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Il JOKER di JOAQUIN PHOENIX: Character Study


03 Sep

joker phoenix

Che cos’è innanzitutto un character study?

Sarebbe da chiedere a quei folli psichiatri così supponenti che, in diagnosi superficiali assai sbrigative, specie quando c’è di mezzo la giustizia che, a sua volta, preferisce agire repentinamente senz’appurare approfonditamente, emettono giudizi lapidari capaci, nell’arco di una misera mezz’oretta in cui l’hanno eseguita, semmai leggendo nel frattempo le notifiche lampeggianti sotto un desktop col logo della Fortitudo, di rovinare tutto il libero, propulsivo potenziale a rinascere d’una persona che, semplicemente, per sfortunate circostanze, fu giocoforza obbligata a ribellarsi furibondamente, reagendo ad affronti e bullismi reiteratisi troppo a lungo.

Come si suol dire, lo scherzo è bello finché dura poco. Quando, invece ostinatamente, scelleratamente persevera nel protrarsi in maniera interminabile e infermabile, poiché nessuno interviene e intervenne a porgli un netto, radicale freno duramente, dall’apparente burla giocherellona si può passare al tentato omicidio o, peggio, all’istigazione al suicidio di un’anima Joker-iellata che, non essendo riconosciuta uguale e conformata ai dettami di massa, non essendo allineata alla carnascialesca cantilena stolta dei luoghi comuni propagati e tramandati di generazione in (de)generazione da una prosapia d’inestirpabili uomini immondi, non essendo ascritta semmai a un gruppo sociale per via d’una sacrosanta, vivaddio, natura inesorabilmente connaturata alla sua alterità troppo dissimile rispetto a un mondo appiattitosi nel pregiudizio e nella svelta supponenza plebiscitaria di una collettività malsana, un’umanità adattatasi alla retorica, ai verdetti esecrabili della propria facile boria merdosissima, un’umanità che impietosamente non solo non prova compassione o s’impietosisce ma perfino nella sua fallacità chiarissima volgarmente insiste, non recedendo dalle sue intransigenti (im)posizioni fasciste, ecco… dapprima quest’anima osteggiata, vilipesa ed emarginata nel silenzio s’ammutolisce, nella melanconia a prima vista pacifica e innocua s’intristisce, nell’amarezza e nell’arrendevolezza, nella mancanza di capacità reattiva si svilisce e nell’abbattuta autostima, dai farisei impostori, dai facinorosi imbattibili impunemente e ignobilmente scalfita, poltrisce o forse soltanto le sue rabbie ancor inesplose tremendamente, segretamente patisce.

Ecco, Joker, a detta dello stesso Todd Phillips doveva essere un potente monito scagliato in barba a questa società oramai irredimibile e barbarica. Che, edonistica, alle gioie più meschine ed egoiste incita, al solipsismo più menefreghista istruisce e ragiona a compartimenti stagni schematici, bigotti e qualunquistici.

Ebbene, Phillips c’è riuscito. Sì, a creare un’opera figlia della New Hollywood che, attingendo dalle cupe atmosfere malinconicamente oniriche di quei tempi tristi o forse soltanto rivoluzionari e stanchi delle baggianate ecumeniste di John Lennon e compagnia bella, combatté il pacifismo.

Sì, può apparire ossimorica quest’affermazione in termini, appunto, contradditoria.

Non dovrebbe infatti la pace regalare serenità e armonia? Non sempre, anzi, quasi mai la pace totale crea universale felicità perdurevole.

Viviamo in tempi ove impera l’ipocrita buonismo, ove tutti si scattano selfie a trentadue denti col drink in mano ma io, dietro questa contentezza tanto ostentata, dietro questa deflagrazione d’allegria a prima vista contagiosa e, appunto, disarmante, scorgo incurabile tristizia allarmante.

Sì, non siete felici ma vi hanno chiesto di esserlo a tutti i costi, costi quel che costi e voi abdicaste, rinunciaste per comodità ai vostri intimi credo inviolabili per non sentirvi diversi e guardati a vista. Cosicché, omologandovi all’andazzo ridanciano e frivolo, al solito putiferio carnevalesco, caciarone e chiassoso, politicamente corretto e improntato agli ordini impartitivi dalla pubblicità dei dentifrici e degli shampoo al balsamo, sembrate adesso tutti dei perfettini manichini appena usciti da un estetista che vi ha reso carini…

Sì, una società da Brazil di Terry Gilliam in cui chiunque, per non sentirsi escluso, (s)fatto come uno stampino, è uguale all’altro in tale processione di uomini e donne schifosi ma esteriormente bellissimi.

In Sala Grande al Festival di Venezia, ah sì, Joker io vidi.

Un evento che conserverò eternamente nella mia memoria. Sì, ancora forse non me ne rendo conto. Io assieme a un paio di migliaia di persone, sono stato fra i pochi fortunati al mondo a vedere uno dei massimi film degli ultimi dieci anni alla sua prima per la stampa. Che culo, ah ah.

E qui ancora spoilero in quanto sono uomo spoglio che tutti polverizzo.

Di Arthur Fleck non ci venne detto di quale malattia mentale soffra.

Notammo solamente che è affetto da un’esagerata ilarità smodata spontaneamente stupidissima. Meravigliosa!

Sì, una risata lontana dagli applause telecomandati e dalle risatine dell’ex Zelig ove spesso le battute in effetti facevano ridere ma altre volte facevano davvero piangere ma per cui la gente, sapendo che apparteneva al pubblico pagante, quindi probabilmente sarebbe stata pure inquadrata per i pochi istanti di celebrità catodica, rideva ugualmente. Eh sì, così se mi vedono nella replica registrata i miei figli, i miei amici e parenti, eh già, penseranno che me la sto ridendo da matti.

Sì, le persone sono pazze. Molti ragazzi venderebbero la loro madre come Anna Maria Barbera (che non è sposata all’impomatato direttore della Mostra, Alberto Barbera), eh sì, povera donna che a causa d’una vita difficile piena di sacrifici divenne appunto grassa e brutta, buttandola a ridere come la Sconsolata, suo nome d’arte, pur di avere una cena a base soltanto d’insalata o da salami con Vanessa Incontrada.

Vengono fuori gli animali più strani… la notte, diceva il profetico folle Travis Bickle di Taxi Driver.

Il mondo non è cambiato più di tanto. I cinquantenni stanno a casa d’estate mentre la moglie è in vacanza e sono talmente fedeli che, in assenza di quest’ultima, non la tradiscono con la prima sguattera incontrata in un bar. No, portano la fede al dito. Al massimo, si collegano, liberi da occhi indiscreti sul sito blacked.com.

Poiché, come dice l’imbecille detto italiota, non è mai vero tradimento anche se è stato un onanismo praticato con sentito, voglioso ardimento.

Però questi uomini pasciuti ed economicamente sistemati, cazzo, scoprono che la moglie non è andata a Rimini con le amiche come invece lasciò supporre loro.

