in faccia al falso puritanesimo e perbenismo bigotto, statunitense e non, il Cinema e non soltanto la Settima Arte sarebbe stato schiacciati dalla melensa scemenza di massa che oggi tanto impera.

Sì, è uno spettacolo sconsolante. Ti rechi ad esempio su Instagram e noti un fiorire d’idiozie da lasciare allibito anche un bambino di otto anni.

Una falsità talmente sfacciata e ipocrita da indurti al suicidio perché ti accorgi che viviamo in un’era di buonismi assurdi. E non abbiamo molti strumenti per contrastare tutto ciò se non opponendocene da intellettuali, da pensatori.

Ove modelle discinte si mostrano in tutto il loro indubbio splendore fisico, oh certo, non metto in dubbio che siano bellissime ma poi, nelle didascalie citano Shakespeare quando non hanno neanche mai letto in vita loro un fotoromanzo o, ancora peggio, su una loro foto inequivocabilmente provocante, mettono come sottofondo musicale una canzone della Disney.

Veramente, roba da rabbrividire.

Spike Lee non ha mai avuto paura di denunciare cinematograficamente questo sistema osceno di finte apparenze, di bugie, di edonismo e cervelli vuoti. Ove vince quello che più “forte”, l’ariano appunto, e tutti gli altri sono relegati all’emarginazione, allo schiavismo psicologico, all’apartheid, alle razziali scremature per colpa di mentalità ottuse, testardissime. Che combinano danni a tutt’andare.

Stamattina, in radio, ho ascoltato una battuta che mi ha fatto morire…

Salvini pesava 90 kg e ora ha perso dieci chili. Sì, e noi abbiamo perso dieci anni di vita…

Sì, Salvini ha fatto il lavaggio del cervello a molta gente. E stiamo tornando indietro al fascismo.

Ve l’ho già detto. Nel mio palazzo abitano vari neri. Tutti simpaticissimi. Sono fra i pochi che mi salutano sempre.

Gli altri, per via del mio stile di vita molto particolare e non allineato ai loro canoni borghesi, sì, mi salutano. Ma mi guardano anche male.

Insomma, che ce ne facciamo di questa gente bianca tanto agiata, piena di soldi e “acculturata” se poi non sa rapportarsi educatamente col prossimo o, peggio, è educata soltanto dietro finte gentilezze che invero, sotto la parvenza di sorrisini ipocriti e compassionevoli, blandiscono puntualmente, crudelmente la tua dignità con ammiccamenti e allusioni di pessimo gusto?

Figlie della loro educazione, appunto, fascistoide?

Ecco, invece tornando ad Adam Driver, sì, è bravo. Ma non avrà mai il carisma dell’interprete di Taxi Driver.

Inizialmente, Martin Scorsese doveva dirigere Clockers con Robert De Niro protagonista. Alla fine, optò per Casinò. Ma di Clockers rimase produttore. E, fra l’altro, lo sceneggiatore di Clockers è stato il grande Richard Price.

Sceneggiatore di alcuni film stupendi di Scorsese. E de Lo sbirro, il boss e la bionda.

Film che ha fatto incontrare Robert De Niro e la giovanissima Uma Thurman. Voi sapete almeno che De Niro è stato con la Thurman? Ah, questo lo sapete.

Una sua delle pochissime donne bianche. Ora, Bob e Uma sono rimasti soltanto molto amici. E li vedremo in War with Grandpa. Dovevamo vederli anche nella serie televisiva di David O. Russell, bloccata per il fallimento di Harvey Weinstein.

Avreste inoltre mai pensato che un uomo come De Niro, un BIANCO di origini irlandesi e italiane, ai tempi di Cape Fear potesse amare Naomi Campbell? Be’, a essere sinceri, una nera non tanto “normale”. Eh eh.

Sì, Bob ha sempre amato più le nere. Dicendo in merito a questa sua scelta sessuale: perché le nere sono più vere.

Quindi, d’ora in poi non voglio più ascoltare discorsi ipocriti contro i “diversi” da parte dei Nick Nolte di turno dell’appena succitato film col Bob. Sì, Bob in questo film non è esente da colpe, anzi, ma anche Nick, nonostante la Bibbia sul comodino, è un bel porcellino… Dunque, amici, se subite una palese ingiustizia immonda, partorita dall’invidia e dalla cattiva coscienza della gente, recitate la battuta di Max Cady a ogni ora dei vostri giorni…

Leggo meglio di voi. Imparo meglio di voi. Ragiono meglio di voi. E filosofeggio pure meglio di voi! E durerò più di voi! Ti credi che un po’ di botte mettano fuori combattimento questo vecchio montanaro? Dovrai fare uno sforzo molto più serio, avvocato, per dimostrare che vali più di me!

Insomma, per farla breve. Ho scritto un libro su Robert De Niro che potete trovare sulle maggiori catene librarie online.  Sì, molta gente gelosa della mia vita da uomo libero, di sana pianta, ha voluto farmi passare per una persona sofferente di disturbo delirante. Al massimo, posso soffrire di DISTURBO DENIRANTE. Se invece, qualche idiota è afflitto da disturbi di testa e d’intelligenza, si andasse a curare. E subito! Non si trovano, oggigiorno, molti uomini camaleontici come De Niro e con una voce più bella di Amendola. O no?SpikeLeeGuest

 

di Stefano Falotico

E se la nostra società, dalle fondamenta, fosse tutta sbagliata? Testardi fino in fondo come Eastwood… dobbiamo essere


07 Mar

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Sì, quest’idea sta assumendo in me, col passare del tempo, sempre più un netto, inequivocabile convincimento. Dettato dalle relazioni sociali che avverto, nel mio intimo, deludermi sempre più profondamente. Finte, basate sull’apparenza, mendaci e mentitrici della nostra essenza più lieve e armoniosa.

E questo discorso vale anche per il Cinema. Nelle scorse ore, in maniera anche colorita, pindarica, giocosa e beffarda, mi son espresso in termini molto radicali su Stanley Kubrick. Potete trovare i miei scritti qui e ravviserete che non mento.

