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Mickey Rourke, intrepide vene di un wrestler


10 Mar

Mickey Rourke,

intrepide vene di un wrestler

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Una monografia dedicata al grande Mickey, attore sopraffino eppur selvaggio, scalpitante in muscoli tonanti, rifatto, slanciato in funambolico frizzo dei suoi lampi abbarbaglianti e abbaglianti in zampillii   furibondi smaltati, piangenti nella lussu(ri)osa “machine” (imbatti)bile del coriaceo suo corpo mutevole, trasfuso in sinergia dinamica d’iridi luminescenti, miscelate, esplosive, (s)tirate in vulcaniche detonazioni repentine, un flusso ininterrotto d’un purpureo lottatore, tumefatto da tanti colpi spappolanti d’una sua (r)esistenza sempre sbraitante, emotivamente instabile, arcuata a suo ispirato, magnifico attore rotante la gioia del sé stesso (t)esser la fibra ipnotica dell’anima dirompente, eruttante sua illanguidita, romantica posa, diguazzante e smargiasso in un oceano nero del suo intimo cangiarsi potente, impressionante nudità d’uno spropositato ego maniacale a narcisistico perfezionismo attoriale erto a una recitazione carismatica che a lui vien così naturale, timidezza nascosta dietro un abito malsano da ubriacone, com’appare infatti tale, spesso sconcio, marcio, distrutto in molti film, svelante lentamente il suo sex appeal magnetico, un uomo che si martoria, macellante divora il toro che, nel cuor suo feroce, lo sbrana e, angosciandolo, strozzandolo, strepitante rabbia (in)esplosa, vivo lo mangia. Mickey s’incarna nei suoi occhi mangiati vivi dal sé già smembrato e chirurgicamente palestrato, le palpebre sbatte fra mille donne sbattute, scorato poi si lascia andare come dovesse esser presto deceduto, disarcionato della sua dignità, si crogiola nel far nulla vizioso, capriccio personificato della sua immediata venustà cataclismatica, frenesia d’ardori densi di vita roboante, titanica e splendente, pura, suadentissima, simbiotica ipnosi ammaliatrice che trasmette e infonde istintivamente agli affini spettatori che, applaudendolo in gloria del san(t)o elevarlo come il suo Francesco, lo riveriscono quando, sul tappeto rosso, innanzitutto delle sue tremende, sacrosante ire emozionali, irresistibili/e, picchia inesausto nel ring(hiar) con rabbia e inestimabile, vampiristica, sanguigna bravura..

Va giù, poi si “tira a lucido”, su.

 

Un man barfly sui marciapiedi del suo silente star (in)espressivo, bolsa trasparenza d’un corpus attoriale “mortificato” nel suo amar(si)… (in)finito


Forse, Mickey, cereo, (in)certo, scolpito nello sgretolato pianger il sangue zampillante d’un suo mutarsi sempre in dissipato(re) del suo talento (s)confinato, rannicchiato nell’angust(iat)o spacc(i)atore di sé rotto nell’anima illimitatamente (com)battuta, si sbraccia, tutti bacia, si brucia e si buca, s’arrabatta nello scriversi da solo la storia della sua “troia”. Cadendo, d’angelo v(i)olato, in tal putrido squal(l)o(re) del mondo ubriaco… salta di palo in frasca, s’ammorbidisce (forse il pelo) e quindi scappa, sé stes(s)so scopa, scoppiato.

Pugile suonato, libra, lib(e)ro aperto, troppo.

Chiuso poi dalle limitate mentalità borghesi, arroganti ché deturparlo vogliono affinché, tarpato, come tutti i tappi, si recida in ali bruciate e non più brucianti da fiero attore-toro… crolla o solo barcollante, bar-col(l)ante vivente, collante di chirurgia, sì, svenato, (s)venutissimo…, (dist)rutto sputato nel “normal” eloquio ove l’etica falsa, ahinoi imperante, col suo imperioso, inderogabile motto, è non dovere dar di matto mai e star b(u)oni, belli di plastica. E, non (r)esistendo a tal (in)visi finti, fa una brutta fine, facendosi “rozzo” di chirurgia al suo vol(t)o seg(n)ato, si plastifica da bella “figa”.

Nel ficcar il suo orgoglio arrostito, avvilito, gioendo dell’icona immor(t)ale di cangianti suoi sempre conturbanti e perturbanti lineamenti stanchi, lui, giammai allineato, come se “aggiustarsi” la faccia da “culo”, per (parad)osso (sm)unto, da pallido gonfiato “pallone” d’ingrassato faccione come se avesse assunto il cortisone, lo salvasse dal “coglione” andato a ma(ia)le, che fesso-sesso… n’è ossesso, lo (s)mascheri in (ca)muffa, lo (s)vesti e (s)copri da una furiosa… (insana)bile sua troppo malsana, ah, sano o non tanto santo, intanto ancora sul tappeto rosso salta con la saliva salata da lottatore non più zuccherato nei suoi tempi d’oro ma ora arrugginito nei suoi denti cariati e non più a mille carati. Malgrado sia una vecchia cariatide e cera troppo sincera sviscerata nel suo viso macerato, ancora vola come una mosca da bar(o).

Barcolla fumante, Mickey, fischiettando, dentro la sua anima corrugata da mille sfregi ed errori (in)volontari, un motivetto canterino da barbone appiedato col dono però ergente dell’erigersi vanaglorioso, per l’appunto grandioso, grazie al suo letterario talento grandissimo. Chinaski, suo alter ego, no, di Bukowski, da lui interpretato.

Ubriacone, non spegnerti ma accenditi d’animo maudit come un’altra sigaretta rubata alla tua angoscia inaudita. Sfogliala tra le dita, dai, bell’uomo sempiterno, che dio ti maledica.

Delira sinché puoi, insisti su questa sbandata, meravigliosa vi(t)a sregolata, non ammainarti e ammanettarti al destino borghese, vacuo, ricco solo fuori di finti fiori, di dolori immani interiori perforati. (S)colpito, un altro pugno da letterato sfoderi e sferri di classe alta mischiata al tuo (mal)essere… un frequentatore di una prostituta di basso bordo.

Un’altra sconcia storiella importante nel tuo fragile cuore innaffiato d’alcol, lordo, cari lord, un’anima da mille e una notte e cento, cento più botte come un’umana, disumana e immane lode andata a bottane.

Qui, nel brutto letamaio di questo baretto di periferia del borgo, sei rugoso più di una spugnetta da te mai davvero gettata nonostante via ti buttassi in tanti filmacci che sono delle orride pugnette.

Altri pugni e di tutto punto, con qualche ferita in più e suture di punti sempre aperti, non rimarginabili, da emarginato, scrivi la tua storia un po’ da fina troia, tu sto(r)ico, immor(t)ale.

Lasciati andare, lasciatelo stare, Hollywood merita i suoi scritti ma non fa per lui un’iscrizione agli Oscar.

Meglio tirarsela, Mickey. Anche se la tua vita è sbagliata e oramai stirata. Ti sei rifatto il volto ma non rifarti contro chi te lo spaccò, scoreggiando cagate ché son soltanto, cazzo, lucide cazzate di lusso per pochi maledetti eletti.

Un’altra bagascia entra nel tuo letto ed è sempre il solito autodistruttivo leitmotiv, cazzone!

Sempre a letto, sì, con la pancia gonfia e il fiatone da porcellone, sotto lo pseudonimo di Eddie Cook un’altra ne cucchi e lei te lo ciuccia ma rimani un ciuco malgrado tu scriva a perdifiato, oh no, stramazzi al suolo per averle prese in un’altra rissa, per colpa di un potentissimo schiaffo datoti da una sberla coi capelli rossi, hai il volto (ar)ross(at)o perché invero sei timido, biancastro nell’incarnato viso d’angelo ceruleo di pessima cera ma ci sei ancora, però, però che stile.

Bastardo impeccabile.

Quello di Mickey è il pianto disperato di un bambino imprigionato in un corpaccione d’adulto all’apparenza smargiasso, guascone, discolo e da troppe discoteche ove, impenitente, tutte le donne scopasti impunemente.

Sei un po’ demente, Mickey, ma fa niente.

Poi arriva la realtà ed è un incubo a occhi aperti recidente il tuo troppo far il deficiente, ti pialla nella sua dimensione claustrofobica di grandi praterie chiuse solo nell’infinitezza del tuo sognare sempre una realtà sconfinata bigger than life, in verità, scioccamente destinata a collassare in modo mortificante.

Fosti per un po’ disteso poi ancora steso, esser tensivo palpito esistenziale (s)fattosi in un destino poco terso ma sempre nevroticamente teso, sei un languido bacio rubato alla Luna, l’ipocondria e il dolore di esistere da nato bruciato.

