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Ammisi falsamente che mi sarei suicidato dopo aver visto THE IRISHMAN: qui devo ammettere il ver(b)o, lo farò dopo KILLERS OF THE FLOWER MOON, mi spiace avervi deluso


13 Nov

scorsese

Sì, ne ero sicurissimo. Forse non lo sapete, forse sì, chissà. Visionai The Irishman alla Festa del Cinema di Roma.

Mi promisi, il mattino stesso in Sala Petrassi, aspettando nauseato in mezzo agli altri accreditati stampa tutti sovreccitati, a differenza di me, impassibile e con la testa da un’altra parte, che tornato in albergo, finita dunque la proiezione di The Irishman, mi sarei gettato giù dalla finestra.

Questo non avvenne poiché, nel momento stesso in cui stetti per lanciarmi giù a volo d’angelo, desistetti? No, squillò il mio cellulare e mi arrivò una notifica di WhatsApp.

Un mio amico mi mandò un vocale:

– Hai letto le critiche negative che sta ricevendo, qui in Italia, The Irishman? A quanto pare, a differenza della Critica statunitense, assolutamente unanime nel definirlo un capolavoro indiscutibile, qua da noi abbiamo già parecchi insoddisfatti.

Non possiamo permettere che questa gente continui a vivere, non credi?

– No, infatti, assolutamente.

– Ti sento affaticato, Stefano. Hai il fiatone. Che stavi combinando? Ah ah, lo so. In camera, da te, c’è una bella donzella tutta ignuda e calda a letto. Non volevo disturbarti. Continua pure…

– No, in verità qui non c’è un cazzo di nessuno. Ci sono io e, se tu non m’avessi chiamato, in questa stanza fra poco non ci sarebbe stato nemmeno il sottoscritto.

– Ah, capisco. Fra poco uscirai dalla camera per andare a vedere un altro film?

– Invero, mi stavo suicidando.

– Ah sì? Quindi ti ho salvato la vita.

– Sì, sei il mio Robert De Niro.

 

Sapete, no, che Martin Scorsese, dopo il rapporto fallimentare con Liza Minnelli, dopo aver girato New York, New York, pensò seriamente di suicidarsi e fu proprio Bob De Niro a salvarlo, praticamente costringendolo a girare Toro scatenato?

Sì, ignoranti, documentatevi.

Scorsese era distrutto psicologicamente ma, grazie a Bob De Niro e a una scopata, forse più di una, con Isabella Rossellini, quest’ultima infatti presente alla cerimonia degli Oscar in cui Bob vinse l’Oscar, si salvò per il rotto della cuffia.

Da allora, non ebbe più pensieri suicidari o suicidi che dir si voglia. Io invece non ho più tanta voglia…

Ora, nelle prossime righe, vi racconterò mille cose che non sapete di me e invece io voglio dirvi. Tanto, come sempre, non mi crederete poiché v’appariranno soltanto il frutto delle fantasie di un malato di mente che inventa balle per attirare l’attenzione.

Vorrei sinceramente che fosse così, invece è esattamente il contrario. Infatti, quanto prossimamente vi narrerò, eh già, corrisponde purtroppo alla più tragica realtà surreale.

Ecco, mi ricordo che il mio primo appuntamento al buio con una ragazza non fu al buio. Era infatti pomeriggio.

A differenza di Griffin Dunne di Fuori orario, non mi dimostrai affatto impacciato e timido con la mia Rosanna Arquette dei poveri.

Sì, che io mi ricordi, lei assomigliava realmente molto a Rosanna. Cioè, a tutt’oggi, sebbene mi sia sverginato con lei, non sono ancora convinto se fosse bella o brutta. Un po’ come Rosanna all’epoca.

Adesso, Rosanna è indubbiamente una racchia. Forse anche questa con cui mi sverginai lo è ma non la vedo più, in ogni senso.

Lei invece, vedendomi così coinvolto, disinvolto, constatando-tastando con mano la mia sicumera, sì, proprio con mano leggera, facendo up and down per tirarmelo sempre più su in modo pesante, allo stesso modo di Griffin Dunne, però, cadde in paranoia.

Sì, non fui io a venire… divorato dalle paranoie, bensì lei.

Poiché ripeto, in quel momento, credette che io le avessi mentito in chat, ove le dissi che ero sessualmente imbranato.

Sì, fu lei a sentirsi in imbarazzo. Lo sentì subito rizzo e ciò la stupefò un bel po’, cazzo.

Detto questo, passiamo alla seconda che incontrai.

Al primo appuntamento, io e lei passeggiamo per circa un’ora. Poi entrammo in macchina.

Solo perché non trovavo più il cellulare. Le chiesi di aiutarmi a cercarlo.

Lei pensò che stessi scherzando ma io la freddai con un:

– Eccolo, ho trovato il cellulare del cazzo. Stava qui, sul sedile posteriore. Adesso che l’ho trovato, direi che posso rincasare.

Sì, ora devo andare. Stasera, vorrei rivedere L’ultima tentazione di Cristo. Ci sentiamo domani, va bene?

– Mi stai prendendo per il culo?

– Un po’ sì.

 

Al che, cominciò a offendermi di brutto come Lorraine Bracco con Ray Liotta in Quei bravi ragazzi.

– Sai che ti dico, stronzo di merda? Sei solo un ghiacciolo!

– Il ghiacciolo si lecca – le risposi con estremo aplomb, quindi aggiunsi: – A duecento metri da qui, c’è una gelateria. Compra una vaschetta di jogurt all’amarena. Succhiatela tutta e, mi raccomando, di’ al gelataio di ficcarti dentro anche la banana.

 

Lei, innervosita oltremisura, minacciò di chiamare l’ambulanza per ricoverarmi alla prima clinica psichiatrica. Dunque, io le risposi sempre con calma olimpica:

– Sì, va bene, ci sto. Se però dall’ambulanza scende Nicolas Cage di Al di là della vita, non so se dovrò accompagnare lui al pronto soccorso. A quanto pare, Nic non gliela può fare, no, non ce la fa da solo. E tu non sei stimolante come Patricia Arquette, sai?

– Sei solo una merda! – urlò lei, inferocita.

 

Comunque, volle rivedermi. Sì, diciamo che, non considerandomi tanto normale, volle appurare se fossi rivedibile.

Ah ah.

Il nostro secondo incontro durò comunque pochissimo.

Lei mi aspettò davanti a un negozio di biancheria intima.

Al che, io fermai dinanzi a lei la macchina, inserii le cosiddette doppie luci, sostai brevissimamente in doppia corsia, scesi in tutta fretta e le dissi:

– Sono venuto… solo per consegnarti il cellulare. La scorsa volta, lo dimenticasti nella mia macchina.

Ora però, prima di lasciarti, toglimi una curiosità. Sai, ho sbirciato nella tua rubrica. Leggendo anche vari tuoi sms mandati a un certo Ernesto.

Da quel che sembra, questo Ernesto ti scopa da dio. Lo riempi sempre di complimenti, ringraziandolo per le impagabili soddisfazioni che ti dà. Mi congratulo con te.

Adesso, scusami, devo proprio scappare. Tu, con Ernesto, torna a scopare.

– Io ti denuncio, figlio di puttana! Dove cazzo è finita la privacy? Porco!

 

Come si suol dire, non c’è due senza tre. Lei volle nuovamente incontrarmi e finalmente scopammo.

Sì, mi ospitò a casa sua e mi offrì un succo di frutta.

– Ti piace?

– No, è acido come te.

– Fuori dalla mia casa, villano!

– Va bene, lasciami però almeno finire di succhiare dalla cannuccia! Sto finendo, dammi soltanto un momento. Hai notato che, quando uno sta per finire di succhiare, avviene il risucchio? Tu sei esperta di cannucce, nevvero?

– Psicopatico, come ti permetti?

 

Scesi frettolosamente le scale di corsa. Al che lei m’inseguì:

– Dove cazzo pensi di andare? Devi pagarmi il succo di frutta.

– Va bene. Tu rientra nel tuo appartamento, non diamo spettacolo. Ti raggiungo subito. Dammi solamente un minuto. Devo riallacciarmi le scarpe.