E fanno la fine di Martin Scorsese sempre di Taxi Driver.

Ah ah.

Eh sì, la moglie fu stufa di tutti i suoi gelidi inverni da professoressa “tu mi stufi”, altezzosa e sempre tirata in tailleur da dottoressa Wendy Carr di Mindhunter (e ho detto tutto…), al che si diede a una seratina con Lexington Steele o con un mandingone come Dredd, uomo col martellone a riempire il vuoto pneumatico della donna da lui stantuffata per sbiancarla da una vita, più che nera, ingrigitasi nella noia più bruciante da strega-megera.

Ah ah.

Vedo giovani d’oggi assolutamente incoscienti che s’improvvisano commedianti da cabaret per 15 minutes di popolarità esibiti in bettole frequentate da Emil Slovak e Oleg Razgul di 15 minuti – Follia omicida a New York.

Sì, con Ragzul che li filma, brindando alla Vita è meravigliosa di Frank Capra, per poi spedire il tutto al Maurizio Costanzo di turno, ovvero Bob De Niro/Murray Franklin.

Sì, giovani inesperti, totalmente inconsapevoli di essere pagliacci d’avanspettacolo che, dopo aver inventato due barzellette che hanno fatto sganasciare soltanto la cerebrolesa bagascia con cui stanno, si credono Murray.

Non De Niro, però. Quello de Lo sbirro, il boss e la bionda.

L’uomo saggio da Broken Flowers che potrebbe tranquillamente ingropparsi Scarlett Johansson di Lost in Translation ma sa che Scarlett è ancora giovane, è una bimba. Forse lei si divertirebbe, anche lui, parecchio.

Ma poi, dopo che saranno venuti entrambi, cosa davvero tangibilmente ne sarebbe concretamente venuto?

Lei, a lungo andare, infatti, stando con un uomo molto più maturo, si rattristerebbe poiché lui ama Leonard Cohen e L’uomo che non c’era dei fratelli Coen mentre a lei, in fondo in fondo, piace ancora fare la troia, la Black Dahlia. Divertendosi a sfottere i ragazzacci che adorano le fighe di plastica come Black Widow.

Sì, la classica tipa laureatasi a pieni voti, col suo bagaglio dunque anche sessualmente da 110 e lode, dunque una che pensa di essere già arrivata e, prima di dartela affinché tu possa inserirglielo, pretende che tu la posso inserire come Harvey Weinstein…

Ah ah.

Ecco, verso metà del film Joker, questo Fleck malato non si sa di cosa, se di disturbo borderline, di deficit cognitivo, di complesso di Edipo, di schizofrenia ridens, ah ah, di psicosi compulsiva o forse solo di mal di schiena ipocondriaco grazie al quale si fa passare per invalido, rubando i soldi allo Stato, viene ferocemente aggredito in metropolitana da tre storpi nel cervello.

Questi tre minorati mentali assai robusti fisicamente pensarono d’aver di fronte a loro Ugo Fantozzi con una maschera da carnevale di Viareggio, invece scoprirono che Arthur Fleck non volle più lasciarsi infinocchiare come Tom Cruise di Eyes Wide Shut.

Sì, esasperato da una società di potenti che, per rincoglionirti e tenerti lontano dal loro porcile, ti fanno credere, con la suggestione psicanalitica e l’ipnosi alla tua debole ipofisi, che non avrai mai una donna con la mask veneziana, compie una trasformazione inaspettata, impressionando perfino la psicologa presso cui era in cura.

Sì, la psicologa di Fleck pensò, essendo lei donna che capisce tutto, che Fleck fosse un ragazzino timido come Jean-Louis Trintignant de Il sorpasso e invece scoprì che ebbe sempre di fronte il figlio di Bruce Lee, cioè Eric Draven…

Eh sì, al povero Fleck, gli uomini e le donne col cervello grande, ah ah, fecero credere che lui persino fosse cieco o che, perlomeno, soffrisse d’una visione alterata rispetto alla norma della realtà.

In un baleno, Fleck fu stanco d’essere sempre servile e di rispondere a un bocca al lupo o un odioso, falso in culo alla balena… prego, grazie, crepi.

– Ciao, Arthur. Hai preso, oggi, le medicine? Bravo. Il lavoro come va?

– Be’, non mi assume nessuno.

– Non disperare, figlio mio. Vedo che non ti tieni informato. Si sa, la situazione economica attuale è questa. Non sei mica il solo.

. Lei però guadagna centomila Euro all’anno.

– Mi sono fatta il culo. Vedrai che con un po’ d’impegno tutto si metterà a posto.

Viviamo in una società evoluta. Un lavoro adatto alle tue caratteristiche lo troverai. Non viviamo più negli anni settanta ove bastava un diploma per trovare un posto fisso. Oggi, anche per pulire i cessi, devi avere tre lauree in igiene mentale. Siamo progrediti.

– Appunto.

– Eh, ma non disperare. Non piangerti addosso. Forza e coraggio. Basta rimboccarsi le maniche.

Un tempo, donne malate di mente come Frances Conroy non si sarebbero mai sognate di avere un figlio così figo come Batman dal sindaco di Gotham City.

Be’, c’è da dire che lui non riconobbe la loro maternità e si comportò nei loro confronti come Mussolini.

Ma almeno a Thomas Wayne/Benito, tu e tua madre dovete una casa con un tetto.

Sì, è come Trump, Thomas. Sempre meglio di Matteo Renzi che, col suo concetto di dignità, s’è fatto fregare da Di Maio coi suoi utopistici redditi di qua e di là.

Sempre meglio di Salvini, uno che promise e promette mare e monti solo se lavori già alla Rai come la sua ex, la Isoardi.

Mentre a chi ama un’extracomunitaria come Zazie Beetz gli prescrive cure mediche a un centro di salute psichica.

Dimmi la verità, Fleck? Non auto-ingannarti. Senti molto la mancanza di una compagnia femminile?

– No, guardi. Conobbi una che al posto di un ragazzo volevo un modello dei profumi.

– Capisco. Quindi cos’è che ti turba tanto? Non ti piace Joker di Todd Phillips? Reputi che sia un film diseducativo da segnalare al team di Facebook, una giuria composta da Gene Hackman, appunto, di Runaway Jury, formata cioè da uomini e donne che bloccano uno se gli sta antipatico e non corrisponde ai loro background di razza, sesso e religione, mentre lasciano pubbliche le oscenità scritte da uno del loro social?

Che cosa ti angoscia? Il fatto che il novanta per cento della gente legge i libri e acclama Apocalypse Now ma non conosce Joseph Conrad? E alla Conad preferisce la Coin?

È questo che ti dà tanto fastidio? Guarda, stasera prendi il farmaco neurolettico di cui ora subito ti faccio la ricevuta. Vai dal farmacista, ficcati in boccale le pillole da me assegnateti e vedrai che sarai talmente rimbambito che ascolterai anche Meraviglioso nella versione dei Negramaro.