No, Stanley Kubrick, a eccezion fatta di un paio di film, lo trovo sopravvalutato. E poi mi par davvero noioso che si celebrino sempre gli anniversari della morte dei cosiddetti geni.

Incominciate a ricordare le morti, innanzitutto, dei vostri cari. Anche se erano uomini e donne stupidi. Chi se ne frega? Forse vi hanno dato più di questo Kubrick.

La gente guarda Shining alla tv e semmai ha aspettato questo momento da mesi eppure è abbonata pure a Netflix. Ove Shining è stato aggiunto ben prima della sua ennesima, insopportabile, nuova, perentoria messa in onda.

E, con estremo orgoglio, ben conscio di ciò che dico e penso, senz’alcun pentimento o vaghi ripensamenti, affermo qui, così come ho asserito puntigliosamente, che Stanley Kubrick, dinanzi a Clint Eastwood, sfigura e non poco.

Il Cinema di Kubrick è moralistico, pedante, misantropo, pessimista, un’ecatombe filmografica delle sue mai sopite e curate ansie.

Non voglio con ciò dire che bisogna essere retorici e sentimentalmente ruffiani. Ma, appunto, spietati eppur romantici come l’insuperabile Eastwood.

Lui, sì, davvero maestosamente poetico, liricamente perturbante, sempre in lotta con un mondo per il quale, con sacrosanta idiosincrasia, sfacciatamente si è accanito e ancor si schiera apertamente contro senza andarci per il sottile. Secco, essenziale, magnificenza nitidamente vivente. Non so ancora quanto vivente ma fa niente…

Kubrick invece va oramai bene solo per i passatisti di un Cinema superato, didascalico, questo Cinema che vorrebbe insegnarci a stare al mondo. E trovo sempre palloso e osceno quando uno si eleva a maestro demiurgico e a educatore cineastico delle coscienze… anche cinefile.

Ciò va bene per le donnette che insegnano alle scuole per bimbetti. Un autore deve essere al di sopra di posizioni cosiddette discutibili e apodittiche. Non dev’essere un assolutista della vita ma un inventore di nuove traiettorie visive, emozionali e perfino di rivoluzionari punti di vista.

Kubrick è stato un rivoluzionario? Macché? Orson Welles lo era. Kubrick, tutt’al più, era un attento osservatore e un trombone.

Che poi i peggiori sono proprio i cinefili. Tocca loro i film “intoccabili” e vanno su tutte le furie.

Allora ha fatto bene, coraggioso all’ennesima potenza, Francesco Alò a dire la sua nella recensione di Cocaine quel che ha detto. In barba al corretto…

Sostenendo che Scorsese, in alcuni gangster movie, è stucchevole.

Sì, lo è. Nobilita i mafiosi e li fa vestire perfino da Armani. Anche De Palma l’ha fatto. Ma in maniera diversa.

Grande film Quei bravi ragazzi ma quante assurdità. I mafiosi sono persone cupissime, sole, folli e invece Scorsese ce li ha tratteggiati, sì, come dei farabutti figli di puttana e viscidi, ma anche come compagnoni da birre in compagnia e facciamoci du’ spaghi.

Quindi, sono sempre più convinto di abbandonare molte certezze della società occidentale, in particolar modo di quella italiana. Borghese, vecchia, legata a schemi e valori vetusti come il cucco.

Valori che, anche nelle sfere apparentemente più altolocate, paiono quelli appunto di cosche mafiose.

E infatti, ogni giorno che passa, ringiovanisco a vista d’occhio.

– Stefano? Hai sbattuto la testa e te la sei rotta per arrivare a dire che Shining è un film mediocre?

– No, mi ha proprio rotto.

 

In fondo, mi ha proprio stancato il mondo in generale.

Tanto io cambio ma il mondo no.

E questo gioco del vivi e fattela piacere anche se il mondo fa schifo… a lungo andare è più falso dei film di Kubrick.

Credo altresì fermamente che Bob De Niro di Cape Fear avesse e abbia ancora ragione da vendere.

Così come dice a Nick Nolte.

Questi qui s’impegnano… nelle loro professioni, per far carriera, per far soldi, per vestire bene. Ma non s’impegnano nelle cose più vere e schiette.

– Ci sei stasera? Devo parlarti di una cosa.

– Di cosa devi parlarmi?

– Sai, sto pensando seriamente di suicidarmi.

– Macché. Smettila. Fatti una passeggiata e una buona dormita. Vedrai che tutto si aggiusta. Ci sentiamo sabato. Ché usciamo, ok?

 

Tanto, arriva sabato e chissà quale altro film di Kubrick trasmetteranno e tutti staranno in casa a “goderselo”.

Forse, per quanto non lo abbia mai avuto in auge, aveva ragione pure John Lennon.

Continuate pure a guardare le vite altrui e un bel giorno, quando starete per morire, capirete che forse quel sabato sera dovevate solo farvi una bevuta.

Da veri ubriaconi, senza sovrastrutture, senza nulla.

Come i grandi saggi. Come forse solo Bukowski e i geni come lui.

 

E questo è proprio tutto.

 

 

di Stefano Falotico

TOP TEN Nick Nolte


22 Nov
Actor Nick Nolte is 75. The Nebraska native got his start modeling and acting in Minneapolis, through the Eleanor Moore Agency. His credits include the films “Cape Fear,” “48 Hrs” and “Jefferson in Paris” and the TV miniseries “Rich Man, Poor Man.” (Getty Images: Jason Merritt)

Actor Nick Nolte is 75. The Nebraska native got his start modeling and acting in Minneapolis, through the Eleanor Moore Agency. His credits include the films “Cape Fear,” “48 Hrs” and “Jefferson in Paris” and the TV miniseries “Rich Man, Poor Man.” (Getty Images: Jason Merritt)

 

Oggi, amici e (a)nemici, voglio parlarvi di quello che a mio avviso, e io ho sempre ragione, è uno dei più grandi attori di tutti i tempi e anche di tutti i templi. Sì, a costui, dopo la sua morte, eleveranno statue altissime negli anfiteatri perché Nick Nolte è l’incarnazione di una tragedia di Eschilo.

