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Il ritorno di Gary Oldman, un mio mediometraggio su Villa Clara e Letter to You di Bruce Springsteen, sempre più misticamente simile a Bob Dylan


23 Oct

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Ne vogliamo finalmente parlare di Gary?

Presto, lo vedremo in Mank nei panni dello sceneggiatore di Quarto potere.

Finalmente, il grande David Fincher è riuscito a realizzare il sogno che covava da tempo immemorabile.

Lavorare con Gary in un film da lui diretto. Inizialmente, al posto del primo Hannibal Lecter del grande schermo, ovvero Brian Cox di Manhunter, in Zodiac doveva esservi Oldman. Il quale però, all’ultimo momento, per ragioni ancora ignote, diciamo non del tutto appurate, all’improvviso diede sorprendentemente forfait.

Nel frattempo, negli anni intercorsi fra Mank e l’Oscar assegnato ad Oldman per L’ora più buia, Oldman recitò sfigurato in Hannibal di Ridley Scott. E Fincher accrebbe la sua fama, ottenendo inoltre un figurone con Mindhunter. Del quale diresse e dirigerà alcuni episodi…

Credo, in tutta sincerità, che Gary Oldman sia stato per molto tempo identificato erroneamente soltanto come villain con indole da Joker. Sebbene, nella trilogia nolaniana di Batman, Oldman fu un buon tenente e non quello di Harvey Keitel nel Bad Lieutenant di Abel Ferrara. Per l’appunto, appuntatevelo, appuntati, carabinieri e poliziotti della Critica superficiale. Non impuntatevi con prese di posizione limitate e fasciste. Gary è la versatilità fatta persona, incarnata, pareva morto e datato, incartapecorito e imbalsamato, invece resuscitò e ringiovanì di colpo come in Dracula di Bram Stoker.

Gary, figlio di un saldatore, giammai laureatosi e presto istradatosi da autodidatta.

Un duro, un’anima ribelle, ancora bello nonostante le sue non più freschissime primavere. Ah, incontrò da adolescente molti bulli. Lo so…

Assomiglia a qualcuno di mia conoscenza. Sì, questo qualcuno (che) io vedo allo specchio dalla mia nascita. Non credete?

Sì, come noi uomini sappiamo, non si può mentire dinanzi alla propria immagine riflessa.

Specchiandoci, infatti, cogliamo intimamente il silenzio del nostro vero, vivo, scalpitante e viscerale cuore specularmente simbiotico alla nostra coscienza più inesplorata, riaffiorata dal profondo…

Nella realtà di tutti i giorni, siamo spesso costretti, giocoforza, a indossare delle maschere. Per accontentare il gusto della medietà conformista, adattandoci alla tristizia dei compromessi più puttaneschi pur di essere stimati dal prossimo. Al fine di ostentare, esteriormente, la nostra immagine migliore possibile.

Sto parlando ovviamente di molti di voi. Di mio, non ho mai pensato che un uomo debba svendere la sua dignità per piacere agli altri pur di ottenere la patetica simpatia e un contentino come si fa coi bambini e, semmai, elemosinare piacevolezza da una donna, mostrandosi a lei con un look fintamente perfetto che trasudi impeccabilità morale, invero truccata.

Ma che film sarebbe mai questo che vi siete “sparati?”. Whore di Nicolas Roeg?

Sì, a causa del mio istrionismo personalissimo in linea con la mia autentica unicità indissolubile, i miei coetanei, durante l’adolescenza, credettero che fossi matto e mi consigliarono di vedere Mille pezzi di un delirio.

Essendo taciturno, mi dissero perfino: – Guarda pure Niente per bocca.

 

Al che, ne successero delle belle. Insomma, delle brutte più racchie delle ragazzine da Harry Potter, frequentate da chi mi accusò di essere agorafobico e più incosciente, poco previdente delle conseguenze come Lee Harvey Oswald di JFK.

Se ne fece un caso e voi non fate, per l’appunto, caso se mi va qui di sdrammatizzare sulla situazione assurda che involontariamente innescai, inducendo le persone ad addebitarmi la diagnosi di persona afflitta da disistima, da allucinante atimia affettivamente fredda, forse solo emozionalmente sofferente di tachicardia mancante d’empatia. Ma per cortesia!