Vedi? Basta così poco per essere un ritardato come tutti.

 

Una delle più grandi tragedie di cui l’umanità abbia avuto e avrà memoria…

Joker, signore e signori, indubbiamente un capolavoro. Il migliore Cinema fintamente mainstream che è anche Arte purissima e celluloide vérité memore perfino di Born to Win e Bang the Drum Slowly.

di Stefano Falotico

La cosiddetta mental illness esiste nel Cinema e nella vita? Esiste solo il Genius-Pop un po’ bambino e un po’ volpino, fidatevi, sono il re dei bei ballerini


11 May

 

suntory bill murrayQuanto mai attuale, viste le nevrosi collettive e il forte disagio sociale esponenzialmente aumentato, è il tema della follia.

Shutter Island? Film da quattro soldi. La leggenda del re pescatore? Sì, andiamo già molto meglio, facciamo dei miglioramenti.

Ah, la follia! Termine forse troppo generalista e superficiale. Tant’è che, in alcuni siti, peraltro tematicamente molto seri, vedo comparire assurdamente foto che mettono i brividi. Raccapriccianti e appunto fuori luogo rispetto alla delicatezza del quadro d’insieme. Sì, l’immagine semmai di Jack Nicholson di Shining che sventra di ascia la porta del bagno dell’Overlook Hotel su suo ghigno lupesco e sanguinario, oppure foto di persone derelitte che vagano catatoniche, come zombi, lungo le strade periferiche, mal illuminate, di grandi città al pallido, mortifero plenilunio nel sole loro interiore precocemente tramontato in una vita torva.

Persone imbrunitesi nell’inaridimento affettivo, afflitte dalla loro unica compagnia possibile, ovvero la solitudine più cupa.

Persone dagli sguardi allucinati che fissano con occhi vitrei il vuoto. Captando l’incommensurabile abisso a molti ignoto. Scandagliando, forse incoscientemente, nelle loro sofferenze infinitamente strazianti, il pasto nudo. Dunque, la nostra umanità decaduta e incenerita da una società apparentemente felice, invero già macellatasi nella povertà morale più inaudita. Che si riflette, grottescamente, nelle iridi languide di uomini e donne sdilinquitisi nell’apatia più inutilmente sognante, che si rifrange nello spettrale specchio delle loro anime nerissime e non più candide.

Abbagliandoci di tormento eclatante, inducendoci a riflettere con maggiore calma. Obbligandoci a interrogarci sull’esistenza, incomprensibile ai più, e su tale stupefacente, immane, umana discrepanza.

Ah, vedo molte panze!

E le domande che in cuor ci sorgono son tante. Versiamo molte lacrime sgorganti.

Spaccati come siamo da troppe incognite umidamente, inconsolabilmente vaganti.

Come se, attraverso queste immagini potenti, si volesse esemplificare appunto la follia e parcellizzarla in deficienti, iconiche raffigurazioni, in figurative sfighe appunto cinematografiche, pittoriche o perfino scultoree. Pensiamo, ad esempio, alle rappresentazioni della follia che il Rinascimento ci ha regalato, magnificando addirittura l’estasi, che ne so, rabbiosa e disperata della Madonna che, gridante in preda al lutto non cicatrizzabile della perdita del suo amato figlio Gesù, si contorse in un gemito lancinante, osservando la “sindone” di quel suo nostro Cristo, sì, asceso al cielo, ma non più di questo mondo tortuoso e soventemente orrido.

Io sono di Bologna. Non so se conoscete, ad esempio, a tal proposito, il Compianto sul Cristo morto di Niccolò dell’Arca, uno dei massimi capolavori scultorei della mia natia città felsinea.

Me lo faceva studiare la mia insegnante di storia dell’arte. Ah, gran donna. Grassa e brutta. Ma una donna che, per via della sua repellenza fisica, aveva sublimato le sue carenze affettive e sessuali nell’arte, appunto, più alta. Sognando un profeta biblico che illuminasse la sua frigidità galoppante.

Celebre anche l’omonima pittura absidale di Vincenzo Onofri nella basilica di San Petronio.

E ora vi racconto una storia.

Frequentavo la terza media e nessuna tizia frequentavo. Erano mesi nei quali impazziva, no, impazzava per radio Enrico Ruggeri con la sua Mistero. Che da poco aveva vinto il Festival di Sanremo.

E tale dotta, simpaticissima insegnante di storia dell’arte aveva chiesto noi di recarci, a piccoli gruppi, a fare delle ricerche e degli scatti fotografici in queste due chiese sopra citatevi.

Io non volevo andarci. Ma c’andai perché ero innamorato di una ragazza. E quindi, capirete bene, cosa potesse sinceramente fregarmene dell’arte.

Lei era la Vergine fattasi carne.

L’amavo puramente e l’avrei scolpita duramente con le mie sopraffine mani da moderno Michelangelo Buonarroti. Ah, era lei un capodopera, opera magna per un amoroso, caldo arrosto stuzzicante, da piluccarcene entrambi ben rosolati e pennella(n)ti.

Se, invece, non avesse voluto donare a me, personaggio già matto all’Arcimboldi, le grazie armoniose delle sue gambe vellutate come pesca setosa del Caravaggio, mi sarei consolato, mangiando dell’insalata.

Lavandomene le mani… con l’acquaragia. Forza, coraggio. Non è da una stronza che ti manda a fanculo che si misura un Pollo(ck).

Sì, se mi fosse stata acida come l’aceto balsamico, rendendo ogni mio caloroso slancio soltanto un vano, fantasticante assaggio, mi sarei comunque divertito con un film di Stanlio e Ollio.

Erano tempi acerbi, sì, ove ammiravo il seno di Deborah Caprioglio ma non sapevo cosa fosse il Campidoglio, ero proprio un Klaus Kinski alla buona…

Non conoscevo a memoria tutti i nomi dei sette nani ma già volevo un po’ macchiare dolcemente la mia bramata Biancaneve nell’ano.

Ero un ignorante come il principe Antonio de Curtis in Totò e i re di Roma.

E non sapevo neanche, mio dio, che vergogna, che fu proprio l’Albertone nazionale a dar la voce ad Oliver Hardy.

Ah, le ragazze della mia età erano pure messe peggio, comunque. Pensavano soltanto a comprare gli Swatch, i ragazzi, poco tempo dopo, di queste se ne sarebbero fottuti, ammirando invece Baywatch con Pamela Anderson.

Molti furono segati, eccome.

Ah, vi era anche Pamela Prati. Una che, come la Anderson, era tutta rifatta più della facciata del Colosseo.

Ah, gladiatori defraudati della vostra Connie Nielsen, fatevi una passeggiata per i Campi Elisi o, se siete di Bologna, per i Giardini Margherita. Può darsi che Connie non ve l’abbia data ma incontrerete, a fare jogging e a strafarsi di qualche spinello, una racchia che ascolta Elisa.