 

La raggiunsi dopo un minuto e lei s’era nel frattempo completamente denudata come Margot Robbie al primo incontro con Leo DiCaprio di The Wolf of Wall Street.

Al che, tutta accalorata, disse, parafrasando Joe Pesci di Quei bravi ragazzi:

– E ora che mi dici, signor bulletto? Qualche cosa me la devi dire.

– Te la dico.

– Sentiamo.

– Fancul’ a mamm’t.

 

Sì, le dissi proprio così.

Fra me e lei, fra alti e bassi, durò parecchio. Lei non mi amò mai davvero, nemmeno io.

Stemmo assieme soltanto perché, a detta di lei, duravo molto.

Ma non servì a un cazzo per tirarmi su.

La strategia promozionale di Scorsese & Netflix s’è rivelata vincente, quella di Fedez, cantante degli ominidi, altrettanto, poiché l’italiano medio è un mafioso demente, evviva i cinecomic!

Sì, quando Alberto Barbera annunciò, a fine luglio scorso, il programma della sua kermesse, ovvero della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, tutti noi cinefili rimanemmo basiti nello scorrerlo e non vedere in cartellone, come si suol dire, The Irishman di Martin Scorsese.

Eclatante, clamoroso al Cibali, come si diceva una volta.

Il film più atteso dell’anno, forse degli ultimi vent’anni, non partecipò al Festival di Venezia. Assurdo, no?

Festival da sempre considerato leggermente minore rispetto a quello di Cannes ma che, ultimamente, si rivelò d’estrema importanza imprescindibile per la corsa agli Oscar.

Poiché molti dei film, dei registi e degli attori premiati a Venezia furono poi quelli che la fecero da leone agli Oscar. Anche se La forma dell’acqua vinse, per l’appunto, il Leone d’oro, eh eh, mentre il parimenti oscarizzato Birdman assolutamente no.

Scorsese optò per il più intimo New York Film Festival.

Scelta quanto mai oculata, sacrosanta.

Poiché sarebbe stato, come già dissi, assai pericoloso presentare The Irishman a Venezia. Dinanzi a critici agguerriti e infoiati, pronti a scannarlo se ne fossero rimasti, di solito loro snobismo d’accatto e “accatta visualizzazioni stampa”, parzialmente delusi.

Sì, meglio dunque il più piccolo New York Film Festival. Ove Scorsese poté presentare il suo film in maniera più delicata e riservata. Consegnandone la visione a selezionati addetti e cosiddetti operatori del sistema.

Le critiche, come sappiamo, furono entusiastiche. Da qui sorse a tamburo battente il crescente, inarrestabile passa parola.

Al che, The Irishman fu presentato, con altrettanto successo e critico clamore, a Londra e poi a Roma.

Ottenendo ancora una volta consensi a iosa.

Invece, qualora fosse stato relativamente stroncato a Venezia, ciò ne avrebbe pregiudicato la corsa agli Oscar e il suo estremo, ragguardevole, anzi incommensurabile valore sarebbe stato inficiato da qualche presuntuosa, oserei dire pregiudizievole, critica prematura.

Per esempio, oramai a Clint Eastwood frega poco degli Oscar.

Lo dimostra il fatto che, da anni, fa uscire i suoi film a metà dicembre quando oramai i giochi sono pressoché fatti.

Sì, la stampa americana può visionare le sue pellicole prima che escano ufficialmente in sala, quindi, stando a questo discorso, non mi stupirei più di tanto se il suo Richard Jewell venisse nominato in varie categorie, perfino importanti, fra circa un mese ai Golden Globe. Sebbene, come detto, uscirà soltanto dopo le nomination dei Golden, ovvero il 13 Dicembre.

Ma sono rarissimi i casi in cui una pellicola uscita nelle sale a dicembre abbia poi fatto incetta di candidature agli Oscar. Perlomeno, se prima non fu presentata a qualche festival di rilievo.

Come da me poc’anzi spiegato.

In poche parole, Richard Jewell potrà anche essere il film più bello dell’anno, perché no, ma credo che oramai l’Academy abbia già compiuto la sua scelta.

Il film che vincerà l’Oscar, per l’appunto, come Best Motion Picture of the Year, sarà The Irishman.

Stavolta, Netflix ci prese alla stragrandissima.

Agì infatti con lieve, dolce mestizia e sobria furbizia, con indicibile, inarrivabile scaltrezza e ammirabile pudicizia.

Realizzando una campagna promozionale basata sulla leggendarietà del capolavoro annunciato, a piccole dosi, paradossalmente, annunciandolo.

Dispensando, nel corso degli ultimi mesi, solo tre ufficiali filmati.

Creando attorno alla pellicola la giusta dose di mistero e suspense.

Netflix Italia, per esempio, su YouTube non ha ancora diramato il trailer di The Irishman doppiato in italiano. Solo gli abbonati possono vederlo, ascoltando in esclusiva Leo Gullotta che dà la voce a Joe Pesci.

Ora, spostiamoci invece in tutt’altro ambito e parliamo non di Scorsese, bensì di un altro uomo, purtroppo, considerato assai più meritevole di Martin da molti italiani, vale a dire il “fenomeno” Fedez.

Ecco, se io mi presentassi a un produttore discografico con un testo del genere, probabilmente lui chiamerebbe immediatamente la neuro:

mi aspetto che ti piaccia stare

sotto le coperte e non sopra le copertine

l’amore a prima Visa…

un golpe al cuore…

se ti guardo a luci spente, sei un tramonto abusivo…

Ma direi che l’apice, oserei dire l’inarrivabile zenit di tale “genio” dei debosciati, sia questa rima baciata per tutte le ragazzine più cretine:

prima eri un problema di cuore, ora sei il cuore del problema

Sì, Fedez lo vedrei bene ospite di Gigi Marzullo. Ah ah.

Sì, per comporre questi versi lirici, più che altro da due lire, un ritardato medio impiegherebbe due minuti, Fedez invece ne impiega dieci. Ah ah.

Peccato che lui sia più ricco di un astrofisico nucleare che conosce ogni equazione della teoria della relatività e l’Italia ascolti, con la testa fra le nuvole, queste cagate atomiche che io brucerei alla velocità della luce.

Sì, è per questo che abbiamo oggigiorno critici di Cinema che sostengono che The Irishman sia meno bello di Quei bravi ragazzi. Se Scorsese avesse realizzato Quei bravi ragazzi 2, avrebbero detto che The Irishman sarebbe stato uguale a Casinò. Ah ah.

Come dire che il sottoscritto, se ieri fu depresso a morte e oggi stia provando, provatissimo, di darsi uno slancio vitale fighissimo o solo più sfigato, le malelingue affermeranno, anzi con irremovibile fermezza affermano, che lo fa per rispondere a chi l’offese nel vano, deleterio e controproducente tentativo misero di dimostrare fermamente qualcosa. Ma rimane di mente un infermo. Ah ah.

Quindi risulta penoso e patetico.

Se invece avessi smesso di scrivere libri e recensire film, mi avrebbero detto ugualmente che sono penoso poiché mi sarei arreso.

Mettetevi d’accordo perché non ho intenzione di essere recensito da gente che prima offende Fedez perché è povera e il giorno dopo, invece, se vince il SuperEnalotto, frega a Fedez pure Chiara Ferragni, regalandole una migliore Ferrari.

Sono sinceramente stanco di tutta questa gente ipocrita assai italiana.

Di domenica, questa gente va a messa e il lunedì dopo combina le stesse porcate di prima. Tanto la settimana finirà, arriverà di nuovo domenica e basterà una confessione per poter ritornare a vivere alla stessa maniera.

D’altronde, Francia o Spagna, basta che se magna!

Il mio consiglio per i giovani è questo, un consiglio non propriamente ottimista, a dire il vero.

Un consiglio non da coniglio, bensì da uomo saggio come Rust Cohle di True Detective.

Cioè questo: non sposatevi e non mettete al mondo dei figli.

Altrimenti, possono nascervi mostri come Glenn Fleshler/Errol Childress se vostra madre è pazza.

Tanto, anche se vostra madre non è pazza davvero ma vive da pazza poiché chi la mise incinta, ovvero Thomas Wayne, la trattò come Fillipo Timi di Vincere nei confronti di Giovanna Mezzogiorno, vostro figlio troverà un altro Glenn Fleshler che lo caricherà di rabbia, distruggendogli pure la purezza.