C’è da rimanere senza parole. Ah ah. Speechless.

No, al punk di Arthur Fleck, preferisco Sid e Nancy. Mentre, a Nancy Brilli, Gilda Sbrilli. Curatrice di un’edizione dei Promessi sposi.

Ah, Orson Welles ed Hayworth Rita, la leggendaria Gilda.

Mi urlarono… sei Il mai nato. Un film pessimo. Lo andai a vedere solo perché la locandina m’attizzò.

Sì, nel poster originale viene riflessa la strega di Cappuccetto rosso sangue?

No, semplicemente una che fa sesso. Il film invece fa senso e lei non soltanto non si spoglia, bensì non sa aprirsi, a differenza di Oldman, ad una recitazione sbottonata da vetusti codici di rigidità formale assai pallosa.

Adoro Gary. Quest’uomo nevrotico, imprevedibile, che recita col cuore e non a c… o.

Quando carica da matto, no, di brutto-bellissimo da matti come per il suo epocale, gigionesco Norman Stansfield di Léon, è uno spettacolo più eccitante di Monica Bellucci dei tempi d’oro.

Lo amo quando è uguale a me in A Christmas Carol.

E quando se la ride come un pazzo ne La talpa. In cui, degl’ingordi idioti pensarono di aver compreso un mistero alla Rosebud, invece rimasero con un palmo di naso.

Cantando La Mer poiché distrutti e costernati dinanzi alla loro umana miseria oceanica.

Amo anche da morire La finestra sul cortile ma non so se The Woman in the Window sarà un bel film.

Quello che so per certo è che Amy Adams è più f… a di Grace Kelly.

No, non voglio diventare il Presidente degli Stati Uniti. E non so se sia peggio Donald Trump o se sarà ancora più scemo di lui, eh sì, Biden. Per me, quasi tutti i politici sono sporchi e meriterebbero un bidet.

Non sono comunque un anarchico terrorista come Oldman in Air Force One.

So anche che Mozart fu un genio indiscutibile mentre Oldman, in Amata immortale, sembrò una caricatura di Amadeus, sì, il presentatore televisivo. Mica quello divinizzato da Alex di Arancia meccanica. O no?

Gary sbagliò tante volte nella sua vita da fuori di testa. Perse, sì, la testa per molte donne e pensò che un genio come lui potesse accontentarsi di Uma Thurman ed Isabella Rossellini.

Sì, devo dare ragione al mio amico Ottavio. Lui crede fermamente alla dottrina gnostica. Che suddivide l’umanità in tre categorie.

1) I nani, cioè gli ilici. Il 90% delle persone. Che vivono di gelosie, invidie, corna, tradimenti e oscene competizioni superflue.

2) gli psichici. Categoria nella quale Ottavio mi annette. Cioè persone a un passo da essere elette. Spero non a capo degli States. Ah ah.

La terza categoria, comunque, il mio amico pensa che io possa raggiungere fra circa un mese.

Quando pubblicherò il mio prossimo libro.

Un libro che, alla pari di Orson Welles di Citizen Kane, ribalta la concezione di tempo e lo supera a mo’ dell’Oldman del Dracula. Abbattendo ogni barriera.

Sì, Welles è un gigante del Cinema.

Comunque, penso che questo sia un bel mediometraggio mistico-spirituale, perfino ero(t)ico, e che Bruce Springsteen, col passare degli anni, sia uno splendido fantasma ancora capace di commuovere alla maniera di Bob Dylan.

Insomma, date il Nobel anche al Boss.

Date l’Oscar ad Oldman per Mank o ad Anthony Hopkins per The Father.

A me date un bacino. Mi accontento.

Tanto, qualcos’altro, è la mia lei a darmelo(a)…

Goodnight and good luck.

Presto sarà Natale.

E vi regalerò altri sogni.

Sì, sono Clint Eastwood/Babbo Natale di Fino a prova contraria.