Oh, buttala via.

Sì, tempi di sciacquette da smerdare nello sciacquone delle memorie annegate nel brodo dei tortellini, miei paesani, tempi di genitori oramai piegatisi al sistema che, fra una bolletta e l’altra, da totali bolliti aspettavano le vacanze natalizie per andarsi a fare un giro all’Abetone.

Insomma, la malattia mentale esiste?

Sì, per voi sì.

Per il Genius, no. Ché egli frutta, no, fa fruttare il suo pesce fritto e, tra una schizofrenica e una depressa, come un cavallo pazzo fluttua.

Quante cazzate che vi dico? Eh?

Ma se non ci fossi io, il Joker Marino, questa vita sarebbe già per voi da manicomio.

Fidatevi.

Voi uomini sareste ridotti come John Travolta di Pulp Fiction.

E voi donne come Uma Thurman.

Mentre io ora bevo un whisky.

In quanto Bukowski con sguardo da cane Husky.

Poiché sono uomo malinconico ma anche autoironico di gran candore, di ottimo sapore un Falotico, un uomo dai molti languori tra i vostri, cinici, freddi sudori, un uomo che puoi scolarti in un bicchiere d’acqua come il più pregiato liquore.

Sono un santo.

No, uno da Suntory.

E ora ballo perché mi tira il culo.

 

di Stefano Falotico

pulp fiction travolta thurman

Gli 80 anni del grande Francis Ford Coppola, i quasi quarant’anni del Genius


29 Mar

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Sì, oramai ci siamo. Il prossimo 7 Aprile, Francis Ford Coppola taglierà il traguardo di ottanta primavere.

Onestamente non indossate benissimo. Visto che, dalle sue ultime foto da me rinvenute, debbo ammettere, un po’ sconcertato, che si è appesantito davvero notevolmente più di quanto, leggermente obeso, fosse già da giovane.

Obeso significa semplicemente sovrappeso, non è un ‘offesa, è una constatazione oggettiva del suo aspetto fisico.

Qui in Italia si fa molta confusione con le parole. Se dici a qualcuno obeso, il “malcapitato” a cui hai rivolto quest’epiteto, ti si scaglia contro, ti s’avventa, oserei dire, con avventatezza. Coprendoti a sua volta degli appellativi peggiori e più infamanti.

Non c’è niente di male, dunque, a definire obeso il signor Francis Ford.

Il suo aspetto esteriore, diciamo, non è mai stato propriamente quello di un modello di Dolce & Gabbana.

E quindi?

Io nutro invece stima immane per quest’uomo dall’eleganza inaudita, un regista sempre finissimo anche quando s’è cimentato con film violentissimi come il suo epocale Il padrino.

Film che, in men che non si dica, oltre a fregiarlo di Oscar a iosa, con tanto di seguito egualmente oscarizzato, l’ha elevato di colpo fra i maestri quando, prima di allora, veniva solamente considerato un buon regista e uno sceneggiatore dal discreto intuito.

Il padrino fu un colpo colossale, un colossal enorme che avrebbe generato, in maniera seminale e sesquipedale, tutta una serie di film “mafiosi” e gangsteristici emulatori del suo stile. Più o meno riusciti, variazioni sul tema dimenticabili o geniali rielaborazioni scorsesiane come Quei bravi ragazzi.

E chiariamoci una volta per tutte. C’è una profonda differenza tra Goodfellas e The Godfather.

Quest’ultimo è incentrato sulla genesi della famiglia mafiosa più potente del mondo, i Corleone. Dunque, per quanto esecrabile e orrenda, la “famigghia” (come diceva Marlon Brando) che stava al vertice piramidale della scala gerarchica di Cosa Nostra.

Quei bravi ragazzi invece è un amarissimo divertissement, guascone, irriverente, molto divertente, geniale e forse persino uno studio antropologico della mentalità e degli ambienti criminosi.

Ma parliamo della piccola manovalanza del crimine per antonomasia. Di teppistelli da quattro soldi asserviti a poteri molto più forti.

Parliamo di “buffoni” come il Tommy di Joe Pesci e del “playboy” dei poveri Ray Liotta. E di un De Niro/Jimmy lontano anni luce dal suo spettrale Don Vito.

Fra l’altro, Joe Pesci in questo film di cognome fa DeVito. Ah ah. Sì, come il tutt’ora in vita ex cantante dei Four Seasons e il bassotto Danny DeVito de L’uomo della pioggia.

Per caso, quando avete visto il trailer di Jersey Boys di Clint Eastwood, vi è venuto alla mente Goodfellas?

Ecco, ora sapete perché.

Detto ciò, eh eh, Il padrino e Quei bravi ragazzi sono due film completamente diversi l’uno dall’altro.

Lasciando stare invece DeVito, in C’era una volta in America di Sergio Leone, be’, sappiamo tutti che il protagonista è stato De Niro.

Anche nel caso dell’opera magna di Leone, il paragone col Padrino però non c’azzecca per nulla, tanto per dirla all’Antonio/Tonino Di Pietro.

Eppure, a ben vedere, tutto il Cinema del mitico Coppola… sì, del Coppola, non della coppola, famoso berretto da mafiosetti ben diverso dalle pellicole minimalistiche di Sofia, uh uh, dicevo… tutto il Cinema di Coppola è una Once Upon a Time in America. Una continua, eccezionale, infinita rielaborazione proustiana sul tempo perduto.

Cos’è Apocalypse Now infatti? Col pretesto del film bellico, di guerra, Coppola aveva elaborato un incubo a occhi aperti sui sogni smarriti di una generazione di americani distrutti dal Vietnam.

E non sto scherzando quando qui ora affermo che Kurtz altri non è altri che Cobain Kurt se l’ex leader dei Nirvana non si fosse suicidato.

Questa sarebbe stata la sua fine. Nella giungla delle sue ossessioni, della sua totale perdizione, ai piedi d’un fiume biblico e profetico, messianica incarnazione-mystic river della sua impossibile salvazione irraggiungibile.

Un asceta maledetto, un buddista nichilista, un uomo oramai totalmente congiunto al(la) this is the end del suo fratello “gemello” Jim Morrison in un continuum spazio-tempo rigeneratosi non solo in maniera rock. Un grunge man che, se fosse sopravvissuto, oggigiorno… nell’era edonistica d’Instagram, avrebbe preferito fare l’eremita nella sua isola selvaggia da Dr. Moreau.

Puro pasto nudo d’un musicista annichilito dai tempi bui di questa modernità che ha cancellato ogni poesia jazz, ogni Cotton Club.

Un ex Rusty il selvaggio, un ragazzo della 56ª strada a cui dedicherebbero retrospettive televisive introdotte dalla super malinconica colonna sonora di Carmine Coppola.

Sì, la sua storica ex Courtney Love chi è, ora come ora, se non Kathleen Turner di Peggy Sue si è sposata?

