Già vi narrai, giusto, delle mie scorribande mentali, delle mie perdizioni nel mondo segreto della notte più profonda ove mi persi e soccombetti al lunare, acquiescente zampillio del mio cuore sommerso nell’opalescenza più linda della mia brillantezza offuscatasi?
E del mio miracolo avvenuto a Roma molti anni fa? Trovate molti scritti in merito a tale mia rinascenza.
Persone poco spirituali, invero solamente agganciate alla scientificità più spicciola e materialistica, non ammetteranno mai che si sia trattato di un evidentissimo miracolo. Di quello che, in psichiatria, viene definito uno dei pochissimi casi nella storia di ritorno alla follia della vita umana dopo la bellezza incompresa dell’esistenza dissipatasi nei meandrici sotterranei della pazzia comunemente intesa.
La pazzia è qualcosa che non si può toccare con mano, è intangibile, come si suol dire, è perfino impossibile diagnosticarla da parte della cosiddetta gente normale.
Lo sostiene anche quel matto di Tom Waits quando alla domanda di Matt Dillon, in Rusty il selvaggio, se sia possibile capire quando uno è pazzo, sebbene all’apparenza non lo sembri, il mitico Tom gli risponde che non sempre è appunto possibile riconoscere la persona malata di mente e attestare visivamente, da una semplice occhiata per intenderci, se ci si trova/i di fronte a un pazzo la cui pazzia sia appunto manifesta, oppure se la sua follia sia irriconoscibile a prima vista poiché il pazzo che ne soffre, purtroppo o per fortuna sua, non cela né dissimula la sua insania, semplicemente non ne è consapevole così come gli altri, pronti a giudicare se sia pazzo o no, non sono coscienti forse di essere loro stessi (i) pazzi. E viceversa, in un continuum (in)equivocabile di fraintendimenti reciproci appunto pazzeschi.
È quello che io sostengo da una vista, no, da una vita. Ancor prima di aver visto, moltissimi anni fa, per la prima volta Il seme della follia.
E anche Il medico dei pazzi con Totò.
Non fraintendete inoltre quanto nelle righe seguenti vi esporrò dall’alto della mia modestia talvolta superba.
Per tempo immane, incalcolabile e oserei dire incommensurabile, io mi credetti sano e anche coloro che frequentai quando io mi considerai savio, eh già, mi reputarono una persona priva d’ogni qualsivoglia ombra di anormalità. Anzi, a dirla tutta, fui sempre reputato un ragazzo cervellotico, sì, un falotico. Sin troppo dunque normale e timorato di dio.
Molti pensarono che, avendo un cervellone, non fossi interessato alle passerone. Ma questo è un altro discorso.
Perché mai si associa puntualmente la serietà comportamentale con le voglie sanamente sessuali?
Cioè, si crede che se uno sia una persona in gamba, debba essere necessariamente un prete? Cioè uno a cui non interessano le femminili gambe e tutto ciò che può condurre al paradiso molto prima di compiere miracoli e ascendere al cielo?
Eh sì, se incontri Naomi Campbell degli anni novanta, non hai bisogno di andare ogni domenica a messa e non abbisogni neppure di fare il missionario come Madre Teresa di Calcutta, non devi dunque passare attraverso le stigmate di Padre Pio per essere beatificato. O no?
Sì, chiariamoci su questo punto cruciale poiché da qui parte tutto il resto…
Sì, si sente dire così in giro.
Se uno, ad esempio, fa lo scrittore e commenta la foto di una, inserendo la lapidaria, onestissima frase sintetica… sei una grande figa, la figa chiamata in causa gli risponde che lui non è uno scrittore vero per colpa d’averle scritto una banalità come tutti gli altri.
È uno scrittore, forse un grandissimo poeta, mica un eunuco. Ecco, sono situazioni imbarazzanti che creano disagi oserei dire incolmabili. Vuoti da riempire molto a perdere…
Sì, le donne esigono l’uomo lirico e non da due lire che impeccabilmente scriva loro odi e sillogi magnificanti le loro forme estasianti, prodigandosi in componimenti talmente lunghi che, mentre il poeta si scervella per regalarle loro, loro la regalano a uno che le fa sognare con la villa, la Porsche e le collane dorate.
Da cui il famoso detto… buonanotte e sogni d’oro.
Sigmund Freud disse che il pazzo è un sognatore sveglio…
Charles Bukowski invece coniò due perle da premio Nobel, ovvero: l’individuo equilibrato è un pazzo e alcune persone non impazziscono mai. Che vite davvero orribili devono condurre.
Ed è in virtù proprio di questi padri della mia psicanalisi che non sarò mai come Berlusconi ma un coglione qualsiasi.
Né pazzo né un Joker psicopatico, neppure un deficiente come quasi tutti.
Sì, Roma è la capitale di questa nostra Italia disastrata.
Nelle scorse ore, il litorale adriatico è stato sommerso da un nubifragio cataclismatico con epicentro Pescara, sì, diciamo un terremoto di acquazzone non vendibile al mercato Aiazzone.
Perché la gente ai supermercati dei grossi centri commerciali acquista solo uno dei film più brutti con Richard Gere, Come un uragano.
Sì, uno tsunami che le persone, alla sua vista, hanno urlato azz, ora sono cazzi amari.
Per forza, se piove di brutto, asciutti non potranno certamente esserlo.
A Roma risiede il Papa che giustamente pontifica in quanto pontefice.
Fellini vi girò Roma (evviva la fantasia per scegliere un titolo originale, diciamo) ma anche La dolce vita e altra roba, a Roma, Antonello Venditti filmò il suo cammeo sotto il cupolone de La grande bellezza e Sabrina Ferilli gigioneggia tuttora da ciociara, magnandosi un buon piatto di carbonara.
A Roma si concentrano i girotondini, godono i premier truffaldini e non poco volpini, sgallettano le vallette che svendono facilmente le mutandine ed è tutto un gran casino.
Solo il Joker vero e non quello finto, in mezzo a un mondo andato a puttane, formato perlopiù da pazzi, cammina tra la foll(i)a da vero cavaliere mascarato.
Ah ah.
Oh capitale, mio capitale, io non sarò mai capitano di niente.
Ma questa è la mia nave e non affogherò nel vostro oceano di porcate.
di Stefano Falotico