E, nell’Arena di Verona, a tre mesi dalla sua scomparsa, tutta la gente canterà in memoria di questo bestione che da giovane aveva un fisico da Dio greco, per un Festivalbar all’insegna di Nick, uomo del Nebraska come uno dei più bei album di Springsteen. E infatti, tra la folla esultante, apparirà il Boss col suo volto roccioso a spronare le condoglianze con delle ballate dolci e anche amare (sì, tanto poi la gente, finito il cordoglio, fottendosene, andrà al mare, mangiando focacce) come l’ultimo film con Nick protagonista: Head Full of Honey.

Quest’attore titanico, scandalosamente candidato agli Oscar soltanto tre volte, due come protagonista per Il principe delle maree (Anthony Hopkins de Il silenzio degli innocenti lo sbudellò in maniera cannibalistica) e per Affliction. Ma assurdamente fu sconfitto da Roberto Benigni de La vita è bella. E all’annuncio di Roberto come vincitore, Nick ci rimase di sasso e pensò in silenzio: ma guarda un po’ se me lo doveva mettere nel culo uno nato a Castiglion Fiorentino, un tipo da Castiglione delle Stiviere, uno che se non imbroccava la follia sua giusta l’avrebbero internato in manicomio. Ma cose da matti!

Poi come non protagonista per Warrior. Ma Christopher Plummer ancora una volta lasciò Nick a bocca asciutta. E Nick, finita la cerimonia, rilesse il suo autore preferito, Kurt Vonnegut. Pensando stavolta: sì, è tutta una puttanata questa vita. Tutto è capovolto. Che vita di merda.

Ecco, ma quali sono le dieci migliori performance di Nick?

Andiamo a casaccio.

I guerrieri dell’inferno, 48 ore, Addio al re, New York Stories, Cape Fear, Il principe delle maree, Affliction, La sottile linea rossa, Triplo gioco e il cammeo di Run All Night.

Questo è quanto.

Vedete di andare a prendervelo nel culo.

 

di Stefano Falotico

TOP TEN Robert De Niro


04 Nov

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L’altro giorno, amici, ho stilato una sorta di campionario del De Niro peggiore. Una carriera artistica non è un campionato e non sempre s’imbeccano capolavori, recitativi e non.

Diciamo che De Niro, prima del crollo degli anni duemila, abbastanza inspiegabile, ma forse voleva far soldi… di film ne aveva sbagliati assai pochi. E anche in film minori come Innamorarsi, L’assoluzione e Lettere d’amore, aveva sempre dimostrato una classe ragguardevole. Una caratura notevole.

Ora, di solito, in queste classifiche, si parte dalla decima posizione per arrivare al primato. Invece, essendo io uno scombiccherato, partirò dal primissimo posto per arrivare all’ultimo.

La migliore interpretazione di De Niro in assoluto è quella ovviamente di Travis Bickle in Taxi Driver. Un uomo del sottosuolo che vive un’inquietudine esistenziale da vampiro solitario. Un uomo incarnato nella sua estraniazione. Qui è luciferino, enigmatico, sofferente al massimo, febbricitante, magrissimo, nervoso, pazzo al punto giusto.

Quindi Toro scatenato. Fosse solo per il tour de force fisico. Lancinante, scarnificante, mostruoso.

Al terzo posto, sempre sul podio, il suo Sam Rothstein di Casinò. Inquietante, perfetto in ogni mimica facciale, un uomo che pensa di aver capito tutto e invece si lascia fregare come un pollo fritto al limone della rosticceria cinese sotto casa mia.

Magnetico, impressionante, titanico.

Dunque, Don Vito Corleone del Marlon Brando ringiovanito. Prima impaurito dal mondo, schivo, taciturno, ombroso. Quindi asceso a capo mafia con un’imprendibile cattiveria allucinante. Una metamorfosi repentina sostenuta dal suo sguardo di ghiaccio e dai suoi zigomi tirati a lucido.

Poi, Noodles di C’era una volta in America. Ora, attenzione, un attimo. Le riprese del capolavoro leoniano dicono che siano durate due anni. Non è vero, è una diceria, una leggenda metropolitana per mitizzare il film. Perché De Niro era reduce da Re per una notte dell’anno prima e lo stesso anno di C’era una volta in America, il 1984, uscì anche, appunto, con Innamorarsi e l’anno successivo col cammeo di Brazil. E in questi due ultimi film mostra un look assai diverso dal suo Noodles. Quindi, come avrebbe potuto, se le riprese fossero durate due anni, farsi crescere i capelli per Innamorarsi?

È altresì vero (riguardate scena per scena il film) che il suo Noodles a volte sembra più grasso in viso e poi più smunto. Ciò significa che Leone ha girato molte scene a distanza di tempo l’una dall’altra. E forse De Niro, a Roma, deve averci dato dentro coi bucatini all’amatriciana.

Al sesto posto, e qui vi sorprenderò… il suo Mendoza di Mission. E non starò a dirvi perché.

Dopo di che, due ruoli da non protagonista, sì, ma ipnotici. Il suo Al Capone de Gli intoccabili e il suo splendido Louis Cyphre di Angel Heart.

E siamo arrivati a quota otto.

Cosa manca? Altra sorpresona. Ci metto il suo Sam di Ronin. Basta guardarlo nelle scene con Sean Bean per rendersi conto della sua grandezza.

Al decimo posto, Neil di Heat. Un lupo, un calcolatore, un temporeggiatore, a suo modo un romantico sempre “ronin”. Al servizio della sua filosofia machiavellica.

Vi stupirete delle mie scelte. Come? Non ho messo Il cacciatore, Risvegli e Cape Fear per i quali ha ricevuto la nomination all’Oscar?

Sì, avete capito benissimo. Grande ma non così straordinario. E in Cape Fear carica spesso troppo così come in Risvegli.

Nemmeno Quei bravi ragazzi. Il protagonista è Ray Liotta. La locandina originale è ingannevole perché Liotta non era pressoché nessuno all’epoca. O perlomeno poco conosciuto. Quindi la Warner Bros doveva mettere al centro del trio De Niro.