Da qui, da questo coacervo di contraddizioni, nasce il combattuto Rourke. Che passeggia sbilenco, inciampa nel suo carattere magmatico o forse scivola nel suo cratere vulcanico, si fa tante facciali plastiche per sfuggire al suo “ritratto da Dorian Gray” come se una strega gli avesse perpetrato un maleficio per scipparlo della sua bellezza, soprattutto interiore, per depredarlo del suo vol(t)o angelico, per turlupinarlo con l’arte ingannevole della seduzione da Nove settimane e mezzo.

Ma, nonostante molte grinze, non perdi la tua grinta e non fai una grinza. Anzi ti fai una e glielo dai tutto tosto e ritto. Tu, Homeboy cavallerizzo, scopi come un riccio. E sei pure ricco.

Sei proprio un dritto.

L’arte insita in Rourke, la sua danza spettrale nel suo mor(t)o vivente tendente al platinato artificiale da dio greco scialbo e putrescente con accenni di forte, indubitabile biondezza lacrimante i sussulti del suo cuore inferocito, poi armonico, l’impeto dell’ardore che scalpita, lo tramortisce, non gli lascia tregua, l’attanaglia, lo corrode, scalfisce il suo stomaco bollente, rigurgiti di endovena in esibirsi di panza oscena, oh, onesto, troppo vivo per l’insincerità d’un mondo ammaestrato a (in)dotte regoluzze stantie.

Prendine le distanze, avanti. Mickey, ordina un’altra stanza del motel e scopatela tutta bell’.

Lui, che si camuffa dietro tanti vol(t)i, pseudonimo di Sir Eddie Cook, scrittore di sceneggiature raffazzonate a cui manca una pezza, lui, sì, pezzo di merda, rabbioso, inesausto, (in)frangibile pazzo. Che cazzo!

Schietta divinità cinematografica ch’è frutto di mille traumi, patimento dell’essenza, esistenza e/o resistenza, oh, sarebbe un delitto incommensurabile, un sacrilegio blasfemo se accantonasse la sua grinta di (non) de-mordere, (non) si lascia andare, viaggia nei suoi crepuscoli, insegue bramoso la preda della sua escoriata, striata anima turbolenta e si ricicla, faccia da schiaffi ch’è incarnazione dello sberleffo contro la borghesia pasciuta di massa, un ammasso di pelle e ossa in muscoli (s)tirati a (non) lucido che è, oh, sempre vagabondo come si confà al suo esser cuore angelico, tenere tenebre sanguigne dell’Angel Heart in lui ardente.

Così, ad ogni alba della sua mistica arte recitativa così masticata, rinasce agli albori della sua ticchettante fatiscenza (dis)organica poco armonica, viso incandescente, purpureo di ferite da vanitoso fetente!

Bile… “palle” in buca d’un biliardo tutto suo, d’un perso binario, dei suoi diari, del suo esser “a bordo” perennemente delle degradate periferie color bullet.

E dopo essersi scopato un’altra biondona, Mickey si fa il bidet.

Poi esce dal motel e fa l’occhiolino a un bambino senz’ambizioni che, da grande, vuol essere un bidello.

Quindi, Mickey lo stomaco ancora si sbudella, roso dentro dall’essere consapevole che ne passò di tempo e oramai non è più tanto bello.

Sì, un attore col don’, col Condom (im)perfetto del roditore… di chi si mangia dentro per (non) soffrire sterminatamente, soffoca, si dilania, persegue obiettivi (mal)sani, si dimena e da solo se le dà, se lo mena, sì, abbrustolisce la sua pelle satanica in sfide accorate, forse mal accordate, al suono e gioco magico del profanarsi sempre, eternamente stronzo.

Risplende, poi si rabbuia con impertinenza, sba(di)glia(to), cartoccio ch’è mosca da bar, del tempo buttato via per noia o perché la vita è troppo piccola, oppure grandissima e dolorosa per chi ha un cuor di ca(r)ne. Come il suo… protraiti, Rourke, inimitabile cazzone.

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Esordirà, dopo lo Sbielberg di 1941…, in una particina con Michael Cimino, suo mentore, “prossimamente”, ne I cancelli del cielo, per poi rifulgere in ver’auge, da protagonista assoluto, nello stupendo L’anno del dragone, firmato al solito da Michael. Nella parte del “furbo”, scafato, iper-decorato capo della polizia Stanley White dalle origini polacche che sta con una brava donna che non è affatto una mentecatta polacca, o forse sì, messosi a rivaleggiare contro un leader del narcotraffico, un magnifico cattivo, John Lone.

Una battaglia senza esclusione di colpi ove non si salverà nessuno, neppure l’anima bruciata proprio d’un Rourke oltre la sfera del tuono nel finale “invincibile” e da duellanti western, simil Ore disperate.

Capostipite, in tal modus, in questo mondo, d’uno stile attoriale unico e immediatamente riconoscibile, con una recitazione tutta “introflessa”, interiore, a captare gli stati d’animo variegati della sua anima in mo(vi)mento dinamico, “ripida”, forte, combattiva, variopinta, stravagante, eccentrica e dalle scelte professionali intinte nella più disarmante stranezza, da villain del videoclip con Enrique Iglesias, “Hero”.

Let me be your hero

Would you dance if I asked you to dance?

Would you run and never look back?

Would you cry if you saw me crying?

Would you save my soul tonight?

 

 88982449_10215897681417791_5143216439242522624_oAllora si punisce ancora, si protrae la sua sofferenza, “intarsiata” in rivoli sudati delle pulsioni meno mansuete. Si “sradica” dal suo corpaccione, “basculante” dondola nel mondo, si dà con furia, fagocita il proprio cuore e se lo divora, lo inghiottisce, deglutisce, sputa, s’infervora e si “sbrana”, sbraita la pelle della sua atroce inviolabilità senza pari.

Seppur attorniato da mille donne, corteggiatore indefesso, (non) ne sceglie una, principe delle punizioni che s’infligge, tormentato, combattente e anche combattuto.

Harley Davidson and the Marlboro Man del suo “ubicato” trash corporale collegato all’anima(le).

Titanico, imperfetto, scultoreo, bronzeo d’una faccia che (non) chiede perdono, un nostro… o mostro fattosi purezza di rozzezza, di famelica (non) voglia di vincere, instancabile wrestler.

Lottatore del suo istinto primordiale, “faceto”, scorbutico, “bassotto” in una società di nani, di Giovani Marmotte, bellissimo, angelo sceso da un “dirupo” di meraviglia.

(In)etto di sudore, perversità primigenia, furore appeso a un corpo che oscilla fra un peso medio e un homeboy.

Sconfitto, “tracima” nelle sue interiora un sacco di fitte, di tagli e cicatrici, di pestilenziale puzza da Bukowski. E suo alter ego Henry Chinaski.

Si mura, muta, fa il “muto”, non parla, biascica dolore, singhiozza, starnutisce la sua alterità, (non) adatto a un mondo che non risparmia colpi nel/al fe(ga)to…

Scorriamo, “curiosamente”, la sua filmografia e “annotiamola” a memoria, un “carnet notturno”, un sogno vivido di birbante, euforica “pazzia”…

1941 – Allarme a Hollywood (1941), di Steven Spielberg (1979)

Dissolvenza in nero, di Vernon Zimmermann (1980)

I cancelli del cielo (Heaven’s Gate), di Michael Cimino (1980)

Brivido caldo (Body Heat), di Lawrence Kasdan (1981)

A cena con gli amici (Diner), di Barry Levinson (1982)

Rusty il selvaggio (Rumble Fish), di Francis Ford Coppola (1983)

Il Papa del Greenwich Village (The Pope of Greenwich Village), di Stuart Rosenberg (1984)

Eureka, di Nicolas Roeg (1983)

L’anno del dragone (Year of the Dragon), di Michael Cimino (1985)

9 settimane e ½ (9½ Weeks), di Adrian Lyne (1986)

Angel Heart – Ascensore per l’inferno (Angel Heart), di Alan Parker (1987)

Una preghiera per morire (A Prayer for the Dying), di Mike Hodges (1987)

Barfly – Moscone da bar (Barfly), di Barbet Schroeder (1987)

Homeboy, di Michael Seresin (1988)

Johnny il bello (Johnny Handsome), di Walter Hill (1989)

Francesco, di Liliana Cavani (1989)

Orchidea selvaggia (Wild Orchid), di Zalman King (1989)

Ore disperate (Desperate Hours), di Michael Cimino (1990)

Harley Davidson & Marlboro Man (Harley Davidson and the Marlboro Man), di Simon Wincer (1991)