Come no?

Ora vi spiego.

Le mie freddure lasciano stecchiti tutti, soprattutto il sottoscritto, ovvero un personaggio da fumetti molto fumantino

Allora, adesso vanno di moda i cinecomic.

Martin Scorsese e Francis Ford Coppola li definirono spregevoli.

Non so se abbiano ragione o no. Da quello che mi risulta, comunque, Rupert Pupkin di Re per una notte è Kick-Ass mentre Dracula di Bram Stoker è Ant-Man.

Come no? Oldman, in questo film, è come Gulliver. Prima è un titano. Poi, in seguito alla morte tragica della moglie, si segregò nel castello e invecchiò di brutto. Dunque, la sua virilità, nonostante si attorniò di tre streghe-damigelle meretrici, fra cui Monica Bellucci, ne risentì potentemente.

Diciamo che si nanizzò. Quindi, riprese possesso della sua armatura da Batman di Christopher Nolan e volò nuovamente come un pipistrello, facendo il culo, come si suol dire, ai moscerini.

Sì, il nerd è un uomo che, dopo aver sublimato le delusioni affettive, credette di essere sublime poiché realisticamente, logisticamente e dunque obiettivamente non gliela può fare con Catwoman.

Al che, come meccanismo di difesa psicologico, anziché diventare verde di rabbia come Hulk, in virtù dei soldi del ricco possidente del padre che lo mantiene, se la tira da Iron Man.

Cioè, detta come va detta, il nerd vive nel seminterrato, nella prigione bunker col culo parato delle sue immaginifiche stronzate, vagheggiando suoi sogni di gloria spesso fantasticati ma raramente concretizzatisi. È invero Birdman.

Sì, dovrebbe in verità spararsi in testa.

Se non dovesse miracolosamente morire, lo acclameranno in piazza come Joker.

Per quanto mi concerne, io fui un uomo già a quattordici anni.

Mi ricordo infatti che non rimasi insensibile, a livello ormonale, dinanzi a Pamela Anderson di Baywatch.

Poi però scoprii che lei se la faceva con il bagnino ignorantissimo de Il commissario Lo Gatto.

Ci rimasi come una merda. Da allora, distrutto, cantai La Mer, recitando, a ogni mattutino canto del gallo, tutte le sillogi poetiche di Giacomo Leopardi.

Ho detto tutto.

Riguardo la recensione di The Irishman, sentii e lessi molti critici affermare che Scorsese ricicla sempre tematiche, da lui stesso generate e sviluppate, oramai già viste, trite e ritrite, ovvero inflazionate e abusate.

Uno disse pure che Scorsese non è capace di rinnovarsi e che è relativista. Cioè, gira soltanto film su preti, su strambi deliri religiosi o sui gangster mafiosi.

Il prossimo film di Scorsese sarà Killers of the Flower Moon.

Un film sui nativi indiani americani divenuti ricchi grazie al petrolio.

Questi critici, invece, pensano di divenire ricchi, facendo lo scalpo a Scorsese?

Di mio, sono Fu Manchu. Cioè, praticamente David Lo Pan di Grosso guaio a Chinatown.

Ma, alle tribù degli Apache, dei Mohicani e dei Comanche, continuo a preferire l’ex pornoattrice Cheyenne.

Sono uguale a Sean Penn di This Must Be the Place ma nemmeno una racchia come Frances McDormand me la dà.

Per fortuna, aggiungo io, quella donna è matta.

È capace di rendere un uomo, macho come Liam Neeson, uguale a Darkman.

Ah ah.

Sì, Frances è un’intellettuale che rompe le palle a dismisura.

È per questo che suo marito, Joel Coen, è un genio.

Non scopa mai Frances. Non sapendo dunque che cazzo fare da mattina a sera, assieme a suo fratello Ethan, passa il tempo a inventare storie pazzesche. Passano notti in bianco nel mettere nero su bianco le loro sfighe disumane. Da cui Il grande Lebowski e A Seriuos Man.

Mentre nell’altra stanza, Frances, sdraiata a letto, si tocca d’autoerotismo feroce, impazzendo ad ascoltare Bob Dylan, uno dei suoi cantanti preferiti, che accarezza il plettro, riproponendo la sua storica Knockin’ on Heavens’ Door.

Sapete che al posto di Frances Conroy, in Joker, doveva esserci la McDormand?

Però Todd Phillips, dopo aver provinato la McDormand, scelse la prima Frances.

Poiché la Conroy è parimenti brutta ma ispira tenerezza. La McDormand, invece, è brutta e basta.

Quindi, non poteva essere credibile nei panni dell’ex donna di Thomas Wayne.

Sì, Thomas fu un frustrato prima d’arricchirsi.

Passò il tempo a cercare donne con cui condividere il suo disagio psicologico su qualche sito d’incontri per cuori solitari.

Non incontrò nessuna disposta a uscire con lui. Solamente la Conroy.

Perciò, Thomas pensò:

– Be’, basta metterle una maschera a mo’ di cuscino in faccia, di corpo non è poi tanto male, le posso rifilare tranquillamente una sonora fregatura, cioè una (mal)sana inculata.

 

Peccato che il profilattico di Thomas si spaccò nel momento meno opportuno e la Conroy partorì il futuro Joker.

Thomas quindi sposò una donna altolocata e assieme misero al mondo il futuro Batman.

Pover’uomo. Divenne come Donald Trump ma non gliene andò bene una.

Da una ebbe infatti un figlio pazzo, dall’altra uno con la doppia personalità.

Deve ringraziare, dall’alto dei cieli o laggiù all’inferno, che qualche teppista l’abbia ucciso nel vicolo cieco…

Se così non fosse stato, adesso Thomas avrebbe dilapidato mezzo patrimonio a pagare gli psichiatri dei figli ché, non essendo costoro capaci d’intendere e volere, avrebbero chiesto al padre di essere mantenuti.

Lui, essendo un pezzo grosso, si sarebbe vergognato di affidarli all’assistenza sociale e dunque si sobbarcò ogni spesa dei suoi scugnizzi.

Infatti, in nessun fumetto, risulta che Batman possieda un lavoro.

Thomas, prima di morire, redasse infatti un testamento ove scrisse testualmente:

– Mio figlio Arthur è irrecuperabile. Se gli donassi la mia vita a Malibu, la distruggerebbe.

Dunque, mettetelo in manicomio. Ma cambiategli il cognome.

Mio figlio Bruce, invece, è altrettanto malato ma, a differenza di Arthur, è più figlio di puttana. Sì, soffre di disturbo borderline ed è un incallito puttaniere irredimibile. Però, in compenso, riesce emozionalmente a gestirsi.

Al massimo, dite al maggiordomo Alfred che, se Bruce avrà dei momenti difficili, di nascosto dovrà infilargli degli psicofarmaci nel tè.

Sì, in Joker, la psicologa di Arthur gli disse questo:

– Arhur, il sindaco, malgrado le battaglie del nostro sindacato, ha tagliato i fondi. Ci hanno castrato. Non posso più curarti. Siamo entrambi inchiappettati.

Comunque, se cercherai su Google, in qualche forum di disadattati, potresti incontrare Iris di Taxi Driver.

Sai, sebbene sia stata salvata dalla prostituzione minorile grazie a Travis Bickle, uno più fuori di testa di te, non si riprese mai davvero dall’essere stata abusata dal suo pappone.

Sposatela e abbiate dei figli.

Tanto, il mondo è già pieno di pazzi. Qualche pazzo in più non sarà un grosso problema.

Ora, Arthur, devo salutarti. Ho perso il lavoro ma sono una donna. Quindi, mi basterà, per tirare a campare, mi basterà dare via il culo sui viali. Addio.

Anzi, ragazzo, prima di congedarmi, ti dirò però questo. Passai tutta la mia adolescenza da sfigata a studiare psicologia per provare a dare una speranza ai giovani provati che, come te, non accettano questa società e ne soffrono terribilmente.

Mi tolsi tutti i piaceri giovanili per riuscire nella mia mission.

Adesso, sono disoccupata.

Morale, figlio mio:

chi lo prende nel culo è destinato a riprenderlo in culo inevitabilmente. Come dice Rust Cohle, ancora e ancora e ancora.