Lui è bravissimo, ma il leone è Liotta. E il suo Jimmy non è niente di così eccezionale. Ottimo, ma questo si sa…

Re per una notte meriterebbe un discorso a parte…

De Niro, chiariamoci, non sa recitare Shakespeare, non è un granché nei monologhi, e in Re per una notte l’ho trovato spiazzante. Perché alla fine si esibisce in un monologo, appunto, comico… inaspettato da uno come lui.

De Niro è un “terragno” della recitazione, non sa piangere molto bene (quando c’è una scena di pianto, si mette la mano davanti agli occhi per camuffare questo suo limite, vedi Stanno tutti bene, ad esempio, tranne in Mission), non è sofisticatissimo, è anche abbastanza lento e ha molti “tic”.

Se ve lo dico io, lo saprò, no?

Adesso, per piacere, datemi una matita. Devo dipingermi un neo. Già ce l’ho come Bob. Ma è sulla guancia opposta alla sua. L’avevate mai notato questo particolare? Sì, io sono l’altra faccia della sua medaglia.

Ah ah.

 

di Stefano Falotico, cioè il sosia di Bob

I nonni di David O. Russell erano di Ferrandina, i miei genitori di Pomarico, insomma siamo materani, cumpa’


07 Sep

Cape Fear Tornabuoni


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Cape Fear

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Sì, la nonna, o forse il nonno di David O. Russell era di Ferrandina, paesello lucano, assai limitrofo a quello che ha dato i natali ai miei genitori. Ovvero, Ferrandina che io conosco benissimo.

Avevo e ho tutt’ora il caro prozio Nicola lì, assieme a sua moglie Isa. In realtà, appunto, zio di mia madre.

E ho dunque due procugini, tale Michele, che adesso fa l’operaio non tanto lontano da me, dalle parti di Modena, e Leonardo. Che ora si è sposato ma conserva il fascino anomalo di un bel guaglione cresciuto a pizzicotti e panzerotti.

Sì, a Ferrandina ci sono un sacco di botteghe di panzerotti. Specialità di quell’entroterra brullo ove la gente, fra una sagra paesana dedicata al santo patrono e domeniche nei corsi, in cui le ragazze si fanno belle per cuccare qualche terrone, col solo potere della passeggiata sculettante, va a mangiare i panzerotti, ripieni di prosciutto crudo e mozzarella fumante, il tutto coccolato e oserei dire accudito dalla pastella morbida esterna, roba squisita da leccarsi i baffi, come quelli di Burt Reynolds, morto ieri.

Zio Nicola è un uomo ch’è andato sempre molto fiero della sua Alfetta, guadagnata col sudore della fronte nei cantieri ove, da Roddy Piper di Essi vivono (e infatti da giovane poteva fare il pugile, e combatté anche qualche incontro un po’ wrestling), metteva su mattoni. Ascoltando, fra calcestruzzo e qualche scoreggia, Nino D’Angelo.

Sì, più volte tentai di dargli consigli musicali un po’ più alti. Ma lui mai ne volle sapere:

– Chi? JIMMO Morrison? Ma che è? Un pazzo, un drogato, un capellone, un puttaniere. Guarda invece Nino. Lui, uomo dalla grande anima… vero scugnizzo da popcorn e patatine. In lui vibra il partenopeo sincero che ama, lui ama. Lui corteggia la donna con la sua voce angelica, da biondino magrolino, e poi fa all’amore quando il sole al tramonto, calando sulle pendici del Vesuvio, lo rende focoso e amante vulcanico. Grande uomo, Nino!

 

Sì, i miei invece erano appunto di Pomarico. Paesaccio pieno di chiese, ove le ragazze ascoltano Vasco Rossi e i boys sognano le vite spericolate. E non lavorano mai. Facendosi crescere la panza. “Identici” a Steve McQueen. Proprio spiccicati…

Durante le vacanze scolastiche, andavo a far visita ai miei discendenti. Ero l’idolo. Un felsineo, dunque un “forestiero” in terra sua eppure non sua. Sangue di quella regione ma allo stesso tempo natio della patria dei tortellini, Bologna. O, se non vi piace il termine natio, nato a Bologna. Va bene, così?

Ero già esperto di Cinema e uno dei miei must, al bar, era recitare i pezzi dei critici.

– Stefano, cosa disse la Tornabuoni di De Niro in Cape Fear? Dai, recitami le sue parole e fammi la faccia di Bob. Me fai morì! (e qui da ragazzo della Basilicata diventava Christian De Sica).

– De Niro è stupefacente, un demone ripugnante per bestialità malvagia, per paranoica scaltrezza da leguleio, per la pazzia mistica che lo induce a sentirsi investito d’una missione redentrice, per volgarità e astuzia violente, per la fisicità possente e per la gelida furia che lo possiede; l’immagine odiosa d’ogni nostra paura profonda.

– Sei un genio. Forza, che cazzo fate, idioti. Offritegli da bere.

 

A Pomarico, tutt’ora campa il fratello di mia zia, ex amica di mia madre, che si è sposata il fratello di mio padre. Che casino.

– Dove sei stato, Carmine?

– Sono andato a prendere ripetizioni di Latino da Gigi il professore.

– Guarda che Gigi non è laureato.

– Ma che dici? Insegna Latino e Greco.

– Sì, ma non è professore nel senso esatto e istituzionale del termine. Non si è mai laureato. Ha fatto il Classico, ma ha mollato dopo poco l’università.

– Davvero? E come fai a saperlo? Gigi è il bibliotecario comunale. Ed è un uomo coltissimo. Gigi è un professore. Poi, che cazzo ne sai tu che vivi a Bologna?

– Io so tutto…

 

Ricordate: il Genius sa…

Siete voi che non sapete mai un cazzo.

Insomma, tutto il mondo è paese.