White Sands – Tracce nella sabbia (White Sands), di Roger Donaldson (1992)

F.T.W. – Fuck The World (F.T.W.), di Michael Karbelnikoff (1994)

Fall Time, di Paul Warner (1995)

Uscita di sicurezza (Exit in Red), di Yurek Bogayevicz (1996)

Bullet, di Julien Temple (1996)

Double Team – Gioco di squadra (Double Team), di Hark Tsui (1997)

9 settimane e ½ – La conclusione (Love in Paris), di Anne Goursaud (1997)

L’uomo della pioggia (The Rainmaker), di Francis Ford Coppola (1997)

A costo della vita (Point Blank), di Matt Earl Beesley (1998)

Buffalo ‘66, di Vincent Gallo (1998)

Thursday – Giovedì (Thursday), di Skip Woods (1998)

Shergar, di Dennis C. Lewiston (1999)

Out in Fifty, di Bojesse Christopher (1999)

Cousin Joey, di Sante D’Orazio (1999)

Shades, di Erik Van Looy (1999)

Animal Factory, di Steve Buscemi (2000)

La vendetta di Carter (Get Carter), di Stephen Kay (2000)

Invasion (They Crawl), di John Allardice (2001)

La promessa (The Pledge), di Sean Penn (2001)

Sola nella trappola (Picture Claire), di Bruce McDonald (2001)

Spun, di Jonas Åkerlund (2002)

Masked and Anonymous, di Larry Charles (2003)

C’era una volta in Messico (Once Upon a Time in Mexico), di Robert Rodríguez (2003)

Man on Fire – Il fuoco della vendetta (Man on Fire), di Tony Scott (2004)

Domino, di Tony Scott (2005)

Sin City, di Frank Miller e Robert Rodríguez (2005)

Alex Rider: Stormbreaker (Stormbreaker), di Geoffrey Sax (2006)

The Wrestler, di Darren Aronofsky (2008)

Killshot, di John Madden (2009)

The Informers – Vite oltre il limite (The Informers), di Gregor Jordan (2009)

13 – Se perdi… muori (13), di Géla Babluani (2010)

Iron Man 2, di Jon Favreau (2010)

Passion Play, di Mitch Glazer (2010)

I mercenari – The Expendables, di Sylvester Stallone (2010)

Inferno: The Making of ‘The Expendables’, regia di John Herzfeld (2010) – Documentario

Immortals, regia di Tarsem Singh (2011)

Black Gold, regia di Jeta Amanta (2011)

Dead in Tombstone, regia di Roel Reine (2012)

Generation Iron, regia di Vlad Yudin (2013) – Documentario – Voce narrante

Sin City – Una donna per cui uccidere (Sin City: A Dame to Kill For), regia di Robert Rodríguez e Frank Miller (2014)

 

E qui mi fermo… Poi va avanti, non so se io andrò ancora indietro.

Ma comunque vaffanculo!

di Stefano Falotico

 

Ridi, pagliaccio: questo mio racconto pubblicato potrebbe essere apprezzato da JOKER?


27 Dec

Mentre, in tale società in disfacimento, collassata o forse solo dal capitalismo decollata, un uomo decolla, da alcune malinconie ataviche ancora non si scolla, qualche bevanda ingolla e qualcuno non so se lo inculi, un altro anno di Cinema è oramai finito.

Siamo agli sgoccioli, come si suol dire. Non possiamo lamentarci di quest’annata cinematografica.

Che ha visto, innanzitutto, il comeback strepitoso di due miti attoriali immarcescibili, ovvero Bob De Niro e Al Pacino di The Irishman,

Parafrasando lo stesso Al Pacino di Donnie Brascoche te lo dico a fare?

Abbiamo assistito anche al clamoroso ritorno di Joe Pesci in quella che forse rimarrà l’ultima interpretazione della sua carriera. Anche probabilmente la migliore, la più rarefatta e drammatica.

Russ Bufalino, un viscido burattinaio incarnato da un quasi ottantenne più basso di statura di Pacino stesso e meno famoso. Poiché, per via del suo corpo tarchiato, fu quasi sempre relegato a ruoli da spalla o di macchietta, a eccezione ovviamente di alcuni indimenticabili ruoli da protagonista nei quali, però, certamente non interpretò Mel Gibson di Braveheart. Ah ah. Mi riferisco a titoli come Mio cugino Vincenzo e Occhio indiscreto.

E ho detto tutto.

In questo mio anno cinefilo, vidi perfino The Irishman d’anteprima italiana in Sala Petrassi alla Festa del Cinema di Roma.

Che io mi ricordi, mi presentai davanti alla fila, assiepata davanti alla sala suddetta, con lo stesso carisma di Henry Hill di Quei bravi ragazzi. Sì, identicamente a Ray Liotta di Goodfellas, dobbiamo e dovete ammettere che posseggo un certo fascino da uomo taciturno.

Sì, rammentate la scena della cena di De Niro, Pesci e Liotta a casa della madre del personaggio di Pesci? Madre interpretata dalla vera madre di Martin Scorsese?

Non parli molto…

Sì, va detto che Ray è più alto di me e ha gli occhi azzurri come Frank Sinatra. I miei sono castani. Molto scuri, quasi neri.

In quanto a donne e affiliate, spero non mafiose, mi comporto alla stessa maniera di Henry/Ray.

Diciamo che non sono subito un gentiluomo. Al che ogni Lorraine Bracco di turno, per via di come la snobbai e tutt’ora non cago, mi coprì e ancora mi seppellisce di offese, dandomi dello stronzo insulso. Eh, quanti insulti, cazzo.

Poi, ognuna di queste donne alla Bracco, perfino dei Sopranos, vuole studiarmi e psicanalizzarmi.

Di mio, più che assomigliare al compianto, corpulento James Gandolfini, sono come Bukowski. Voglio analizzarla…

Sì, lei era bellissima, dolcissima, elegantissima, di un’altra categoria e di un’altra carrozzeria. Delicatamente, la invitai al miglior ristorante della città, omaggiandola con delle rose e dedicandole poesie d’amore.

Durante la cena, lei mi parlò di Georg Wilhelm Friedrich Hegel, del socialismo russo e della politica del PD.

Io l’ascoltai, appunto, senza dire una parola.

Le pagai solo la cena e nient’altro. Volevo quanto prima sbottonarmi e slacciarmi la cerniera.

Ora, non avendo spiccicato io una sola frase, penserete che mi abbia mandato a fare in culo seduta stante. Anzi, dopo che terminò di mangiare e disquisire, auto-lodandosi in merito alle sue conoscenze alte da giornalista rinomata e molto in gamba.

S’accorse pure che, anziché guardarla in bocca, le osservai spesso le gambe.

Alla fine scopammo.

Sì, si vede che, grazie al mio modo di fare da uomo che apparentemente pare che non capisca un cazzo e nemmeno il suo opposto, risultai più interessante di tanti cattedratici professori universitari che, secondo me, dovrebbero soltanto lavorare alle poste.

No, non sono più interessante e intelligente di loro.

Probabilmente, più bello, sì.

Di mio, posso dirvi che racconto un sacco di cazzate poiché spesso sono triste e la butto in burla in maniera tragicomica e melodrammatica.

Insceno quasi quotidianamente la mia follia. Sì, appena sento che in me scocca l’anima di un uomo imborghesitosi nella cosiddetta normalità, avverto all’unisono la necessità di andare volentieri sopra le righe come un sublime Al Pacino meravigliosamente eccessivo.

Caricando a volontà, esagerando, epicamente attirando i riflettori solamente sulla mia scena.

Solo forse pure a cena.

Ah ah.

Comunque, un altro anno è andato a farselo dare nel culo.

E forse pure la mia lei è giusto che si sia tolta dal cazzo.

E questo è quanto…

Ah, lei non mi dia del lei, mi dia del tu e io le darò del tè. Perché si arrabbia? Voleva un caffè?

Ah ah.liotta goodfelllas

 

di Stefano Falotico

SHOWTIME: il lupo non perde manco il pelo, anzi, è pure più vizioso, capriccioso, è un Piero Pelù


10 Nov

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Sì, io sto veramente ridendo come un matto. Oddio, fermatemi. Sì, datemi un calmante.

Ieri notte impazzii per la millesima volta in vita mia.

Sì, io abbraccio la teoria di alcune frasi magistrali coniate da Charles Bukowski.

Ovvero le seguenti. Peraltro, io già in tempi non sospetti dissi le stesse cose di Charles senz’aver ancora mai letto un cazzo di suo.

“Il matrimonio, Dio, i figli, i parenti e il lavoro. Non ti rendi conto che qualsiasi idiota può vivere così e che la maggior parte lo fa?”.

