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Mickey Rourke offende De Niro a Live – Non è la D’Urso… che Braveheart


16 Sep

rourke angel heart

Ah, cuore impavido e temerario quello di Mickey.

Un attore oramai bistrattato per l’ennesima volta dalla Hollywood che conta. E lui dunque, fottendosene, se la racconta, narrandoci aneddoti dei quali non importa niente a nessuno se non al suo portafoglio. Considerato che per queste patetiche ospitate Mickey riceve un cachet esorbitante soltanto, appunto, per recitare le sue memorie piagnucolose. Per le quali riceve la grazia e l’assoluzione perfino da Barbara. Una che sicuramente non è la Madonna nonostante sia bravissima a impersonare la parte della santarellina.

Sì, Mickey non ha affatto disimparato a recitare. Quando vuole, malgrado cinquemila botulini, tremila operazioni chirurgiche al suo visino, 4 milioni circa di liposuzioni, sì, arrotondiamo per i suoi vistosi, mal dissimulati difetti… fisici, sa inscenare pianti clamorosi e addirittura più degni del suo cammeo strepitoso nel film La promessa del suo amico Sean Penn. Che gli fregò l’Oscar.

Sì, Mickey avrebbe meritato di vincere l’Academy Award per The Wrestler ma rimase traumatizzato quando a impugnare la statuetta fu Sean pe Milk. Nascose la sua delusione dietro un tenero applauso, appunto, di facciata. Rodendo dentro e probabilmente, in cuor suo, silentemente bestemmiando. Al che, puntualmente, a scadenze (ir)regolari come uno scalcagnato orologio svizzero, Mickey si presenta bellamente (mica tanto) alle trasmissioni Mediaset. Moltissimi anni fa partecipò anche a Scherzi a parte, poi fu la volta di Paolo Bonolis. Andò anche alla Rai da quel fariseo di Fabio Fazio. Torniamo però a Bonolis. A Paolo, Mickey confidò le sue esperienze psichiatriche, non lesinando in dettagli assolutamente insignificanti e agghiaccianti pur di ricevere l’applauso di finta commozione del pubblico pagato per recitare meglio di Mickey stesso quando, nel finale di Angel Heart, scopre che il suo personaggio ha venduto l’anima al diavolo. Eh sì, in Italia molte persone curano la disoccupazione, facendo le comparse nelle platee dei programmi tv. Visto che non sanno scrivere, come me, dei saggi monografici sugli attori, ambiscono ai 15 nanosecondi di pubblicità-celebrità della loro spiattellataci falsità. Appena le inquadrano, ridono anche se la battuta, per esempio, di Zelig fa piangere ma, soprattutto, andando ad alimentare questo sistema imbonitore da Essi vivono.

Mickey vi sguazza e approfitta dell’italica idiozia per sfruttare i cretini impiegati comunali e parastatali che, dopo una giornata nella quale hanno lavorato, sì, leggendo Il corriere dello Sport e osservando nella pausa caffè le gambe della signorina Silvani, si mettono in pantofole la domenica pomeriggio sul tardi, dopo che sono peraltro finite le partite di Serie A, allentando la noia da spioni amanti del gossip più truce e da guardoni delle cosce plastificate, patinate della D’Urso. Donna sempre ottimamente pettinata su sguardo fake da catodica, no, catatonica che fa finta di commuoversi e provare empatia nei riguardi del debosciato di turno “straordinario”. Il quale, a sua volta, c’illustra tutto il suo campionario di sfighe e inculate senza risparmiarci un solo attimo di tregua. Per la gioia dei coglioni poveretti che guardano ‘sta roba di merda. Mickey c’ha detto, anzi, disse che doveva avere un ruolo in The Irishman. Quello che posso dirvi io, amici o nemici che siate, è che a differenza del personaggio di Mickey in Angel Heart, eh già io so chi sono! Voi no.

Sì, quando ritorno io, Mickey Rourke de L’anno del dragone mi fa un baffo. Ora, tutti zitti, bambagioni. Sì, sono Johnny il bello, ribelle contro le ingiustizie come Mel Gibson di Braveheart. Se non vi sta bene, scrivete alla De Filippi. Ma, per piacere, lasciate stare i poeti. Cari uomini e donne, che potete farmi? Sono Francesco. Sì, uno che piace ad Helena Bonham Carter. E non è facilissimo. Essendo Helena una mezza freak da Tim Burton e più colta di Kenneth Branagh.