E io sono il re!

di Stefano Falotico

Mi son commosso davanti a me stesso e ho riso tantissimo


07 Jul
CAPE FEAR, Robert De Niro, 1991, © Universal

CAPE FEAR, Robert De Niro, 1991, © Universal

Improvvisamente, nuovamente, scopro che piaccio moltissimo alle donne. Ora, non dovete dar retta a tutte le panzane che vi rifilo. Io ne ho avuta qualcuna, anche se ho sempre avuto il dubbio che non fossero donne. Non è che erano delle cangurine? Sì, ci sono, vivono in Australia e, pur d’incontrarmi, hanno attraversato l’oceano, zampettando fra le onde. A parte gli scherzi, fu dilettevole sperimentare la parte affettiva di me, spesso da me stesso rinnegata. Quando mi do, so di soffrire molto, perché l’amore vero richiede sacrificio totale e significa accettare il gioco, la sfida, con sfacciataggine estrema. Allora crollano i pudori, i residui dubbi si sfaldano, la maschera scivola e le incertezze devi lasciar da parte se vuoi “sfondare”. Ecco, qui ho calcato la mano, e so di aver peccato. Mi perdoni, padre, mi assolva con tre Ave Maria.

Sì, mi ricordo di tantissimi anni fa quando “scelleratamente” mi masturbai, al che in tutta fretta mi recai alla basilica di San Luca, perché talmente “grande” fu il mio peccato che andava obliato in un’abluzione quasi battesimale, per estirpar la colpa e far sì che m’intingessi nella purezza profonda del mio esser spoglio davanti a Cristo, in remissione sincera.

Ricordo i patimenti mistici di quelle giornate deliranti, sospese fra l’adulazione all’aldilà inattingibile e la carnalità adolescenziale unta e bisunta. So che all’epoca i brufoli s’addensarono sulla mia pelle efebica, e rammento ancora come la “rammendai”. Sì, ne faccio qui ammenda, e vi chiedo scusa se in quel periodo mi presentai con quella faccia simpaticamente escrementizia.

Da anni immemorabili, non credo a Dio. Perché soltanto un pazzo potrebbe credere a un’entità superiore che domina i destini di poveri disgraziati, qual siamo noi tutti, in questa condizione umana che spesso ci rattrista e penar ci fa tra dilemmi, il proceder lemme lemme e la flemma, appunto, davanti a una donna elegante per non apparire troppo surriscaldati. Sì, conservate la calma quando lei accavallerà in modo birbante, e annuite solleticanti eppur maliziosi dirimpetto alle sue pose così vogliose. Attendete l’attimo nel divenire e poi verrete di tutto venare, no, peccato veniale. Eh sì, i vasi dilatatori…

Lo conoscevate il verbo venare? Ah, ma andate sverginati, no, svernati!

Devo esservi onesto. Io non sono un campione nel corteggiamento, anzi, spesso mi faccio sopraffare dalla figa, no, foga, imbarazzato esito talmente tanto da indurre la mia preda a mollar subito la presa e a mollarmene una. No, non una sberla, proprio una scoreggia che sdegna la mia esagerata cautezza. Perché la donna media ama l’uomo arrogante che, già imbestialito dalla sua sensualità dirompente, procace, a dir poco avvenente, è zotico e gorgheggia infoiato l’amplesso subito desiderato, ponendosi già troppo accalorato. Le donne dicono che uomini così a loro fanno sesso, a me fanno schifo. L’amplesso va pacatamente desinato, gustato con l’antipasto sfizioso di una chiacchierata che può durare per ore. Sì, perché più durano le frottole, più fra una banalità filosofica e l’altra si mordon le frittelle, tese solo a farlo diventare terso, tesissimo e fritto, no, ritto, più lei non si accorgerà che avete “sbottato” precocemente. Ah ah. Che spiritoso che sono, sono un discolo.

Nessuna donna, ma anche nessun uomo, crede che io abbia 38 anni, anzi, a Settembre ne farò trentanove. Vorrei farmene quaranta, ma trentanove mi spettano di giusti ani, no, anni. Perché, quando mi sbarbo e non assumo robaccia antidepressiva che appesantisce il mio ventre, sembro un trentenne a dir molto.

Invero, la mia apparenza non mente sulla reale età anagrafica ma credo che chiunque, guardandomi nell’anima dei miei occhi, scorga che sono giovanissimo. Non son vergine ma il mio sguardo emana lucentezza viva, scevra di ogni corruzione adulta. Sì, esprimo romantica dolcezza anche quando me la tiro da stronzo. Perché non si addice alla mia natura genetica, estetica, esegetica del mio cuore, essere un figlio di puttana. Sì, alle volte sbraito, do di matto, molto meno rispetto a prima, anzi oramai mai, perdo facilmente la pazienza e sbrocco, ma non perché sono una schiappa e un brocco, perché sento troppo e mi è complicatissimo gestire il turbinio abissale delle mie emozioni voraci, veraci e anche, non so, trovate voi un aggettivo che faccia rima baciata con la mia sibillina autenticità smodatamente limpida e pugnace.

Sto riguardando tutti i Blu-ray che avevo comprato e mai avevo visto. Film che avevo già visto ma non ancora in Blu-ray.

Sto rivedendo Cape Fear e i suoi contenuti speciali.

Sto parlano del remake di Scorsese, sì, il promontorio della paura.

Ecco, a chi saltò in mente di affibbiargli questo sottotitolo? Promontorio è stupendo. Potevano tradurlo anche con cima, capo, sommità, sai che merda…

Vi devo essere obiettivo. So che vi stupirà questa mia affermazione, ma Cape Fear è un ottimo thriller con ambizioni metafisiche, ma non è un grande film, per niente.

È sorretto da una suadente colonna sonora, riciclata penso, sì è così, e lo sceneggiatore Wesley Strick ha cancellato troppi eccessi della prima versione, ma non ha tolto alcune scene che secondo me sono fastidiose. Come quando (in tv raramente passa integralmente) De Niro mangia la guancia di Illeana Douglas. Abbastanza vomitevole e di cattivo gusto. Max Cady è uno psicopatico ma non sino a questo punto così barbaramente mostrato.