“Alcune persone non impazziscono mai. Che vite davvero orribili devono condurre”.

“A volte ho la sensazione di essere solo al mondo. Altre volte ne sono sicuro”.

 

Sì, stamane, dopo una feroce nottata insonne, scrissi sul mio taccuino ciò:

ieri notte ebbi degli scompensi acuti, non solo psicologici. Una crisi acustica. Il mio cuore batté infatti d’amore perduto, una donna mi mandò delle foto di lei molto sexy e mi disse di scoparla ma lei abita lontano ed è stata una bestiale sofferenza indicibile. A che sarebbe servita una pippa? Ah, che bile, cazzo.

Per fortuna, mi contenni. Altrimenti, dopo non essermela sbattuta poiché non possiedo il teletrasporto, se avessi spaccato tutto di brutto, i vicini di casa, i quali forse in quel momento stavano trombando paciosamente, disturbati dal trambusto dei miei ululati da lupo robusto, avrebbero chiamato la polizia municipale o forse, a causa dei miei bollori simili a un incendio doloso, anzi solo doloroso per il mio cor(po) già esploso da foresta amazzonica, sì, non mi rado nemmeno lì, m’avrebbero ricoverato in un centro psichiatrico.

Ove ti sedano in culo talmente tanto che non solo non riesci più a farti le pippe ma non riesci nemmeno ad avere i riflessi pronti per fermare e denunciare un dottore con la pipa, cioè uno psichiatra della minchia, che sta sodomizzando un’apprendista infermiera troppo pudica, virginale e linda.

Sì, la psichiatria fa così. Se sei un uomo che fa la donna angelica e pia, cioè se non diventi uno stronzo come tutti, te lo sbatte in quel posto così come fece Jung con Sabina Speilrein.

Sì, se hai superato la maggiore età e sei fanatico di Scanners e di Videodrome ma sei vergine, ti dicono di fare l’uomo maturo e di trovare una figa come Keira Knightley di A Dangerous Method.

Sì, altrimenti ti dicono che sei socialmente pericoloso poiché potresti anche essere un genio ma il tuo operato, diciamo, non si addice alla società da Essi vivono. Ove per avere amici e amore devi, per l’appunto, consumare, obbedire e soprattutto farti il culo. Ah ah!

Sì, ieri notte, in preda a una ribellione devastante uguale, se non maggiore, a quella di Arthur Fleck/Joker, no, non mi feci una pippa ma venne fuori… il mannaro lupo.

Innanzitutto, erano mesi che subivo prese per il popò da certa gente ma, a forza di farmaci repressivi, mi resero un agnellino innocuo e dunque non potei, a tempo debito, nemmeno mandare a fanculo tanti figli di puttana che non valgono uno sputo.

Cosicché, azzannai uno in chat. Sì, tre mesi fa mi permisi di affermare che C’era una volta a… Hollywood del Tarantino è una cagata pazzesca. A questo punto, lui mi aggredì e mangiò vivo, definendomi uno scemino.

In chat gli urlai che lui non è Brad Pitt e, a differenza di Tarantino, non è un cinefilo malinconico, bensì uno sfigato cronico.

Un tale Luvstig, invece, un anno fa mi definì penoso. Andai dalla sua ragazza e lei comprese che Luvstig è, rispetto a me, assai meno peloso.

Sì, sono molto permaloso, ho i capelli quasi rossi, sono odioso ma soprattutto focoso. Mi va subito il sangue al cervello. Per quanto riguarda il sangue invece da un’altra parte, ovvero nei vasi dilatatori dei corpi cavernosi, se davanti a me c’è una racchia animalesca, non diventa duro affatto. Sì, la vedo durissima.

Non ci sono cazzi, come si suol dire, che tengano.

Quando lasciai gli studi, tutti pensarono che fossi un debole e un malato di mente. Al che, a mo’ di sfottò, mi cantarono Francesco di Francesco Tricarico.

Di mio, ho sempre preferito Non è Francesca di Lucio Battisti.

No, non sono il santo d’Assisi ma nemmeno un uomo che, a forza di stare con una frustrata da Vasco Rossi, ascolta Santa Chiara. Ah no, scusate, volevo dire Albachiara.

Io sono esperto di tutte le albe poiché vivo nel crepuscolo. E sapete che vi dico?

La Parietti non ha oramai più le gambe di una volta. Sì, vent’anni fa, un tipo alla Wolfman la vedeva, anche solo binocolo, ah ah, e voleva succhiarle il collo come (in) Dracula di Bram Stoker. Sperando che poi lei gli succhiasse qualcos’altro.

A proposito di Brad Pitt, posso dirvi solo questo. Sono il Leo DiCaprio italiano. Sì, Leo è biondo, io castano-moro tendente, come detto, al rosso. Ma al semaforo passo solo col verde.

E sto sempre più subendo una metamorfosi da Benjamin Button.

Sì, gli altri alla mia età sono già pecora. Brutti, soprattutto nell’anima. Anche se, tornando al cinismo di Bukowski, non è che me ne freghi molto dell’anima. L’importante, nella vita, al di là delle canzoni mielose di Ed Sheeran, è avere culo. Il resto è una grande porcata.

Sì, guardate, nella mia vita ne vidi tante, mica tanto. Vidi uomini di cinquant’anni che, visto che nessuno se l’inculò e tuttora incula, per darsi un tono cominciarono a parlare di Cinema senza saper filmare nemmeno l’8mm della comunione dei figli, cioè non ebbero e non hanno nemmeno il coraggio di ammettere che quei figli non sono loro ma dell’amante della moglie.

Sono froci? No, manco questo. Non sono e basta.

Molte donne criticarono aspramente la biografia di Fabrizio Corona in cui il bel tamarro Fabrizio dedicò un intero capitolo alle donne che inchiappettò. Donne che, a differenza di quelle inchiappettate da Fabrizio, essendo oramai fottute, invidiano gli uomini e li (s)fottono.

Di me, tutti ne dissero tante. Soprattutto che mento e che sono un falso. Al massimo, posso prendere il poster di Showtime con De Niro e Murphy, ficcando la mia faccia al posto di quella di Bob. Di vero deepfake con tanto di look da Fabrizio Corona. A differenza di lui, devo ammetterlo, non sono abbronzato e non ho i soldi per pagare un ghost writer per un capitolo di FIGHE che scriverebbe meglio, fra l’altro, un ragazzo di dodici anni. Sì, quando uscì Showtime, avevo già superato ogni mia crisi. Stavo da dio. Qualche anno prima, Sasha uscì con If You Believe e io stavo uscendo con una lupa.

M’avete fatto solo perdere tempo perché volevate appurare se sono matto o sono un genio. Sono entrambi, quindi ora vedete d’andare tutti a fan-LUPO!

 

 

di Stefano Falotico

MOTHERLESS BROOKLYN, che poesia noir: sono Birdman e ci fu un tempo in cui accarezzai Takeshi Kitano dal vivo, vedere per credere!


22 Aug

 

Mickey+Rourke+SMASH+Global+VIII+Night+Champions+AWNH2PyKppDl

IL RE LEONE

Fervono i preparativi per il Festival di Venezia, le memorie di tutta una vita son rimbalzate dall’oltretomba del mio core, io quasi baciai Takeshi Kitano, guardate!

Eh già, osservate che bel leoncino che ero tanti anni fa. Non mi ricordo che anno fosse. Credo il 2005. Visto che capelli cotonati quasi da criniera, appunta, leonina?

Ero seduto, come potete notare palesemente, su una delle scalinate del Festival di Venezia. Credo che si trattasse di quella antistante il Casinò.

Al mio fianco, il mitico Mario Carta, fan super sfegatato mai visto di Takeshi Kitano. Che è sempre stato un habitué della Mostra. Anche Leone d’oro per Hana-bi. Praticamente, titolo più titolo meno, Takeshi, da quando vinse a Venezia, presentò tutti gli altri suoi film al Lido.

Sì, se non vado errato, solo Brother non fu presentato a Venezia.

Sì, ci sono i super sfigati invisibili e i super fanatici che sol io conosco, vidi e vedrò. Voi no.

Io ho un sacco d’intrallazzi. Nemmeno George Clooney conosce tutte le persone che conosco io.

Mario Carta, da anni, gestisce uno dei più grandi fan club dedicati a Takeshi. Anzi, ne è il fondatore assieme a Renato Quinzio. Io, modestamente, conosco entrambi.

Siamo stati anche al ristorante cinese-giapponese forse con uno yakuza a servirci una coreana con gli occhi non solo a mandorla ma con le iridi verdi come quella di Grosso guaio a Chinatown.