E ricordate… Le mie notti sono più belle dei vostri giorni. Voi una come Sophie Marceau ve la sognate. Io me la scopai ma non ho da rendere pubico, no, pubblico il mio essere diabolico.

Ah ah!

 

di Stefano Falotico

 

sophie marceau notti belle

 

 

marceau braveheart

76.a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia: ci sarà ROMAN POLANSKI?


21 Jul

polanski chinatown

L’indiscreto fascino del peccato non solo del Leone d’oro alla carriera, ma le mie previsioni sull’orlo di una crisi di nervi di colui che incarna Rosemary’s Baby

Sì, scusate. Devo darmi una calmata. La gente mi telefona a ogni ora, l’insonnia oramai s’è radicata in me più del fanatismo religioso per Allah d’un islamico radicalizzato.

La gente è pazza più dei vicini di casa dei coniugi Mia Farrow e John Cassavetese della sopraccitata pellicola monumentale di Roman.

Mi sveglio, sconvolto. Mi reco in bagno dopo un sogno di appena mezz’ora nel quale Morfeo m’ha ficcato sulla barchetta di Pippo e il pesce magico, favola della Disney super cult, costringendomi a vivere un’altra Odissea.

Sì, ecco che Morfeo, sotto le mentite spoglie d’un porco, no, di un frocio, no, di un procione, no, di uno dei proci, m’ha donato una parvenza da Spencer Tracy de Il vecchio e il mare, ficcandomi in una storia onirica come il celeberrimo, succitato poema omerico, trasposto sul grande schermo da Mario Camerini e interpretato dal grande Kirk Douglas.

Sì, venni posseduto nella fase REM come Linda Blair de L’esorcista mentre voi, poveri diavoli, nel frattempo vi stavate indiavolando con una più racchia dell’attrice di Paranormal Activity, la quale fu appetibile sessualmente solo nella scena finale quando assunse una sembianza, appunto, diabolica alla Marilyn Manson dei tempi oramai suoi fottutosi in The New Pope di Sorrentino.

Sì, Marilyn ebbe un suo perché… una volta. Quando gigioneggiava sul palco, fingendo di essere Lucifero.

Poi incontrò quella di Planet Terror, Rose McGowan, la prima denunciatrice degli abusi scabrosi di Harvey Weinstein, amica peraltro di Argento Asia.

Asia fu l’’iniziatrice della disfatta, oserei dire dell’artistica débâcle di Manson. Ah, Ingannevole è il cuore più di ogni cosa.

Manson, infatti, da uomo traumatizzato a sangue come J.T. Leroy, dunque un uomo estremamente ammirabile, s’è ora trasformato in Dracula 3D, film indifendibile nonostante tutto il bene del mondo che possiamo volere all’autore di Inferno.

Sì, all’inizio Marilyn Manson fu un angelo mefistofelico più figo di Marilyn Monroe e lucidamente accattivante nella sua trasparente pazzia lodevole, a differenza di Charles Manson, uno che volle fare il musicista ma finì solo per fare dei casini della madonna in piena notte.

Ora, Manson non fu seguace di nessuna setta. Lui fu invero solo il re dei suoi deliri squinternati nel quale si credette Totò Riina. Sì, fu sostanzialmente un capo mafia.

Credo, correggetemi se sbaglio, che lui non si sporcò mai davvero le mani. Cioè, per quanto possa apparire assurdo, lui non uccise proprio nessuno di suo pugno.

Appunto, commissionava le stragi. Forse fu pure il mandante di The Irishman, ovvero Bob De Niro/Frank Sheeran. Anche se questo dettaglio, diciamo, nel libro di Charles Brandt non c’è.

Aspettiamo di vedere la pellicola di Scorsese per appurare se lo zio Marty abbia voluto fare il Tarantino della situazione. Romanzando, parimenti al Quentin di C’era una volta a… Hollywood, il quale ha nefastamente colorito la tragedia della morte di Sharon Tate, come sapete, inserendovi Margot Robbie, la zoccola per eccellenza di The Wolf of Wall Street, per dare un tocco surrealista e pulp alla sua ennesima troiata bislacca.

Sì, dopo Jackie Brown, Tarantino non ha più realizzato un vero capolavoro. Solo divertissement per cinefili che si fanno i pompini a vicenda come profetizzò non Ezechiele 25.17, bensì Mr. Wolf/Harvey Keitel.