No, non è un grande film. Ma comunque va guardato in lingua originale. Con tutta la stima per la buonanima di Ferruccio Amendola, la voce originale di De Niro, con le giuste intonazioni, i tintinnii lievi della testa e la pettinatura leonina così ben “acconciata” alle sue ottimamente cadenzate corde vocali, rende appieno giustizia alla grandezza della sua interpretazione.

Poi, perché citate quella frase… imparerai che vuol dire perdere?

Dice in effetti You’re gotta learn about loss. Che potremmo tradurre più appropriatamente con hai da imparare sulla perdita. Sul senso della perdita. Perché in galera Cady ha perso la sua anima. Non soltanto degli anni.

E lui non dice… roba tipo… ci voleva qualche vizio per ricordarmi che sono un uomo.

Uomo, virilità e il concetto di perdente appartengono alla nostra cultura italiota. Alla nostra folle visione fra bianchi vs neri, fra vincenti e vinti. Roba tutta fottutamente, laidamente italiana. Lui dice… per ricordarmi di essere umano. Perché sì, Cady ha stuprato e si è macchiato d’infamia, ha lordato la sua coscienza, ma ha perduto soprattutto la sua umanità. Ed è per questo che è un fan di Nietzsche e di altre teorie superomistiche che comunque lui distorce a piacimento.

Sono dettagli importantissimi, cazzo.

Ora, vi siete accorti che è forse l’unico film di Scorsese che indugia sui tramonti rosati e le stelle cadenti?

Perché la fotografia è del lynchiano Freddie Francis. E The Elephant Man e Una storia vera vi dovrebbero dire qualcosa in merito.

È in questi scorci che Cape Fear diventa metafisico.

Perché il significato intrinseco della vita è nel profumo delle stelle.

Perché ci svegliamo ogni mattina, nonostante tutte le sfortune del mondo, e continuiamo a emozionarci? Perché, come sostengono Freud e Jung, fin dalla nascita possediamo una sorta di coscienza sociale figlia della nostra genetica emozionale? No, una grande balla.

Perché Dio non esiste, ma credo fermamente che esista qualcosa che ci rende unici. Qualcosa di profondamente inquietante, a ben vedere, che non ci permetterà mai di essere delle scimmie, neanche se lo volessimo.

E io non posso essere pazzo neppure se m’impegno dannatamente talvolta per sembrare tale.

Da tempo poi, devo confidarvi, che sono terrificato dall’idea della morte.

Forse, siete troppo occupati nelle vostre competizioni balorde e nelle vostre stronzate ignobili quotidiane per capire ciò che sto cercando di dirvi da una vita.

Oggi muore un tuo amico, domani la donna che ami o ti eri illuso di amare, domani i miei genitori, ieri i miei nonni. E noi perdiamo, giorno dopo giorno, qualcosa.

Quel qualcosa che ci rendeva simili a Dio. Nella nascitura onnipotenza della nostra innocenza.

 

T’insegneranno a non splendere. E tu splendi, invece.

(Pier Paolo Pasolini).

 

In verità, noi tutti siamo già uomini quando abbiamo tredici anni ma siamo obbligati, giocoforza, a nanizzarci perché non abbiamo indipendenza economica, i genitori ci attanagliano perché pensano che una vita programmaticamente corretta sia quella sana, nessuna quarantenne farebbe sesso con noi, non sarebbe moralmente lecito, veniamo imbrigliati da retorici retaggi e ricatti scolastici per essere indirizzati…

Un’immane, orrenda ipocrisia. Come quella di Nick Nolte.

Voi non smettete di guardare alla vita con la vostra poesia.

E non avrete più paura di niente e di nessuno… anche di uno che guadagna centomila Euro al mese e v’impone sadico e smargiasso la legge del più forte…

Adesso vi mando a cagare e mando a fanculo anche me stesso. Ah ah ah.

 

Buonanotte.

Buona visione.

 

 

di Stefano Falotico

Festa del 4 Luglio, che molte persone non sanno neppure cosa sia


04 Jul
JASON KELLY, TIM ROBBINS & KEVIN BACON in Mystic River Filmstill - Editorial Use Only Ref: FB www.capitalpictures.com sales@capitalpictures.com Supplied by Capital Pictures

JASON KELLY, TIM ROBBINS & KEVIN BACON
in Mystic River
Filmstill – Editorial Use Only
Ref: FB
www.capitalpictures.com
sales@capitalpictures.com
Supplied by Capital Pictures

Non era la parata del 4 Luglio quella che si vede in Cape Fear e Mystic River? E non è una canzone molto famosa di Springsteen, Independence Day, da non confondere con quella micidiale stronzata sesquipedale del film di Roland Emmerich, uno che è riuscito a partorire ben di peggio, Stargate, monumento al patriottismo militaresco?

Vivo in Italia, Paese d’imbroglioni ove abbiamo ancora il canone RAI, televisione di regime che diffonde notizie banalissime con una serietà da lasciar basiti.

E in radio, stamattina, la solita matrona-oca che recita a pappardella i testi retorici che le scrivono, ha voluto “stigmatizzare” questa giornata della libertà.

Libertà per gli americani, dominati dalla casta trumpiana, poco casta ma molto castigante, fascista e dunque ripugnante.

Poi, l’oca dell’etere di R 101, radio filo-destrorsa che propina solo canzoni orecchiabilmente incitanti al divertimento più vacuo e sfrenato, con voce da pasciuta borghesona, ha “amplificato” un’altra sciocchezza apoteotica, lontana anni luce dalla visione del Falotico.

Vi ricordate quando, semmai adolescenti, vi struggevate negli stabilimenti balneari, limonando col vostro amore estivo? Certo, ora da adulti, assillati da preoccupazioni, dal lavoro, dalla famiglia, da altri oneri fiscali-finanziari, guardiamo a quel periodo con un po’ di “sana” nostalgia, ma ricordiamoci che è ancora estate, e dunque sfoghiamo i nostri pudori repressi dopo un inverno stressante e anchilosante, e continuiamo a credere all’amore. Perché l’amore è tutto, è ciò che ci rende uomini, ci fa svegliare col sorriso sulle labbra e, con questi ardenti raggi solari, che c’è di meglio di una colazione a letto, ancora impiastricciati dai sudori della notte appena trascorsa, umidiccia, e noi afosi siamo splendidi, gioiosi, focosi e col vento in poppa?