Una pazzerella che disdegnava tutti i ragazzi seri, i secchioni, i timidoni e ha avuto una cotta bestiale per lo “scemo del villaggio”.

Per il suo Elvis, per il suo Cuore selvaggio. Per il suo Charlie/Nicolas Cage col ciuffo da banana, per il suo biondino, un amante da Love Me Tender, un amico da Come As You Are.

Che film, ragazzi. Peggy Sue…

La prima volta che lo vidi, sì, sarà stato nel 2001. Alla fine del film mi commossi.

Che splendida storia. E lei si risveglia dal coma. Attorno a lei tutti i suoi parenti. Ma soprattutto il più grande Nicolas Cage degli anni ottanta.

È stato bravissimo, qui, Nic. Ha recitato come un cane da nipote raccomandatissimo, appunto, da suo zio. Ma ci ha messo l’anima.

Guarda la sua donna, è stato un miracolo, la sua donna, quella che per lui sarà sempre sino alla morte Peggy Sue, quella ragazza un po’ matta che gli ha fatto perdere la testa. Rimane immobile con le lacrime agli occhi.

Pare che le sussurri… siamo ancora tutti vivi, Peggy, più vecchi, più tristi, non siamo più quegli adolescenti cretini, quei nerd stolti. Io non sono diventato quello che volevo essere. Vendo solo lavatrici. Alcuni sono morti, quel ragazzo invece che era innamorato di te, quel genietto occhialuto, morirà e non verrà ricordato come Einstein.

È andata male a tutti noi. Ma siamo vivi.

È stato tutto un sogno. Magnifico. Un sogno lungo un giorno.

Quanto mi ha fatto piangere Peggy Sue…

Quanto ancora vorrei superare le barriere del tempo e rinascere come Dracula di Bram Stoker.

Eppure, devo essere realista. L’amore della mia vita è oggi sposata con uno stronzo.

Sono spesso solo nei mei giardini di pietra…

Sogno un’altra giovinezza e un ultimo sogno “pazzo” come Tucker.

Ma che posso fare? Ricominciare daccapo?

Ah, farei la figura di Jack.

Pensate che nella mia vita mi son/ho pure dovuto subire falsità sulla mia persona.

Io non ho mai delirato su nessuno. Ero solo molto incazzato. Non sono certamente Gene Hackman de La conversazione.

Al massimo, posso essere Edgar Allan Poe di Twixt. Anche se al Twix ho sempre preferito il Mars e a Marte un rapporto venereo.

Sì, sto coi piedi per terra, io. Sì. E se invece mi sposavo con l’amore della mia vita e lei mi trasmetteva qualche malattia venerea?

Già. È stata sempre bellissima. E già all’epoca sapevo che andava con tutti.

Che vi devo dire?

Probabilmente sono l’incarnazione della prima sceneggiatura di rilievo di Francis Ford Coppola, Il grande Gatsby.

Non giudicate la mia vita così come io non giudico la vostra:

ogni volta che ti sentirai di criticare qualcuno, ricordati che non tutti a questo mondo hanno avuto i tuoi stessi vantaggi.

Ce la vogliamo dire?

E diciamocela!

Francis Ford Coppola è un Genius!

Già, ieri pomeriggio son stato dal cardiologo:

– Falotico, non andiamo molto bene, sa?

– Ho problemi al cuore?

– No, il cuore è a posto. Lei innanzitutto deve fumare meno sigarette, respirare di più, dare più ampio respiro alla sua vita.

Sennò, potrebbero accentuarsi i problemi. Chiusure non solo alle arterie, al sangue delle vene, bensì claustrofobie all’anima.

Lei è troppo sentimentale. E, ogni volta che riceve una delusione, si soffoca.

– Quindi il problema è solo questo?

– Sì, le ho fatto anche l’elettroencefalogramma. La testa va benissimo. Anzi, va troppo bene. Dovrebbe avere una testa più semplice. È molto cerebrale. Non stia sempre a rimuginare.

Se ne fotta.

– Ma sono un sentimentale.

– Anche questo è vero. Lei è un uomo da Megalopolis, il più grande dream mai realizzato della storia di tutti i temp(l)i.

Sa che le dico? Lei mi è molto simpatico.

– Grazie, dottore.

– Ce lo spariamo assieme, quando uscirà, il nuovo film di Sofia?

– Ci sarà ancora una volta Bill Murray.

– Eh sì.

 

Insomma, Francis Ford Coppola è un genio strabiliante.

Quando incontri uno così, tutti gli altri rimangono in mutande.

Con la sua poesia, i suoi sogni, la sua immaginazione, la sua forza distrugge in un nanosecondo tutti i nani.

Perché è un gigante!

Uno davvero emozionante!

 

di Stefano Falotico

True Detective 3 contro The Punisher: al momento vinco io, che osso duro


18 Jan

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Poveri idioti che state su Instagram a lesinare followers.

Beccatevi questa e silenzio!

Ragazzi, amici, nemici, donne, nemiche o anemiche, padri, sani o santi, nostri o tuoi, quando arriva il Falò è veramente uno spettacolo.

Lo sapevo che mi avreste fatto la fine di Andrea Diprè. È la vita che, nel suo manifestarvisi acrimonioso, vi avrebbe messo con le (s)palle al muro. Prima, passavate il tempo a cazzeggiare, sfottendo i cosiddetti casi umani a cui offrivate pietismi e compassioni ipocrite. Lucrando sulle loro sofferenze da sciacalli quali siete sempre stati. Ma la situazione, in un batter d’occhio, forse per colpa di qualche vostra battona di troppo, per via del “fallo” che non avete lesinato in battute di dubbio gusto, si è decisamente capovolta.

E come il povero Andrea, dopo una vita vostra consacrata al puttanesimo, ora state lì a rammendarvi le ferite e a rammentare tutti gli abbagli che prendeste. Vi siete drogati!

Forse, è stata colpa del Roadhouse ove, a forza di tracannare birra, scherzando con troppa foga animalesca sulla barista, già mostraste la vostra scarsa classe. Sbudellati dalla vostra voglia ineludibile di fighella per tentare vanamente e pateticamente di elevare, su erezioni ubriache, una vita vostra già sbattuta nel cesso. Sì, ove Jon Bernthal, in una tamarra rissa mai vista, vi ha conciato per le feste.

Prostrati al vostro mal di pancia, borbottate insanguinati nello schizzato, iroso, incontenibile, ebefrenico aver fatto i porcellini.

Che vita veramente ignobile. Una vita ossessionata dal sesso, dal capriccio inestirpabile e malsano di voler diventare musicisti per qualche pub(e) malfamato. È stato veramente un incubo, lo so, vi posso consolare io per evirarvi del tutto, no scusate, per evitarvi di diventare mostruosi come gli assassini della serie True Detective. Sì, dovete sapere che alla base della vostra pericolosa schizofrenia, vi sono anni e ani mari di delusioni abissali. E, oramai svuotati, smorti dopo tanto esservi riempiti la panza, siete persone insensibili, flaccide, acide, fottute. Sicuramente non in ghingheri ma avvezze, incurabilmente, a dar di matto e ad andar fuori dai gangheri.