Se voleste infatti cliccare su questa pagina, potete infatti vedere me vicino addirittura a Kitano. Se non avete voglia di cliccare, vi metto la foto qua e state zitti.

kitano falotico

Vi ripropongo questo video. Video, oserei dire, cult. Forse ghezziano, forse una faloticata in pura salsa Takeshis, sì, il film “sorpresa” dell’edizione del 2005

Ora, facciamo chiarezza. Io e Mario Carta, da non confondere invece con quel bambagione del cantante quasi suo omonimo, ovvero Marco Carta, sediamo fianco a fianco nella foto sopra mostratavi, nel 2005.

Ma era il 2003 o 2005? Faccio confusione. Nel 2003, Kitano presentò a Venezia Zatôichi. 

Mario è un donnaiolo. Mi prendeva sempre per il culo, giustamente. Al Lido infatti, soprattutto di sera, quando il plenilunio arde lassù nel cielo, sfilano sulle strade delle ragazze niente male.

Ragazze che, se le fissi per troppo tempo, rischi di entrare in stato catatonico e assumere la stessa espressione semi-paralitica di Beat Takeshi!

Io camminavo sempre con la testa fra le nuvole e Mario:

– Scusa, devi guardare le ragazze. Diventerai un grande come Takeshi. Se invece continui a fare il Genius-Pop, assumerai le sembianze dell’uomo di Dolls.

 

Ah, che serate. Una volta, nel mio appartamento, invitai anche Mauro. Gozzovigliammo assieme a un altro, idolatra invece del Cinema di Fincher.

Avete capito chi sono questi due? Riguardate il video. Uno è seduto alla mia destra, nella tavolata, l’altro a sinistra.

Chi è Mauro? Quello che mi fa il faccione al min. 1:17 o quello che mi alza il dito medio, poiché non voleva essere ripreso, al minuto 1:21?

Con uno a questo tavolo feci anche a pugni. Ora, Mario e Renato non possono essere. Nemmeno la coppietta davanti a me. Avete capito chi è quello con cui venni alle mani?

No? È facilissimo. Fa pure il gesto… come dire, ah, allora sei uno zuccone.

Sì, come si suol dire, io conosco quasi tutto il Cinema a memoria. Conosco vita, morte e miracoli di ogni attore ma non sono mai stato lontano dalla realtà. Anzi, io sguazzo nel mondo, ultimamente anche in donne stupende, sì, le inondo con romanticismo talmente inverecondo, veemente e furibondo che loro impazziscono di gioia in maniera quasi immonda.

Anzi, conosco appunto anche Gesù Cristo, come dice il detto. Metaforicamente, anche metafisicamente, strinsi amicizia col figlio di dio quando fui iper-depresso. Sì, mi ricordo una mia notte insonne e da brividi.

Forse, in quella notte da lupo, fui posseduto dal demone Pazuzu de L’esorcista. Al che pregai iddio di salvarmi l’anima. Afferrai il rosario e cominciai ossessivamente a pregare come un dannato.

In verità vi dico che forse sarebbe stato meglio uscire di casa e fare l’amore con una di nome Rosaria.

Anche Rosalia sarebbe andata bene. Celentano Rosalinda, invece, no. Ah ah.

Si riparte!

Sì, oramai ci siamo.

Sto limando gli ultimi dettagli.

Per la prima volta in vita mia, andrò alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia in veste d’inviato specialissimo della rivista online Daruma View Cinema con la quale sempre più frequentemente collaboro in veste di giornalista freelance, eh sì, oserei dire impari.

Poiché la mia prosa, checché se ne dica, si discosta da chiunque. Nelle mie recensioni sono ravvisabili echi dei più grandi letterati della storia. Anche di Umberto Eco? Si va da Edgar Allan Poe, quando pongo e appoggio il mio sguardo sui noir più torbidi dalle trame più contorte, ove do libero sfogo alla mia creativa fantasia esegetica, addentrandomi nei misteri profondissimi di pellicole dal sapore detection d’antan come nell’imbattibile capolavoro, uno dei tanti, proprio di Edgar. Ovvero l’intramontabile I delitti della Rue Morgue, lungo racconto che, in alcuni punti, potrebbe ricordare il film From Hell dei fratelli Hughes con un magnetico Johnny Depp ma che, alla fine, dopo tanti climax al cardiopalma, dopo tanta suspense da Brian de Palma, no d’inarrivabile giallo da Agatha Christie, diviene Shock the Monkey di Peter Gabriel. Ah ah.

Sì, sono l’Hercule Poirot della critica italiana.

Sì, l’altra sera, il regista Daniele Misischia, autore del controverso The End? L’inferno fuori, ha lanciato su Facebook una provocazione giusta.

Daniele s’è scaldato con una frase bomba.

Subito accolta da Federico Frusciante che gli ha dato corda. Anche il sottoscritto s’è unito al coro dei risentimenti, no, dei risentiti.

Affermando con protervia e sano spirito battagliero che è dall’età che si nota, eccome, se uno può asserire con certezza di sapere qualcosa non solo del Cinema, bensì della vita.

Sì, nemmeno Orson Welles a vent’anni avrebbe potuto capire Quarto potere, diciamocela! Ah ah.

Così come Woody Allen, soltanto dopo aver ricevuto inculate pazzesche dalla realtà, dopo la sua adolescenza in cui fu trattato da infante in quanto non fu bello e sexy come i suoi coetanei, optò per il Cinema.

Sublimando ogni delusione d’amore in Io e Annie. Però Diane Keaton…

Quindi, che ne può sapere di Cinema quella pischella di 19 anni di nome Anna, figlia unica che non ha ancora mai visto Hannah e le sue sorelle?

A costei porrei una domanda da film The Millionaire. Deve rispondermi senza andare a controllare su Wikipedia.

È pronta la zoccola? Ok, la domanda da Lascia o raddoppia, anzi da Rischiatutto, è:

– Cara Anna, chi interpretò la parte di Anne nel film The Miracle Worker, da noi tradotto col titolo, appunto, Anna dei miracoli?

Allora, Anna, se lei risponderà senza leggere gli appunti, a differenza di ciò che fece in diretta questa signorina, sarà un miracolo.

io e il butcher

Bene, la domanda è…

Anna è Anne Sulllivan, interpretata da Anne Bancroft o è Helen Keller/Patty Duke?

Ma soprattutto Sant’Anna per quale miracolo fu fatta santa?

Ah ah.

 

La ragazza non rispose e si dichiara però ancora critica del Corriere della Sera. Sì, nel senso che critica questo quotidiano perché l’hanno licenziata.

Bene, sbattetela in manicomio.

Ah ah.

Sì, sto parlando su WhatsApp con Davide Stanzione. Io e lui ci conoscemmo tramite Facebook qualche anno fa.

Lui doveva ancora diplomarsi al Classico. Quindi, si laureò al DAMS.

Oggi, scrive per Best Movie.

Di mio, sono il Mickey Rourke della Critica.

Sì, come Mickey, sono imprevedibile. Secondo me, Rourke è un genio.

Oh, uno che recitò con Coppola, con Michael Cimino, con Liliana Cavani, con Alan Parker, persone serissime e poi è stato protagonista di porcatone come Orchidea selvaggia.

E soprattutto di questo.

Un uomo senza regole. Invincibile.

Io e Davide, comunque, concordiamo che, sebbene qualche volta pure noi c’inabissiamo in notti alcoliche, forse anche in donne bucoliche o da Bukowski, non saremo mai Mickey.

E chi vuole esserlo?

Intanto, i ragazzi mi contattano. Si sentono soli, i loro coetanei non li capiscono. Chiedono conforto a me, dicendomi… tu ce l’hai fatta a uscire dal buio, aiuta anche noi.

Sì, sono Mickey Rourke di Francesco.

O forse Ed Norton di Motherless Brooklyn…

Mamma mia che bello questo trailer, ragazzi. Ovviamente, sempre su Daruma, son stato uno dei primi in Italia a darne la news.

Oh, cazzo, questo film di Ed dura due ore e mezza. Uh uh, Norton punta forte stavolta. Film molto, molto ambizioso.

Ora, chiariamoci, oltre a Bob De Niro, Mickey Rourke, Matt Dillon, Al Pacino, Clint Eastwood, uno dei miei attori preferiti è sempre stato Edward Norton.

Edward però è uno pigro. Per molto tempo s’è anche buttato via in pellicole non degne della sua bravura.

Sì, io ed Edward siamo la stessa persona.

Anche i personaggi interpretati da Ed mi assomigliano parecchio.

Edward avrebbe dovuto interpretare anche Al di là della vita di Scorsese. Sì, fu la prima scelta di Martin ma poi la produzione impose Nicolas Cage.