Colui che fu per Quentin anche Mr. White ne Le iene.

Sì, Margot Robbie nel film di Scorsese fa tanto la signora dopo che, per arrivare dove sta, l’ha data a tutti.

Il suo personaggio di chiama Naomi Lapaglia ma, sinceramente, anche se si fosse chiamato/a realisticamente Maria Carmela D’Urso avremmo forse avuto un film più “neorealista” come Mean Streets. Ora, Barbara finge di commuoversi dinanzi alle vicende disperate della povera gente ma in verità è più ambigua Harvey Keitel. Sempre lui!

Non quello però di Tarantino, bensì dell’appena menzionato capolavoro scorsesiano.

Sì, la Barbarella nazionale, una che ora fa l’altolocata di classe sul divano di pelle, fu toccata perfino da Vasco Rossi.

Sapete, no, che fu Barbarona la musa ispiratrice della celebre canzone Toffee?

Infatti, Vasco scelse questo nome improponibile, Toffee, appunto, nome proprio (im)puramente inventato che non esiste da nessuna parte, per non rivelare la vera identità della donna a cui questo suo cavallo di battaglia era dedicato.

Ah ah, io ne so una più del diavolo!

Barbara, dopo la tresca con Blasco, divenne e ascese alla quintessenza di Giocala…

Trasliamo infatti il famoso ritornello dell’hit di Vasco:

Ne ha rovinati più di lei del petrolio ma se ne fotte… dell’orgoglio…

Adesso, non paga eppur superbamente vien pagata fior di quattrini, recita da Giuda la parte di colei che piange lacrime amare dinanzi alle tragedie delle persone rovinate… Leggasi i poveri cristi.

Ho detto tutto…

Ah ah.

Sì, i pischelli, le iene-reservoir dogs, al bar di zio Peppino, passano le serate, scervellandosi fra una briscola e la scopa della cameriera. Elucubrando sul significato di Toffee.

Al che prende su la parola uno coi “contro-cazzi”:

– Sì, la canzone è stata dedicata a Barbara, donna come la Ciccone. Like a virgin touched for the very first time, è adesso la regina non delle pop bensì delle poppe con la pummarola ncopp!

 

Parte l’applauso anche dell’avvocato Rossetti, cliente fisso del locale a una certa ora. Dopo che in tribunale difende vari “garçon” alla Tim Roth di Pulp Fiction.

Torniamo a Manson, non perdiamoci con donne che son state pure col cavaliere mascarato.

Anzi, no. Cercate una qualsiasi foto di Barbara su Google.

Non vi sembra la versione partenopea di Michael Corleone? Al Pacino, sì. Di nome Alfredo, di origini siciliane, il protagonista assoluto di The Devil’s Advocate.

Sì, è lei, cazzo.

Soprattutto nella notte di San Silvestro quando brinda con lo champagne perché il suo peccato preferito è la vanità…

Sì, se il napoletano si divide in due categorie, cioè uno alla Diego Armando Maradona, ovvero un drogato clown da circo, e quello giustamente integerrimo che combatte la camorra, il siciliano è di due specie:

o è Luigi Lo Cascio de I cento passi oppure è Charles Manson.

Sì, un ipocrita mai visto. Domenica in chiesa, lunedì all’inferno.

Appunto… Roman commise molte schifezze in vita sua. Sappiamo tutto. Ma è un genio e, come tutti i geni, è cattivissimo, come deve/o essere.

Così come dice Al Pacino di Heat.

A proposito di Pacino e Michael Mann.

Russell Crowe non meritava di vincere per Il gladiatore, siamo sinceri. Avrebbe dovuto vincere Ed Harris per Pollock.

Russell lo avrebbe meritato invece per Insider…

Comunque, a prescindere da ciò, il momento in cui fu proclamato da Hilary Swank, appunto, vincitore dell’Oscar per la sua interpretazione di Massimo Decimo Meridio, cazzo, è ancora a distanza di circa un ventennio, uno dei momenti più emozionanti della Notte delle Stelle.

Lui era dato per favorito ma gli prese quasi un coccolone quando udì pronunciare il suo nome.

Col Joker Phoenix in visibilio.

Storico, epico!

Insomma, io sono imbattibile perché me ne frego delle vostre porcate e dei vostri drammi di peste e corna.

 

 

di Stefano Falotico

pacino avvocato del diavolo

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