Sì, Haley Joel Osment era un tipo dotato di troppo “sesto senso”, quasi un’intelligenza artificiale e in molti, sbadatamente, pigliando appunto un colossale granchio, mi paragonarono a lui, tempo addietro e nel didietro, semplicemente perché fraintesero il mio genius per autismo adolescenziale, per atimia “robotica”. Insomma, la mia eleganza ascetica fu gravemente equivocata e si tirarono in ballo, ah che balla, addirittura malattie mentali.

Ma per piacere. Qui, gli unici malati, irrecuperabili, mi sa proprio che siete voi. Avete abdicato alle troiate e vi piace prenderla a culo. Insomma, un casino pazzesco.

Sì, Haley è diventato un ciccione come voi. Soprattutto nel cervello. Lento, farraginoso. Mentre io divento sempre più bello, più intelligente, mostruosamente irresistibile. So unire alla sfacciataggine di una faccia da culo, senz’ombra di dubbio e senza le ombre delle vostre oscurantistiche ubbie, devastante, l’incommensurabile savoirfaire d’un provocatore inaudito e plateale. Che, con tanto di gamba accavallata, si gira i pollici mentre voi vi affannate, da morti di fame e di qualcos’altro, a perseverare nella stoltezza crassa e mangiate patatine freddissime, cioè donne ciniche e forse scadute, nella salsa putrida d’uno smargiasso puttanaio immondo.

Io non sono The Punisher. Ché anche questo è uno stronzo. Sì, prima protegge la barista dal balordo e poi comunque se la fotte in modo lordo. Non è molto educato e, alla prima provocazione, spacca tutto.

Anche lui è un farabutto.

Mi si addice più la ieratica calma olimpica di Mahershala Ali. Uno che, quatto quatto, dà lezioni, e so io di cosa, alla maestrina e nessuno può ammaestrarlo. In quanto innatamente non una bella statuina ma uno che vincerà presto la seconda dorata statuina. Oh, è proprio statuario, questo qui.

Sì, io sono il classico underdog. Roba che Rocky Balboa mi fa un baffo.

Sì, se stuzzicato in malo modo, il Falotico zittisce tutti col solo potere del neurone sinistro. Che gancio. Non ha bisogno del clamore né dell’applauso a scena aperta e neppure di sceme che, per complimentarsi con lui, di gambe aperte desiderano la sua forza ritta ed erta.

Andassero a dar via il culo. E donassero i loro buchi a chi si buca.

Di fronte a uno che scrive così e ha una voce del genere, ci sarei andato veramente cauto a spararle grosse.

Perché il Falotico se la dormì, anche col plaid, passeggia or con aria meditabonda, poi si sciacqua gli occhi ed è uno spettacolo assurdo assistere a come vi salva dai salami che siete e dalle fette di prosciutto della vostra vita carnascialesca.

Eh sì, so’ proprio cazzi amari.

Forse, bisognava essere chiari fin dall’inizio. E spiegare bene che se il Falotico non faceva certe “cose” non era perché non gliela faceva. Semplicemente perché, questo mi pare evidente, era già superiore a ogni cazzata.

Cosa vuole dalla vita? Una recensione così.

La vedete questa miniatura?

Un mio amico, su Facebook, ha scritto: ah ah, ti piacerebbe aver la testolina della Scarlett sulla spalla, eh?

Gli ho mostrato la foto di una che frequentai anni fa.

Dopo essere stato sotto shock per tre ore, tant’è che ho dovuto chiamare l’ambulanza per appurare che non ci fosse rimasto secco, pare che si sia ripreso.

Rinvenuto dalla botta, mi ha detto: – Cioè, questa qui è stata con te e tu continui a vivere così? Allora, tu sei pazzo sul serio.

E io: – Perché avevi dei dubbi? Ma, soprattutto, hai dei dubbi che gli altri siano meno pazzi di me? Compreso te?

In realtà, costei, la quale ebbe il culo enorme di poter annusare la mia spalla sinistra e la mia quaglia arrosto, non era poi un granché. Una fringuella.

Ma, fidatevi, nemmeno Scarlett lo è. La sua faccia è discretamente buona, il resto insomma.

Solo io sono quello che sono. Gli altri, anche le donne più belle, sognano. E, sognando, si fanno un grosso pisolino e, può anche essere, qualche pisellino. Sai che vita. Noia, maledetta noia e vai di consolazione nella notte non tanto bianca eppur andata già a puttane.

Dicono sempre le stesse cose, fanno sempre le stesse cose, si fanno sempre le stesse donne e anche i cazzi degli altri. Appunto.

Solo io posso far un cazzo, rimanendo al top.

 

Ecco, devo dar ragione al mio amico. Dissero al mio amico: – Ah, vedrai che dopo che avrà scopato, Falotico rinsavirà. Eh, ci siamo passati tutti. Si cresce.

E lui: – No, non credo. Non cambierà.

 

Infatti. Non sono cambiato. Anzi, sono più fuori di testa di prima. Non me ne frega proprio nulla. Ma non nel senso criminoso del termine. Nel senso che del piccolo vostro mondo di gelosie, pettegolezzi, stronzate e porcate, non me ne può fottere proprio.

La vita va avanti. Ed è sempre la solita solfa. Le madri stanno svaccate sul letto a guardare idiozie alla tv, i mariti guardano il Calcio, la gente lavora per avere una vita di merda.

Il Genius invece, come volevasi dimostrare, è impeccabilmente un Genius. Pure POP!

Ricominciamo da capo? Ma non ricominciamo proprio niente.

di Stefano Falotico

 

Nostalgie calcistiche, forse solo nostalgie, forse solo questione di balistiche e di ballisti, beviamoci un Suntory o l’Uliveto per le olive


18 Jan

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Io ho sempre amato questa traduzione poco purista di Cesare Pavese… uno dei miei libri preferiti in assoluto, ho bisogno di leggerlo almeno tre volte l’anno. Per ricordarmi della natura limpida della mia balena bianca.

Chiamatemi Ismaele. Alcuni anni fa – non importa quanti esattamente – avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che m’interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. È un modo che ho io di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione. Ogni volta che m’accorgo di atteggiare le labbra al torvo, ogni volta che nell’anima mi scende come un novembre umido e piovigginoso, ogni volta che mi accorgo di fermarmi involontariamente dinanzi alle agenzie funebri e di andare dietro a tutti i funerali che incontro, e specialmente ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me che mi occorre un robusto principio morale per impedirmi di scendere risoluto in strada e gettare metodicamente per terra il cappello alla gente, allora decido che è tempo di mettermi in mare al più presto. Questo è il mio surrogato della pistola e della pallottola. Con un bel gesto filosofico Catone si getta sulla spada: io cheto cheto mi metto in mare. Non c’è nulla di sorprendente in questo. Se soltanto lo sapessero, quasi tutti gli uomini nutrono, una volta o l’altra, ciascuno nella sua misura, su per giù gli stessi sentimenti che nutro io verso l’oceano.