Sì, posso sforzarmi ad apparire pazzo o scemo come Norton in The Score. È impossibile che lo sia.

Sono troppo intelligente per diventare come voi. Sì, diciamocela, voi siete da mettere tutti dentro. Ah ah.

Sono innanzitutto l’investigatore della mia anima.

Io so chi sono, come urla Mickey Rourke di Angel Heart. Ah ah.

Sì, una moltitudine di psichiatri, dopo un mio infinito calvario, sono giunti alla conclusione inappellabile che di delirio soffrirono gli altri.

Sì, molta gente arrivò a pensare che fossi Ed di Fight Club, quello di Schegge di paura, perfino un sovversivo nazi come in American History X.

Mi diedero del criminale come Ed/Monty Brogan de La 25ª ora.

Mi diedero persino del ciarlatano poiché pensarono che volessi stupirli con gli effetti speciali delle mie bugie. E mi dissero: inutile che racconti balle, sei solo un disgraziato, altro che The Illusionist.

Ah sì, guardate, ci fu anche un tempo in cui divenni Ed di Stone.

Insomma, l’invidia fa brutti scherzi.

La gente, pur di volerti rovinare la vita, ti vuol far passare per schizofrenico.

Mi spiace per voi.

Le vostre malvagità non hanno funzionato. Per un po’, obiettivamente mi hanno inculato, incastrato e quasi castrato. Sì, ero talmente giù che non andava su manco per il cazzo. Ah ah.

Sono un uomo romantico che, quattamente, cammina nell’ombra dei suoi tanti spettri e naviga fra le strade come Rufus Sewell di Dark City.

Amo le atmosfere di Manhattan da Woody Allen migliore ma anche Brooklyn non è male. Ad Harlem, sta nascendo un nuovo pornoattore da sito blacked.com. Sì, perché un tempo i negri venivano sfruttati, ora l’America ha capito che possono usarli per fare soldi. Beati loro!

Sapete che vi dico?

Continuo a credere che Bronx di Bob De Niro sia quasi un capolavoro.

Naturalmente, Fuori orario è nella mia top ten.

Non state parlando con un uomo solo, bensì con un uomo da incubo kafkiano come il grande Griffin Dunne del quartiere di Soho.

Sì, anche io spesso parlo con strafighe su Instagram.

Ma sento sempre il bisogno di scivolare nel buio…

O forse, più che Ed Norton, sono davvero Birdman.

 

 

di Stefano Falotico

re leone

Come Pinocchio, Bukowski e Carmelo Bene, sì, io scelgo la poesia, la virulenza della fiamma dell’animo giammai estinto


29 Apr

58961700_10213539899714722_5114225405699555328_o«L’essermi come Pinocchio rifiutato alla crescita è se si vuole la chiave del mio smarrimento gettata in mare una volta per tutte. L’essermi alla fine liberato anche di me.

Il rifiuto alla crescita è conditio sine qua non alla educazione del proprio “femminile”. È rifiuto alla Storia e alla conflittualità delle historiette del quotidiano»

Così tuonò Carmelo Bene dinanzi all’ignoranza di questa puttana chiamata mondo. Con sibillina e perentoria, oserei dire imperitura forza sovrumana.

Provocando ancora e ancora inarrestabilmente. Per colpire, scalfire e abbattere gli idioti, la gente che parla e apre bocca senza saper nulla, che si nasconde nella retorica, che cerca nelle scemenze della psicologia la ragione dei propri immani disagi ma non ha il coraggio, mai e poi mai, a differenza dei grandi uomini, di guardarsi in faccia, di riconoscere i propri errori, dunque di cambiare, di evolversi, di scegliere vie meno indirizzate all’autostrada a quattro carreggiate della massa stupida e becera. Che al posto del cuore ha un clacson stonato e schiamazza di urla deliranti, accapigliandosi contro nuovi capri espiatori, accusando il prossimo dei propri limiti di velocità, multando chi ha la potenza di fuoco di sfrecciare nei suoi luccicanti ardori, frenando con castighi moralistici, con punizioni scellerate, con castrazioni psichiche i diavoli stupendi della notte.

Oh sì, non imputridirò mai nel porcile di massa, non verrò oliato dagli ingranaggi sociali d’una società compostamente falsa, assai bugiarda. Che, ladra e laida, sin dalla nascita, educa giustamente ai valori e poi, quando arrivi all’età adulta, almeno anagraficamente parlando, ti ripudia orribilmente se non t’allinei ai precetti più miseri della svendita di te stesso.

In questo ludibrio senza manubrio ove la gente, sistematasi che ha, dimenticato ha pure la virtù prodigiosa delle proprie innocenze oramai schiacciate, asfaltate, macerate dal poltrire sovrano, in cui l’imbecillità impazza e i pazzi hanno capovolto le ragioni a favore del tremendo pensiero unico e pericoloso. Fascista, impertinente, abrasivo, violento!

Oh sì, sani di spirito e di mente, sfuggite dalla macchina che uccide l’essenza della nostra umanità più vera. Per far sì che s’attracchi, noi stelle fiammeggianti, lontani anni luce dal porto fintamente felice d’una equilibratura a modo, d’un perbenismo stantio ove tutti, a mollo, dimostrano che i propri sogni hanno mollato, prostituendosi all’etica delle etichette, dei titoli e delle formalità miserrime.

Concimandosi giorno dopo giorno nel qualunquismo, nella visione approfittatrice e opportunistica, nella rincorsa smodata al successo e ai soldi a tutti i costi.

Oh, temerari, infrangete queste barriere, questo Paese dei Balocchi ove trionfano i più furbi allocchi.

Aprite gli occhi e allungate vistosamente il naso dinanzi a coloro che incarnano Mangiafuoco.

Non c’arderanno nel loro teatrino dei piccoli da maschere pirandelliane, non ci manovreranno come marionette incoscienti, schiavizzandoci al palcoscenico dei facili applausi da parte d’una platea altrettanto stolta e plagiata a lor piacimento. A lor folle gradimento.

No giammai, in noi vibra il più titanico ardimento. La verità bruciante.

Nel ballo delle ipocrisie, queste sì, scostumate, nel tripudio osceno d’aver rinnegato per sempre i tormenti sanissimi della giovinezza a favore d’un adattamento orrendo, ecco che sul carro dei vincitori salgono gli uomini-toro, i più bavosi, materialistici e volgari. Attorniati da donne parimenti mercificatesi al piacere più meschino e comprato. All’edonismo dei truffaldini.

In radio, istericamente, schiamazzano le voci odiose delle oche che banchettano con colleghi ruffiani a perpetuazione d’un buonismo comunicativo soltanto della mediocrità più mentecatta.

Tutti vogliono ballare, mangiare, ridere di grana grossa. Sempre più morti, imbalsamati e tristi, corrotti e irrecuperabili.

Cosicché i matti presuntuosi deridono e sbeffeggiano i poeti nell’innalzare calici alla tavola rotonda dell’esser sempre più tonti, soprattutto stronzi.

Sì, come Charles Bukowski, io credo che molta gente non impazzisca mai perché ha semplicemente paura inconsciamente di venir rinchiusa. Ma s’interna da sé nell’esistenza più protettrice e magnaccia delle proprie limitatezze, per suonarsela e cantarsela.

Allora meglio l’onestà de La canzone dei folli. Libro che scommetto, oggigiorno, han letto in pochi. E quei pochi li state abbattendo. Reprimendoli nei loro slanci più vivi e urlando loro che devono curarsi!

In questi anni ho visto matti veri e matti finti. I matti veri hanno tutto il mio appoggio, la mia stima. Basta guardarli negli occhi e capisci dopo tre secondi che soffrono. I matti finti sono quei poveri figli di puttana che son conigli. E se n’inventano sempre una per giocar sporco. Sono quelli che aspettano dallo Stato i soldi assistenzialistici ma poi vieni a scoprire che hanno più soldi di te. E come se li siano procurati non l’hanno detto allo Stato. Chiedono ed elemosinano solidarietà ma sono egoisti perfino con la loro immagine allo specchio. Poiché non rispettano nemmeno i mostri che sono diventati. Fingendo di essere buoni quando sono i primi a viver come porci.

Come Alice Krige/Tully in Barfly, bisogna purtroppo ammettere che a volte, nella vita, s’incontra uno che vuole vivere proprio così.