Se non vi sta bene, non pot(r)ete amare Gary Oldman. Dividerete le persone fra sfigati e fortunati, tra fighi e cog… ni, chiamerete l’altro orfano di madre od aborto vivente, vi odierete e non amerete, in cuor vostro, l’immagine di voi stessi che si rifletterà davanti allo specchio.

Mi spiace, non vivrete bene, non amerete non solo il Cinema.

E non sarete mai Gary Oldman, Orson Welles, Bob Dylan e Bruce Springsteen.

Per quanto mi riguardi, mi riguardo sempre per migliorare. Io sono io. Va bene così.

No, sì, no, sì, abbasso gli asini e le teste di mulo.3_Tavola disegno 1 2_Tavola disegno 1 1_Tavola disegno 1

Letter To You, recensione del grande, nuovo album di Bruce Springsteenletter-you-recensione-album-bruce-springsteen-copertina

Ebbene, il Boss è tornato con Letter To You. Un’ode alla più dolce, fosca, tenera e al contempo tenebrosa, malinconica sua reminiscenza monumentale di natura mondialmente musicale, un’epica e soffice raccolta delicata, già d’antologia, incastonata e sigillata eternamente nella mirabilissima sua rocciosa eternità perpetua ed eterea. Una carezza lieve donata alle nostre anime. Alle volte spaurite, melanconiche, altre volte grintosamente auto-echeggianti l’evocativa virtù dell’infinità (u)morale delle nostre stesse accorate sensazioni traballanti, in continuo mutamento e rigenerativa freschezza persino euforica dopo tante eclissi dei nostri cuori spezzati, oscuratisi nel buio e poi, di colpo, risorti magnificamente in gloria.

Quest’uomo immarcescibile, oramai appurata ed incontestabile leggenda vivente incarnata nel suo viso oggi smagrito, nella sua ectoplasmatica sagoma avvolta da una nebbiosa atmosfera nevosa, camminando nell’asperità romantica dei suoi perenni, giammai vinti, crepuscolari e al contempo infuocati dubbi esistenziali, pare che riemerga dalle soffuse penombre di sé stesso, incorporandosi nel revenant cantore delle sue incantevoli memorie magiche. Pietrificate nello splendore dell’adamantino rammemorare il suo e nostro cammino poetico, addirittura ambiguamente ermetico. Sobrio e lucente.

Bruce Springsteen, ladies and gentlemen, che nella copertina del suo nuovo, stupendo album imprescindibile non solo per i suoi irriducibili aficionado, ormeggiando in metaforico the river sulfureo della plumbea, “accordata” mareggiata emotiva della sua carriera oceanica, ci regala un’altra perla piena di canzoni dolcemente lievi evocanti forse A Christmas Carol di Charles Dickens, soavi come un’onirica, atmosfera natalizia, per l’appunto, appaiabile a Paul Auster o, forse, alla squisita amabilità commovente del derivatone, cinematograficamente, racconto vividamente sentito di Harvey Keitel in Smoke.

Letter To You profuma di concettuale spiritualità quasi gospel, sì, di mistica ed avvolgente, allo stesso tempo sanguigna vivacità toccante. Pare, a tratti, addirittura un moderno canto gregoriano.

Dopo Western Stars, elegia dedicata alle anime spare parts dell’infinita, folle e visionaria America forse perduta eppur combattivamente resiliente, a settant’uno il Boss si restaura nel ricordarsi, nel contemplare la bellezza sfuggevole e cangevole del tempo rivisto, introiettato e cantato con la forza ancora gagliarda della sua tempestosa leggendarietà inscalfibile ed immutata.

Cosicché, recuperando dal cassetto dei suoi stessi sogni giammai arenatisi ed assopitisi, alcune canzoni incomplete ed inedite degli anni settanta, alternandole a brani del tutto nuovi, levigati nelle sue vocali corde già, puntualmente, indimenticabili, c’allieta e culla con vibrante, senziente beltà marmorea.

Rilluminando sé stesso, estasiandoci nel far sì che, ancora una volta, possiamo immergerci attraverso lui in un altrove luccicante di lucida, fortemente impalpabile voglia di vivere e rivivere. Di amare e ricordare per rinascere nuovamente intrepidi ed agguerriti. Ancorandoci al passato per rielaborarlo, assieme a lui, in forma catarticamente suadente e morbida.