Sì, la vita è una questione di incipit. Come si suol dire, chi ben comincia è a metà dell’opera?

Mah, mica tanto. Io cominciai benissimo. Un campione in erba, come potete appurare da queste foto.

Un enfant prodige, talmente enfant che fui scambiato poi per Elephant Man. E ho detto tutto.

Ecco, lo vedete bene quell’uomo lungagnone alla sinistra? Anleri, sì, di cognome fa o forse faceva Anleri. Non so se campa ancora.

Era ben conscio del mio talento immane, roba che Lionel Messi è solo uno sfacciato fortunato. Ma mi metteva sempre in panchina.

Perché voleva spronarmi a dare di più. Faceva un po’ come Burgess Meredith di Rocky, cioè lo stronzo.

Soltanto al prestigioso torneo di Ca’ Bassa, entroterra di San Lazzaro, qui in provincia di Bologna, mi schierò titolare.

Dopo pochi minuti di gara, avvenne qualcosa che forse avete visto in Holly e Benji.

Era un campo da sette, no, non da calcetto. Quello si chiama, appunto, Calcio a 5.

Un campo a sette è leggermente più piccolo di quello regolamentare di Serie A. cioè a undici.

Credo che giocassi come 7, fra l’altro, ala fluidificante, molto ficcante.

Infatti, mi ero allungato la palla, era già nei piedi del difensore alle calcagna, avvantaggiato nella corsa. Al che, di punto in bianco, sapendo che quest’ultimo sarebbe arrivato prima di me sul pallone, rubandomi la sfera, mi girarono le balls e tirai fuori i coglioni.

Fu un colpo di sensazionale balloon, come dicono in dialetto bolognese, da lasciar stupefatta tutta la curva.

Balloon, in inglese, significa mongolfiera ma i giornalisti calcistici, ironicamente, lo usano per definire appunto il gioco del pallone. Da cui la famosa trasmissione locale, Il pallone gonfiato. Quello che sei tu quando prendi per i fondelli il prossimo e invece dovresti aver le palle per ficcartele in cul’.

Senti che rima! Baloon e in cul’. Ah ah.

Balloon è anche la nuvoletta dei fumetti. E io, indubbiamente, son un personaggio fumettistico. Roba che Iron Man mi fa un baffo anche se, più che supereroe, sono soltanto rimasto un Travis Bickle, un anti-eroe. Cioè, un eroe suo malgrado da casino della madonna!

Potrei essere anche Giorgione del mitico Bomber con Bud Spencer. E lo stesso Spencer de Lo chiamavano Bulldozer.

Sì, quando m’incazzo come un napoletano verace, divento pure Piedone l’africano.

Ed essendo molto pigro, be’ sì, Bud di Io sto con gli ippopotami, in confronto a me, Tarzan ante litteram, amante dei richiami delle foresta da Jack London, è un lord inglese.

Ma torniamo sull’argomento.

Ecco, consapevole che mai avrei preso possesso della palla, sfuggitami dai piedi, mi lanciai in una scivolata allucinante. Da Ibrahimovic “pulcino”.

Il difensore rimase scioccato, anche il portiere. Con la punta del piede, sì, una puntata micidiale, la palla, così violentemente colpita dal sottoscritto, compì una traiettoria imprendibile e s’infilò nell’angolino.

Un colpo imparabile.  La follia, in tutta follia, andò in visibilio.

Vincemmo, ovviamente, il torneo.

Di altri miei colpi, soprattutto di testa, nel senso di follie pazzesche e imprevedibili, la mia vita è sempre stata piena. Credo lo sarà ancora. Soprattutto perché m’ingelosisco facilmente e, se una tipa, di cui sono follemente innamorato, mi dà un calciò nelle palline e invece ciuccia l’uccellino di un coglione, mi sta sul cazzo. E l’escandescenza va a nozze. Comunque, mica dovevo sposarmela. Quando i calciatori, intervistati a fine partita, dopo averla persa, dicono: – Ah, dovevamo avere più attributi…

Raccontano un sacco di balle. La vita, e non ci sono cazzi che tengano, non è solo questione di “durezza”. Ma di colpi di culo.

Guardate Full Metal Jacket e capirete che, essere educati al maschilismo fascista, rende gli uomini solo delle bestie. I puri si ammazzano e le merde se ne fottono.

Ah, le donne non sono il mio campo da gioco. Diciamocelo. Per insaccarle alle donne, bisogna essere presidente della Juventus. Coi soldi, puoi farti tutte le leopardate donne del mondo. Anche se Agnelli è uno zebrato. Con pochi soldi, al massimo puoi fare Leopardi. E giocare, anziché alla cavallina, alla tua pecorina di “autogoal”.

Insomma, potevo diventare come Cristiano Ronaldo. Il fatto è che non sono manco più un cristiano.

Da tempo, non credo in Cristo, sono agnostico. Forse del tutto ateo.

Ma sappiate questo. So che spesso lo pigliate in quel posto e non riuscite a digerire il mal di pancia.

A differenza di Bill Murray di Lost in Translation, perché bere un Suntory quando potete scolarvi una bottiglia di acqua Uliveto? Stimola la diuresi e, stando alle proprietà nutrizionali del calcio, ve lo rende anche più duro.

Insomma, diciamocela. Dei ballisti han detto un mucchio di frottole sul mio conto. Anche sui miei coiti.

Vi è piaciuta questa rovesciata?

A proposito. Quando inizia il nuovo programma di Michele Santoro?

 


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Lost in Translation #billmurray #suntory #whisky #relax #relaxing_time

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di Stefano Falotico

Barry Levinson inizia a girare The Wizard of Lies, come sua ammissione con Bill Murray e Bruce Springsteen


31 Aug

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Storie di Ghost(buster)s, è meglio l’acchiappafantasmi Bill Murray o Patrick Swayze? Forse, son meglio io, appaio-scompaio, al buio acchiappo e te lo ficco nelle chiappe


13 Dec

Murray Ghostbusters

In tal mattinata solare-plumbea-quasi piovigginosa-uggiosa sull’ermetico pen(sier)oso, ho afferrato il volante per il mio cornuto e, con qualche “cirro” pazzo, nonostante la rasatura pressoché a zero su cranio di “rapa”, da “caprone” mi son in(dia)volato, ascoltando l’autoradio sparata a tutto volume, fra omaggianti dediche dell’etere in deejay “svolazzanti” le canzoni sto(r)iche del da poco morto Pino Mango, un “moro” da “Mediterraneo”, classici degli anni ottanta e sognar un sabato ser(r)a di metter a novanta una ma, (sin)cera(mente), credo che finirà in bianco, sciolto, cagato male, sullo “storpi(at)o” in “stropicciarmelo” e al solito “beccarmelo” in quel posto. Notar, nel video, “sottostante”, voi, statele sopra, i sedili posteriori su cintura di sicurezza, attenti, (t)rombatori, al “toro”, al guida-tore, potrebbe accelerar di brut(t)o e farvi “partire” quella che vi state sbattendo su “sbandata” del “venirle” senza “airbag”, leggasi profilattico sal(t)ato in mio gridarti che dovevi “tirar” il freno “a mano”, cioè “alzarlo” ma riparar di (d)an(n)o perché, “schizzato” in “botta” precoce, sarà/fu/è un sinistro figlio, previo aborto.

