Miniatura da Oscar, diciamocela.
Non è tempo di morire
Sì, da oggi, alla fiera del libro di Roma, Più libri più liberi, allo stand D 05, se vorrete e voleste, pot(r)ete comprare I RACCONTI DI CULTORA 2019.
Sono tre volumi, ognuno dei quali raccoglie venti autori che hanno vinto il concorso letterario, indetto un paio di mesi fa da Cultora, per l’appunto.
In uno di questi volumi, vi è il mio Venezia, la città del Joker.
Questa la sinossi dei volumi:
la Sesta edizione del Concorso Letterario Cultora si conferma uno straordinario mezzo di aggregazione culturale capace di unire centinaia di scrittori, esordienti e non, di tutta Italia. Attraverso ognuno dei racconti inediti, gli autori selezionati offrono al lettore storie, sensazioni, esperienze che grazie al supporto cartaceo diventano eterne e condivisibili. In uno spazio limitato chi scrive riesce a svuotare il proprio spirito in forma espressa, diretta, e pertanto infinitamente entusiasmante.
Intanto, in questi giorni, sto editando assieme al mio correttore di bozze il mio prossimo libro, un noir erotico, una storia di detection macabra ma enormemente romantica con tinte fosche ma anche pulp da graphic novel, un trip di fumettistica immaginazione delirante ma squisitamente surreale e immerso nella metafisica ancestrale di un uomo, ovvero il sottoscritto, che oggi è davvero un uomo ma domani ancora regredirà all’infanzia, quindi esuberante si darà ad altri voli pindarici, sublimando ogni suo trauma e patita afflizione, psichica e non, sessuale e/o bestiale, grazie alla propulsiva energia della sua anima combattiva, giammai doma e ancor furente come il sole d’oriente ove un tempo, vicino persino a buddistici templi, il grande Bruce Lee dimostrò che la vita è un colpo tonitruante, una morte inaspettata e scioccante come la sua e quella di suo figlio Brandon, quindi può essere, perché no, anche rinascita folgorante.
Poiché, se non avrete sonno, anziché recarvi in cucina, mangiando Nutella o cioccolato bianco, accendete un falò e leggete, sotto il plenilunio, tutto Mishima Yukio.
Be’, sono più basso di Jude Law e, sinceramente, non ho il suo conto in banca. Tantomeno ho una casa che affacci sul Duomo di Prato come John Malkovich.
Prima, giravo in macchina. E, fra queste luci cittadine al Neon Demon, indossando il mio giubbotto di Drive, ho ascoltato due canzoni nostalgiche, una più bella dell’altra. Evocanti un tempo passato e dimenticato, forse scomparso ma che sempre, sino al giorno della mia morte, vibreranno acute ed emozionalmente acustiche nella mia memoria.
Innanzitutto, la controversa “canzonetta” di Alberto Fortis, Milano e Vincenzo.
Conoscete la storia, no? Alberto non voleva più essere trattato come Lupo Alberto, esatto, quello del fumetto, cioè come uno sfigato. Voleva diventare un artista ma il suo produttore discografico, Vincenzo Micocci, non si decideva a pubblicargli il suo primo album.
Alberto era incazzato.
– Cazzo, se mi fai aspettare ancora, sarò costretto a cercarmi un posto come impiegato del catasto!
Sì, se Louis Garrel non fosse figlio d’arte, non scoperebbe Laetitia Casta. Ma questo è un altro discorso.
E I Gatti di Vicolo Miracoli? Ne vogliamo parlare di Verona Beat?
Quattro amici liceali che misero su una piccola band.
Umberto Smaila, da allora, viene considerato un mezzo genio, Jerry Calà è a suo modo un idolo, Franco Oppini scopò Alba Parietti. Che poi… ma lasciamo stare, ah ah.
Nel frattempo, Francesco Nuti non sta bene.
Francesco piaceva molto a mio zio. Pratese, mentre Francesco è (non so per quanto potrò usare il presente…) fiorentino.
Mio zio è morto tanti anni fa, a soli cinquant’anni, dopo aver combinato un casino.
Il primo film di Francesco, come attore, è stato Ad ovest di Paperino del suo amico Alessandro Benvenuti.
Paperino esiste davvero, è un piccolissimo comune che mio zio mi mostrò quand’io ero piccolissimo.
Non è soltanto un personaggio celeberrimo della Disney.
Sapete, io sto antipatico a tante persone. Antipaticissimo.
Per demoralizzarmi e buttarmi giù, le hanno tentate tutte. Sono stato ingiuriato, calunniato, mi sono beccato anche dei ricoveri psichiatrici per colpa delle violenze psicologiche inaudite e immoderate da me subite semplicemente perché non mi sono mai attenuto alle fottute regole istituzionali assai fasciste.
Ove, se a sedici anni, non frequenti un cazzo di liceo di merda, devi essere meno dotato e avere il cervello e il cazzo di un nano.
Il mio lavoro è fare l’artista, dare emozioni a chi ne ha bisogno. A chi pensa che la vita non sia un campionato. Anche perché, se dinanzi a me, si presenta uno stronzo come Robert Loggia di Over the Top, io non accetto i suoi ricatti.
Avrei potuto perdere e rimediare una figura da idiota storico. Purtroppo, per voi, ho vinto. Dunque, non ho da chiedere scusa a nessuno di quelli che, se fosse stato per loro, mi avrebbero internato.
Non ho da redimermi della loro svista con tanto di offertami, superba, stupidissima svastica.
Non ho da abbassarmi al loro mendace concetto di “dignità” piccolo borghese, limitante, nauseante e ripugnante. Questa è la mia risposta. Devastante. Ed è giusto così. Poiché mi ricordo un tempo in cui divenni quasi muto e chiesi soltanto, avendo già tale mio difficile momento superato, di bere una birra in compagnia. Ma l’ottusità fu assurda, mostruosa. L’indifferenza, ah, qualcosa di scandaloso. Mi sentii solo dire… cresci, coglione.
Mi pare doveroso che i dementi imparino a stare al mondo e che i poeti vivano, perdonando gli abietti e gli inetti, laddove Michelangelo diede al Papa la sua terrazza, mie tenerezze, miei poveri peccatori irredenti. Nella soavità del temp(i)o senza fissa dimora della sua anima angelica o forse stupendamente diabolica.
Comunque, a dirla tutta, Daniel Craig non è un contadino ma Sean Connery rimane di un altro pianeta.
di Stefano Falotico