Con Ghosts supera sé stesso, mormorandoci la levità della fantasia immaginativa e della mnemonica frenesia del suo rispolverare il suo e nostro excursus insuperabilmente, strenuamente agganciato alla purezza dei nostri ricordi riscaturiti vulcanicamente in esplosiva potenza vitale, inarrendevole e, nonostante tutto, ancora intatta. Ripetiamo, immutabile.

Anche se a noi è piaciuta da morire soprattutto Song for Orphans.

Sì, Letter To You non tocca certamente le vette di perfezione stilistica di Nebraska, Bruce Springsteen non è più quel ragazzo strepitosamente e meravigliosamente scalmanato di Born to Run, ma è sempre lui.

In Letter to You aleggia anche la presenza, chissà, di un altro rocker immenso, Bob Dylan.4_Tavola disegno 1

 

di Stefano Falotico

 

Compagni di scuola, gli altri hanno un bel ricordo di te?


25 Mar

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Sì, ieri su Facebook, ho scritto che molti ex compagni di scuola, da quando c’è Facebook, mi hanno contattato a distanza di molto tempo da quegli anni acerbi e inquieti, forse rivisti col senno di poi, eh sì, inquietanti, e son rimasti stupiti dal fatto che io non sia più quello di una volta.

A volte, rimangono scioccati perché ti ricordavano ragazzino, semmai complessato, timido, pieno di paure. E hanno stampato nella lor memoria ancor l’idea di quel che tu eri, appunto ieri, ai loro occhi.

Un colossale imbranato, uno sfigato. Un impresentabile, sciocco squinternato, ingenuo e poco cresciuto.

Ma ora il velo di quelle apparenze passeggere, forse anche veritiere perché probabilmente rispecchiavi davvero quel che sembravi e proprio così eri come venivi visto, si è svelato.

David Lynch diceva che le persone non cambiano, bensì si rivelano.

E se oggi sei uno scrittore molto bello, molto cercato, dalla prosa ricercata e hai un gran fisico, forse tanto sfigato non lo sei mai stato.

Era solo questione di tempo. E il buio si sarebbe asciugato, le tempeste emotive sarebbero state superate e semmai pure il Genius si sarebbe mostrato come Dracula.

Immensamente magnificente. Oramai inarrestabilmente, furiosamente. Intrepidamente potente.

Altre volte, questi “perfetti sconosciuti” restano impressionati da metamorfosi tue che non riescono a spiegarsi. E, paralizzati paradossalmente dal cambiamento in meglio, increduli, tremano di commozione, si agitano nervosamente oppure buffamente, tra sé e sé, sorridono, pensando che il tempo è passato per tutti e forse riflettono sul concetto stesso di tempo. Pensando infine che tu sei cambiato e invece loro son rimasti agganciati ancora ai loro stupidi, puerili scherzetti e alla loro visione limitata e carnascialesca dell’esistenza.

Esiste il tempo anagrafico, cioè l’età registrata all’anagrafe per cui, inevitabilmente, a meno che in Occidente non scelgano di cronometrare il tempo fisico con un nuovo, rivoluzionario calendario, eh sì, può apparirvi incredibili, quaranta saranno presto.

Compirò i miei primi quarant’anni. Ma io non li sento. Ieri ero giù e ne sentivo ottanta. Oggi mi sento allegrissimo e me ne sento quindici.

Il mio tempo è infinito, lo riavvolgo, lo sciolgo nelle mie tempie, appunto. Lo mastico, poi lo cancello, elido i brutti ricordi. Ma essi non si assopiscono e, dalle profondità sepolte dei miei creduti, sopiti microtraumi subiti, riemerge la splendida superficie, dapprima semmai immalinconendoti, obbligandoti a commiserarti, poi schiarendoti le idee, aprendo a nuove luci del giorno fragranti. Straordinariamente romantiche.