Sei venuto dritto in diretta!

Questa si chiama testa di cazzo, stronza(ta) sesquipedale, “spinge”.

Son un uomo che se ne fotte, s(i)curo di me, non uso le sicure, a te piace quella scura? Fattela da negro, basta che non mi rompi i timpani in lei che “urla”, altrimenti ti tampono e saran cazzi tuoi, trombone.

“Cazzi tuoi” uguale inculate…

Ora, son un “duro”, miei vuoti a perdere, pneumatici.

Non son una donnetta da Ghost, insomma, il regista de L’aereo più pazzo del mondoah ah, voleva girare un film romantico? A me, quella storia strappalacrime, ove il (non) “moro”, biondo-castano-muscoloso Patrick, torna dall’aldilà per “darle” una lacrima sul viso da Bobby Solo, m’è sempre parsa una melassa di grana grossa. Comunque, Swayze, prima del Cancro, ce l’aveva grosso, da cui Point Break… “punto” e la rottura di palle, come accennai poc’anzi. Ricordate, uomini, ché siate d’oroscopo Vergine o tori in “gemelli”, state attenti all’ariete se non volete involontariamente ingravidarla con un figlio che poi vi chiederà l’aumento, ficcandovi nel didietro. Da cui il portabagagli di Pulp Fiction. Se il figlio scassa e non potete sbatterlo fuor di cas(s)a, ammazzatelo e buttatelo nel baule. Troverete una strada nel vostro “vicolo cieco”, lo potrete poi lanciare nel cassonetto e poi ammazzarvi, di sen(s)i di colpa in qualche zoccola dei cessi peggiori ché, “pen” che vada, una “pompa” allev(i)erà la (di)partita persa. Da cui l’IVA, “fiscale” fu quel figlio a ca(u)sa della mal calcolata “uva”. Fai benzina e non pen(s)arci.

Sapete la verità?

Alle unchained melody, ho sempre preferito Bill Murray.

Una faccia da culo come la mia.

Un uomo magico, your touch…

Entro in un bar, la barista pensa che io, per quanto riguardi i miei sentimenti, bari.

Al che, considerandomi un topo, vuol mettermi/mela al “tapp(et)o” e, nonostante un po’ “ci provi”, la topa non mi mette in trappola. Da ometto, glielo ho (o)messo? La domanda è d’uopo, la barista era vecchia ma fa(ceva) buon brodo, care galline. Caro uomo, vai a sbatter le uova.

 

– Falotico, lei è un sentimentale?

– Non lo so.

– Se non lo sa, lei, dovrei saperlo io?

– Io so solo che vuole che gliela st(r)appi. Mi raccomando, puttana, dopo essertelo “bevuto”, pulisci, però.

Guarda, ti offro un Euro come “anticipo” del far le pulizie. Che schifo, che popò, hai fatto anche la pipì.

 

Lei chiama la polizia, la polizia arriva in loco e i poliziotti la sbatton anche lor in cu(cu)lo.

Da cui l’ambulanza che porta la ninfomane in manicomio.

 

Cari miei, di “mio”, va da Dio.
Buonanotte.

 

Ah, scusate. Prima di prender sonno, controllate che vostra moglie non sia un fantasma.

Potrebbe sembrare lì con voi in carne e ossa ma, in verità, vi dico, che sta “cagna” con me di cane.

Comunque, vorrei davvero (s)finirla qui.

Incontro un’altra topina, una tipa, insomma, mi dice che abita perlopiù a Londra.

E mi chiede se voglio “venire” con lei nella capitale inglese.

Io, poco englishman, le d(ic)o che “vengo” anche qua.

 

Il dialogo fu questo:

 

– Vieni a Londra con me?

– No, veniamo Qui, Quo, Qua a mo’ di “lontre”. Da cui i manuali delle giovani marmotte.

Groundhog Day!

 

Lei non capisce un cazzo ma, “sostanzialmente”, lo indurisce in sua tener(ezz)a.

 

A “darla” tutta, questa vita è una mer(da).

Ma, alle maschere di Pirandello, ho sempre preferito toglierle il mascara di uccello al “mascarpone”.

 

 

di Stefano Falotico


 

 

 

 

“Zero Dark Thirty”, best movie secondo il National Board of Review


07 Dec

Ha vinto la Bigelow. Eh sì.

In vista degli Oscar, alla fine credo che la spunterà di nuovo la Bigelow. Il suo è un film appassionante con al centro un’eroina determinata, Jessica Chastain, un’attrice che adoro, tanto che, se andrete su lulu.com, nella “Ricerca” rinverrete un mio libro dedicato a Michael Mann e proprio adorante la sua fulva, ineguagliabile Bellezza. Consiglio per gli acquisti di Natale? Perché no? Silver Linings Playbook, invece, ha entusiasmato un po’ tutti e, con la giusta campagna promozionale della solita intraprendente e furba ex Miramax, ora Weinstein Company, potrebbe anche farcela. Se non a vincere come “Miglior Film” (ripeto Zero Dark Thirty mi pare aver più carte in regola per un consenso unanime dell’Academy), almeno a intascarsi qualche premio “minore”. Fra i papabili, proprio il nostro Bob De Niro, su cui il signor Harvey sta pubblicizzando a iosa la sua performance. A prescindere se vincerà o meno, credo che entrerà nella cinquina dei candidati, e sarà un piacere rivederlo al Kodak. Da vent’anni “e passa” non viene candidato. E le sue ultime prove c’han lasciato l’amaro in bocca, arrugginendo un po’, neanche tanto in fin dei conti, il suo untouchable mito. Sarà proprio DiCaprio a contendergli la statuetta. Vedi gli scherzi del destino. Il suo “erede” scorsesiano. Credo che sia ingiusto che DiCaprio vinca per Django in veste di non protagonista. Già. Avrebbe meritato l’Oscar maggiore per The Aviator. Questo sa di contentino. Non abbiamo ancora visto quest’annunciatissimo Quentin, potrebbe essere un’interpretazione epocale ma sempre “Oscaretto” rimarrà. Ribadisco, vale molto di più d’un supporting actor.
E “costui” dove lo mettiamo?

Genius-Pop

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