Sì, per la maggioranza ciò appare assurdo, inconcepibile, perfino tristissimo. Ma quel qualcuno sa che solo quando vive così è sé stesso, allora sì che ama, è romantico e la mente vola alta proprio nell’apparente bassezza lontana da ogni fradicia, ipocrita, finta benevolenza. Finalmente, dopo una vita, i dementi hanno capito chi hanno di fronte. Sì, scusate, ho mentito. Proprio in maniera spudorata. Io non soffro di disturbo di personalità Soffro di tre miliardi di personalità, sono tutte le voci, le emozioni, le parole, le anime dei grandi pensatori, sono i migliori fotogrammi cinematografici registrati, analizzati dal mio cervello. No, se da me vi foste aspettati che avrei vissuto da ritardato come voi, no, meglio la follia!

Sai che palle svegliarsi la mattina accanto a una a cui puzzano i piedi, regalare i buondì per stupida cortesia e aspettar che la borghesia ti dica un giorno… condoglianze, è finita.

No. Non lo dico per vantarmi, lo dico perché è la verità. Parliamo di una persona di un’altra categoria. Ah, volete un’altra fottuta verità? L’altro giorno, ho sentito quanto segue per radio. La conduttrice, una svampita, ha recitato a pappardella le frasi belle e carine, pasquali di circostanza…

un anziano signore, la mattina di Pasqua, ha portato delle uova di cioccolato davanti alla caserma dei carabinieri, lasciando loro nel plico un messaggio ove li ringraziava per il lavoro che svolgono.

E la scema, alla radio, semmai pregustando già il suo dopolavoro col burino sozzo che ha come moroso, ha aggiunto…

eh, sono questi i gesti che rendono la vita più gustosa.

Invero, quel signore forse è vedovo, sta morendo, non sa neanche giocare a carte al Circolo Arci, non gli tira più e a Pasqua sperava di far colazione con dei ragazzi per sentirsi di nuovo giovane e cazzuto.

Sì, personalmente quella troia della radio, con le sue falsità, può prenderselo tranquillamente nel culo.

 

 

di Stefano Falotico

barfly rourke

Giornata mondiale della felicità, discorso primaverile di un uomo bukowskiano


20 Mar

Barfly Rockwell Tre manifesti

Certe persone non impazziscono mai. Che vita orribile devono vivere.  

Attenti a quelli che cercano continuamente la folla, da soli non sono nessuno.

A volte ho la sensazione di essere solo al mondo. Altre volte ne sono sicuro.

Sai, molto tempo fa cercavo di combattere la felicità; mi dicevo: chiunque è felice ha qualcosa di sbagliato, pensa in un modo distorto. Oggi non lo faccio più, e mi dico: se è possibile essere felici, lo sarò. Non farò il difficile e anche se non sarà la felicità perfetta non farò lo schizzinoso. Mi prenderò tutta la felicità che posso prendere.

(Charles Bukowski)

 

Sì, il BUCOSCO è come me. In passato, amavo i film afflittivi, più erano film disperati e tristi, con tragedie familiari e affini, con storie di traumi e uomini folli, più pagavo il biglietto e mi accomodavo in quelle trame poco accomodanti, accondiscendo il mio umore di merda. Uscivo dalla sala più triste e tristo di prima, e pensavo che Leonard Cohen fosse un genio. Poi, scoprii che la sua Nevermind l’hanno messa nei titoli di testa di quella porcata di True Detective 2, e mi hanno ricoverato perché diedi in escandescenza. C’è da dire che anche la canzone omonima dei Nirvana fa cagare, è roba buona per adolescenti col pensiero della fighella ochetta e, non riuscendo a strapazzarla, fanno i pazzi di lamenti patetici. Il Grunge, una delle grosse stronzate dello scorso secolo. Vedevi questi giovinastri coi jeans stracciati e poi erano figli di papà che amavano i film di Joel Schumacher. Ma andassero a farselo dare nel culo.

Sì, per molto tempo ho pensato che essere felici fosse una colpa, e mi davo dell’impostore da solo. Sì, perfino quando mi masturbavo non ero felice. Sia durante i “preliminari”, quando dovevo cercare il materiale per la sega, e c’era l’imbarazzo della scelta, così m’incagliavo di stress disumano, non sapendo su quale figa “optare”, sia nella pratica, ché dovevo alle volte accelerare perché avevo sempre paura che qualcuno potesse bussare alla porta. Il dopo poi era devastante, non avevo risolto un beneamato cazzo, e dovevo aspettare almeno un quarto d’ora per tirarmene un’altra. Sì, una vita moscia…

Credevo che sverginandomi me la sarei goduta finalmente. Non andò così. Sì, il “fattaccio” avvenne, ma la tipa capì che preferivo farmi le seghe. Almeno non dovevo rendere conto a nessuno dei tempi e della durata.

Poi, pensai che trovare un lavoro rispettabile significasse ricevere la stima e l’approvazione della gente, ma scoprii che molta gente ricchissima, che non fa niente dalla mattina alla sera, ti tratta da prostituta se ti fai il culo.

Quindi, pensai che scrivere le mie emozioni potesse dare qualcosa alla gente. Entrar in empatia con altre persone che la vedevano come me, e poter condividere le mie gioie e i miei dolori. Ma compresi che quasi tutti tifano per la Juventus, e compresi che i miei libri sugli sconfitti, gli oppressi, i rinnegati, gli emarginati, venivano usati solo per asciugare il sudore a calciatori miliardari.

Dunque, mi rimisi in forma e diventai bellissimo. La gente invidiosa mi diede della puttana perché piacevo alle donne, e caddi in depressione. Al che, assunsi dei farmaci che non me lo facevano più tirare e presi su dei chili. Tutte quelle ore di flessioni non erano servite a niente.

Perciò, fratelli, nel dubbio fottetevela! Ah ah.

Perché la foto di Rockwell? Sì, in quel film è un ottimo cazzoncello, che sbanda e poi rinsavisce.

 

di Stefano Falotico

Auguri di buone feste da parte di un uomo giocondo


17 Dec

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JOHNNY HANDSOME, Mickey Rourke, 1989, (c)Columbia TriStar Pictures

JOHNNY HANDSOME, Mickey Rourke, 1989, (c)Columbia TriStar Pictures

Sì, il tempo passa e so che, guardandovi allo specchio, notate come le rughe vi hanno raggrinzito in una posa putrescente. Sì, il tempo scalfisce, insiste sulla vostra pelle che, corrugata, non è briosamente fresca come quando la giovinezza vi spronava a esser ardimentosi e a intessere le vostre giornate di voraci amplessi. Ah, la giovinezza v’è sfuggita e ora fate “promemoria” di ciò che val la pena vivere, enumerando le delusioni e contentandovi di ritirare soldi mal guadagnati, pen(s)ando ininterrottamente su come ardeste i vostri sogni per “intingerli” nel più bieco moralismo, rinnegando quel vostro essere graziosamente allegri, mentre oggi, intristiti dall’opalescenza di (r)esistenze non più vibranti ma al grigiore virate, malinconici annegate nell’afflizione d’insulsi dì ove fate la lotta al prossimo che vi par disturbante. Nella patetica tranquillità della più gelida falsità. Ah ah. E questo vostro gioco pettegolo e maligno sempre più mi disgusta e, nella mia “nausea” al di là delle fottute chiacchiere stolte, m’immergo in lidi lindi di spensierata vacuità. Una vacuità che riempio d’immaginazione e voli pindarici della fantasia, planando oltre le mediocrità abominevoli dell’uomo castigato nella sua borghese fallacità. Così, “pesco” una sigaretta e la metto in bocca, accendendomi nel bruciar di passioni vere mentre il mondo, cinico e abietto, deteriorato e da me giustamente vituperato, insegue l’effimero, illudendosi che il domani sarà più lieto e migliore. Invece il putrido viscidissimo si attacca alle vostre ossa e prosciuga sempre più le vostre sincere emozioni, sì, il tempo nelle anime vi lussa e oramai vi siete dati soltanto alla più animalesca lussuria. Ah, meglio io che me la russo… Vi conosco, sapete? Sempre a predicare, a favellare e poi poco, concretamente, a combinar qualcosa che sia anche fantasticamente affascinante. Siam invasi da esibizionisti e tutti, galleggiando nel vuoto delle loro mentali, miserrime, orrende “ordinarietà”, sono equilibristi soltanto di una triste erroneità. Persi nel fraintendere il senso della vita, e viaggiando su distorte, bacate mentalità.

Mentre di tutta boria e insipidi eloqui vi agitate con mostruosità, io fumo con placidità nel far sì che le mie depressioni nella fulgidezza sfumino come un gabbiano nella brezza, e godo di questi attimi ridenti di me così soavemente suadente, festante e anche saviamente “farneticante”.

