Sì, il povero Luke è ridotto assai male. Devastato. E forse, mentre scrivo questo pezzo, sarà già deceduto.
Povero, salutisticamente parlando, invero molto ricco. Ha una villa a Beverly Hills 90210? Mah, forse anche due.
Ora, voi non sapete e non avete mai saputo un cazzo della mia vita.
Io conosco Luke Perry come le mie tasche. Poiché, quando frequentavo le scuole medie, impazzava appunto questa famosa serie televisiva dell’epoca. Che, detta fra noi, io non ho mai cagato, se non per tirarmene qualcuna su Shannen Doherty. Ah no, non era male, Shannon.
Paragonabile alle ragazze di Non è la Rai di quel periodo. Il mio “foro” all’occhiello, ah ah, fra tutte queste sgallettate iper-scosciate, era Cristina Quaranta.
Stavo sul divano, molestandomi prima di svolgere doviziosamente i compiti assegnatici dai professori e, dopo pranzo, delizioso modulavo vellutato onanismi sfiziosi. Sognando la Quaranta messa a novanta con tutta la sua criniera bionda da ochetta per la mia oca un po’ (s)porca e un po’ pura com’è quel coso fra le gambe nel tumulto puberale dell’immaginare a lei anche un plateale anale oltre il corposo l(i)evitare.
Ah ah, l’ho detta!
Ambra Angiolini, no, non mi è mai piaciuta. Telecomandata da Boncompagni, sempre civettuola con un sorriso falso stampatole sulla faccia dalla finta, pubblicitaria rete commerciale di massa per antonomasia.
Adesso comunque è più allegra di prima, giulivamente ama le olive di Allegri e assieme, a letto, miliardari entrambi suonano la “pianola” Bontempi.
Ah, che tempi. Mi ricordo che ero molto amato dalle ragazze del mio coso, no, del mio corso.
Ragazze che, fra un gioco della bottiglia, un’algebra fatta di seni loro inversamente proporzionali ai brufoli crescenti, mi volevano ardente per testare “con mano” le prime lor esperienze bollenti.
E andiamo di rime baciate, un due tre stella. Ah sì, queste stelline bramavano il mio già scalpitante pisellino e io ero belloccio, niente da dire, niente da obiettare ma solo da uccellare fra prime, turgide inquietudini preadolescenziali e un già mio precoce pessimismo cosmico leopardiano.
Ah, che virtuosa candidezza macchiarsi nei sogni lievi e innocenti ma, fra il dire e il fare, era solo un dolce naufragar in questo mar(e). E poco amare eppur molto segare.
Mai marinai a quei tempi la scuola ma avrei voluto mangiar una ciambella alla marinara semmai con Antonella o Gabriella, sgranocchiando fragrante e cogliendo in flagrante qualcuna di queste intraprendenti, smaliziate pischelle, con tanto di zucchero a velo e un buco venuto bene… di miele… Che c’è di male?
Nella vita son stato più volte trombato ma mai dimenticherò quegli happy days in cui queste pulzelle, immaginandomi a loro nudo col mio tosto fringuello, non sapevano se paragonarmi a Jason Priestley o, appunto, a Luke Perry.
Io somigliavo più a Luke. Viso spigoloso, quasi alla Rupert Everett/Dylan Dog ma non ero stronzo come Luke, non erano visibili sul mio volto i tratti del lucky bastard ma una delicatezza allineata graziosamente a lineamenti più efebici, simili a quelli di Jason. Alla fine, non me la davano mai e spaccavo tutto come quello di Venerdì 13. Ah ah.
Ma quale Luke e Jason, io ero già un fan del Pelvis, sì, Elvis Presley. Un Cuore selvaggio da Love Me Tender.
Queste, in verità, dopo essersi sparate pure la seconda puttanata gemellata, ovvero Bayside School con Mario Lopez, qualche an(n)o dopo… si eran già fottute… anche il cervello. Smarrite fra le prime, agghiaccianti perdite di verginità con un “uomo” Massimo, di nome e forse di fallo, ma non di fatto, intellettivamente parlando.
Che scuoiava le loro pelli come Buffalo Bill de Il silenzio degli innocenti, leggasi simpaticamente, semplicemente che le deflorava, senza comunque andare oltre il lecito di fava…
Massimo non prometteva loro vite da favola ma le sverginava anche sul tavolo.
Poi sarebbe venuto per lui e per loro il Tavor.
Massimo il “bono”, il bovaro che fra una chiavata e l’altra, togliendo a queste qua gli Swatch e giocando di “splash”, intonava Ligabue… certe notti c’hai qualche ferita
che qualche tua amica disinfetterà…
Giochi di palle, di pallonari, di cazzari, di racchie e noie bulimiche con le racchette dello Squash.
Insomma, ho fatto bene io a non voler somigliare a Luke.
Meglio Bob De Niro. Vero, Juliette Lewis?
Idiota, non ci hai capito niente, eh?
Come diceva Terence Hill… in Lo chiamavano Trinità.
Te lo rifaccio, se vuoi.
Vi ho distrutto i cervellini, galline?
Il sottoscritto invero è un fuoriclasse come Mahershala Ali e se tu, maiale panzone, lo fai incazzare, diventa Rust Cohle. E te le suona di santa ragione. Mio puttanone.
A quel punto, fattela nelle mutande, stronzone.
Mai mettersi contro un metafisico-trascendente. Mai.
E mai scherzare con le vite degli altri. Perché, sai, dal cielo ti potrebbe cadere una mazzata devastante e ora capisci che significa… crescere.
E non giocare da adulto scemo con imbecilli proibizioni e castighi. Su, non siamo mica più bambini.
Non siamo mica più alle medie ove i coglioni alzano il dito medio e parlano, sognano ma non favellano.
Vero?
Ognuno nella vita vive come cazzo vuole.
E questa è la versione vera della storia. Non ce ne sono altre, imbroglione.
di Stefano Falotico