Con l’unica differenza che, d’ora in avanti, quando lo piglierò nel didietro, almeno mi pagheranno.

 

Ah ah. Di mio, posso invece dirvi questo:

se credete che, in questo mondo, possiate essere voi stessi, sì, potete esserlo. Però già sepolti e cremati al cimitero. Il resto è una grande stronzata. L’umanità, dopo millenni di pseudo-evoluzione fasulla, alle soglie del 2020 finalmente comprese che l’uomo è in realtà una scimmia imborghesita. Quindi, l’unica differenza esistente fra lui e la scimmia non è, come si crede, l’intelligenza, bensì il portafogli. Se pensate che non sia così, non siete evoluti. Forse, è per questo che soffrite come animali. Sì, la sofferenza è figlia non della malattia mentale, bensì dell’incapacità di accettare un mondo che non riuscì a cambiare manco Cristo. Figurarsi se, come Gesù, siete per l’appunto dei poveri cristi.

Chi ha orecchie per intendere, intenda. Chi non vuole ascoltare ragioni, continuasse a sbattersene.

Tanto, se ne sbatté pure prima. Altamente fottendosene.

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di Stefano Falotico

Bringing Out the Dead, il migliore Scorsese degli ultimi vent’anni, finalmente ce l’ho in dvd, che società era?


24 Apr
 
Film misterioso, fallimentare dal punto di vista commerciale, film che alla sua uscita videro in tre gatti, Al di là della vita, titolo enormemente sbagliato appioppatogli in maniera new age soltanto perché, appunto, viviamo in Italia e inserire la parola morto in un titolo, in questo popolo di arretrate persone scaramantiche, l’avrebbe sin dapprincipio precluso dai buoni incassi. Che comunque non sono arrivati in nessuna parte del mondo. Essendo stato, Al di là della vita, un flop colossale.Per fortuna che, a parte i soldi spesi per un paio di pirotecnici effetti speciali della Industrial Light & Magic, il budget fu risicato. No, non è un colossal o kolossal che dir si voglia.

Una catastrofe al box office. Un film pressoché mai citato da nessuno quando si parla di Scorsese. Tant’è vero che non ne esiste a tutt’oggi l’edizione in home video sul mercato italiano. Prima c’era ma, visto che non vendeva neppure il dvd, anzi, visto che in pochissimi l’hanno visto e vogliono vederlo, non esistono ora più copie in circolazione audio-visive di questa pellicola. Scandalo da The Last Temptation of Christ!

L’altro giorno, mi sono comprato l’edizione inglese di questo straordinario film. Che possiede la traccia audio nella nostra lingua. Ma è pur sempre un dvd. Il Blu-ray non c’è praticamente da nessuna parte.

Esiste invece ancora chi, sulle insegne stradali, scrive dio c’è?

No, questa scritta, un tempo messa anche sulle panchine dei parchi, non so se a Central Park, ah ah, serviva per identificare i luoghi di spaccio. Ove i pusher, segretamente, rifornivano i loro clienti.

Non lo sapevate? Ora, lo sapete. Vi ho svelato l’arcano ermetico.

Mi ricordo, or che le mie memorie, ottenebrate da offuscamenti farmacologi inutili, sguinzagliate dopo le coatte compressioni tremende, son ritornate nella superficie neuronale dei miei più vitali spasmi, sì, mi ricordo di quando lo vidi al cinema, qui a Bologna, città probabilmente più tetra e mortifera della New York descritta da Martin Scorsese, appunto, in questo suo ultimo grande film incendiario ed emozionatissimo. Al primo spettacolo delle tre pomeridiane. Non vi era anima viva in sala. Tranne me e due lerci che si sbaciucchiavano a manetta. Più dell’incipit frenetico a luci purpuree di questo capolavoro purissimo.

Immerso in una livida New York spaventosa. Prima della rifondazione fascista effettuata dal braccio ferreo del terribile Rudolph Giuliani. Che ripulì le strade dai barboni e dalla feccia. Rendendo Hell’s Kitchen una bomboniera. Sì, a livello superficiale. Perché la metropolitana fauna alla Taxi Driver, di cui questo film è una sorta di continuazione ideale, infatti Paul Schrader n’è ancora sceneggiatore, esiste ed esisterà sempre, sebbene sia stata addolcita e sepolta sotto un cumulo di apparenti levigatezze forse ancor più funeree nella loro ipocrita patina dolciastra.

Da allora, Scorsese ha girato solo film mediocri. Io ho le mie riserve anche su Silence.

Sì, non sto bestemmiando. Io sono un patito di Scorsese. Nel senso di amante sfegatato del suo Cinema cupo, veritiero, privo di quelle melense retoriche che invece, oggigiorno, par che tanto allettino quest’imbellettamento di massa e un mondo nel quale io non più tanto mi riconosco.

In Italia poi, lasciamo stare. Roba da Cinema pietistico. Vedo gente di cinquant’anni regredita alla prima adolescenza che si scatta selfie più patetici di Mick Jagger. E vedo settantenni che, essendo arrivati alla pensione, si crocifiggono, ascoltando J-Ax in un tripudio anacronistico teribile con una sola r romanesca, come direbbe Carlo Verdone. Ah ah.

Anche se in quel periodo venivo considerato un patibolare sfigato, il mio Falotico era proprio sintomatico.

Che società era quella di allora? Da poco tempo erano approdati i primi pc degni di nota. E, per vedere integralmente in anteprima, appunto su Internet, il primo trailer di questo film targato Paramount Pictures, dovevi aspettare circa mezz’ora. Affinché il caricamento su QuickTime fosse arrivato alla fine.

Non vi era l’ADSL, la connessione era lentissima. E non era come oggi. Oggi sappiamo tutto di un film ancor prima che inizino a girarlo. All’epoca, nonostante il film fosse totalmente completato, al massimo potevi vedere qualche immagine di scena appiccicata in riviste internazionali come Studio o Premiere magazine.

Neppure Ciak infilava più di due/tre images al suo interno, essendo questo un film ostico poco adatto a una rivista patinata.

Io non sono mai stato di questo mondo, forse come Edgar Allan Poe. Poeta del mesmerismo, maestro estroso e nerissimo della trascendenza più metafisica. Ancora oggi, nonostante le mille esperienze accumulate nella mia strana e lunatica vita stramba, non mi si può definire una persona gioviale.

Sono molto spiritoso, oserei dire spiritato. Fantasmatico come la ragazza morta e semi-resuscitata nel film.

Appaio, scompaio, danzo al plenilunio e considero Lullaby dei The Cure, diciamocelo, un’emerita stronzata.

Vivo senz’infanzia, senz’adolescenza, senz’infamia e senza lode. No, che me ne faccio delle lodi se son solo effimere glorie? Meglio Gloria, donna gloriosa e anche molto golosa. Ah, ha sempre fame…

Sono giovanissimo adesso e fra tre minuti vecchissimo. In un interminabile continuum spazio-tempo pieno d’intemperie esistenziali, di precipitazioni umorali più grandinanti e forse gravi di un lurido temporale, perennemente angosciato da una luce del giorno crepuscolare e opalescente. Poi son di nuovo vividamente fluorescente come la fotografia di Robert Richardson. Con traslucidi battiti di mie ciglia pittate a mo’ di pagliaccio sciocco, incastonate nel mio cuore asmatico, ficcate nei miei polmoni che profumano aromatici di sigarette lisce come l’olio. Ah ah.

Arrabbiato come la musica dei Clash, melanconico come lo sguardo in ambulanza, giocoso, innamorato e simbiotico fra Nicolas Cage e Patricia Arquette.

Io non ho mai vissuto la mia epoca, essendomi già allontanato dai miei coetanei chiassosi e volgari.
Eppur vissi, vidi, vigilai, confabulai e fui io stesso una vivente favola.

Ho vissuto di attimi, di frenetici frangenti, di amori quasi mai sessualmente tangenti, di viaggi in tangenziale, di virtuose, magmatiche, liquide incandescenze, anche caratteriali, ah ah. Crateriche come la peggiore crisi isterica di Marc Anthony. Qui fa il cavallo imbizzarrito, con Jennifer Lopez è stato uno stallone e basta.