Che, come uno scroscio marino, cavalcando le lancette del tuo orologio, si trasforma e modella a incastonatura delle tue iridi lucenti.

Un tempo annerito, dimenticato, adamantino, seppellito vivo eppur che ancor vivace vive.

E allora ecco perché succedono madornali equivoci. Avevi brutalmente, vergognosamente litigato col tuo ex miglior amico. E fu una brutta rottura, una lacera frattura, forse soltanto una triste fregatura.

E lui ti ricordava appunto intimidito dalla realtà, spaurito, chiuso e ripiegato nelle tue afflizioni depressive insanabili. E ancor scortesemente, in maniera canzonatoria, con infima malignità ti approcciò con far stronzo.

Poi, repentinamente, meglio ti adocchiò. Nuovamente adesso t’inquadra e i suoi ricordi non quadrano. Ti ricordava “tondo”, sì, tontissimo, e scopre che oggi sei invece velocissimo, un futurista ed è proprio vero che le donne ti corteggiano e sei pieno di spasimanti.

Come si suol dire, è rimasto impressionato. Dategli un calmante.

Spiacevoli o forse piacevoli sorprese.

Amici, e se non mi siete amici non m’importa, io ho sempre ben gestito (eh, come no) la mia solitudine pazzesca, un mio amico delle scuole medie mi ricordava come un grande.

Purtroppo, e sottolineo, purtroppo, sono ancora questo qui. Sì, di questa clip.

Un gigante fra i nani, un “nano” fra giganti solo di statura e invece piccolissimi nell’anima.

Una roccia fra bambini di cinquant’anni, lagnosi, maniaci, ingordi della tua pelle. Maliziosi, noiosi insopportabili.

No, non me ne frega niente di essere chirurgo, avvocato, giornalista da Pulitzer.

Io son sempre stato un underground.

Forte, spaccatutto.

E non permetterò mai più a nessun idiota di dirmi come si sta al mondo.

Perché io voglio vivere così.

Sennò, saranno altri colpi mancini.

Tutto ciò è patetico? Pensate quello che volete.

Come canta il grande Bruce Springsteen, Born To Run.

Eh già. Allora che cosa successe?

Successe che, oh, può succedere, che uno già molto avanti si fosse affezionato a dei ragazzini.
Molto indietro. E, a forza di farsi prendere per il culo dai ragazzini, stava perdendo di vista chi era.

Orribile a dirsi. Se frequenti i ritardati, diventi tu il ritardato.

Se frequenti gente sveglia, tutto ritorna e cambia.

Sì, un bel gancio sinistro.

 

di Stefano Falotico

Mr. Wolf risolve problemi di aggiornamento feed su Instagram e la questione del finale alternativo di Black Mirror 5, evviva il Boss!


03 Oct

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Black Mirror 5

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Tim Blake Nelson is Buster Scruggs in The Ballad of Buster Scruggs, a film by Joel and Ethan Coen.

Tim Blake Nelson is Buster Scruggs in The Ballad of Buster Scruggs, a film by Joel and Ethan Coen.


Verso le 10 antimeridiane di oggi, mercoledì 3 Ottobre 2018, la gente in Italia è stata colta dal panico.

Al che, su Facebook, son fioccati post di gente terrificata, perché ha pensato che i propri profili Instagram fossero stati cancellati.

Ora, se fossero stati elisi, sarebbe stato meglio. Molti profili sono delle puttanate, esibizione vanagloriosa di vanità stolte. Detto questo, anch’io mi ero allertato. Ma, come diceva il mitico Neffa, devi stare molto calmo…

In vostro soccorso vi è sempre Salvatore Aranzulla. No, nemmeno lui in questo caso perché di aggiornamento del feed non ne parla molto.

Il vostro account Instagram non era scomparso, relax! E non è stato violato da nessun cazzo di hacker. Quindi, andate a farvi un caffè. E statevene tranquilli. Non è che vedete complotti e “cimici” come Gene Hackman de La conversazione? Nessuno vi ha sabotato e tantomeno boicottato.

