Mesto, poi irruentemente baldanzoso, passeggio in modo “negligente” in quest’umanità d’imbecillità vigenti e la vigilo, ben vigilando su me stesso, spesso così apatico in tal frastuono ove i clacson la fan da padrone e ove le donne (s)vestono in minigonna anche in pieno inverno, per attizzar gli sguardi “strombazzanti” dei maschi innamorati nel metrò. Uh, le mani morte, in questo perseverare di molestie e di sguardi a me indigesti, ove tutti voglion apparire e poco con me, remoto da questi ruffiani baciamani, emozioni vere spartire. C’è chi apre lo spartito e se la suona da sé, di lodi sperticandosi mentre io delle sue “musicali” ambizioni mi sbellico nel sapere che il suo è un ritmo troppo allegro del viaggiar in questo (mare)moto con poco brio sincero, mi dà i brividi, e lo schivo, rimanendo un uomo poco meschino a cui molte cose fan schifo. Sui social impazza la povertà morale più “invereconda” e tutti si accalorano per foto che diano “istantanei” piaceri di Mi Piace inutili quanto un caffè senz’aroma.
Mi distacco ed estranio sempre più da tali finte socialità, e aspetto un’altra puntata della vita migliore di queste collettive puttanate.
Sono poeta e artista, dunque di bocca buona in questo cattivo gusto che mi fa tanto pen(s)are.
Insopportabilmente, rimango autoctono in mezzo a tanta scomposta ilarità “macrobiotica”.
Siete voi i nati ieri…
Di mio, non rinasco mai, sono eternamente (in)stabile in questo vostro sonno poco amabile.
Non muto, sono però più emozionale di tanto chiasso, fracasso che mi sta sul “lazo”, forse sono pazzo, probabilmente non amo giocar a rubamazzo. E chi m’ammazza?
di Stefano Falotico