Ho incontrato nella mia vita uomini bifolchi davvero pazzi come Tom Sizemore. Ché, mentre ero assorto nelle mie riflessioni profonde, dimenandosi appunto da matti, mi battevano le mani per spronarmi a vivere da idiota. Incitandomi al porcile generale.

Ma non come nel capolavoro omonimo di Dostoevskij.

Persone ossessionate dal sesso, poco cristologiche, casinari da Chemical Brothers, impasticcati nell’anima da troppo lerciume quotidiano, ah, pacchiani imitatori del peggiore grunge.

Quindi penserete: ah, allora Eddie Vedder, con la sua musica malinconicamente rock, deve piacerti un casino.

No, mi fa schifo.

Io non esisto. Hanno provato a curarmi, a rendermi normale. Per me la parola normalità fa rima con baccano, superficialità, con scemenza e bieca carnalità, con puttanesca svendita della mia anima notturna.

Io sono immortale. Sì. Quando pensi che sia morto, ecco che esco dai sepolcri delle mie depressioni e ti dico ciao, sorseggiando lo zucchero delle mie labbra amarognole ma sincere.

E non c’è stato verso. Inutile che mi facciate i versi. Io versai sangue e mi feci il culo per scrivere da dio. Voi che fate? Ma che cinguettate? Cosa ciangottate? Che farneticate? Ma che cazzeggiate?

Sono un paramedico delle mie ossessioni, delle mie stanche ossa, del mio teschio ambulante come una rossa ambulanza sfrecciante nel fascino intermittente del suo (neo)n alla Bob De Niro.

Se tu pensi che io sia un Don Chisciotte e che dunque necessiti quanto prima di un pronto soccorso, devi prima aver letto questo.

Se pensi che mi piaccia Jennifer Connelly, adesso non più, è anoressica. Ma ricordo che impazzii quasi quando vidi il suo seno della madonna per la prima volta. Quello, sì, che fu un istante da manicomio. Le mie orbite oculari subirono disconnessioni più cataclismatiche della neuronale demenza senile mista a un semi-infarto sesquipedale.

Pur di averla come Eva, ignuda e impudica, mi sarei genuflesso a ogni afflittiva pena che dio mi avrebbe inflitto con severità impietosa. Mi avrebbe sbattuto all’inferno. E allora? Ma almeno avrei goduto del paradiso più celestiale.

Ero un fuoco. Dovevate vedermi. Il mio corpo, incendiato come questo capolavoro esplosivo, subì numerose detonazioni. Credo che, se Jennifer in quel momento, fosse stata vicino a me in quel fatale putiferio mio ormonale, avrebbe avuto solo due possibilità. O chiamare i pompieri oppure sentire davvero la furente passione vibrante di un uomo totalmente datosi e denudatosi senza remissione di peccati a colei che simboleggiava la mela di Lucifero. Altro che quel baccalà freddissimo che s’è pigliato, Paul Bettany.

Sono un personaggio eastwoodiano. Adoro Blood Work, tratto dalla novella di Michael Connelly.

Se credi che io sia schizofrenico, sì, stammi bene. Se credi questo, te lo dico io, sei insalvabile. Ti do l’estrema l’unzione. Inutile cercare di estrarti dalle tenebre e dalle lamiere della tua anima arrugginita.

Mentre in questi giorni, Nicolas Cage è impazzito del tutto, io posso oramai affermare che sono un miracolato.

È oramai visibile, conclamato. Allucinante come questo film lisergico.

Sono un Nic Cage. E anche Van Damme di Lionheart!

– Ho scommesso quello che avevo su Atilla!

– Hai fatto male…

 

Un Man on Fire.

    dio pronto soccorso  

di Stefano Falotico


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After Hours #martinscorsese #rosannaarquette #fuoriorario #griffindunne

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Nicolas Cage non si smentisce, chiede l’annullamento del matrimonio dopo quattro giorni


02 Apr

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Innanzitutto, comprate questa. La migliore monografia mondiale su Nicholas Kim Coppola!

Sì, Nic è un personaggio che potrebbe fare concorrenza a DannyDe Vito di Dumbo.

E, a proposito di Tim Burton, perché dite che il suo Superman mai realizzato sarebbe stato penoso e orribile? Sarebbe stato un Superman magnifico.

Perché Nic non è umano, è una specie di uomo bionico, si acconcia con tanto di stempiatura tinta da cavallo imbizzarrito, è irrefrenabile e guardatelo in questa clip quando, assieme a Cher, tamarro al massimo, premia Sean Connery. Sean Connery è la nemesi di Nic, sebbene i due abbiano recitato assieme in The Rock. Connery è sempre stato un distinto signore educato oltremodo. Nic è un casinaro, un tipo da bettole, un ubriaco della sua recitazione da Stress da vampiro.

Non lo puoi fermare neanche con le cannonate. Non è certamente un impiegato comunale, una maestrina delle scuole superiori inzuppata di canzoni di John Lennon e buonismi retorici da We Are the World.

È uno scalmanato amante del fregolismo, un matto scatenato, un irrequieto clown, appunto, da circo.

Ma questo è il suo bello, Nic incarna l’eccesso, il menefreghismo assoluto. Spesso come attore è un cesso ma è in virtù di questo che Nic è forse uno dei più grandi attori della storia del Cinema.

Lui è una contraddizione vivente, l’ossimoro fattosi carne in movimento. Un esagerato Marlboro Man, altro che Family Man, di livelli immoderati. Non ama, infatti, la moderazione. Non è a modo, è a mondo suo.

Recita in maniera immonda perché a nessuno deve dare conto. Nemmeno a Martin Scorsese. Marty voleva Edward Norton, la Paramount gl’impose Nic e Nic recitò in Al di là della vita da par suo.

Abbattendo ogni regola dell’intensità drammatica costruita e artefatta, col suo vocione diaframmatico immerso e soffocato in notti asmatiche.

Urla, si dimena, poi s’innamora della sua Patricia, quindi ancora accelera e non solo per le strade di New York.

E, quando lo ascolti nelle interviste, ti stupisce sempre. Sfoggia una parlantina tale che Vittorio Sgarbi pare un analfabeta, un dislessico.

Nic è un uomo coltissimo. Osservate come muove la mani, che scatti di nervi irrequieti.

Un nevrotico, un mezzo psicopatico. Un Castor Troy vivente ed è infatti per questo che in Face/Off è stato superbo.

Nic funziona quando è sé stesso, è spettacolare e magnetico quando si lancia, senza sprezzo del pericolo, in esibizionismi isterici da manicomio.

Qui lo vediamo con tanto di palandrana assieme alla donna che ha sposato pochi giorni fa e poi ha mandato a quel paese.

Ora, infuriato, dopo la sbronza colossale, durata meno di 100 ore (!), Nic non vuole più saperne di questa Erika.

Sì, Alessandro Manzoni sposò Enrichetta Blondel che alquanto lo rincoglionì.

Nic è stato invece anche con Jenna Jameson.

Il suo matrimonio con Lisa Marie Presley durò tre mesi, questo 4 giorni a stento.

 

Sapete perché si mise assieme a Lisa Marie? Perché, come sappiamo, essendo lui fan sfegatato di Elvis, facendo l’amore con Lisa Marie, pensava di fare l’amore con Elvis.

Vi pare normale uno così? Ah ah.

Nic, impegolatosi in strani intrallazzi, forse aveva conosciuto questa Erika, chattando segretamente di notte tra un film orribile e l’altro che sta girando a getto continuo fra il Giappone e la Corea.

Lei ora lo ricatta, minaccia di sputtanarlo, lui accusa il suo ex fidanzato, col quale lei continua a frequentarsi, tradendolo a mani basse, con cui faceva man bassa e gran chiasso.

Nic ha dilapidato un patrimonio ma lui, tenetelo ben a mente, è Richard Santoro!

 

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di Stefano Falotico

Tutto quello che non sapete degli ultimi miei quindici anni, e vi mostro in video storici, un j’accuse pazzesco, alla Jack Nicholson


28 Nov

Sì, negli ultimi quindici anni, ne sono successe di tutti i colori. E qui, senza sprezzo della vergogna, in un falotico funambolismo mai visto, esibisco tutto il mio fregolismo da uomo dapprima fregato, spappolato nel fegato, quindi sfregiato e poi, di poetica altezza nobiliare, di grandi successi fregiatosi dell’aura criptica di un Nicholson maudit oltre ogni convenzione umana.