Instagram è andato momentaneamente in down. Il classico 505 Error. Risolvibile, basta aspettare. E tutto tornerà posto. L’unico che, invece, non tornerà a posto è quello che abita dalle mie parti. Ecco, non soffre né di trisomia 21, no, non è affetto da mongoloidismo, né soffre della sindrome di Down. È semplicemente scemo. “Patologia” di cui soffrono molte persone, appunto, su Instagram, che si credono Marlon Brando e hanno una faccia più inespressiva di una stampante.

Sì, la dovreste finire di dannarvi e andare nel pallone per problemi inutili. Instagram è un giochetto ma son cose le altre nella vita ben più importanti del vostro archivio di foto stronze, con linguacce e pose da puttanoni.

Comunque, se vostra moglie non è soddisfatta, chiamatemi. Sono davvero un wolf, un lupo mai visto. E la vostra donna, nell’ululante notte di gola profonda, forse perderà qualche pelo (eh, si sa, lo “strofinamento” potrebbe sbucciare le radici pilifere…), ma al mattino dopo sarà radiosa, una rosa rifiorita.

Ah ah, a parte gli scherzi.

Cos’è questa stronzata del finale alternativo di Black Mirror 5?

Innanzitutto, io non sono un patito delle serie. Tantomeno di Black Mirror, per cui voi invece andate matti. Questa storia della tecnologia dannosa mi pare una cosa vecchia come il cucco. Suvvia, non siate passatisti, sì, non siate retrivi. Non sarete mica fra quelli che dicono che si stava meglio quando si stava peggio. E che odiate gli iPhone e i cellulari? Eh sì, vi trovate in una strada di campagna, a tarda notte, e la vostra macchina si ferma. Al che, a proposito di lupi, dal bosco spuntano queste bestiacce. Voi vi barricate nell’abitacolo della macchina e non potete urlare al lupo, al lupo perché non vi siete comprati, in quanto misoneisti, un “apparecchio telefonico portatile”.

Eh sì, donne, odiate i cellulari ma gli uccelli non passano mai di moda, vero? Sono uccelli che non utilizzano la “distanza” ma son piacevoli da gustare a letto, in una comoda stanzetta. O no?

Ora, torniamo a Black Mirror. La quarta stagione, in toto, integralmente cioè, l’ho recensita e non mi è dispiaciuta. Ma ho le mie riserve, sì, tornando a Gene Hackman, sono il Keanu Reeves di The Replacements e l’eccessivo cinismo esibito nella serie creata da Charlie Brooker non mi convince appieno.

Ma che significa il finale alternativo che possiamo scegliere noi? No, no. Un film, anche un episodio di una serie, deve avere il finale del suo autore. È come se leggeste il Moby Dick di Melville e sceglieste di veder morta la balena alla terza pagina. Come se vedeste Vivere e morire a Los Angeles e voleste che William Petersen rimanesse in vita e fosse lui a sgominare Willem Dafoe. È come se, anziché essere Edward Burns in 15 minuti – Follia omicida a New York, a uccidere lo psicopatico, fosse il defunto e riesumato Bob De Niro. Con tanto di Bob che spunta da redivivo, ammazza il cattivone e alla fine va dalla sua bella riccioluta Melina Kanakaredes e le urla: – Basta coi fiorellini, vie’ qua, zoccolona. Ora ti faccio vedere la “Magnum” alla Callaghan!

Suvvia! È ancora Gary Sinise, nella vita reale, e non nelle vostre fantasie virtuali, a prendere Melina e a fargli vedere il suo “Apollo 13?”. Stavano assieme, stanno ancora appaiati? Ah ah.

Basta con queste serie televisive. True Detective 1 è bellissima ma sarebbe stata molto bella anche se fosse stato/a un film di due ore. Perché allungare il brodo?

Westworld 2 è inguardabile, una rottura di palle tremenda.

Maniac, che ho appena finito di (ri)vedere e recensire, sarebbe andato/a benissimo anche come lungometraggio di due ore.

C’era una volta in America non è una miniserie in quattro puntate, è e deve essere un filmone di quattro ore. Se poi, in questa modernità frenetica, non avete il tempo di concentrarvi per quattro ore ma volete spezzettare la visione, andate a fare in culo.

