La scorsa settimana morì Alan Parker. Io gli dedicai un post molto particolare.
Che io mi ricordi, ho sempre sognato di essere Nic Cage di Cuore selvaggio, non quello di The Family Man.
Anzi, quello di Stress da vampiro e di Birdy. Sì, volevo e voglio essere questo Nicolas. E chi dice che Cage è/sia un pagliaccio, ah ah, è meglio che ascolti Alessandra Amoroso. Nic Cage non è un pagliaccio, è un clown da competizione, ah ah, sì, è un “pazzo” come me. Non ha regole non solo attoriali, bensì sociali. I suoi matrimoni dura(ro)no un nanosecondo poiché, per l’appunto, è sempre stato un uomo libero (ah, per forza, è il nipote di Coppola, sai quanti soldi a prescindere dai suoi cachet?, ah ah) e non desidera vincoli di nessun tipo, specialmente di nessuna “topa”. Adora farsi prendere in giro, s’imbroda e gongola nel recitare come un cane più bastonato di Balboa, va giù di testa nello sbraitare ed andare spesso e soprattutto volentieri sopra le righe. Sfoderando delle smorfie più oscene di Meg Ryan di City of Angels. Sì, Meg è sempre stata la quintessenza della smorfia, non quella napoletana. Bensì della cretina che poté beccarsi solo Dennis Quaid. Altro playboy dei poveri che non ha niente a che vedere con Il cielo sopra Berlino. Sopra qualche altra bionda però, forse di nome Angelica oppure Chantal, sì. Cage è un ribelle, un amante di Elvis Presley, fu amante anche di sua figlia Lisa Marie. E oggigiorno tutti lo deridono e umiliano poiché, ai film d’autore come quello di Parker, preferisce buttarsi via e non dare più retta a nessuno. Tanto la gente vuole solo che tu sia un premio Oscar, una bella statuina coperta da una corretta mascherina. Non certamente quella del Covid-19. Lui andò con Jenna Jameson, si prese la patente di “depravato”, di attore super sfigato, d’incapace e, a livello non solo recitativo, di handicappato. Poiché lo è. In Con Air, per esempio, non c’è una sola espressione sua giusta. Anzi, è espressivo come una stampante della Epson. Ride quando dovrebbe mantenere un tono serio e, di contraltare, piange quando dovrebbe essere allegro. Ha due labbroni da far invidia a quelli rifatti di Alba Parietti e non ci crede nemmeno Antonio Conte che Nic Cage (chi, sennò), dopo Cuore selvaggio, abbia perso molti capelli ma sia rimasto sempre così stempiato senza perderne altri da allora in poi.
Il suo personaggio si chiama Poe. Ma dubito che Nic sposerà in futuro una tisica e minorata mentale così come fece Edgar Allan. Morendo a quarant’anni con cinquemila racconti capolavori all’attivo e una sola “figa” nel suo “curriculum vitae”.
Ma torniamo a Parker, lasciamo perdere, dunque vincere Cage… Certo, non è propriamente classico salutare, in modo satirico e goliardico, una persona e un regista che ci ha lasciato/i. Ma sapete, in questi anni, morirono persone a me care. Solo mia nonna paterna ancora campa. Ha anche la campagna. Persi mio zio tanti anni fa e tanti altri parenti che, in passato, perfino disdegnai e che dunque non incontrai più prima che se ne andassero. A fanculo, di nuovo, spero… sì, i miei parenti non sanno neppure chi sia Alan Parker. Persi anche degli amici. E non andai nemmeno al loro funerale. Tanto, già all’epoca, avevano una faccia come quella di Crisantemi ne L’allenatore nel pallone.
Sì, pensa te, pensate voi. I loro migliori anni della loro vita, per l’appunto oramai trapassata pure clinicamente, li trascorsero a giocare a Duke Nukem e a Doom. Che io mi ricordi, giocai in quel periodo col mio personale “joystick” con Erika Anderson di Zandalee.
Sì, qui voglio essere un comico nato come Paolo Rossi. Sì, furono mie nottate di “sparatutto” da far invidia a ogni Playstation del cazzo. In verità, persi anche me stesso. E pensai davvero di essere matto e irrecuperabile sia nel cervello che nel fisico. Quasi quanto Mickey Rourke di Homeboy. Pensai che un altro colpo letale alla mia fragilità, emotiva e non, mi avrebbe ucciso. Totalmente annichilito, estenuato, stremato.