Sì, io credo di non avere mai avuto un’infanzia. Ero già molto avanti. Quando i pargoletti miei coetanei guardavano i puffi, io m’identificavo in Gargamella. Ah ah.

Sì, Gargamella era un uomo calvo, leninista, un po’ alla Bersani, sì, il “pazzo” della Sinistra.

E tutti quei giochini con le bamboline già mi avevano annoiato. Ero diventato un fanatico del wrestling. Il mio idolo era Hulk Hogan. Sì, il suo incontro vendicativo con Undertaker fu qualcosa di epico.

Sì, poi verso gli otto anni, i bambini della mia età andavano matti per film come La storia infinita. Sì, s’identificavano con Atreyu, invece io ero precocemente un Bastian… contrario. E m’identificavo nel lupo della foresta poiché ero sempre incupito e ululavo di notte fantasie erotiche troppo premature per un ragazzino ancora molto immaturo. Sì, all’epoca andava forte Ritorno al futuro. Nel secondo episodio di questa trilogia, Jennifer Parker è interpretata da quella passerona esagerata di Elisabeth Shue. Lei divenne una delle mie fighe preferite dell’adolescenza. Ah sì, come invidiai Nic Cage in Via da Las Vegas quando le succhia quel seno magnifico. Sì, la “smaltò” tutta, se la sbaciucchiò dalla testa ai piedi e si cuccò pure la statuetta smaltata. Insomma, Elisabeth prima glielo dorò e poi Nic, alla premiazione degli Academy Award, dedicò il premio alla sua ex moglie, Patricia Arquette, con parole di adorazione. Eh sì, Nic par che penò parecchio per conquistare Patricia. E dovette regalarle perfino l’autografo di Salinger per convincere tale Arquette a farsi sbattere da lui sulla moquette. Ah ah. Quando si dice un uomo Al di là della vita.

Furono anni miei di profonda inquietudine. Divenni una creatura da film di Bergman. Odiavo il contatto fisico, ero molto suscettibile e spesso tremavo come Michael J. Fox. Sì, non quello di Zemeckis, ma quello odierno col Parkinson. Ero sempre funestato da dilemmi amletici e vagavo di notte al plenilunio come un licantropo.

Mentre i miei coetanei, dopo aver leccato il culo ai genitori, imparando latino e greco a pappardella, trascorrevano i sabato sera con qualche pischella che leccava tutti i loro sconci piselli e poi andavano a vedere porcate come The Watcher, io me ne stavo tranquillamente sul divano ad ammirare Carmelo Bene al Maurizio Costanzo Show.

Sì, adoravo la metafisica di Terrence Malick e le super gnocche che, di notte, registravo nel mio catodico penetrarle da James Woods di Videodrome.

Quelli che mi frequentavano mi ricattavano perennemente. Addebitandomi varie malattie mentali, un campionario di maldicenze ignobili: fobia sociale, depressione con manie ossessivo-compulsive, schizofrenia delirante, paranoia da teorie del complotto e altre infami stronzate derivate dalla loro ignoranza più calunniosa e probabilmente figlia di una mentalità assai invidiosa.

Come dire? E che sei Alain Delon, il più bello, per fare quel che cazzo che vuoi mentre noi dobbiamo sopportare le angherie di nostra madre che ci educa al perbenismo più bigotto e mentiamo spudoratamente, da marci ipocriti in erba, sognando invece di copulare con qualche zotica in sporchissimi pub per ebefrenici? Dopo esserci presentati a lei come bravi ragazzi, no, non goodfellas, ma figli di papà fighettissimi? Sì, siamo delle merde ma trattiamo da merda te, che hai il coraggio magnifico di esserti estraniato da questo mondo puttanesco e miserabile.

Dunque, sostenni la leva, non mi riformarono perché, ovviamente, sono l’uomo più bello del mondo. E mi ficcarono a fare il servizio civile nella Cineteca di Bologna. Ecco, dovesse capitarvi un giorno di recarvici, sappiate che l’archivio di manifesti, locandine e poster è stato interamente da me allestito. Stavo a contatto da mattina a sera con ex sessantottini maniaci di Lou Reed. Il mio capo reparto era un ruffiano inaudito. Pigliava tutti a pesci in faccia, aveva sulla scrivania una statuina di Superman/Christopher Reeve in miniatura e poi, da uomo piccolissimo, invitava sempre una certa Manuela, un’altra data entry, a far colazione al bar antistante. Credo che quest’uomo fosse sposato ma non disdegnava lo zucchero schiumoso al suo “cappuccino” con Manuela, poiché amante del “cornetto”.

Sì, finito che ebbi di farmi un culo come l’Everest, decisi d’inquadrarmi. Ma quelli attorno a me, spazientiti dal mio spirito libertino e anticonformista, ascetico-buddista affatto moralista con tendenze mie mai rivelate da angelico satanista fancazzista, cominciarono davvero a rompermi il cazzo.

Coprendomi degli appellativi più ignominiosi: parassita, omuncolo, castrato, maniaco sessuale (ah ah, un maniaco sessuale vergine io non l’ho mai visto, voi sì?) porco, puttaniere, criminale. Eh sì, il piccolo borghese, allineato appunto all’ipocrisia più mendace da Domenica a messa e lunedì all’inferno, prendendo per il culo chiunque, percepisce come Johnny Boy di Mean Streets chi è fan di Scorsese. Si capisce…

Sì, mi dissero che mi credevo Robert De Niro e avevo perfino ambizioni rivoluzionarie, utopistiche da Che Guevara e da Fausto Bertinotti.

Sì, solo perché non amavo il Cinema di Muccino e non coccolavo qualche scemina, mi consigliarono il film Paura d’amare con Al Pacino.

E giù di altre offese, dalle più accettabili alle più infamanti: sì, da sfigato a pazzo, da illuso a idiota, in un crescendo rossiniano d’immonde falsità discriminatorie.

Una volta, telefonai alla madre di uno di questi per chiedere spiegazioni a riguardo di tal comportamento così vile e mostruoso. Lei mi rispose in questi esatti termini:

 

– Hanno fatto bene. Sei un senza palle, un coglione immenso, su, sparati in testa. Levati dal cazzo.

 
Io, l’aggredii verbalmente, dicendole che impotente lo andava a dire a suo marito. E ribadii con fermezza signorile: – Guardi, veda di trattare così sua figlia. E state ben attenti che non v’inculi tutti a sangue.

 

Partì un’altra denuncia di “stupro preterintenzionale”.

Avvenne anche un episodio da Dogman. Sì, un altro demente bastardissimo, che aveva trent’anni ed era assolutamente fuori corso a Scienze Politiche, perché passava il tempo a voler “uccellare” a destra e a manca, mi apostrofò così:

 

– Senti, Stefano. Domani, tu vai anche a pulire i cessi. Se ti azzarderai a varcare il portone di casa per farti un tranquillo giro in macchina e continuerai a volertela tirare da poeta, stai davvero in guardia. Lo vedi questo dobermann al mio guinzaglio? Ti faccio sbranare da lui.

 

Li mandai tutti a fanculo.

Perciò, per strane circostanze del destino, conobbi una ragazza di Trieste. Alla notizia di questa “novità scandalosa”, piovvero altre oscenità: mi dissero che mi recavo sin a Trieste per fare sesso lercio con una della minoranza slovena.

Accuse vergognose!

Alla fine la rabbia esplose devastante. Un cretino di psichiatra disse che soffrivo di psicosi paranoica e mi prescrissero un TSO, con tanto di sequestro di persona e deportazione da ebreo nei “campi di concentramento”.

E tutto un percorso “pedagogico” (in)degno da Vincent D’Onofrio di Full Metal Jacket. Semplicemente perché avevo avuto i coglioni, finalmente, di ribellarmi a tali maialate.

 

Dopo un calvario infinito, ingiustificato, atroce, scabroso, ho addirittura scritto un libro intitolato Dopo la morte. Altra potentissima sputtanata a un sistema terrificante!

 

E questo? Non è male!