Troneggiante nel mio ber tanti caffè, son uomo di genialità “fai da te”, non ho l’aplomb inglese di quelli che alle cinque del pomeriggio bevono il tè ma a chi mi vuole male faccio tiè e a chi voglio bene do un po’ di me.

Così è. Andate in pace, fratelli, e scambiatevi un segno di pace.

Io vi benedico mentre il fumo della sigaretta annerisce di pece ogni muso e muro ottuso.

di Stefano Falotico

Siamo nel nubifragio dell’essere soli, forse anche stolti, nel Sole che balugina sollazzandosi di “sale” tuo dolce


22 Oct

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Mare(e), e la salsedine lecca la tua pelle mentre una donna si sveste in riva nella spiaggia della sua solarità piccante.

Eppur questa compagnia, che potrebbe farsi se lo volessi, non mi attizza e preferisco abbronzarmi in desideri più immaginati, anche più rimuginati, ruminando in altro arrovellarmi nella grigliata del mio bronzo di Riace, probabilmente del mio incapace eppur di capa rapace.

Rinvengo le frasi del Nietzsche, e le recito mentre i raggi solari fan sì che non mi ottenebri in simbiosi con tali constatazioni amare. Eh sì, andate al mare quando siete soli e amari, anche se una donna non vorrete amare nel Sole dei vostri peccati cocenti.

Parecchi uomini sono così abituati a star soli con sé stessi, che non si paragonano affatto con gli altri, e continuano a intessere la loro vita monologica in una disposizione lieta e tranquilla, fra buone conversazioni con sé stessi e perfino con riso. Se invece li si induce a confrontarsi con gli altri, essi inclinano a sottovalutare sé stessi con ragionamenti lambiccati: al punto da dover essere costretti a riapprendere solo dagli altri una buona, giusta opinione sul loro conto; e anche da questa opinione appresa vorranno sempre togliere, detrarre qualcosa. Bisogna dunque lasciare a certi uomini la loro solitudine e non essere così sciocchi, come spesso accade, da compiangerli a causa di essa.

Insomma, non compatitemi se talvolta preferisco le tenebre al Sole nel mio voler star solo, rintanandomi ove i bui della mia anima son così tanto illuminanti da impedirmi di offuscarmi nelle false compagn(i)e a me poco sollazzanti. Meglio di notte la campagna…

Metto il sale sul riso, e rido, rido di tante banalità e di chi mi dà la patente del matto maniaco ossessivo.

Ben vengano le mie manie, sono smanioso di ordine e precisione, in esse, mi mantengo disciplinato alla bellezza della vita lontana dal chiasso e dal caos, e mi astengo dall’essere un sessuale maniaco.

Fermi con le mani, non aggreditemi se preferisco raggrinzirmi, impigrirmi e forse anche da solo, senza Sole, compatirmi. Sono però di te compassionevole, che delle persone vedi solo l’apparenza “raggiante” e non ami le persone “raggrumanti”.  Sì, mi raggrumo e alle limonate degli scemi e delle scimmie prediligo gli agrumi del mio star lontano dalle frasi fatte e dai soliti, mal giudicanti costumi.

Mi spoglio di me stesso e adesso guardo quella donna che vorrebbe le fossi scostumato. Ci togliamo il costume e rimaniamo ignudi.

Mentre qualcosa “sale” e dolcemente fa su e giù non solo di risate ma di un ah ah che ci piace.

 

di Stefano Falotico

Io bel(l)o da solo, e De Niro assomiglia sempre più a Bukowski


26 Sep

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Duro? No, sono fragile, mi creda. Ed è la certezza della mia fragilità che mi porta a sottrarmi ai legami. Se mi abbandono, se mi lascio catturare, sono perduto.

(Charles Bukowski)

Sì, più passa il tempo e più divento compassato. Alle scuole medie però usavo il compasso e avevo un’espressione impassibile anche quando le ragazze mi provocavano in modo impossibile. Oggi son un uomo rude, nudo e crudo, passivo, forse sorpassato ma non vivo solo di ricordi del mio remoto passato. Ancora non sono trapassato e spero di “trapanare” finché mi dura questa scorza da “duro”. A morire, come Bruce Willis, infatti il mio cranio si sta spelando e del mio lupo spelacchiato vivo in armoniche inquietudini che mi rendono gustoso come la pasta con la ricotta. Non sono ricco, anzi, campo a stento, tirando a Campari quando vado al bar. Sì, sono un uomo anomalo, d’indubbio fascino e pancia che, a vista d’occhio, sta crescendo per il numero di piadine col prosciutto che, alle prime ore del mattino, lascio che si sciolgano “tristi” nel mio stomaco già ribollente di rabbie come un cappuccino con troppa schiuma. Sì, ne schiumo e trangugio amarezze d’apatia che si lascia poi andare, repentina, a voglie “inusitate”, perché apro Facebook e scorro, di mano liscia, donne appetitose che “leccano” i miei desideri celati, gelanti, da uomo che non teme di confessare le sue masturbazioni “gioviali”, guascone, libere da chicchessia e soprattutto dalle reprimende della cattolica Chiesa. Con far così “scostumato”, profumante di un’integrità “morale” davvero “elevata” al pari del mio “elevarlo”, con purezza ambigua, di buona lena mi “accanisco” anche su Antonella Boralevi, donna attempata ma che sa “temprarlo” grazie alle parole piccanti che sciorina fra un accavallamento e l’altro. Così mi “alleno”. Invero, mento, perché da tempo la mia libido ha subito un calo parimenti proporzionale al fisico di Schwarzenegger, che un tempo era pompato “a dovere”, e adesso “cola” a picco, credo, anche di erezioni che rimpiangono l’Atto di forza che fu.

Ero, anni fa, uno Stallone italiano, come Sylvester, e invece oggi sono un gatto Silvestro che non si fa la doccia col Pino Silvestre. Da adolescente, ero campione di corsa campestre, oggi sfoglio le ginestre, “spiandole” dalla finestra. Meglio una pizza Margherita! Sì, con arditezza incommensurabile, ammetto che il mio uomo sia decaduto ma, “tenetelo” a mente, donne, che vorreste “tenermelo” anche altrove, non son ancor deceduto eppur alle facili lusinghe non cedo. Non nelle vostre lingue cado.

Preferisco la solitudine ché sa “attizzarmi” in spazi sconfinati di poesia e fantasia. Cosa me ne faccio di una donna che vorrebbe sempre farmi, e soprattutto vorrebbe che mi dessi da fare, quando posso scoparmi un libro? Ditemelo, dai dai, non datemela! E immergermi nel piacere inequivocabile, non “equino”, care cavalle, della lettura. Le parole così s’intrecciano voraci nel mio cervello insaziabile e alimentano le ore lontane dalle orge.

Annoto sul mio diario di “brodo” che De Niro è ancora gorgeous e sta assumendo la fisionomia barbuta e anche “barbonesca” di Bukowski.

Dio vi benedica, Dio, che sono io, sa…

di Stefano Faloticode niro01083206

Il cazzone dei folli, no, la bukowskiana canzone


25 Mar

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Società frenetica, che non balla però più con Fred Astaire, ebefrenica, schizzata, lobotomizzata nel Cinema di supereroi dove quattro fessi pendono dalle labbra delle affermazioni di questi registi “avengers”, che usano effetti speciali di CGI per far contente le pa(pi)lle “gustative” di occhi che, oramai stressati dalla vita quotidiana, trovano figate e sfoghi in quest’esplosione di colori, di Downey Jr. de ferro, che si prende pause per girare Dottor Dolittle, questa società io ripugno e la mia follia, contro questa folla, impugno. Sì, svolto altrove nel mio volo d’isolamento POP che cinguetta d’usignolo libero di sguinzagliarsi nella pace contemplativa dei suoi cazzi, perché ne posseggo molti, di ogni specie e dimensioni, di colori differenti e mai “condomizzabili” in preservativi di questo mondo buonista che ama tali fregnacce. E le fregne? Chi le frega se i giovani vecchi di oggi se ne fregano e a un “bel piatto” di sventola preferiscono la cultura morta di questi mascherati culatoni? I culatelli, i tortellini, il brodo e il Buddha che va fra palazzi alti e cattivi aliti, solfeggiando la sua melanconia che “eiacula” sincera e sfacciata repulsione verso questo mondo assorbito da questo cinemino di cazzate. Evviva Travis Bickle, vero iron man di mohawkiana solitudine ancestrale, “orgasmizzato” nelle sue ansie, nel suo co(r)vo, senza puttane che lo angoscino, che se lo vogliano ingollare.

Thor

Lo sguardo di una che conosce tutti i muscoli non minuscoli e sa che il toro spinge.

taxi18

 

Il leccaculo.

 

 

di Stefano Falotico

Genius-Pop

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