Il film più bello in assoluto di Parker rimane Angel Heart. Con tutta la stima che possa nutrire, anzi, la mia adorazione sconfinata per Martin Scorsese, Angel Heart è un capolavoro e Shutter Island invece un filmetto. A dirla tutta, spesso mi conviene recitare la parte del cretino. Altrimenti, dovrei accettare qualcosa di non scientificamente spiegabile accaduto alla mia vita. Sapete, non è facile. Bisogna essere forti come Sylvester Stallone e io invece son autodistruttivo come Bob De Niro di Toro scatenato.
Ho intanto firmato un altro contratto editoriale e credo di non sapere nulla di Cinema. Basti vedere questo video per capirlo. Non so argomentare, capite? Ah ah.
Non so parlare, non so scrivere, sono cerebroleso, brutto come un debito e non so neanche amare.
Taxi Driver è un capolavoro, Angel Heart anche. Ma Rocky non va mai giù, non è “dotato”, anzi, datato per niente. E questo è quanto. Se voi avete bisogno di psicofarmaci perché non ce la fate, prendeteli. E altri pugni allo stomaco devastanti pure piglierete. Quello che voglio dire è che Rocky è più forte di Apollo Creed, di Ivan Drago, eccetera eccetera. Insomma, è il più forte di tutti. Quando caccia un mancino del genere, vanno infatti tutti al tappeto. Ho scritto tutti due volte in tre righe, si chiama ripetizione? Allora, ripetiamola, ripententi esistenziali. Tutti, tutti, tutti. Senza eccezione alcuna. Vi rispedirei alle elementari, maestrini dei miei stivali da cowboy. Se poi vorrete continuare a credervi invincibili, recitando la parte della moglie di Sylvester Stallone in Over the Top, cioè della donna “sana”, farete solo la figura dei coglioni come Robert Loggia, pure di Scarface. Come dice invece il grande Al Pacino di Carlito’s Way, sono un altro, sono un altro e non ci sono voluti quei trent’anni che mi aveva dato lei, vostro onore, ma solo cinque anni. Ed eccomi qua… completamente riabilitato, rinvigorito, riassimilato e sarò fra poco anche rialloggiato.
Una delle scene più belle del mondo. Un uomo che ha coglionato tutti, compreso sé stesso.
Poiché, tornando al Cage, non mi vedo laureato, non mi vedo sposato, non mi vedo per niente in nulla e non vi vedo neanche. Quindi, mi pare giusto che, se siete dei tonti, io possa morire come Dio.
Dio infatti non ha una vita sociale poiché è superiore. Non ha bisogno di stare nel porcile, ha bisogno di punire e giudicare tutti, compreso sé stesso. Da cui suo figlio, Gesù Cristo. Colui che morì per noi e il terzo giorno è resuscitato. E io dovrei credere a una stronzata del genere? Io, io che sono il diavolo? Ah ah. Il diavolo provoca in quanto vuol far capire agli uomini che non c’è un’altra vita e questa la stanno sprecando su Instagram. No, non vincerò come Rocky nel suo secondo capitolo.
Non accetto nessuna sfida. Accetto di morire come le donne, i bambini e gli uomini che, passivamente, accettarono di essere stati uccisi. Così come sostenne e disse Rust Cohle di True Detective. Poiché il mondo è formato da mostri ed è cosa buona e giusta che Dio, ecco, li distrugga.
Qualche mese fa, un amico mi telefonò, preoccupato, chiedendomi:
– Stefano, ti sento giù, di solito non sei così. È successo qualcosa?
– No, sto benissimo. Anzi, mai stato meglio.
– Non mi sembra. Ieri ridevi ed eri contento.
– Perché sono un grande attore come Rourke, come De Niro, come Cage.
Quando sono triste sono grande, quando sono malinconico sono me stesso, quando fingo di stare bene, non sono credibile. Sì, mi pare sanissimo che i geni e i grandi artisti come Parker vengano ricordati anche dopo la morte. Ai comuni mortali, invece, lasciamo la loro anima da carne è debole.
di Stefano Falotico