 

Insomma, ecco a voi l’uomo che non sa “affrontare la realtà”, che dà del lei da signore educatissimo a uno più giovane di lui, che risponde a domande indubbiamente imbarazzanti, facendo finta che siano domande “cinefile”, e che con enorme ironia sostiene che la letteratura sia “depurativa”. Che testa di cazzo! Ah ah.

Insomma, questo è Jack Nicholson. E guardate come adotto/a una parlata “in falsetto”.

Ah ah.

Eh sì, mi sa che sarà questa la mia fine.

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Volete rimediare altre figure di merda?

No, non ho ancora capito come si sta al mondo.

NO, NO, ASSOLUTAMENTE!

 

Adoro la mia pazzia!

Top Nicolas Cage, le migliori interpretazioni del nostro Coppola


28 Oct

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Osoyoos, Canada - Unit stills for "the Humanity Bureau".; Weller Farm House Fight. Mindseye Pictures Directed by Rob King written by Dave Schultz D.O.P Mark Dobrescu

Osoyoos, Canada – Unit stills for “the Humanity Bureau”.;
Weller Farm House Fight.
Mindseye Pictures
Directed by Rob King
written by Dave Schultz
D.O.P Mark Dobrescu


Ora, sebbene io stesso ne abbia parlato soventemente male, dedicandogli anche un appuntamento speciale da Attore Bollito, perché è indubbio che la sua carriera, a parte l’improvviso exploit di Mandy, sia quasi terminata nella Hollywood importante, e ora Nic arranca in filmacci, girando come un ossesso dieci pellicole pedestri all’anno, roba da video amatoriali della prima comunione, devo sfatare un luogo comune, una brutta diceria sul suo conto.

So che di questo ragazzone nipote del Coppolone, nato a Long Beach, siete assai invidiosi perché probabilmente quell’Oscar, a soli trentatré anni, l’età della morte di Cristo, in Via da Las Vegas non è che fosse, diciamocelo, meritatissimo. Io avrei premiato Hopkins per Nixon.

E onestamente in tantissimi film il nostro Nicolino è davvero un cagnolone. Che recita battutine in overacting tanto per dar spettacolo da guitto e mantenerci di buon umore.

Ma, se vogliamo essere obiettivi, guardate che è un ottimo attore. No, non è una bestemmia. E non per la semplicistica ragione per la quale ha lavorato con registi come Lynch, Scorsese, Alan Parker, Ridley Scott, John Woo e compagnia bella… ché la lista non finirebbe più.

Ovviamente, il nepotismo di Francis Ford ha contribuito in maniera palesissima nel dargli una bella spinta.

Questo mi par fuor di dubbio. Ma la fama bisogna comunque conquistarla sul campo e dimostrare di meritarla. Alzandosi ogni mattina e presentandosi sul set. E in ciò Nic, stacanovista workaholic, è sempre stato impeccabile. Sin troppo lavoratore a cazzo duro che si è fatto il mazzo, sì.

Credo di aver visto quasi tutti i film con Nic Cage e debbo ammettere che sul finire degli anni novanta ha azzeccato delle performance davvero straordinarie. Quasi pacinesche. E mi riferisco a Omicidio in diretta, ove è perfetto nei panni del cafonissimo Santoro, al suo Castor “mi dà gusto mangiare la patata” Troy di Face/Off, perfino a 8mm di Schumacher, film oscenamente reazionario e pessimo ma in cui lui se la cava egregiamente. Anche a The Family Man, scempiaggine buonista di Brett Ratner nella quale, però, Nic è stato ancora una volta lodevole. Un James Stewart folle e ingenuamente imbranatissimo.

Tralasciando i suoi esordi con Coppola (e in Peggy Sue si è sposata comunque Nic recita molto bene e nel finale è davvero commovente), Nic ha una macchia indelebile nella sua carriera, Zandalee, sporcaccione softcore in cui si esibisce in una scena spintissima con Erika Anderson con tanto di capello lungo da Rob Zombie e cappella che s’intravede nell’amplesso focoso.

Dunque, a conti fatti, la mia top ten di Nic Cage è questa: Birdy, Stress da vampiro, Cuore selvaggio, Via da Las Vegas (nonostante tutto, e Oscar esagerato permettendo, è molto bravo, e poi che culo, in questo film ha succhiato le tette di quell’ex strafigona statuaria da infarto di Elisabeth Shue, roba che non capita tutti i giorni, amici), Con Air (filmetto di Simon West con un Cage più muscoloso di Stallone), Face/Off e Omicidio in diretta, appunto, pure Al di là della vita, Il genio della truffa e Joe. Ce ne sarebbero un altro paio ma non mi va di dirveli. Ah ah.

Oggi però Nic gira, come detto, film (sarebbero film?) come 2030 – Fuga per il futuro, un film che non ha nemmeno la pagina italiana di Wikipedia.

Ho detto tutto… E comunque il miglior film di Alex Proyas non è Segnali dal futuro ma Dark City. Altro che Il corvo.

Che c’entra? Non c’entra molto, ma mi andava di fare il Nic Cage imprevedibile di turno.

Nic Cage, signore e signori. Un pezzente, un mezzo-totale puttaniere (è stato pure con Jenna Jameson e la bagascia della figlia di Elvis), un uomo, un mito, uno stempiato tinto che sa indossare la sua giacca di pelle di serpente.

E cammina a testa alta fra una puttanata e l’altra.

 

 

di Stefano Falotico

Attori bolliti: Nicolas Cage, stacanovista, versatile, odiato e bistrattato


18 Jun

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Ebbene, come non potevo andare a parare sul bollito e soffritto per antonomasia, su Nicolas Cage, ovvero Nicolas Kim Coppola nato a Long Beach nel 1964 e nipote conclamato di Francis Ford Coppola?

Eh sì, Nic d’altronde non ha mai nascosto la sua immensa raccomandazione, come si suol dire, e infatti è stato co-protagonista, praticamente esordiente, di ben tre opere del Maestro e regista de Il Padrino e Apocalypse Now. Ovvero i bellissimi Rusty il selvaggio, Cotton Club e Peggy Sue si è sposata, tre meravigliose pellicole a mio avviso memorabili. E quindi è il folle interprete assieme a Holly Hunter di uno dei primissimi film dei terribili fratelli Coen, Arizona Junior. E prima dell’epocale Palma d’oro a Cannes, e il suo Sailor lynchiano di Cuore selvaggio, Cage è stato anche un “nosferatu” sui generis nel sottovalutato Stress da vampiro. E quindi è tutto un succedersi di ruoli su ruoli, fra sue performance oscene come nel tremendo softcore Zandalee, e brillanti ruoli un po’ insulsi in tutta una serie di commediole come Mi gioco la moglie a Las Vegas o Cara, insopportabile Tess. Ed è proprio con un altro film girato nella città dell’azzardo e del vizio, Via da Las Vegas, che Cage un po’ a sorpresa vince fenomenale il suo Oscar, tanto contestato e forse immeritato. Ma l’Oscar a soli trentatré anni lo consacra e gl’illumina il cammino, tanto che prima della fine degli anni novanta non sta fermo un attimo, e interpreta un po’ di tutto, incrociando autori di risma come John Woo, Brian De Palma e Martin Scorsese. Guadagna un’altra nomination con Il ladro di orchidee e va vicinissimo a un’altra candidatura col suo ruolo di gaglioffo e ladruncolo da strapazzo, maniaco-compulsivo ma di gran cuore ne Il genio della truffa di Ridley Scott. Stacanovista, versatile, odiato e bistrattato da una nutritissima schiera tantissimi detrattori, lui instancabilmente macina un ruolo dopo l’altro e non si placa un istante. Tanto da finire sulla bocca di tutti. Buona parte del pubblico lo adora, altri decisamente no, ritengono la sua recitazione iper-caricata, overacting come si dice in gergo, esagitata, quasi “cibernetica” e folcloristica. Ma questa è la sua caratteristica. Prendere o lasciare.

Al che, Nic Cage s’indebita, sperpera un patrimonio in spese folli, gli autori importanti via via si dimenticano di lui e ora gira 5 o 6 film all’anno. Ma tutta robaccia da quattro soldi. Film che a stento vengono distribuiti al cinema, girati in tempi limitatissimi, sciatti e maldestri.