Io sono un futurista, la versione italiana di Colin Farrell di Miami Vice ma adoro anche la lentezza.

Soprattutto quando Melina Kanakaredes non vuole che a letto io duri meno della massima di Andy Warhol.

Sì, con Melina bisogna fare l’amore come si gusterebbe prosciutto e melone. Succhiando e spolpando con molta delicatezza per godere e leccare tutto l’aroma.

Ah ah.

 

Vi saluto, teste di minchia.

 

No. Morale della fava, anzi, della favola: se avessi dato retta al “finale” scelto da molte persone sul mio destino, sarei finito ad ascoltare Rocco Hunt, mendicando compassione e pietà.

Invece questa rimane una delle mie canzoni preferite:

Anche questa non è male…

Se la ritieni troppo “triste” e campagnola, troppo rustica, c’è sempre Annalisa.

Annalisa, al massimo, ha un ottimo culo.

 

 

di Stefano Falotico

Le tiepide “ire” poetiche di Bruce


05 Nov

 

Un impetuoso, roboante grido s’innalza in una Notte incendiata negli ormoni.
Il fremito di “rabbonite” angosce che si permeano d’un “lacustre” sospiro, flussi incantatori d’un magma in eruzione.
L’incertezza della vita ch’oscilla lieve e poi stride con animalità irriverenti ch'”ammorbideranno” o peggio ammorberanno le sinuose energie che ti gridano dentro, i passi nella sabbia di danze oniriche, nella battaglia irsuta del Cuore, o dell’anima che s’incupì in brindisi troppo “lieti” col vento, per mastodontiche ebbrezze che, carezzandola troppo, la “sgualcirono”, inguaribile foga romantica, o rocambolesche fughe che scoccan i dardi di raffrenate o raffredate lussurie, il battito d’ali dell’infinito che si spande in crespe cadenze “taciturne”, nei crepuscoli addolciti da troppe stelle, o dai crepitii selvaggi di corpi “diroccati” in svenevoli baci, turgidissimi amplessi a divorarci, in un’onda che respira e si “soffocherà” ancora in un “bungalow” d’una scalcinata periferia, o taglieremo con l’accetta il “sangue” per avvinghiarcelo, per inteporirlo e bagnar le nostre vene di morsi dalle ombrose decadenze.

Puttana, come Indira Varma, o fin troppo glamour come Liz Hurley, dietro le luci floride d’una Los Angeles dalle fosforescenti palme, nuda, spogliata, ti porgi a me, e ti lecco ogni “gracile” e poi “violento” grammo di pelle, in sudori che assaggiano il buio nell’attesa di risorgerci, oh quale sorgente, nell’alba nitida del Cielo limpido, per un altro fuck me hard!
Proletario, con le croci sul petto, “brutto” ma non cattivo, trasandato e nell’andar nei suoi passi, amante della Donna tutta, e dell’umanità che (si) perde, o come un borghese qualunque con una voce roca e magnifica, o solo “di roccia”.

Secondo me, Stefano Falotico, un po’ di Bruce Springsteen, è questo.
Domani, potrei cambiar idea, basta che l’Ikea non mi “arredi” di troppa “sobria” semplicità.
Cazzo.

 

 

Nella Notte, si balla, De Palma nel rosso acceso.

 

 

Siamo nati per correre, da una città che uccide i sogni, sempre “fuggiaschi”, stabili come le fronde d’un albero nella tempesta.

 

 

Il Mondo è pieno di babbeucci o di chi bussa alla porta, di guerre maledette e fratricide e di sani di mente con cervelli portentosi e l’erotismo dei grandi lupi.
Menomale che eravate nati in America. Ma, l’America ha sempre il fascino d’un grande viaggio.

 

 

Sì, amo il fiume, anche in piena di me, e o odio i cretini, Dio di me stesso e d’una Donna dalle gambe di Patti Scialfa che l'”arraffa”.
Andammo nel river, o sulle rive.
Ma Cristo fa miracoli solo a un grande Uomo.
E “fischietterò” con le labbra.

 

 

(Stefano Falotico)

 

 

Genius-Pop

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