 

No, la prima parte è ciò che ha veramente detto quasi testualmente, il resto l’ho aggiunto io. Tanto il succo, il “succhiotto” diciamo, era quello. Cioè il messaggio inviato si può sintetizzare nella magnificazione lurida di questa visione falsa e putrida, un’insulsaggine romanticheggiante che puzza d’ipocrisia stagnante.

Sì, siamo stati educati per anni a inseguire i nostri sogni, a combattere per le nostre libertà, per poi capire che, giunti a una certa età, bisogna rassegnarsi e prenderla come “viene”. Arrivando a cinquant’anni totalmente disfatti nel morale, resi immorali dopo tante delusioni castranti, e dunque dobbiamo spaparanzarci sul divano ad aspettare che Cristiano Ronaldo firmi per la Juventus, e che Salvini firmi la “liberatoria” per far morire tanti bambini.

Così poi ci colleghiamo su Instagram, ove la scema più scema è seguita da milioni di followers, perché il suo cervello l’ha lasciato in vacanza dalla nascita, ma sprona di culo abnorme ogni “libero” uccello.

Ora, quel demente di Tom Cruise, esemplificazione vivente dell’edonismo più schiacciante, sta girando il seguito di una delle più grandi boiate cinematografiche di tutti i tempi, Top Gun: Maverick.

La storia di un troione, inespressivo come il culo di quella di Instagram, che inneggerà al maschilismo più tronfio, pomposo e pompato. Assieme a una combriccola di machi “incazzati”. Una storia di droni, di ormoni e omoni. Tosti, adrenalinici, uomini appunto al “top”. Ma Tom Cruise più passano gli anni e più assume la faccia da topo.

Cosa voglio dire con questo?

 

 

di Stefano Falotico

E filosofeggio pure meglio di voi


03 Jul

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Oh, è da una vita che mi sgolo. Molti per cultura intendono l’essere sempre aggiornati sull’ultimo film in programmazione, sull’ultimo disco del cantante tal dei tali, e sul più bieco, commerciale libro appena in vendita. Questa non è cultura, è nozionismo superficiale, becero, qualunquista, informativo e pedissequo. La cultura è ben altro. Saper interagire col prossimo in cerca di dinamiche cognitivo-emozionali, partorire delle nostre coscienze e conoscenze un processo simbiotico-empatico di reciproco scambio interattivo, rendere fruttuose cioè le nostre anime per la suprema esplorazione di noi stessi, fra migliorie, passi indietro, ritrosie e cambi di prospettiva. Questa è la cultura, parola di cui vi riempite tanto la bocca ma siete soltanto dispensatori di fake news della vostra putrescenza e della filosofia dell’ove tira meglio il vento. A che vi serve sapere tutto a livello formale di un film se non avete appreso nulla a livello viscerale? E nella realtà di tutti i giorni non sapete neanche girare un controcampo caratteriale?

Siete metodici, abitudinari, e guai a chi non la pensa come voi. Fortunatamente, io la penso così.

 

di Stefano Falotico

La Critica cinematografica, la “cultura”, Federico Frusciante, il sottoscritto, il fascismo culturale


30 Oct

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Ieri sera, in uno slancio orgoglioso dei miei sentimenti voraci, sulla bacheca di un amico, che capirete bene chi è, scrissi questo, testuali parole: ho sentito dire che Federico Frusciante non dovrebbe parlare di Cinema perché non ha una laurea al DAMS. Ma chi è questa gente? Siamo invasi dai fascisti della cultura. Una, su Twitter, mi scrive invece che io non dovrei parlare di Letteratura perché non ho una laurea in Lettere. Ma in che mondo viviamo? La gente pensa, ancora, nel 2017 inoltrato, quasi 2018, che serva la LAURA, come diceva Totò, per parlare di Arte e Cultura? Mi sembrano degli ostracismi ideologici del peggior nazismo.

Al che, come sovente capita, vengo invaso da Mi Piace e commenti di approvazione che comprendono bene il mio sintetico pensiero, e lo apprezzano largamente.

C’è chi scrive questo: Federico mi ha aperto le porte a una conoscenza della settima arte trasversale ed eterogenea. Non è un critico, ha molte sbavature e non è perfetto… difetti che in realtà costituiscono un reale e concreto vantaggio differenziale rispetto a buona parte di quello che circola in rete, spesso patinato e scevro di veri contenuti. Nel Frusciante si può notare l’orgoglio di un proletariato che, come diceva Walter Benjamin, rivendica un legittimo interesse per il cinema: un interesse all’autoconoscenza come individui e alla conoscenza della propria classe. Da qui la critica all’industria cinematografica che corrompe questo legittimo interesse, spronando le masse a partecipare a eventi di contingenza, sulla base di un fittizio ma pervasivo apparato pubblicitario.

Il Frusciante può piacere o meno, può evolversi o involversi come tutti noi esseri umani nella nostra quotidianità, ma se c’è una cosa di cui sono convinto è che, non solo può, ma DEVE poter parlare di cinema, musica, politica etc…

A questo bellissimo commento, che esplicita ciò che io avevo fatto intendere tra le righe, arriva a sproposito, inopportunamente, un intervento che ha dello sgraziato più screanzato, che stona col clima di armonia che si stava instaurando, che spezza gli equilibri soavi del libero scambio di opinioni, un commento che ha dell’incredibilmente faceto e arrogante…

Cosa c’entra il “nazismo” che non esiste ed è un sostantivo inventato?