Vi basterà andare su IMDb per notare che sta girando come un ossesso, ha sei pellicole pronte per quest’anno e altre già in preparazione.

Ma, ripeto, film assurdi e perlopiù impresentabili.

 

di Stefano Faloticoattori-bolliti-nicolas-cage-02- attori-bolliti-nicolas-cage-01- attori-bolliti-nicolas-cage-04-

“Al di là della vita” – Recensione


14 Oct

Arcana “letargia” dell’anima 

Torreggiante malinconia “sapida” di “malincuore”. Deragliato in uno stato di “trance” mortifera, Frank Pierce, paramedico di New York, avvolto nei nitori “squillanti” di sirene “asfaltate” nel naufragio mesmerico a una perenne “chimera” trasparente e “traspirante” di carne sua corporea dissolta, anzi purpureamente “dileguata” e “sghemba” fra “tagli” inferti nei fotogrammi densi di “liquori” nervici, d’una sbronza febbricitante di nervi tesi, “conciliati” solo a un complesso di colpa di tormentato “corto circuito”, “sinaptico” al dolore, ai tremori, alle allucinate “sovraimpressioni” d’uno Scorsese “notturnissimo”, “circense” in un’inquadratura che “blatera” di delirio, “confabula” coi fantasmi riemersi da memorie “piangenti”, su “lieve”, detonante e “dormiente” ticchettio scandito in un Cuore che brucia selvaggio. Stupito, “impudico” nelle sue “urla” sedate dagli occhi d’un Nic Cage “invertebrato”, overacting stavolta “accor(d)ato”, appunto, alla tetra vacuità “zampillante” e disinibita d’una eterna Notte profonda, affliction nei “bruciori” delle vene, della “flebo” smarrita “diluita” dentro “sventrate” sue cangianti iridi azzurre di cieli intorpiditi dal marcio d’una città violenta, prima dell’opera di “risanamento” del sindaco Giuliani, che la “deturpò” del suo fantastico “imbizzarrirsi” anche nelle “orge” dei suoi folli, dei barboni, degli emarginati, dei “vigliacchi”, ecco… deambulanti.

“Ovatta” che, invece, sanguina… ancora più fragorosa, perché “ammutolita”.

Ove personaggi “infermieristici”, di “donchisciottesca” reminiscenza ai “mulini a vento” dell’assurdità più grottesca, “afferrano” i pazienti più “pazzi” e insanabili, appunto, su “spranghe” che ne stuprano l’innocenza, marmorea, candida, “infreddolita”, come “carta vetrata” al velo troppo “zuccheroso” di chi ha deciso d'”assopirsi” per non contrattare con Satana il proprio Faust mercificato e “prostituito” ai frivoli abbagli, alle “allodole”, ché tanto lo specchietto retrovisore, “tassista” dostoevskijano “incarnatissimo” nei sospiri mai ammortizzati dell’inquietudine più sfrenata e “out of control“, è combattiva “crocifissione” a un Mondo falso da (s)lavare senza mai sventolare bandiera bianca.

Ottusa “utopia” o salvezza?

Scorsese resuscita i morti“, i demoni e i “mostri” del tuo sonno leggero da Paul Schrader.

Sì, un Light Sleeper fra gli spacciatori dei raggi (dis)persi. Fra chi brulica e, da b(r)uco “tossico”, non evolverà mai nei livori d'”ardori” apparenti, perché non vuole.

Dalla novella “biopic” di Joe Connelly, trasposizione tutta personale ch’echeggia di Frank Sinatra, delle sue “stranezze” di night, d’un “punteruolo” ghiacciato che spacca e distrugge tutti gli “antibiotici”, che si slabbra in amori sognati, per una Patricia Arquette vitalisticamente (ir)reale che deve fuggire prima d’essere uccisa o di venire “scarnificata”.

Eccentriche solitudini della downward spiral con una colonna sonora che “esagita”, “shakera“, esaspera, di Clash “suonati”, bastardi, incazzati, di grandi pezzi storici mentre un “verme” penzola da un cornicione, s'”arrampica” nel suo “orlo” lì a precipitare e viene all’ultimo momento “preso per mano”, sui fuochi artificiali d’una splendida decadenza tutta di Martin, tutta “martire”, tutta “matta”.

Svenata Bellezza. Attimi d’antologia, di grande Cinema.

Un cast eterogeneo di caratteristi “impresentabili”. Il “placido” John Goodman, “pasciuta” placebo che “oscura” e cela i suoi casini personali, Ving Rhames mastodontico “stregone” dei suoi Voodoo (ir)religiosi, nero ectoplasma “ridicolo” da “stregone ciarlatano e “ciarliero”, Tom Sizemore più grasso del porco che combinò sua “moglie” per le feste, Marc Anthony, il latino amante che fu di Jennifer Lopez, qui “scemo” al “punto cotto”.

Robert Richarson in “cabina” macchinista di sprazzi, di alterazioni “igieniche” alle immagini, illuminate, poi a spegnere il “lumicino”, poi a colorire il viaggio.

Mary, Mary Burke è la Madonna? La locandina cristologica, “intrappolata” nel rosso che vive dei suoi incubi, “(e)spiati”, “(ri)morsi” dentro…

(Stefano Falotico)

 

 

 

 

Bringing Out the Dead (“Al di là della vita”) di Martin Scorsese – Recensione da “Premier(e)”.


24 Jul

Salve, mi conoscete, non necessito di presentazioni.

Son Silvio, il cavalier mascarato che spacca il culo a “tutte”.
Invincibile, “bellissimo”, di parrucchin sempre più fascista e parruccon’!.

Mi ripresenterò alle elezioni, senza macchia e senza vergogna, defenestrando tutti i miei miseri avversari e impiccandoli col mio sorriso “piccante”.

Non c’è nessuno come me.

Ma sono qui, in veste di recensore, poiché dopo innumerevoli, indicibili, inenarrabili scandaletti e zoccolettie, da “ruby-condo” e “bel gioioso”, mi han costretto a una cura riabilitativa al fin propedeutico di curar il mio “sbatterle” da “imbattibile”.

Sì, mi han incatenato ma il mio uccell è sempre più scatenato.
“Infiammato” e di oratoria “raffinata”, oral o anal, quel che importa è affettarvi, fotterle e sfilettar la Minett’!

Ma, come vi dicevo, dopo questa grande abbuffata, son seguito dall’assistenza sociale che vuol ficcarmi un po’ di sale in zucca.

Sì, son capitalista e tutte per me si “sgolano”, mentre voi ardite al “decollarmi”.

Così, per “colpa” vostra, io “tocco”, ma or mi tocca una “stronzata” che non avrei mai visto in vita mia: Al di là della vita di un “certo” Martin Scorsese.

Sì, questa gente non la sopporto. Io, che me ne sto in villa col mio “gabbiano”, devo scender in “basso” a farmi i cazzi dei paramedici e degli eroi dostoevskijani della Notte.

Ebbene, se la Legge è uguale per tutti, allora anch’io, mi “abbasserò” al suo volere.

Partiamo, or dunque.

Il film è tratto dal libro omonimo di Joe Connelly edito (o si dice “editto”, vaffanculo all’edilizia…) dalla Tropea (che sarà un’altra da ficcar in cul’!).

Questo romanzo “di merda” è la storia di uno sfigatissimo infermiere che non è riuscito a salvare la vita a una ragazzina drogata e, per tutte le due ore, ci scassa il cazzo con i suoi complessi.

Fine della recensione.

Ora, datemi quattro troie e levatemi dalle palle questa “roba”.

 

 

 

A parte gli scherzi. Pleonastico sarebbe descrivere quest’immensa opera di Scorsese, allucinazione impressionante, costruita sulla malinconia di Frank Sinatra, “squillante” nel nostro nervico, inquieto Cuore. Magmatica discesa negli inferi, nel Mondo che piange i suoi dolori e non mendica materialismo.

 

 

Signore e signori, il Maestro è tornato.
La folla, per le strade, mi omaggia, spargendo petali rosa lungo il mio cammino, e salutando l’Altissimo, fra donne impazzite d’amore che non stan più nelle mutande e uomini che me “lo” ardiscon rosicando d’una invidia come non mai

 

 

 

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