Guarda che nel Nazionalsocialismo si premiava proprio la vera cultura, si sosteneva esattamente la stessa teoria che stai esprimendo tu…

 

Innanzitutto, va detto che “nazismo” non è certamente un termine inventato, è il sostantivo che, per facile convenzione, “definisce” il nazionalsocialismo, e non ho certo bisogno di maestrine che mettano i puntini sulle i per insegnarmi cosa sia. Ho perfino scritto un libro, Il cavaliere di Berlino, che narra di una storia nazista. Sì, quindi quando cito questo termine “erroneo” ho piena cognizione di causa e non ne parlo per puro sfoggio retorico, a differenza di questi “sapientoni” che ci tengono a “precisare” con quella meticolosità boriosa tipica proprio di tal sprezzante “cultura”. La stessa a cui alludevo io…

Sì, avrei dovuto essere più specifico, e usare la parola classismo, per non creare confusione, ma non sarebbe suonata così forte. Oppure avrei dovuto dire fascismo. Per “nazismo” intendevo quella “cultura” razzista, superbamente elitaria, che brucia ciò che considera inferiore. Il nazismo, se non sbaglio, propugnava, travisando parecchio Nietzsche e strumentalizzandolo, la “cultura” del superuomo, uomo visto come prodotto della presunta, pericolosissima “superiorità”. Che dunque non accettava, anzi “ammazzava” chi era diverso da lui.

Chi ha letto bene fra le righe, ha inteso benissimo cosa intendevo con quell’apparente “pressapochista” definizione di nazismo.

Poi, giustamente, intervengono persone che ribadiscono che titoli accademici e posizioni cattedratiche raramente vanno di pari passo con la Cultura con la C maiuscola, perché spesso sono funzionali soltanto a far sì che certe persone “colte” cementino i loro privilegi di casta, di autorità che reprime coloro che non la pensano come loro. Un “basamento” del ricatto psicologico per spegnere e annichilire la libera democrazia del pensiero, usando in maniera estorsiva il pezzo di carta per “attestare” che hanno, a prescindere, ragione, e quindi ogni altro tipo di ragionamento non può avere la “credenziale” della credibilità. Insomma, quelli che, sulla base di una presunta superiorità intellettiva, schiacciano il prossimo, non gli danno diritto di parola, e coercitivamente lo vogliono sigillare nel mutismo. Snobbandolo o facendo spallucce “simpatiche”. Avete capito…

 

Siamo invasi da gente che vuole rimpicciolire gli altri dall’alto della presunzione, dall’alto di facili e invero scricchiolanti piedistalli che poggiano soltanto sulla retorica più insulsa, sulle prese di posizione/i aprioristiche, che basa, essendo appunto classista, il rapporto sociale, già sulla distinzione, sulla schematica scrematura, sull’annientamento dell’individualità secondo parametri assai fallaci e in verità tracotanti e pretestuosi.
Al che, uno mi viene a chiedere dove io mi sia fatto tanta cultura.

Gli rispondo come Max Cady… Prima, l’alfabeto del mago Merlino, poi le avventure di Max il Leprotto…

Ah ah.

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di Stefano Falotico

Le ragioni del successo di Stranger Things sono di natura sessuale, ve lo dice Max Cady, ah ah


29 Oct

maxcady

So che questa frase nel mio titolo potrà sembrare l’idiozia dell’anno, e per certi versi lo è. Mi piace gigioneggiare, buffoneggiare e cazzate sparare. Cazzate sino a un certo punto… Ma, dopo giorni di profonda meditazione, di scrupolosa indagine freudiana alle origini assurde e incomprensibili del fenomeno Stranger Things, mi sento di dire, in tal Ottobre decadente della nostra “b(r)ulla” società, che il sesso è alla base di tal sesso, no, successo.

Sì, perché mai questa serie, ch’è incentrata principalmente sui bambini, alcuni dotati di poteri paranormali, che saccheggia esplicitamente a piene mani da tutto un immaginario pop così tanto attecchisce nella mente di spettatori di ogni età? Piace, appunto, agli infanti, ai trentenni nostalgici, ma anche a uomini di mezza età, piace indistintamente alle donne, ai maschi, persino ai froci. Raro trovare qualcosa che metta così tanto d’accordo gli spettatori di ogni fascia sociale, a prescindere dalla loro cultura, dal loro background, dalla scala gerarchica che occupano. Un successo bissato enormemente da questa seconda stagione, che sta facendo guadagnare a Netflix soldi a palate. Anche soli senza “patate”. Ah ah.

Molti obietteranno e diranno semplicemente che è un “capolavoro”, e quindi i capolavori non fanno distinzioni, sono qualcosa che trascendono le mere spiegazioni razionali, e ricevono consenso unanime.

Ora, nonostante qualche scaramuccia amorosa adolescenziale, qualche scena d’infatuazione fra giovani pollastri, fra donzelle forse vergini e ragazzotti magri col ciuffo alla Elvis, di sesso non ne vediamo affatto in questa serie, mentre quasi tutti i film e appunto le serie televisive ne sono pene, no, piene.

La gente parla sempre di sesso, è sulla bocca di tutti, e lo sa bene Harvey Weinstein, crocifisso oltre le sue reali colpe, perché la gente è morbosa, ama farsi i cazzi degli altri (lo sanno le donne traditrici e ninfomani), siamo invasi nel linguaggio da continue allusioni in tal seno, no, senso, è una fissazione che “perseguita” molte persone, ne parlano, a volte poco lo fanno, ma non sono mai stanche d’ironizzarvi, di giocarci sopra, di sedurre, d’indurre in tentazione (lo sanno quelle finte suore che accavallano sempre e poi, quando vengono guardate con desiderio, fanno le “sante”, rinnegando il loro scopare, no, scopo).

Ecco, molti ne sono oggettivamente saturi, ne hanno le palle piene. E preferiscono dunque qualcosa di magico, di “infantile”, di più dolce e meno “bramoso”. Per recuperarsi puri in un mondo incendiato da questa maledizione del sesso. Odiato, cercato, respinto, accusato, vilipeso, goduto e fottuto.

Sì, la gente “adulta” è stanca della vita “normale”, del lavoretto, del vinello dopo cena, dei sabati sera con le bevutine, dei colleghi invidiosi e rompiscatole, insomma, della routine.

E Stranger Things è tutto ciò che ha sempre voluto vedere ma non ha mai osato dire.

di Stefano Falotico

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